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Autore: jillien    25/01/2011    6 recensioni
“Tu hai…cucinato?” “Non essere ridicolo, John. Ho solo urlato alla signora Hudson di preparare qualcosa”.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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sherlock

Titolo: Buon altro anno che se ne va

Introduzione: “Tu hai…cucinato?” “Non essere ridicolo, John. Ho solo urlato alla signora Hudson di preparare qualcosa”.

Rating: Verde

Pairing: John/Sherlock, che ho ribattezzato come Sherlhon. Copyright by me u.u

Avvertimenti: One-Shot

NdA: Per il compleanno di Remsvg che, con me, condivide la passione per Sherlock e John. Specialmente se insieme.

Wikipedia non sa quando è nato John D:, per esigenze editoriali ho deciso che è nato il 25 gennaio^^

I piatti citati sono delle pietanze tipiche inglesi.

 

 

 

[Sei felice 
sono felice sì, sì 
buon compleanno ora spegnimi 

Buon Compleanno, I. Grandi]

 

 

 

John Watson rientrò al 221B di Backer Street. Tardi.

Era da tempo che non rimaneva tanto fuori senza il suo coinquilino, da quando era tornado dall’Afghanistan erano decisamente rari i momenti in cui si concedeva di divertirsi, ancora più rari i momenti in cui lo faceva da solo.

Una pista su un caso che diventava una passeggiata serale, un appostamento da Angelo che accendeva le candele per loro ( non sono il suo ragazzo! ), convinto che fossero lì per una cenetta romantica. Persino andare in centrale da Lestrade per ridere dei commenti acidi e puntigliosi di Sherlock era diventata la sua routine. Il suo tempo non veniva più scandito a iniziare dal momento in cui era tornato a casa dalla guerra, zoppicante ( so che il tuo psicanalista pensa che la zoppia psicosomatica, io sono d’accordo ) e con un’invidiabile cicatrice sulla spalla, no. Era scandito dai casi di Sherlock, dai suoi strimpellamenti alle tre di notte, dall’odore dei suoi esperimenti sul tavolo della cucina e dallo squillo del suo cellulare. John fece scattare la serratura, un rumore sordo che ruppe il velo di silenzio che copriva casa sua. Sua e di Sherlock.

Fece piano le scale, poggiando leggermente i piedi per evitare di far troppo rumore, ma si sa, quando tenti di salire i gradini in modo da non svegliare l’intero isolato, ogni dannato osso dal femore in giù inizia a scricchiolare, ogni maledetto tendine cigola come se fosse tirato durante una di quelle torture medievali raffigurate in qualche libro di cronaca nera di Sherlock.  Punta e tallone, punta e tallone, era una fortuna non avere più il bastone o il suo tonfo avrebbe svegliato Sherlock. O più probabilmente lo avrebbe disturbato dai suoi pensieri visto che, a quanto pareva, il suo coinquilino non aveva nessun dato salvato nel suo Hard Disk che riguardasse il sonno. Probabilmente era nato con un Bug nel programma che regolava l’attività del dormire, pensò con un ghigno; subito dopo si stupì di sapere cos’era un Bug.

L’ultimo gradino, finalmente. Avvolse delicatamente la mano attorno al pomello della porta ma, prima di girarlo, quella si aprì all’improvviso, facendogli fare un lungo passo avanti.

“John, ci hai messo un secolo a salire le scale. Sono solo 24 gradini, non è normale”.

E cosa lo è con te?

“Mi hai sentito da quando sono entrato?”

“No, ti ho visto arrivare con il Taxi. E’ quasi mezzanotte, non hai chiamato quindi Sarah ti ha costretto a fare gli straordinari, il telefono squillava a vuoto perciò  avevi la vibrazione inserita, eri con i pazienti”.

“Magari volevo solo stare per conto mio” provò John. Sherlock lo guardò per qualche secondo con un sopracciglio alzato, poi alzò gli occhi al cielo mentre si dirigeva in cucina.

“Polvere bianca sotto le unghie: hai indossato i guanti di lattice fino a mezz’ora fa; odore di disinfettante e macchia rossa sul maglione: un bambino troppo agitato ti ha fato cadere qualche goccia di Neomercurocromo addosso, il fatto che sia sul maglione significa che avevi già tolto il camice, probabilmente era un paziente arrivato all’ultimo minuto. Devo continuare, John?”

Il dottore si lasciò sprofondare in poltrona, esausto e ormai rassegnato a non poter nascondere nulla al suo coinquilino.

“D’accordo, hai ragione”

“Come sempre” disse Sherlock spostandosi in cucina. John lo seguì con lo sguardo, nella figura del detective che si stagliava contro la luce della cucina c’era qualcosa di assolutamente sbagliato, se avesse avuto il cervello di Sherlock probabilmente l’avrebbe notato subito - e non sarebbe durato un giorno nell’accampamento senza finire in un attentato – ma, dato che era convinto di essere un nomale essere umano con facoltà nella media, ci mise un minuto per realizzare che ciò che non quadrava era il tavolo. Sgombro, pulito, addirittura apparecchiato. E Sherlock stava davvero aprendo l’anta del forno – avevano sempre avuto un forno? – per tirarne fuori qualcosa che non assomigliava a un Fish and Chips da asporto.

“Tu hai…cucinato?” chiese dubbioso, avvicinandosi un gli occhi fissi su quello che effettivamente sembrava un tacchino con le castagne.

“Non essere ridicolo, John. Ho solo urlato alla signora Hudson di preparare qualcosa”. Dal ripiano inferiore del forno – no, sul serio, c’è sempre stato? – tirò fuori un vassoio di Rarebit del Galles e lo poggiò sul tavolo.

“E hai apparecchiato?”

“Sarah ti ha forse dato un colpo in testa annullando quel poco di buono che eri riuscito a racimolare?  Sapevo che le persone che vengono mollate tendono ad essere piuttosto vendicative, ma credevo che si sarebbe limitata agli straordinari la vigilia del tuo compleanno. Certo il fatto che gli interessi del suo ex partner si siano poi rivolti verso esponenti del suo stesso sesso potrebbe aver scombussolato un po’ il suo cervellino” il vassoio era poggiato sul tavolo imbandito, John era seduto e lo guardava come se stesse guardano la testa nel frigorifero e Sherlock borbottava, le parole uscivano velocemente come se stesse facendo una lista di geniali considerazioni su un cadavere “forse dovrei fare un esperimento…”.

“Sherlock? Io, aspetta…cosa?”

Holmes gli lanciò sono una delle sue solite occhiate annoiate e poi alzò gli occhi al cielo, scuotendo lievemente la testa. Si sedette dall’altra parte del tavolo e addentò una tartina, scioccando ancora di più il dottore: da quando lo conosceva non aveva memoria di uno Sherlock Holmes che si sedeva tranquillamente al tavolo per consumare un pasto ( Io sono cervello, John ).

“John, si raffredda”.

“Cos’hai detto prima? La vigilia del mio…”

“Compleanno. Sei particolarmente lento questa sera”.

“Che diavolo dici? Oggi non è il mio compleanno!”

“Infatti sono certo di aver detto che è la vigilia” rispose. Prese un’altra tartina dal vassoio in mezzo al tavolo.

“Io…oh.OH”

Sherlock alzò un sopracciglio, guardandolo.

“Sul serio, John, dovresti dire a Sarah di evitare di farti fare questi turni con i bambini; regredisci al loro livello, mentalmente”.

“Non me n’ero accorto”. Finalmente la tartina solitaria nel piatto venne addentata, un mugolio soddisfatto uscì dalla bocca di John e andò ad infrangersi sul sorrisetto di Holmes.

“Si, era ovvio”.

John sbuffò leggermente, si portò un bicchiere di vino rosso – dove diavolo aveva trovato il vino? – alle labbra per nascondere il sorriso che gli era nato sul volto. Si passò la lingua sulle labbra per prendere anche l’ultima goccia che era avanzata, in quel gesto ripetitivo che sembrava caratterizzarlo da quando, in Afghanistan, doveva continuamente inumidirsele per evitare che si spaccassero. E che sembrava piacere molto a Sherlock, da come lo guardava.

“Quindi tu mi hai regalato una cena della signora Hudson, tecnicamente il regalo è da parte sua”.

“Sono io che le ho urlato di preparare qualcosa, e mi sono alzato dal divano nonostante avessi due cerotti alla nicotina sul braccio…”

“Sherlock non dovresti…”

“Era un problema da due cerotti, John. In particolare sono assolutamente certo che un regalo vada incartato ma lui non ne voleva sapere di collaborare, così ho dovuto cercare un’altra soluzione. E ora finisci il regalo della signora Hudson”.

“Ma hai appena detto…d’accordo, lascia perdere e passami il tacchino”. Mormorò rassegnato. Un regalo che non ne voleva sapere di collaborare? John rabbrividì mentalmente pensando a cosa avrebbe potuto regalargli il suo coinquilino, e d’un tratto decise che non avrebbe voluto saperlo. Un corpo in rigor mortis, forse? Certo sarebbe stato difficile da impacchettare. Scosse la testa per scacciare quei pensieri attirando così l’attenzione di Sherlock; ancora quel sorrisetto che non prometteva nulla di buono e gli faceva andare il sangue alla testa. E da qualche parte più in basso.

Si rimise a mangiare gustandosi l’ottima cucina tradizionale della signora Hudson, quasi si strozzò con una castagna quando Sherlock batté le mani senza motivo.

“Undici e cinquanta, devi aprire il mio regalo a mezzanotte precisa!” esclamò, lo prese per una manica e lo portò lontano dal suo delizioso piatto tipico.

“Sherlock, il mio tacchino!” sporse la mano tentando di tirarsi dietro il regalo della padrona di casa, senza particolare successo.

“Ti assicuro che non scappa, John. Gli animali morti non si muovono, e se non ci sbrighiamo la stessa sorte toccherà al tuo regalo”.

“Ma che diavolo-?”tentò di esclamare, ma si sentiva come un pupazzo nelle mani di un burattinaio folle.

Sherlock lo spinse sul divano senza troppi convenevoli, sparì in camera da letto (Signora Hudson, il dottor Watson prenderà la camera di sopra ) e ne tornò con una scatola che poggiò ai suoi piedi.

“Hai nascosto il mio regalo nella mia stanza?”

“Per nascondere qualcosa devi metterla nel posto in cui la persona a cui la celi non la cercherebbe mai” gli rispose come se fosse una cosa ovvia. Come sempre.  Diede una veloce occhiata all’orologio del salotto e si girò con un sorriso che non vedeva dal gioco con Moriarty. John sentì un brivido salire per la colonna vertebrale e strabuzzò gli occhi quando la scatola ai suoi piedi si mosse.

“Sherlock si è mosso…”

“Ovviamente si è mosso, sono passate due ore”.

“Due ore?!”

“Si, l’ho sedato. Undici e cinquantanove, inizia a scartare!”

Con la mano poco ferma tirò il fiocco, storto e asimmetrico, che spiccava sulla scatola – non senza aver lanciato un altro sguardo spaventato al ghigno da bambino di Sherlock – e alzò in un colpo il coperchio. Si tirò indietro con uno scatto quando una piccola palla colorata schizzo fuori e si mise a ringhiare contro Sherlock.

“Mezzanotte, ottimo tempismo Gladstone”. Disse Sherlock allontanandosi un po’.

“Tienimi lontano il tuo regalo di compleanno, i bulldog inglesi sono degli ottimi soggetti per testare. Si torna al tacchino?”

Lo guardò tornare in cucina, stordito da quello che era appena successo. Una piccola lingua bagnata gli toccò un pollice, riportandolo alla realtà.

“John, è freddo!” si sentì urlare dalla cucina. Il dottore si passò una mano sugli occhi con un sorriso.

“Andiamo Gladstone, ti piace il tacchino?”

Un altro urlo dalla cucina “Ovvio che gli piace, è carnivoro. Tutti i cani lo sono, è una cosa che le persone sanno!”

“Le persone sanno anche che la Terra gira intorno al Sole, Sherlock!”

Si risedette al tavolo, guadagnandosi uno sguardo offeso dall’altro uomo.

 

A cena conclusa erano seduti in soggiorno, John e il cucciolo sulla poltrona e Sherlock sdraiato interamente sul divano.

“Io…”

“Prego. Ricordati di tenermelo lontano, lo voglio fuori dalla camera da letto e quando viene Mycroft può stare sulla sua poltrona”.

“Perché solo quando viene Mycroft?” chiese interrogativo grattando dietro l’orecchia destra del cucciolo.

“Perché lui odia i cani, in particolare i Bulldog.” Disse prima di scavalcare il tavolino con poca grazia e arrivargli a un soffio dalle labbra. Toccò con un dito la testa di Gladstone, che la scosse contrariato.

“Buon altro anno che se ne va”.

   
 
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