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Autore: Lilianne    27/01/2011    1 recensioni
E rieccomi qua con un'altra storia, leggermente diversa rispetto alle altre. La vicenda si svolge in un'Austria del 1940, ai tempi della seconda guerra mondiale. Incontreremo Annabelle, figlia di un capo nazista della città e un Joseph Adam Jonas sognatore amante della musica. Ma qualcosa dividerà i due protgonisti molto presto...
Bhe, forse vi ho anche già detto troppo!! Non mi resta altro che augurarvi buona lettura!!
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Anno 1940. Austria.
Era da molto tempo che le cose erano cambiate.
Tutto era diverso...Strano.
Scostai la tenda di colore verde pastello della mia camera.
Dalla mia stanza si poteva ammirare il panorama di tutta la città di Vienna.
La adoravo. Adoravo tutti i luoghi.
Ma non mi piaceva da chi era abitata. Le persone...
Cattive, grette, spietate...
E il motivo era lo stesso, per tutti: la guerra.
Perfino a casa mia mi sentivo prigioniera.
Costretta ad attaccare sulle pareti dell' armadio il volto di uno schifoso
e bastardo Adolf Hitler.
Odiavo mio padre, che era concentrato solo e soltanto ad uccidere delle
povere persone innocenti, in famiglia si parlava solamente del suo amatissimo
campo di concentramento, dove egli era il massimo esponente, o come, da me soprannominato...
il campo delle povere anime...
Mia madre invece, non aveva idee.
Bandiera gialla.
Pendeva dalle labbra di mio padre, ogni cosa che egli diceva
per lei era oro colato, e guai a chi lo contraddiva.
Mia sorella, secondo me, era colei che comandava.
Sempre li, impettita, ad osannare i politici che
condannavano a morte degli esseri viventi, anche se con
una cultura diversa dalla nostra, usanze, costumi, morale
differenti, ma pur sempre UMANI.
Addirittura, da quanto era pazza, alcuni giorni, andava
insieme a nostro padre a lavoro con lui.
Andavano semplicemente ad uccidere...
Ero stanca. Stanca di questa civiltà ceca,
in grado di non capire, quali sono i veri valori della vita.
Non è un mondo privo di persone "diverse" da te, che ti fa sentire
potente, invincibile.
Ciò che per me conta veramente, è un mondo, dove puoi
condividere le tue idee senza essere mandato in un forno crematorio.
Le bombe assordanti, le sirene delle SS, gli spari dei fucili,
le urla dei bambini sottratti ai loro genitori per essere portati alla morte.
Erano i segnali della massima crudeltà...
Un peso sul petto che mi opprimeva.
Vedere soffrire le persone e voler fare qualcosa per aiutarle per far smettere di far torturare quella povera gente.
Ma purtroppo il mio cognome era contro di me.
Non mi era permesso stare dalla parte dei "diversi", essendo figlia di un famosissimo
capo nazista di Vienna.
Erano le 6 del mattino, l'ora prepararsi per dirigersi a scuola.
All'epoca frequentavo il Liceo Classico, precisamente il penultimo anno.
Ovviamente ero stata costretta a sceglierlo dai miei genitori,
incapaci di capire che il mio desiderio non era quello di tradurre versioni
di latino e greco senza capirci niente e sgobbare sui libri...
No. Il mio più grande desiderio, sin da bambina, era sempre stato quello di poter
disegnare. Ritrarre ciò che mi circondava, ciò che sentivo, ciò che amavo...
anche se il mondo era diventato monotono. Monotono addirittura anche nei colori.
Il solito grigio topo vegliava ogni giorno nel cielo di Vienna, nonostante fossimo nel bel mezzo della primavera.
Mi lavai come sempre e come ogni santo giorno che dio metteva in terra,
indossai la divisa. Una giacchina nera notte, con sotto una normalissima
camicetta bianca immacoltata, al di sopra di una lunghissima gonna del medesimo
colore della giacca. Quella la odiavo proprio, non la sopportavo.
Sembravo una piccola soldatessa pronta all'attacco.Ero sprovvista solamente di un mitra bello carico intorno alla mia spalla
e potevo anche essere confusa per qualche dipendente stronzo di mio padre. Coloro che imponevano, a delle povere persone
di entrare nei campi di concentramento...
SCHIFO TOTALE!
Una volta vestita raccolsi i miei lunghi capelli mossi color del grano in una uniforme coda di cavallo che arrivava a metà schiena.
Ed infine riposi come sempre i miei enormi occhiali da vista sui miei piccoli occhi verdi. mi servivano solamente per vedere meglio da lontano, anche perchè per arrivare
a scuola utilizzavo la bicicletta e potevo facilmente confondere i cartelli stradali...La solita sbadata...
Uscii di casa che erano le 7.00.
Misi la mia cartella nel cestino della bicicletta e partii.
Alzai gli occhi per un solo momento, diretti verso il cielo. Un piccolo sprazzo di azzurro
si fece largo tra tutto quel grigio, insieme ad uno stormo di uccelli.
Uno spettacolo a dir poco meraviglioso.
Non feci in tempo neanche ad accorgermene che persi l'equilibrio, e caddi esattamente sul marciapiede.
Mi scivolarono tutti i libri, e mi feci anche male ad un ginocchio.
Tutta concentrata a soffiare sopra la ferita da cui usciva il sangue, per alleviare il bruciore, non mi accorsi che qualcuno stava soffiando con me
sulla mia gamba.
Alzai per un secondo lo sguardo.
Era un ragazzo bello, molto bello. Aveva gli occhi color del cioccolato, i capelli ricci molto scuri con sopra un cappello stile marinaio,
che si intonava alla perfezione con il completo giacca-pantalone che indossava. La particolarità del suo volto era il suo, enorme sorriso che risplendeva su di me.
<< Non credo che sia molto grave sai? >> mi disse rassicurandomi.
Io in un primo momento non reagii. Avevo la bocca a mò di "U".
<< Ti fa tamlente male che non riesci neanche a parlare>> rise mentre raccoglieva i miei libri da terra.
Mi scoposi dicendo: <> gli sorrisi imbarazzatissima mentre lui mi tendeva la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Lui si soffermò ad osservare i miei libri: << Cavolo, qui si studia greco antico! Accidenti! >> affermò lui divertito.
<< Ehhhmmm...si!>> risposi rossa in viso. << Allora? Quale è il tuo nome? >> chiesi a lui ridendo.
<< Mi chiamo Joseph. Joseph Adam Jonas per l'esattezza...e tu?>> chiese mettendo nel cestino della bici i miei libri.
<< Io mi chiamo Annabelle, Annabelle...>> In quel momento mi cadde lo sguardo sull'orologio.
Cavolo le 7.35. Ero in ritardo folle!
<< Senti, mi dispiace, ma io devo andare a scuola, è tardissimo...dove posso trovarti?? Insomma vorrei conoscerti meglio visto che sei stato l'unico che si è fermato per soccorrermi! >> urlai impacciata salendo a fatica sul sellino.
<< Boh, non so...io sono sempre in giro a quest'ora, quindi...vedi di non riscivolare!!!>> rise nuovamente accennando un "ciao" alzando la mano.
<< Ok è stato un piacere! >>
Finii di percorrere il tragitto in tutta fretta. Quando arrivi davnti a scuola non c'era nessuno nel cortile. Mi accorsi che la campanella era suonata già daa ben 15 minuti.
Vagai per i corridoi in silenzio, fino ad arrivare davanti alla mi aula. La 2^ C.
Aprii pian piano la porta. L professoressa di letteratura se ne stava seduta sulla cattedra, con un ara di sufficienza, quando si accorse della mia presenza.
<< Siamo onorati della sua presenza signorina Enghler! La causa del ritardo? >> interrompè per un attimo la lezione.
<< Sono scivolata dalle bicicletta signorina Ithcher! Mi scusi...>> le risposi diventando rossa davanti a tutta la classe.
Lei non aggiunse più niente. Mi accomodai al mio banco, cercando di riprendere il filo della spiegazione.
Oramai la classe era dimezzata. da quando ci fu l'ordinanza che tutti gli studenti ebrei non potevano più frequentare i luoghi dove stavano i tedeschi Per tutta la giornata non feci altro che pensare a quel ragazzo che mi aveva soccorsa per strada.
Joseph...
Il suo nome e il suo viso regnavano nella mia testa. Dovevo assolutamente rincontrrlo.
  
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