Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Fe85    28/01/2011    3 recensioni
Mike si passò una mano tra i corti capelli brizzolati, spostando gli occhi celesti su un volantino che promuoveva una serata di beneficenza che si sarebbe tenuta la sera seguente a Broadway. Esso riportava il volto di una persona a lui nota.
Una persona che avrebbe potuto salvarlo dal baratro nero in cui stava lentamente scivolando.
Forse lei poteva cambiarlo prima che fosse troppo tardi. Solitamente, nei racconti era l'uomo a salvaguardare la donna e a farla felice, e se nel loro caso i ruoli si fossero invertiti?

[III classificata al contest "Colori e Ore!" indetto da emily alexandre]
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Ehi, Mike, com'è andata?» gli chiese Ron Stewart, suo amico e collega, mentre un'infermiera provvedeva a levargli il camice operatorio e la mascherina.

«Direi bene, ma bisogna monitorare il paziente nelle prossime ventiquattrore. Ho disposto che venisse trasportato in terapia intensiva, e nel frattempo andrò ad avvisare i parenti della buona riuscita dell'intervento» rispose l'interpellato con fare professionale, congedandosi e dirigendosi verso la sala d'aspetto.

Michael James Stevenson, Mike per gli amici, era uno dei più quotati cardiochirurghi dell'ospedale Santa Barbara di Manhattan. Contrariamente a molti altri medici che lavoravano presso quella e altre strutture, lui non era il tipico raccomandato che aveva pagato qualche conoscente per ottenere una posizione prestigiosa.

Aveva fatto la cosiddetta «gavetta», e nessuno gli aveva regalato niente, anzi aveva dovuto sudare e sgomitare per diventare quello che era. Sotto la severa guida del suo primario, il professor Jeremy Carter, un tipo burbero ma che amava il suo lavoro, aveva appreso tutti i segreti del mestiere. Aveva imparato soprattutto a trattare i pazienti non da malati, bensì da esseri umani.

«La sofferenza rende le persone diverse, però ognuno mantiene intatta la propria dignità e quindi va rispettato» Mike aveva cercato di fare sue le parole di Carter, dimostrando sempre una notevole competenza e non vantandosi della serie di brillanti successi che aveva ottenuto nell'ultimo periodo.

Si fermò qualche istante alla macchinetta del caffè per scrollarsi di dosso la tensione accumulata durante l'operazione e si concesse un cappuccino. Gli piaceva consumarlo specialmente d'inverno, seduto su una poltrona, magari mentre in tv trasmettevano la partita della sua squadra di baseball preferita, i Tigers.

Quotidianamente salvava molte vite, ma la sua era ormai alla deriva da anni. Si sentiva come un naufrago su un'isola deserta che aveva completamente smarrito la bussola e non sapeva più dove andare.

Si definiva un completo fallimento: sia come marito, che come padre.

Il lavoro di medico, si sa, richiede parecchi sacrifici e costruire una famiglia può rivelarsi assai complicato, perché è difficile scindere il lavoro e gli affetti. Il primo assorbe poco alla volta il proprio tempo e richiede sempre più sforzi ed energie, togliendone ai secondi.

Talvolta, può divenire una vera e propria malattia, un tunnel senza uscita.

Ed era ciò che era successo a Mike: il lavoro lo aveva assorbito completamente, facendogli dimenticare l'esistenza di una sfera privata.

L'eccessivo zelo nel suo mestiere lo aveva allontanato gradualmente dalla famiglia, e Sharon si era stancata di concedergli possibilità.

A cosa serviva accumulare buoni risultati nella scienza medica se non si aveva qualcuno accanto con cui gioirne?

 Inserì nella macchinetta qualche cent, e premette un pulsante rettangolare che recava la scritta “cappuccino”, dopodiché attese pazientemente, mentre si udiva il ronzio dell'aggeggio.

Quante volte aveva promesso a Brian di andarlo a vedere mentre giocava a basket con la sua squadra, vedendosi poi costretto a rinunciare per una chiamata improvvisa al cicalino.

L'espressione delusa di Brian era ancora scolpita nella sua memoria.

Quante volte si era scordato di leggere le favole della buona notte alla piccola Maggie che singhiozzava amareggiata nel suo lettino.

Quante volte avrebbe voluto dedicarsi a Sharon, darle le attenzioni che meritava e farle capire quanto la amava.

Solo dopo parecchi esami di coscienza, capì i suoi errori e si rese conto di quanto arida fosse diventata la sua vita.

Arida quanto la pianta che albergava nel salotto di casa sua e che Sharon aveva cercato di tirargli dietro nel mentre di una delle loro numerose litigate.

Avrebbe dovuto capire che già da allora che la loro unione era traballante, ma era stato più comodo far finta di niente e attendere che lei sbollisse la rabbia. Eppure, lui stesso riteneva che l'indifferenza fosse una delle cose peggiori esistenti al mondo.

Lui stesso aveva posto fine al loro matrimonio.

Successivamente, recuperò il suo cappuccino e ne bevve qualche sorso, reclinando la testa all'indietro e gustandosi la schiuma biancastra.

Non aveva scusanti, era lui ad aver sbagliato.

Sentendosi esclusa dal suo mondo, Sharon si era pian piano raffreddata nei suoi confronti, divenendo scostante e sottraendosi al dialogo, fino all'amara confessione di tre anni prima.

«Ho un altro uomo, io e i bambini ce ne andiamo»

Di fronte a lei, non aveva battuto ciglio: forse era l'ultimo tentativo del suo orgoglio di mantenersi vivido. O forse perché con le parole non era molto bravo, se non si trattava di fornire qualche spiegazione in ambito medico.

O semplicemente non poteva fare altro che accettare la sua decisione.

Passivo. Perché era sempre passivo nei confronti della vita? Perché si lasciava scivolare tutto addosso come se niente fosse?

Perché non viveva? Quell'evento lo aveva segnato in maniera tanto drastica?

Mike si passò una mano tra i corti capelli brizzolati, spostando gli occhi celesti su un volantino che promuoveva una serata di beneficenza che si sarebbe tenuta la sera seguente a Broadway. Esso riportava il volto di una persona a lui nota.

Una persona che avrebbe potuto salvarlo dal baratro nero in cui stava lentamente scivolando.

Forse lei poteva cambiarlo prima che fosse troppo tardi. Solitamente, nei racconti era l'uomo a salvaguardare la donna e a farla felice, e se nel loro caso i ruoli si fossero invertiti?

                                                                       *

Paula Diaz Ramirez stava provando la Camminata nel corridoio, attirando su di sé gli sguardi incuriositi degli altri pazienti ricoverati. Quella era la parte fondamentale del tango e se si riusciva a calamitare l'attenzione del pubblico su di sé in quel frangente, il più era fatto. Stava immaginando di danzare con il suo partner, fingendo di essere un tutt'uno con lui per rendere ancora più realistico quel balletto immaginario. Le sembrava di sentire il suono della musica che dettava il ritmo dei loro passi, il ticchettio dei tacchi delle sue scarpe sul palcoscenico, gli applausi scroscianti del pubblico e…

Improvvisamente, inciampò nella sua lunga vestaglia di seta e rovinò a terra, rompendo l'incanto e venendo prontamente soccorsa da un'infermiera che passava di lì per caso che colse al volo l'occasione per rimproverarla. Nonostante i suoi trentadue anni, Paula era piuttosto immatura e, soprattutto, era un'amante del rischio.

Nata e cresciuta in Argentina, aveva dimostrato fin da piccola un'innata passione per il ballo, tradizione che si tramandava nella sua famiglia di generazione in generazione. Terza di sei fratelli, aveva dovuto crescere in fretta, e mentre lavorava in un fast food per sopperire all'esiguo bilancio economico della famiglia, frequentava di nascosto una scuola di danza improvvisata in una delle vie meno abbienti di Buenos Aires. Un giorno, venne notata da un talent scout che decise di ingaggiarla con un contratto per un programma televisivo che si svolgeva a New York. La ragazza colse al volo quell'occasione per fuggire dalla povertà del suo Paese, e iniziò così la sua nuova vita nella Grande Mela, dove conobbe Ian, un valoroso soldato dell'esercito americano che rimase letteralmente folgorato dal suo fascino latino.

Però, il gioco della vita è crudele, e non sempre consente agli uomini di vivere serenamente: Ian venne convocato dai suoi superiori e fu costretto a partire repentinamente per l'Iran, dove la guerra la faceva da padrone, e lì morì in seguito ad un attentato kamikaze ai danni delle truppe americane.

Paula, distrutta, rifiutò numerose proposte di lavoro e si chiuse in se stessa, crogiolandosi nel dolore: lei stessa soffriva di una malattia congenita al cuore che non le lasciava molte speranze nella sua professione ed era giunta ad un bivio.

Doveva appendere le scarpette al chiodo oppure c'era un'altra possibilità che non aveva vagliato?

Proprio mentre il suo astro sembrava destinato ad oscurarsi, conobbe il dottor Stevenson tramite il suo manager.

Mike era diverso dagli altri specialisti che aveva avuto modo di conoscere nel corso della sua degenza.

Mike era speciale. La capiva e la spronava a reagire per i propri fan e, soprattutto, per se stessa. Non amava parlare molto della sua vita privata e non era bravo a parole, però lui per lei c'era sempre stato. E Paula voleva in qualche modo restituirgli il favore.

La sofferenza trapelava dal suo volto, benchè fosse sapientemente celata da una maschera di indifferenza, e lei desiderava ardentemente scoprire cosa lo tormentasse in quel modo. Non si trattava di amore, né tantomeno di pietà, bensì di gratitudine.

Da quando le era stato applicato il pace-maker, le pareva di essere tornata a vivere e il suo sogno di poter tornare a calcare la scena, era divenuto una realtà.

Chissà se anche Mike aveva un sogno.

«Buongiorno, signorina Ramirez. Come andiamo oggi?» le domandò Mike, intravedendola e scortandola nella sua stanza. Non appena l'infermiera gli spiegò ciò che era successo, accennò un sorriso e invitò Paula a sdraiarsi sul letto «ehi, devi preservarti per domani! Non vorrai rovinare tutto quello che abbiamo fatto finora, spero» la rimproverò proprio come un padre fa con sua figlia dopo che ha combinato qualche marachella.

«Devo gridare al miracolo dato che hai finalmente deciso di darmi del tu?» ironizzò lei con il suo tipico accento spagnolo, sdraiandosi poi sul letto e spostando lo sguardo fuori dalla finestra dove aveva iniziato a nevicare da qualche minuto. Il Natale era ormai alle porte, e i newyorkesi erano indaffarati con la preparazione degli addobbi per le proprie case; ed era in quel periodo dell'anno che davano sfoggio della loro fantasia con le decorazioni.

«Meglio di no, ricordati che ci troviamo in un ospedale» la rimbeccò lui con tono grave, passando poi a slacciarle leggermente la camicia da notte per poterla visitare. Appoggiò lo stetoscopio sul suo petto e ascoltò i battiti del suo cuore, cercando di riscontrare qualche possibile anomalia; dopodiché le misurò la febbre e le provò la pressione.

Paula lo osservava in silenzio, aspettando il suo responso e rimanendo ammirata ancora una volta dalla sua scrupolosità.

«Bene, è tutto a posto. Ricordati di non strafare, però. Sei ancora convalescente» si raccomandò Mike, sistemandosi il camice e segnando i parametri vitali della ragazza con una calligrafia elegante su un foglio.

Cercava di apparire sicuro e perfetto anche quando scriveva.

«Lo so, lo so. Anzi, perché non vieni a vedermi anche tu? Così se dovesse capitarmi qualcosa, sarai in platea, pronto ad assistermi» lo provocò lei con una punta di irriverenza nella voce, rivolgendo i suoi occhi neri come la pece in quelli chiari di lui.

Mike sostenne quello sguardo senza problemi, accennando un altro sorriso: quando era in compagnia di Paula, riusciva a sorridere più spesso e ad accantonare i problemi e le ansie che lo affliggevano.

«Ho il turno in pronto soccorso e non posso permettermi un'assenza, tuttavia voglio farti un regalo che possa ricordarti la mia presenza sul palco insieme a te»

Mike era un professionista e sapeva che doveva essere imparziale con i suoi pazienti e trattare tutti allo stesso modo, ma Paula si era guadagnata un posto speciale nel suo cuore, e per tutta la durata del suo ricovero, aveva imparato a conoscerla e ad innamorarsi di lei.

Aveva segretamente deciso di confessarle i suoi sentimenti dopo lo spettacolo, accantonando per una volta la sua posatezza.

Voleva stupirla.

Voleva vederla sorridere.

Voleva amarla.

Temeva una sua risposta negativa, anche perché avevano discusso raramente della vita sentimentale della ragazza. Gli aveva confidato che aveva avuto una forte delusione, ma non si era soffermata a specificare nel dettaglio cosa le fosse successo.

«Un regalo? Proprio tu che detesti le sorprese e che odi l'improvvisazione? Di solito, sei molto metodico e abitudinario» fece Paula, fingendo disinteresse.

«Guarda sotto il letto» le ordinò lui, evitando di raccogliere la sua provocazione.

Paula obbedì e scese dal letto, inginocchiandosi poi sul pavimento ed afferrando una scatola chiusa da un fiocco rosso da sotto il suppellettile. Impaziente, sfilò il fiocco e la aprì, boccheggiando per qualche istante come un pesce al di fuori del suo habitat naturale.

«Ma…ma è bellissimo!Grazie» mormorò Paula in preda all'emozione, mentre stringeva a sé l'abito nero di raso che Mike aveva scelto per lei.

«Caspita, sono riuscito a zittirti!» replicò lui, sornione «spero che il colore ti piaccia. Io lo trovo molto adatto a te. Si abbina bene ai tuoi capelli e poi il nero, a mio parere, denota eleganza, classe, ma anche passione, specialmente se abbinato col rosso»

Paula lo ascoltò divertita, pensando che quel giorno aveva superato se stesso con quella breve chiacchierata. Solitamente, era abituata ai suoi monosillabi e invece lo stava stupendo. Il suo sesto senso aveva visto giusto: Mike era davvero unico.

«Ballerò con e per te, voglio che tu sia fiera di me»

                                                                       *

La sera seguente, Mike non aveva avuto un attimo di pace, a causa del continuo via vai che animava il pronto soccorso del Santa Barbara. Fratture, distorsioni, malori si erano avvicendati senza sosta e non gli avevano concesso il tempo di pensare allo spettacolo di Paula. Erano a corto di personale, e quindi anche un cardiologo come lui era stato costretto a colmare quella momentanea lacuna.

Quando la calma sembrava finalmente essersi impossessata della hall del pronto soccorso, ecco che un'ambulanza a sirene spiegate fece la sua comparsa. I soccorritori scesero velocemente dall'automezzo, trasportando la barella di fronte ai medici che erano accorsi sul posto.

«Femmina, bianca. Arresto cardiaco in seguito ad incidente d'auto. Pressione in continua diminuzione, polso quasi del tutto assente» spiegò con fare concitato uno dei barellieri, allontanandosi per permettere ai dottori di agire.

«Mike, sta lontano! Allontanati, cazzo!» sbraitò Ron non appena si accorse di chi si trattava.

Troppo tardi. Aveva già visto tutto.

Distesa inerme su quella barella vi era Paula. Il vestito nero, lacero in più punti e costellato da spruzzi di sangue, strideva enormemente con l'insolito pallore del viso della ragazza. Ma, cosa più importante, il suo cuore stava smettendo di battere.

No, non voleva arrendersi. L'avrebbe salvata, l'avrebbe salvata a tutti i costi. L'adrenalina e la preoccupazione stavano minando pericolosamente il suo spirito.

Non avrebbe perso nuovamente una persona a lui cara, avrebbe fatto l'impossibile per non commettere due volte lo stesso errore.

«Cerchiamo di mantenere la calma» impose più a se stesso che agli altri, inspirando e preparandosi ad agire «proviamo a rianimarla. Portatemi le piastre»

Quando la sua richiesta venne esaudita, strappò il vestito e appoggiò senza troppa delicatezza, le piastre sul corpo della ballerina.

«Libera!» in seguito al suo grido, una scossa elettrica percorse il corpo della ragazza, facendolo sobbalzare.

Non ottenendo alcun risultato tangibile, Mike decise di intubarla, mentre invitava Ron a monitorare il tracciato cardiaco di Paula mediante l'apposito macchinario.

«Mike, la stiamo perdendo. Dobbiamo fare qualcosa per alzare la pressione corporea» gli suggerì Ron che aveva abbandonato la freddezza e la lucidità che un medico doveva sempre mantenere nelle emergenze.

Mike si limitò ad annuire, iniettando nel braccio di Paula una sostanza giallastra che avrebbe dovuto aiutarla a reagire. Subito dopo, continuò ad adoperare le piastre nella speranza di vedere un miglioramento che tardava ad arrivare. Il corpo della ragazza pareva un fantoccio che sussultava.

«Dai, forza…Paula, Paula!» gridò lui, mandando al diavolo la sua temperanza. Un sibilo e una riga verde piatta sul monitor dell'apparecchio che controllava il battito cardiaco della ragazza, lo avvisarono che era giunta la fine.

Paula aveva smesso di lottare, o probabilmente, qualcuno aveva portato via con sé la sua vita.

Ron gli appoggiò comprensivo una mano sulla spalla, mentre lui alzò stancamente lo sguardo sull'orologio appeso alla parete bianca tra un quadro di Monet e uno di Cezanne.

Erano le 22.20.

«Ora del decesso: 22. 20» constatò amaramente, nascondendosi il viso tra le mani ed evitando così di guardare il cadavere di colei che gli aveva aperto uno spiraglio nelle tenebre in cui viveva da tempo.

Era come se un buco nero lo stesse inghiottendo irrimediabilmente nel suo vortice.

Il nero aveva distrutto ogni speranza. Il nero era la fine.

 

 

Angolo dell'Autrice:

Ciao a tutti,

sono veramente contenta del risultato ottenuto in questo contest, perchè tutte le storie partecipanti erano veramente splendide*_* Posto qui di seguito il commento della giudice e il fantastico bannerino^^ a volte, io e le virgole non andiamo d'accordoXD Un grazie immenso a chiunque commenterà o leggerà solamente questa storia^^

Grammatica e sintassi: 20/20
Stile e lessico: 19/20
Pertinenza alla traccia: 15/15
Caratterizzazione del personaggio principale: 15/15
Trama: 20/20
Giudizio personale: 10/10
Totale: 99/100
L’unica pecca della tua storia è la punteggiatura: in più punti mi sono ritrovata a correggerla mentalmente, a mettere una virgola là dove c’era un punto, per non spezzare troppo la frase e il ritmo della narrazione, o viceversa. Ma per il resto, tutto quello che posso dirti è complimenti. In poche pagine hai analizzato perfettamente la psicologia del medico, in maniera completa e coinvolgente. E che dire di Paula? Una ventata di freschezza. Mi è piaciuto molto anche l’uso del colore e l’orario, nonostante si trovi solo alla fine, è assolutamente centrale nella storia. Una storia coinvolgente e scritta benissimo. I miei complimenti! 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Fe85