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Autore: Julietts    27/01/2011    2 recensioni
Volto la testa piano, molto piano. Cosa vedo? Blu. Il blu di una notte senza stelle, senza luna. Il blu di un telo denso, quel blu che mi aspetterei di vedere solo in cielo.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Volto la testa piano, molto piano. Cosa vedo? Blu. Il blu di una notte senza stelle, senza luna. Il blu di un telo denso, quel blu che mi aspetterei di vedere solo in cielo.
La freddezza che mi invade è forse solo un effetto collaterale, poco importante. Effettivamente, cosa c’è di bello in un cielo semplice, blu? Tanto, secondo me. Troppo per essere descritto. La finestra è aperta, le tapparelle sollevate, fuori, i lampioni sono accesi, la loro luce è biancastra e innaturale, fastidiosa anche, e illumina il parco del quartiere, vuoto, scuro. Rabbrividisco. Non pensavo di avere tanto freddo. Chiudo la finestra con uno scatto, che mi provoca un lieve dolore alle nocche. Abbasso la tapparella, lasciando filtrare solo qualche spiraglio di luce biancastra. Mi sposto, rivoltando la testa, finalmente. Mi sdraio sul letto e improvvisamente mi rendo conto di quanto possano essere noiosi i miei pensieri. Ma sto pensando a qualcosa? Esaminare le azioni che compio può essere definito propriamente pensare? Non posso non pensare a niente. È un inutile spreco di tempo e di fatica. I pensieri sono tutto quello che mi resta, tutto quello a cui posso aggrapparmi. Se fossero pensieri belli, poi…ma non si può avere tutto dalla vita. Socchiudo gli occhi, nella speranza (vana) di capirci qualcosa. Respiro piano, ogni volta che inspiro stringo i denti, ogni volta che espiro stringo i pugni. Vivere è davvero una grande fatica in fondo. Questo schifo di mondo non fa altro che peggiorare di giorno in giorno, di momento in momento, di istante in istante. E a me mi sembra di affogare. Tutto quello che sta succedendo mi sconvolge.
Vado in balcone, e volto piano la testa, molto piano, forse troppo. Cosa vedo? Blu. Il blu di una notte senza stelle, senza luna, senza luci. Il blu di una coperta pesante, quel blu che mi aspetterei di vedere dappertutto, ma non in cielo.
La freddezza che mi invade nuovamente è ciò che voglio, l’unica cosa che desidero veramente ora. Effettivamente, c’è poco di bello in un cielo così, poco da descrivere, poco da capire, poco da ammirare. Il balcone è grande, la finestra dietro di me è di nuovo aperta, le tapparelle ancora alzate. Fuori, i lampioni si spengono, pian piano, uno dopo l’altro, e in un attimo, il tempo di un battito di ciglia, e io mi ritrovo in mezzo al buio. Poco dopo, però, le prime luci dell’alba tornano a visitare le case, le persone. Tornano, e illuminano ancora le finestre, le tapparelle, me. Il parco del quartiere è ancora vuoto, non più tanto scuro, ma comunque addormentato, freddo. Il sole sta sorgendo dietro una coltre informe di nuvole, che ora mi sembrano nere. Mi appoggio alla ringhiera di ferro, sento il metallo sotto le dita, liscio, perfetto come solo certe cose sanno essere. Sto di nuovo pensando a nulla. Spreco di tempo. Spreco di battiti cardiaci, spreco di respiri. Se non si pensa a nulla, tanto vale morire, o essere in coma. Non serve una vita piena se sei senza pensieri. Il cielo si sta schiarendo, le nuvole si aprono, la luce mi inonda, mi travolge, sento il suo calore, anche il suo odore. I raggi del sole non pensavo avessero un profumo. Mi sbagliavo, ce l’hanno. Fa caldo, ora, e forse sono sollevata, la freddezza comincia a scomparire, il gelo del mio cuore si scioglie, bruciato dai raggi solari, ustionato dal loro odore. Mi ritraggo, improvvisamente colpita dal riflesso della luce sul metallo. Torno in casa e chiudo la finestra. Ma le tapparelle non le abbasso. Perché dovrei? C’è il sole. Una casa baciata dal sole è fortunata, no? No. Penso che dovrei scrivere qualcosa. Giusto per ricordarmi il momento. Prendo un orribile post-it giallo vomito-canarino impagliato e scrivo, a chiare lettere ‘Oggi ho tenuto le tapparelle su. PS: non sono depressa, vedi?’.
Un promemoria per me stessa. Per ricordarmi quanto io sia scema.
Mi sento subito molto meglio. Sento l’istinto di farmi una doccia, e visto che io i miei istinti li seguo, mi dirigo verso il bagno, dove però mi immergo nella vasca vuota, asciutta. Mi ci sdraio, e comincio a far scorrere l’acqua sul mio corpo ancora vestito. Sono un’idiota, lo so. E allora?
Non cambia nulla, in fondo. Sapere tutto e sapere niente, dire tutto e dire niente, credere in tutto e credere in niente. La differenza è solo quella sottilissima linea che chiamano infinito, ma che, contrariamente a quanto potrebbe far pensare la parola, è tanto piccola che potrei oltrepassarla solamente facendo un piccolo salto.
Il problema, mio, di tutti, che si ha sempre paura di saltare. Perché non si sa dove si può atterrare, perché non si sa con che materiale farà attrito il nostro corpo, perché non si ha il controllo di tutto. Per un istante, non si deve per forza fingere di averlo.
Ho deciso.
Esco dalla vasca da bagno, lasciando dietro di me una scia di goccioline fredde, e mi ristendo sul letto, solo per il piacere di inzupparlo tutto. Poi, mi rialzo, mi dirigo in balcone, e voltò la testa. Non piano, questa volta. Il sole mi inonda, e sento la pelle e i tessuti cominciare ad asciugarsi, ad impregnarsi del profumo del sole. Credo proprio che per una volta potrò prendere il coraggio di saltare.
 
  
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