< Io sono Oswiecim > disse piano il ragazzino che in quel momento si trovava davanti a Germania. Nella sua tenuta nazista. Quella che temeva di più, perché in un certo senso era il lato sadico di Germania.
< NO, tu sei Auschwitz ! > sbottò irritato, nel tentativo di fargli imparare il suo nuovo nome.
Già pregustava le torture, se così si poteva chiamare tutto quello che si pativa lì, che gli avrebbe fatto una volta nel campo di concentramento che stava progettando di costruire proprio in quel posto.
Infatti, una volta edificato, la prima persona ad entrarci, prima degli ebrei, zingari, omosessuali, e tutti quelli che ci finirono, fu lui, Oswiecim.
Conobbe tali atrocità che, quando Russia venne a liberarlo il 27 gennaio 1944, insieme a Ucraina, lo trovò in un tale stato, che probabilmente ne uscì nuovamente pazzo:
< Mi hanno torturato, mi hanno portato nelle camere a gas, hanno fatto su di me esperimenti medici, mi hanno umiliato. Il lavoro non ci ha reso liberi! E tu che cosa farai? > disse quasi gridando Auschwitz/Oswiecim, ormai pelle e ossa. Polonia, che si aggrappava alle spalle di Russia, replicò: < Ti libera. Stanne sicuro >. Il silenzio scese da entrambe le parti, ed era un silenzio carico dei dolori accumulati finora. Russia e l’Armata Rossa lo liberarono, ma non ne uscì nessuno indenne.