7-Resistenza
La notte
era calata sulla sinistra
abbazia; un venticello
leggero ma inquietante agitava rami secchi e contorti sui quali nemmeno
una
foglia osava mostrarsi e la debole luce della luna calante si
impigliava nei
nastri di nebbia, disegnando sul terreno le sagome spettrali di
raggrinzite
mani di strega. Nulla di vivente si muoveva in quel deserto di terreni
paludosi
ed alberi dalla strana forma; nulla, se non due tetre figure
incappucciate, immerse
nei loro foschi discorsi davanti all’antico portone.
“Secondo
te, chi vince
il campionato?” mormorò uno dei due,
freddando (letteralmente) un’incauta
zanzara.
“Le
Harpies sono messe
bene” rispose l’altro, lisciandosi il
mantello con una mano scheletrica, “ma
anche l’Appleby International sta facendo
una buona stagione”
“Chi,
quelli? Ma se
non vincono da diciotto anni...è più probabile
che Potter ci attacchi stanotte
armato di bucce di banana!” ribatté il
primo con una risata raspante.
“Magari
è davvero la
volta buona” replicò il compagno.
“Sarebbe
anche ora, se non altro per i tifosi...certe facce da funerale, dimmi
che gusto
c’è a tormentarli!”
In lontananza, come a sottolineare
quell’affermazione, si
udì una corale esclamazione di disappunto, subito soffocata
dall’urlo di gioia
degli avversari. A quella tempesta seguì un intervallo di
relativo silenzio,
rotto nuovamente dalla voce gelida del Dissennatore.
“Certo
che non si può
più lavorare al giorno d’oggi...con tutti quei
tizi vestiti di nero che si
tagliano con le lamette...quelli coi capelli sugli occhi...come si
chiamano?”
“Emo,
Spike” lo
soccorse il collega.
“Sì,
proprio quelli...
sempre sull’orlo del suicidio, sempre a piangersi
addosso...un mortorio, parola
mia. Mica ci pensano, a noi poveri affamati...”
“Beh,
speriamo sia una
moda passeggera, mi secca stare a dieta”
tagliò corto il secondo
Dissennatore. “Intanto stasera
c’è la finale,
una bella abbuffata una volta tan...”
Un sibilo improvviso
squarciò l’aria malsana della palude,
interrompendo quei ragionamenti; poco dopo lo seguì un
altro, e un altro
ancora.
“Ehi,
Lou...hai
sentito?” esclamò il Dissennatore di
nome Spike, voltandosi verso il
rumore. “Cosa può essere?”
“Non
so...sembrano
Caccabombe” rispose il compagno con indifferenza.
Ci fu un attimo di silenzio tombale.
“Caccabombe?!”
gridarono all’unisono i due. “Oh,
no!”
In un attimo si scatenò il
finimondo: grossi proiettili marrone
cominciarono a tempestare lo spiazzo davanti all’abbazia,
spiaccicandosi sui
mantelli dei Dissennatori e riducendo il terreno ad un pantano
scivoloso e
puzzolente. Le malcapitate sentinelle corsero verso il portone nel
tentativo di
mettersi in salvo, ma furono travolte da una mezza dozzina di compagni
attirati
dal fracasso e piombarono a sedere nella melma, sollevando schizzi
maleodoranti.
“Che
succede?”
gridò uno dei nuovi arrivati (evidentemente non il genio del
gruppo).
“Caccabombe!
Ci
attaccano!” rispose un altro, abbassandosi per
schivare un proiettile.
“Che
disdetta, ho
appena ritirato il mantello dalla tintoria!”
Intanto le bombe cominciavano a fare
effetto: qua e là si
vedevano sagome scure che si grattavano furiosamente o si artigliavano
la gola
perché non riuscivano a respirare. Altri quattro
Dissennatori si precipitarono all’esterno
per fronteggiare il pericolo (abbattendo il povero Spike, che era
appena
riuscito a rialzarsi) e furono prontamente bersagliati da altri
proiettili
vaganti; in mezzo a quella confusione di “Aaah!
Brucia!”, “I
miei occhi! Non ci vedo!”
e “Ma se non ci vedevi neanche
prima,
razza di cretino!” la pesante porta di quercia si
richiuse da sola e tutti
i Dissennatori si ritrovarono chiusi fuori.
Era esattamente il momento che Piton
aspettava:
approfittando della distrazione degli avversari, l’ex
professore sbucò da un
cespuglio secco gridando: “Tutti all’assalto! Expecto
Patronum! Expecto Patronum!”
Il cervo di Harry fu il primo ad
irrompere sul campo di
battaglia, caricando a testa bassa tutti i Dissennatori che trovava sul
suo
cammino; nel frattempo il Patronus della Umbridge, un magnifico
esemplare di gatto
selvatico, seminò il terrore nello schieramento avversario
mettendo in mostra i
suoi artigli e la tigre di Peter riempì d’orgoglio
il suo creatore azzannando
alla gola i nemici più vicini. Allock ebbe bisogno di tre
tentativi per
produrre un maestoso pavone che zampettò elegantemente verso
l’abbazia
spiegando la bellissima coda; uno dei Dissennatori ebbe la pessima idea
di
scoppiare a ridere, ma smise immediatamente quando l’uccello
planò con grazia sulla
sua spalla e cominciò a beccarlo in testa.
Mancava ancora un Patronus
all’appello, quello che il
giovane Potter era più ansioso di vedere. Ben presto la sua
curiosità fu
soddisfatta: dalla bacchetta di Piton scaturì un minuscolo
pipistrello che
sbatteva freneticamente le ali nel tentativo di prendere il volo.
Harry, che si aspettava un Patronus
proporzionato
all’abilità del celebre Principe Mezzosangue,
dovette ancora una volta
recuperare la mascella; Piton, alla sua destra, notò la sua
reazione e sorrise
beffardo. “Sai com’è
Potter...” commentò con noncuranza “sono
un po’a corto di
pensierini felici!”
Intanto il pipistrello aveva
raggiunto i compagni e stava
svolazzando intorno ad uno sbigottito Dissennatore cercando di
spaventarlo; il
cervo e la tigre si voltarono a guardarlo e scossero la testa con aria
sconsolata.
“Beh, in effetti sarebbe da
perfezionare” ammise il
professore, osservando le evoluzioni dell’animaletto.
“Ma credimi, Potter...può
essere molto più efficace di quello che avevo
prima”
“Ah...ed era...?”
chiese Harry distrattamente, mentre la
bestiola in questione mordeva un dito della sua vittima.
“Non sono fatti tuoi,
Potter...e se fossi in te mi asterrei dal
commentare”
I cinque Patroni riuniti non
impiegarono molto a sbarazzarsi
dei Dissennatori; dieci minuti dopo l’inizio
dell’attacco l’ultimo nemico fu
graziosamente calciato dal cervo d’argento e
piombò nel fossato vicino con un
artistico tuffo di testa. “Bene, era ora!”
borbottò Piton togliendosi una
foglia secca dal mantello. “Naturalmente questa era la parte
facile, ma la vera
sfida arriva...alohomora...adesso.
Dobbiamo introdurci là dentro, affrontare una banda di
mannari e Mangiamorte e
farne fuori un numero apprezzabile prima di crollare a terra abbattuti
da un
Avada Kedavra. Avanti tutta, adesso...il dado è tratto e il
dovere ci chiama!”
“E una rondine non fa
primavera!” mormorò Harry,
impertinente. Nessuno degli altri gli badò mentre si
affrettavano verso
l’ingresso, addentrandosi uno dopo l’altro
nell’oscurità oltre il portone ad
arco.
L’interno
dell’abbazia non era affatto come Harry lo
immaginava: niente gargoyle, teste mozzate o strane macchie sul
pavimento, ma
solo un muro di pietra umida di fronte all’ingresso e qualche
torcia
gocciolante. Dall’atrio partivano due corridoi esattamente
uguali: uno a
destra, l’altro a sinistra.
“E adesso?”
mormorò la Umbridge.
“Questo posto è
un labirinto...letteralmente. I corridoi
cambiano percorso ogni mezz’ora e le mappe si cancellano una
volta oltrepassata
la soglia” rispose Peter. “Ma non è
difficile trovare la strada giusta, basta
girare una volta a destra e una a sinistra”
“E
con quale delle
due si parte, Peter?” chiese Piton in tono pericolosamente
gentile.
“Veramente...non lo so,
Severus. Magari tu...?”
Il mago si scostò i
capelli dalla fronte con un gesto
brusco, come se la domanda lo infastidisse. “Beh,
è ovvio, il corridoio giusto
è...ecco...”
“Sì,
Sevy?” lo incoraggiò la Umbridge.
“Un
attimo...dovrebbe...”
“Allora,
professore?” fece eco Harry.
“Sì, un secondo,
non mettetemi fretta. Allora, senza ombra
di dubbio è...”
“Dunque,
collega?” intervenne Allock.
“Beh, io...non mi
ricordo!” brontolò infine Piton.
“Cooosa?”
esclamarono gli altri quattro sconcertati.
“Che
c’è, voi non sbagliate mai?”
borbottò il mago, voltando
le spalle ai compagni per celare un rossore alquanto sospetto sulle
guance.
“Bene, vorrà dire che procederemo a caso. Potter,
passami l’indelebile,
cominciamo da qui”. Si diresse deciso verso il corridoio a
sinistra, seguito a
ruota dai compagni, voltò a destra alla fine del passaggio e
scavalcò Avery che
dormiva sul pavimento.
A dire il vero, quello fu
l’unico ostacolo sul cammino
dell’Ordine: per il resto l’avanzata fu rapida e
monotona, con Piton che
borbottava tra sé e tracciava segni sulle pareti mentre
procedeva (“Vandalo!”
mormorava stizzita la Umbridge). Quindici minuti più tardi,
dopo l’ennesima
svolta nell’ennesimo corridoi identico agli altri,
l’ex direttore di Serpeverde
propose di fermarsi un attimo per “raccogliere le
idee”; Allock approfittò
della pausa per limarsi le unghie, mentre Peter scartò
furtivamente una
Cioccorana e ne passò metà alla Umbridge con un
sorriso galante.
Harry soffocò uno
sbadiglio: si era aspettato orde di mostri
ed Inferi pronti a sbarrargli la strada e tutto ciò che
aveva trovato era uno
stupido labirinto. Alla terza svolta la sua mente aveva cominciato a
scollegarsi, ma tutto quel destra-sinistra-destra gli faceva venire la
nausea.
“Strano...dovremmo essere
già arrivati!” commentò Peter,
ficcandosi in tasca una figurina di Dilys Derwent.
“Avremo sbagliato
strada!” ribatté Piton.
“Vorrà dire che
torneremo in...”
“Zitti!”
La Umbridge aveva estratto la
bacchetta e restava immobile,
in ascolto: da qualche parte si sentivano delle voci...e sempre
più vicine.
“Maledizione!”
sussurrò Piton, retrocedendo in un corridoio
laterale buio. “Contro il muro, forse non ci
vedranno!”
Il rumore cresceva: si distinguevano
almeno cinque voci, più
una sesta persona che fischiettava. Harry strinse la bacchetta, pronto
ad
agire: non sapeva chi potessero essere quei nuovi avversari, ma aveva
sentito
una risata familiare che non gli piaceva per niente.
Non dovette attendere a lungo:
annunciata da un coro da
taverna e da una sinfonia di passi pesanti, oltre ad un forte odore di
birra,
comparve una pattuglia di Lupi Mannari capitanata da Fenrir Greyback.
Erano le
persone più rozze, trasandate e pelose che Harry avesse mai
visto ed avanzavano
a braccetto, cantando a squarciagola: “Che
ci frega del Prescelto, noi abbiamo Voldemort!”
“Bleah, che
puzza!” esclamò uno dei Mannari arricciando il
naso. “Pure l’aglio ci mette...come se non
bastassero i crauti avariati che ci
becchiamo tutte le sere!”
“Eh, con Severus era
diverso!” disse un altro in tono nostalgico.
“Quella crostata cioccolato e fragole...ah, non farmici
pensare o mi vengono le
lacrime agli occhi!”
“Bah, io preferisco le
bistecche al sangue!” tagliò corto
Fenrir, mentre a pochi passi da lui quattro paia di occhi si
appuntavano su un
uomo pallido dal naso adunco, che si rifiutò di ricambiare
quegli sguardi.
“Forza, di qua!”
I Mannari passarono oltre, lungo il
corridoio; Piton li
lasciò avanzare per qualche metro, poi toccò
leggermente col gomito il braccio
della Umbridge (che a sua volta pestò il piede ad Allock) ed
uscì allo
scoperto. “Fenrir, quanto tempo!”
L’uomo (chiamiamolo
così...) si irrigidì. “Severus, che
sorpresa!” mormorò voltandosi lentamente.
“Posso chiederti cosa fai da queste
parti, spregevole voltagabbana?”
“Vedi, Fenrir...ho
intenzione di scortare Potter dal tuo
padrone e stare a guardare mentre quei due si massacrano a vicenda. Non
hai
nulla in contrario, spero” rispose pigramente il mago,
rigirandosi la bacchetta
fra le dita. “E tanto per essere chiari...Wingardium
leviosa!”
Né Greyback né
i suoi compagni mannari, distratti dal
temerario discorso di Piton, avevano notato la strana pozzanghera
d’argento che
sembrava espandersi ai suoi piedi: non appena l’ultima
sillaba dell’incantesimo
fu pronunciata, la sostanza lucente cominciò a fluttuare a
mezz’aria, in
attesa. E mentre il capo dei Mannari, furente, dava l’ordine
di attaccare
l’intruso, la sottile bacchetta scura si mosse ancora una
volta...e qualcosa
volò.
Fenrir, che aveva aperto la bocca per
gridare “Prendetelo!”,
all’improvviso assunse una buffa espressione stupefatta: si
portò una mano alla
gola e cominciò a tossire, battendosi il petto con un pugno
chiuso. Un secondo
dopo il drappello di licantropi fu bombardato dalla seconda, devastante
arma
segreta dell’Ordine della Pernice: una grandinata di grosse
biglie metalliche.
Precisamente, grosse biglie d’argento.
“Ahi! Uhi! Ohi! Dann...coff...tore,
me la...coff...rai!”
ansimò Fenrir,
cercando di sputare la biglia e beccandone altre due
sull’orecchio.
“Sì,
sì, fai pure con comodo!” rispose Piton annoiato.
“Mi
fermerei volentieri ma vado di fretta...veloci, voialtri!”
Harry, Peter, Allock e la Umbridge lo
seguirono in fretta
lungo il corridoio, mentre le biglie tenevano occupati i loro aspiranti
inseguitori. Erano quasi giunti alla svolta quando udirono alle loro
spalle una
risata di trionfo: le munizioni erano finite.
“Aha, prestigiatore da
strapazzo!” esclamò Fenrir con un
ghigno, alzandosi in piedi (aveva finalmente sputato la biglia).
“Ora vengo a
prenderti...all’attaaaaaargh!”
“E qui
ti sbagli,
piedi di banana!” esultò Peter, mentre il
licantropo ricadeva a terra con un
sonoro splat: in effetti le biglie
funzionavano egregiamente anche da ferme, slittando sotto i piedi dei
Mangiamorte e facendoli cadere come birilli. In più, essendo
d’argento, avevano
il potere di indebolire gli avversari, confondendoli e procurando loro
una
forte emicrania.
Dopo il sesto tentativo fallito di
rialzarsi in piedi, Fenrir
sfogò la sua frustrazione con un discorso che coinvolgeva i
membri dell’Ordine ed
i loro parenti di sesso femminile, con un linguaggio che la McGranitt
non
avrebbe sicuramente approvato; un successivo commento infamante
sull’igiene
personale di Piton fu troncato da una buccia di banana che
planò delicatamente
sul suo brutto muso, mettendo fine alla discussione.
“Questo è per
Remus, mostro!” gridò Harry, mentre un altro
licantropo scivolava sulle biglie e franava addosso al suo capo.
“Ben ti sta, sudicio
ibrido!” approvò la Umbridge.
“Ritiro tutto, Potter: sei
un genio!” grugnì Piton.
“Quando si
mangia?” chiese Allock confuso.
La vittoria sui licantropi
riempì Harry di cauto ottimismo.
Per la prima volta dall’inizio di quella surreale avventura,
intravedeva una
microscopica possibilità di uscirne vivo e con almeno il
dieci per cento del
corpo in condizioni accettabili.
Sfortunatamente anche
l’ottimismo più sfrenato (più,
potremmo dire, interista) non
riesce
a resistere a cinque chilometri di corridoi tutti uguali. Dopo altri
lunghi
minuti di esplorazione, il giovane mago cominciò a sentirsi
intontito e a
provare un lieve capogiro; aveva l’impressione che la luce
delle torce stesse
progressivamente scemando e che l’aria si facesse sempre
più pesante ad ogni
passo, come se volesse fermarli.
“Non
usciremo più da
questo posto!” pensò mentre oltrepassava
un mucchio di sostanza indefinita.
“Vagheremo qui dentro fino alla
morte, e
tra due secoli troveranno solo le nostre ossa!”
L’idea che il nasone di
Piton sarebbe stata l’ultima cosa
che avrebbe visto prima di chiudere gli occhi per sempre
contribuì ad incupire
lo stato d’animo di Harry. Come se non bastasse, la
diminuzione della luce non
era frutto della sua immaginazione: Piton, alla testa del gruppo, era
stato
costretto ad accendere la bacchetta per vedere dove metteva i piedi e
l’oscurità
crescente rendeva quel luogo ancor più simile a una tomba.
Stanco e demoralizzato, Harry si
fermò all’imbocco di un
corridoio laterale per allacciarsi le scarpe e fu travolto da Avery,
che si era
svegliato e stava tornando al covo per andare in bagno.
“Aaaaaah!”
gridò Harry riconoscendo Avery.
“Aaaaaah!”
gridò Avery riconoscendo Harry.
“Raaaaah!”
ringhiò
qualcuno alle spalle di Harry.
Il giovane Potter non sapeva di chi
(o cosa) si trattasse, ma Piton
sì: si voltò con la bacchetta in pugno
e gridò: “Inferi, Potter! Stai attento…Incendio!”
Harry si buttò a terra per
evitare il fuoco e rotolò verso
il corridoio da cui era uscito Avery, mentre Peter e la Umbridge
scagliavano
incantesimi contro l’orda di Inferi che si avvicinava. Erano
almeno venti,
scarni e verdastri come mummie, e non sembravano affatto felici di
vederli.
“Muoviti, Potter! Non
è il momento di dormire!” esclamò
Piton, afferrando Harry per la maglietta e rialzandolo rudemente.
“Sono troppi,
meglio tagliare la corda!”
Né Harry né gli
altri ebbero bisogno di ulteriori
incoraggiamenti: tutti si precipitarono nel corridoio tenendo alte le
bacchette
illuminate, mentre alle loro spalle Avery si lasciava prendere dal
panico e
scagliava un incantesimo Reductor dopo l’altro nel tentativo
di uscire dal labirinto.
Pochi metri dopo, la loro corsa finì: il corridoio terminava
in un vicolo
cieco.
“Siamo in
trappola!” esclamò Peter terrorizzato.
“Ci serve del fuoco,
parecchio fuoco!” suggerì Harry. “Forse
ho un’idea…professor Allock, mi presta la sua
lacca?”
“Lacca? A che ti serve, per
le foto della lapide?” chiese
Piton sarcastico.
“Torcia incendiaria!
L’ho visto in un film!” spiegò Harry
prendendo la bomboletta dalle mani di Allock. “Qualcuno ha un
accendino?”
“Accendino?”
ripeté Piton scandalizzato. “Accendino?
Usa la bacchetta, idiota!”
“Ah, giusto…Incendio!”
Quando Harry premette
l’erogatore, il getto di fuoco della
bacchetta si trasformò in un’imponente fiammata
che percorse il corridoio ed
investì gli Inferi lanciati all’attacco. Le
orribili creature spalancarono gli
occhi (o quello che ne restava) ed invertirono rapidamente il senso di
marcia,
scappando a gambe levate; gli ultimi della fila non furono abbastanza
veloci e
furono travolti e calpestati dai compagni in fuga.
“Altra bella mossa,
Harry!” si complimentò Peter, battendo
una mano sulla spalla del ragazzo.
“Troppo buono,
Peter!” ringraziò Harry, impegnato a spegnere
un principio di incendio tra i suoi capelli. “Avery ci ha
aperto un varco,
andiamo!”
I membri dell’Ordine
tornarono di corsa sui loro passi,
seguendo gli Inferi in fuga; erano quasi arrivati al grosso squarcio
sulla
parete, quando da un altro corridoio accorse un drappello di vampiri
avvolti in
mantelli neri.
“Eh,
no…così non vale!” protestò
Peter. “Lasciateci
respirare, per Merlino!”
“Da questa parte, ragazzi!
È Potter! Prendiamolo!” gridò uno
dei vampiri, che doveva essere il capo. Corse verso il gruppetto di
maghi con
una smorfia feroce, scoprendo i canini appuntiti, ma a metà
strada si bloccò di
colpo, come fermato da un muro invisibile.
“In nome di
Dracula…cos’è questo odore
nauseante?” chiese
fiutando l’aria.
“Bleah, aglio!”
disse una vampira dai capelli biondi
storcendo il naso.
“Argh, Inferi!”
gemette un altro vampiro, puntando il dito
verso un passaggio laterale.
“Urk,
vampiri!” gracchiò
una voce disumana dall’altra parte del muro.
“Tsk, razzisti!”
borbottò Piton sprezzante. “Allora, vi
decidete ad affrontarci oppure no? Non abbiamo tempo da
perdere!”
“Veramente…”
mugolò il vampiro capo portandosi una mano alla
bocca. “Veramente io…scusate, credo che
andrò a vomitare!” e con un rapido
dietrofront si fece largo tra i suoi sottoposti e sparì
nell’oscurità.
“Mi…mi sento
male anch’io!” confessò la bionda,
mentre il
suo viso passava dal bianco al grigio.
“Aglio, rosa e Inferi!
Questo è troppo!” esclamò un terzo.
“Ragazzi, ritirata!”
In un attimo i vampiri sgombrarono il
corridoio, cercando
senza successo di tenere a bada i conati di vomito; gli Inferi se ne
andarono
dalla parte opposta, profondamente offesi (“Ehi,
vorresti dire che puzziamo? Senti chi parla, cadavere ambulante!”)
e
l’Ordine ebbe via libera.
“Quasi ci siamo!”
esclamò Piton, attraversando il buco nel
muro. “Da questa parte, l’obiettivo è
vicino!”
“Già
arrivati?” si rammaricò la Umbridge.
“Peccato, proprio
adesso che mi stavo divertendo!”
Prima di
tutto,
grazie per le recensioni e scusate per l’immenso ritardo: la
tesi ha assorbito tutta la mia creatività e
la mancanza di ispirazione ha fatto il resto. Mi è servita
una dose massiccia
di Fastidious per ritrovare la rotta.
Spero che il
capitolo
vi sia piaciuto. Riguardo all’Appleby International,
ogni riferimento a squadre realmente
esistenti è puramente
casuale (certo, come no!); il coretto dei Mannari è la
versione riveduta e
corretta di Che
ce frega del cileno noi c'avemo Totti-gol
(ringrazio i romanisti per l’ispirazione).
Ah, la storia delle
Caccabombe è roba mia. Se doveste
incrociare un Dissennatore, vi conviene evocare un Patronus.