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Autore: Gea_Kristh    25/01/2011    1 recensioni
Questa raccolta è pensata per contenere i missing moments della mia fanfic "Bleeding Sunset - Occhi di Tigre".
1- "Fate - Beneath a Bleeding Sunset" : una drabble che narra il primo incontro tra Shaka e Rajani, anni prima degli eventi di "Occhi di Tigre".
2- "The Awakening - Crying Bloody Tears" : il Risveglio di Visala, così come lei lo ha vissuto; così come lo ricorderà sempre.
3- "Strands of Destiny - La Via della Tigre" : il primo incontro tra Rajani ed i suoi allievi, Arun e Ashwini, visto dagli occhi di uno dei gemelli.
4- "Interlude - Vita al Grande Tempio" : un semplice siparietto, un po' comico e un po' romantico, ambientato dopo l'arrivo di Yashila e Visala al Grande Tempio.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti, Virgo Shaka
Note: Missing Moments, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bleeding Sunset'
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Come  già preannunciato nell'ottavo capitolo di "Bleeding Sunset - Occhi di Tigre", ecco a voi questo missing moment, che approfondisce un po' il rapporto tra Rajani ed i suoi allievi.

Ho voluto raccontare il primo incontro tra lei, Arun ed Ashwini, così come l'ho pensato in origine, in modo da spiegare il forte rapporto che li lega.

Tra l'altro ho un po' sperimentato: per la prima volta mi cimento nella narrazione in prima persona. Speriamo bene! XD

Vabbè, per oggi vi saluto.
Alla prossima!
Gea


Strands of Destiny - La Via della Tigre



Tra le strade polverose di Varanasi non c’era posto per i deboli.

Eravamo solo ragazzi, ma sapevamo come sopravvivere alla fame e alla miseria; ogni giorno lottavamo, disperatamente, per tenerci stretta quella vita che non era mai stata clemente, con noi.

Ricordo quel giorno come fosse ieri.

L’estate era calda e umida; la temperatura non ci dava tregua, ma si trattava dell’ultima tra le nostre preoccupazioni. Avevamo fame.

Era capitato altre volte che, anche per un paio di giorni, non avessimo nulla da mangiare. Ce la cavavamo sempre, in un modo o nell’altro.

Quella mattina c’era stato il mercato, e potevamo chiaramente sentire nell’aria il buon profumo di cibo e di spezie.

Non eravamo ladri, non di solito, ma avevamo fame.

Ricordo il desiderio ardente di colmare il vuoto che avevo nello stomaco; ricordo anche lo sguardo che io e mio fratello ci scambiammo: famelico.

A controllare le ceste della frutta c’era solo un vecchio, e noi eravamo giovani e veloci. Eravamo anche incoscienti ed avventati, ma al tempo non  ce ne rendevamo davvero conto.

Li vidi di sfuggita, e non prestai loro attenzione, mentre tra le mani stringevo possessivamente il mio succulento bottino, correndo: due occhi d’ambra, che nella luce accecante del giorno nemmeno parevano umani.

La nostra fuga non durò molto. Feci appena in tempo ad addentare la mia mela, prima che le guardie fossero su di noi.

Eravamo nei guai, me ne resi conto quando mi sentii sbattere violentemente a terra. C’erano urla, ma non riuscivo a distinguere le voci. L’aria mi mancava, e iniziai a tossire, con la bocca impastata di polvere – il sapore di quel boccone ben impresso nella memoria.

Vidi mio fratello ricevere un calcio nelle costole per aver tentato di alzarsi. Avrei voluto reagire, ma non ne avevo la forza. Per la prima volta in vita mia mi sentii completamente impotente.

Poi arrivò lei.

Era solo una mocciosa, ma tutti, anche le guardie, la guardavano riverenti; sembravano trattenere il fiato, in attesa delle sue parole.

Io non sapevo chi lei fosse; nemmeno mi interessava, a dire il vero. Guardavo le vesti pregiate che indossava e provavo disprezzo per quella creatura che mi fissava dall’alto in basso con i suoi occhi di tigre – gli stessi occhi che avevano catturato la mia attenzione solo pochi minuti prima.

Ebbi quasi l’impressione che quello sguardo d’ambra avesse il potere di mettere a nudo il mio io più recondito – ogni pensiero, ogni sogno, ogni desiderio.

Distolsi lo sguardo, incapace di fissare ancora quegli occhi freddi e severi.

Sentii, nel silenzio improvviso, parole pronunciate con voce bassa e ferma; le guardie scossero la testa, ma parvero poi impallidire quando lei strinse gli occhi a due fessure. Discussero per un tempo che mi sembrò interminabile; infine, lei si avvicinò a me e a mio fratello.

– Alzatevi, – ci disse. La osservai, dubbioso; le guardie, però, rimasero a distanza, anche mentre eseguivamo il suo comando.

Levandomi in piedi notai cose alle quali non avevo prestato attenzione solo attimi prima; vidi, incastonato nella fronte di quella ragazzina, il tilak di rubino rilucere sotto i raggi del sole, e finalmente capii l’aria di santità che la circondava.

Non era raro che le sacerdotesse della Devi girassero per le vie di Varanasi; spesso le vedevo, altere, camminare tra due file di impassibili guardie. La gente allora taceva e le guardava, neanche fossero divinità scese in terra.

Disprezzavo profondamente quella loro aria fuori dal mondo; non avevano mai dovuto lottare, pensavo, per ciò che avevano.

Lei, però, era diversa. Ci guardava quasi con sfida, dal basso della sua minutezza, e nessun uomo impettito le faceva da guardia del corpo.

– Vi propongo un accordo, – ci disse. – Seguitemi, e non vi verrà torto un capello da questi uomini. O rimanete qui, e pagate per i vostri crimini. –

Cosa avevamo da perdere? Nulla.

La seguimmo, e lei ci condusse silenziosamente per le vie di Varanasi. Salimmo fino ai quartieri alti, poi ancora più su, sulle pendici del promontorio. La strada era lunga, ma lei non accennò a diminuire il passo neanche per un istante. Noi avevamo il fiatone; lei non sembrava minimamente provata.

Ricordo che dall’alto la vista del Gange ebbe il potere di togliermi quel poco fiato che mi era rimasto. Mi sembrò di vederlo per la prima volta.

Entrammo nel Tempio, o almeno in quello che, al tempo, credo fosse tale.

Era grande, spazioso, scavato nella roccia viva e circondato dalla fitta foresta del promontorio. Poche persone si trovavano al suo interno; nessuno si curò di noi mentre, silenziosi, lo attraversavamo per intero.

La ragazzina – mi rifiutavo, allora, di pensare a lei come una Sacerdotessa – non ci diede tempo di ammirare le maestose statue della Devi, né i bassorilievi che tappezzavano le pareti.

Prendemmo un’uscita sul retro, guardata da due uomini che, alla vista di lei, si inchinarono profondamente.

Il sole mi accecò non appena misi piedi sul manto erboso.

Ci trovavamo in una radura. Ma... da dove era sbucato quello?

 “Quello” non era nient’altro che il Tempio della Mahadevi vero e proprio; solo che né io, né tantomeno mio fratello, lo sapevamo. Era imponente, mastodontico davvero. Avevo creduto che l’edificio appena superato fosse grande, ma mi ricredetti.

Si ergeva in lontananza, sulla cima della montagna, oltre la foresta, e rifulgeva sotto i raggi del sole come fosse fatto d’oro; alte mura lo circondavano.

Lei sorrise al nostro stupore, e il suo viso mi sembrò meno austero, più dolce; più adatto, di certo, a una ragazzina.

– E’ bello, vero? –

Non rispondemmo. Però lo era: bello, bellissimo.

– Quello che vedete è Mahāna mandira, il Grande Tempio della Mahadevi, ed io sono Rajani, Alta Sacerdotessa di Durga, Maestra delle Armi e Capo della Guardia del Tempio.

Non mi ero sbagliato sulla sua identità; d’altro canto, erano stati pochi i dubbi. Quello che rimaneva da chiarire era cosa diamine quella pujārina volesse da noi.

[Sacerdotessa]

– Mi è concesso conoscere i vostri nomi? – Sorrise ironicamente, ed io strinsi gli occhi a due fessure.

– Sono Arun, – rispose mio fratello. Mi guardò, invitandomi a continuare, ma io non ne avevo nessuna intenzione. Parlò lui per me, sospirando: – Lui è Ashwini. –

Eravamo confusi e spaesati. Lei ci aveva portato fuori dal nostro ambiente naturale, da ciò che conoscevamo: la strada, la povertà della città bassa; avevamo persino dimenticato la fame.

Rajani non perse tempo; cominciò a parlare fissandoci, a turno, diritto negli occhi. Da allora, mi fu impossibile dimenticare quelle iridi feline e maestose.

– Io oggi vi faccio in dono il potere di scegliere del vostro futuro, perciò ascoltate, perché non mi ripeterò. Potete tornare in strada, ed essere quello che siete sempre stati; o potete rimanere qui, con me, come miei allievi, e dedicare la vostra vita alla Via. –

La mia prima reazione fu lo sgomento, ma durò poco: trovai esilarante il fatto che una ragazzina di svariati anni meno di me mi volesse come suo “allievo”. Allievo? Pensai che fosse un’invasata.

Lessi, negli occhi di mio fratello, il mio stesso stupore, la mia stessa incredulità a quella che ritenevo fosse presunzione. Non lo era, e lei non ci mise molto a dimostrarcelo.

– Facciamo così, – ci sorrise, facendo un passo nella nostra direzione. – Un combattimento, voi contro di me; se vi sconfiggo, allora sarete miei allievi. Se perdo, allora, – e si sfilò dal polso dei churi, – questi saranno vostri. – Non aveva bisogno di dirci che erano oggetti di valore: riconoscevo l’oro quando lo vedevo.

La guardai incredulo. Non me lo aspettavo, allora, ma col tempo avrei imparato ad apprezzare i suoi modi astuti. Ci offrì qualcosa che non avremmo mai potuto rifiutare: un’esca perfetta per il nostro orgoglio immaturo.

Accettammo.

Fu una doccia fredda vederla scomparire davanti ai nostri stessi occhi – si muoveva troppo, troppo velocemente perché noi potessimo anche solo sperare di cogliere un suo gesto. Si limitò a scansare i nostri attacchi, senza reagire. Non ci diede una lezione, come invece avrebbe potuto; ci fece stancare, così tanto che, alla fine, fummo costretti ad alzare bandiera bianca. Lei non era minimamente scomposta.

Ci sorrise e ci porse le mani, aiutandoci ad alzarci.

– Ci hai fregati, eh? – Riuscì a dire, col respiro affannato, mio fratello.

Fu in quel momento che mi innamorai della sua risata argentina, fresca e limpida come l’acqua più pura.

 

Allora non lo sapevo, no, però fu il destino a far sì che, quella mattina, Rajani scendesse in città; fu il destino, e lui solo, a far sì che lei vedesse in noi, poveri ed umili sciocchi, del potenziale; fu il destino a far sì che lei, la bella Rajani, la Tigre, ci cambiasse la vita.

   
 
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