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Autore: Rick_Holden    28/01/2011    2 recensioni
"Il buio lo aveva reso cieco da troppo ormai"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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There’s nothing on your side,

But the whole time when you hide your life ”

 

 

Ogni giorno l’uomo entrava ed usciva dalla porta di casa con quella noncuranza, quell’odio e quel rifiuto di vedere che lasciava in loro un vuoto incolmabile, una voglia di voltarsi e non pensare, ma tutte le volte che il volto di questo si rifaceva vedere erano ancora lì pronti a lasciarsi acciaccare.

Ogni zerbino era vivo e pativa il dolore di un continuo, gelido menefreghismo, di una presa in giro infinita, seguita da sguardi mancati e attenzioni perse. Si sentivano lontani, privi di uno scopo. Ma erano sempre lì. Se lui aveva bisogno di qualcosa su cui poggiare i piedi si contendevano lo sporco sotto le sue scarpe, pregando di essere scelti una volta in più per superare i loro compagni. E così tutte le volte l’uomo riportava alla vita uno di loro ed il fortunato finiva sotto le sue grinfie. Erano innumerevoli le parole che il tiranno usava per lodare questo, come quelle che spendeva per criticare ogni singolo compagno. E tutte le volte sembrava che il dio avesse scelto il suo prediletto per gettarlo ancora e ancora dentro la mischia e ricominciare la sua ardua ricerca. Erano importanti. Tutti e nessuno. Disprezzati in un gentil modo, nascosto all’orecchio loro.

Tutti gli zerbini sapevano cosa erano. Sapevano a cosa servivano ed erano completamente coscienti della loro specialità. Le rivalità si creavano e distruggevano ogni cosa con silente arroganza.

Nessuno di loro aveva mai tentato nulla, sottostando al volere dell’unico, adorandolo, vedendolo, supplicandolo. Pendevano dalla sua bocca, dal suo tocco, dal suo potere e, come affetti dalla sindrome di Stoccolma, chinavano il loro capo vedendo il loro stesso malfattore.

I giorni passavano ed ogni inimicizia si inaspriva, corrompendo un affetto in un odio, un odio in paura. Non c’era più sicurezza nella casa, dove ogni zerbino sentiva la paranoia traboccare dal suo corpo. Non vedevano giusto o sbagliato nelle loro azioni, percepivano solo i concetti che Lui aveva insegnato loro, ciò che Lui pensava. La parola era frase, la frase era legge.

Lentamente si azzannavano tra di loro, distruggendosi a vicenda per un solo motivo. Ma all’uomo non interessava poi molto, tanto era preso dal posare i suoi piedi mai troppo stanchi. Lui si limitava a scegliere il suo prediletto giornaliero e distribuire false speranze abbattendo gli spiriti degli altri. Ma la sofferenza non era mai troppa e tutti tornavano devoti.

Arrivò il giorno in cui alla finestra qualcuno bussò. Gli zerbini si affacciarono per guardare e quel mondo esterno gli apparve privo di colori, ricoperto da una patina grigia che scioglieva ogni vita da quel quadro. Solo un’immagine sembrava destare la loro attenzione, un piccolo particolare nel paesaggio perduto: un zerbino gli parlava al di là del vetro. Non aveva taglio o graffio sul suo corpo, non la minima ammaccatura. Era semplicemente un valore estinto che si mostrava da lontana visione. Aveva la decisione. Dentro la casa ci fu la più totale confusione: come poteva essere così dannatamente perfetto al di là? Forse il loro dio aveva scelto il suo vero prediletto? Era forse quello che lo contraddistingueva? Era questo il vero aspetto di chi è primo?

Da quel dì ogni volta che il sole sorgeva quello zerbino così speciale si faceva trovare ancora lì davanti e li guardava tutti dall’esterno. Esortava i compagni rinchiusi ad uscire, ad aprire gli occhi. Molti sembravano muoversi, ma tutto cambiava quando l’uomo rientrava a casa lanciando occhiate di aggressività contro quello speciale oggetto che si contraddistingueva al di là della finestra. Non era prediletto. Era il contrario: come se tutte le aggressività, tutte le ire dell’uomo si accanissero solo in quello sguardo di pura perfidia nei suoi confronti. Era diverso.

Allora dentro la casa gli zerbini si allontanavano subito dal vetro, temendo sempre di avvicinarsi troppo a ciò che li allontanava dal loro dio. Mai avrebbero voluto ricevere un’occhiata del genere da colui che era causa della loro vita. Se questo equivaleva a subire gli sfoghi d’ira di quest’ultimo, bene lo avrebbero accettato.

“Perché fate questo?” Chiedeva a volte l’oggetto all’esterno “Cosa ha lui?”

Nessuno sembrava mai volergli rispondere, serrando la bocca con un velo di paura. Ma l’oggetto continuava ad avere qualcosa di strano, di magico.

La storia continuò imperterrita, ma dall’esterno non smetteva mai di avvertire, di richiamare, di esortare.

Tutto si ripeté finché qualcosa non accadde: nessuno più si trovava all’esterno. Solo il solito mondo si mostrava al di là della finestra. Cosa era successo al piccolo oggetto che li muoveva?

Quando l’uomo tornò a casa il suo volto era radiante, di un sorriso che mai prima d’ora gli zerbini avevano visto, ma che attirò tutti loro verso i suoi piedi, inchinandosi con preghiere di sottomissione. Tutti lo raggiunsero. Tranne uno. Quel piccolo, indifeso tappetino aveva ancora l’oggetto dall’esterno in mente, la quale mancanza si faceva sentire. Le sue esortazioni sembrarono esplodere nelle sue orecchie riecheggiando dentro la testa come il migliore disco. Qualcosa che trasmise in quel corpicino un fuoco di vita.

Tra tutti l’uomo spostò lo sguardo e proprio quello zerbino in disparte risaltò tra la massa. Possibile che uno di quegli oggetti fosse andato controcorrente? Che non lo avesse adorato così abilmente come avevano fatto tutti? L’enorme mano di quel pomposo dio si mosse in avanti per afferrare quel povero tappetino distante.

Qualcosa accadde e fu come se gli equilibri divini si fossero staccati, mentre le catene dei tiranni di un tempo si allentavano: lo zerbino si mosse agilmente e colpì la mano dell’uomo con una violenza inaudita. Ogni essere nella casa si voltò e, nel vederlo così deciso, sbarrò gli occhi.

L’uomo sbraitò parole vane, mentre il singolo, potente zerbino si muoveva ribelle verso la porta. Un cigolio anticipò  la luce del sole che abbagliò gli occhi del tappetino. Il buio lo aveva reso cieco da troppo ormai. Finalmente i colori tornarono a pitturare gioiosi quel mondo disperso con la dignità.

E con un piccolo passo lo zerbino sentì le sue braccia sciogliersi, libere, finalmente, di incrociarsi tra di loro per evitare pareri esteriori, capaci di tirare opinioni di altre visioni; il suo muso si allungò per esprimersi, per farsi finalmente sentire. E così in avanti si mosse libero. Il sole splendeva.

 Lo zerbino si era fatto scarpa.

  
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