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Autore: lilla5    29/01/2011    4 recensioni
In fondo gli amici non sono fatti per stare lontani molto a lungo. In un modo o nell'altro si rincontrano sempre. Anche quando per farlo si ritrovano a sfidare qualcosa di più grande della semplice lontananza.
Scritta in collaborazione con Palantir, per il compleanno di Tony Porky.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Dora! Un secondo e sono lì - La vedeva muoversi fra lampi rossi e verdi con un’agilità incredibile per lei. Quando uno di questi sembrò sfiorarle il braccio sentì il cuore iniziare una corsa folle. Doveva fare più in fretta. Scagliò una violenta fattura dietro di sé e sentì urla confuse mentre un arazzo prendeva fuoco. Saltò gli ultimi due scalini e una figura nera lo spinse uscendo da destra. Alzò la bacchetta, sentì la voce di Kingsley gridargli qualcosa. Non riuscì a capire, un viscido raggio grigiastro scaturì dalla bacchetta dello sconosciuto che gli aveva tagliato la strada. Cercò di alzare la sua, ma il braccio sembrò piombo all’improvviso. Un altro lampo di luce, un dolore inimmaginabile e il buio. Gli sembrava di cadere, poi all’improvviso, per un solo eterno secondo, sentì il vuoto fuori e dentro di sé.                 
Aprì gli occhi, ogni rumore era scomparso, un attimo prima la voce profonda di Kingsley gli aveva urlato qualcosa, un attimo dopo non aveva sentito più nulla. Aveva davanti una nebbia fitta, gli sembrò di essere ritornato indietro nel tempo quando la mattina presto, a occhi chiusi, si fermava sulla scale della Guferia e sentiva una nebbia simile sfiorargli dolcemente il viso. Questa piano piano scomparve. Cercò di riordinare le idee. Si alzò e indossò gli abiti che si erano materializzati in quel momento accanto a lui. Si guardò intorno e notò con stupore che quel posto gli ricordava qualcosa di familiare, di molto familiare.
Tutte le sue considerazioni su dove si trovasse liberarono la sua mente quando udì due voci che conosceva. Non le sentiva da molto tempo, e non osava ricollegarle con i proprietari, ma si mosse esitante verso la direzione da dove provenivano.
- Secondo te lo ha già capito? – Una voce un po’ rauca stava dicendo, scandendo le parole come qualcuno che aveva passato troppo tempo da solo, nel silenzio.
- Spero di sì. Io non glielo dirò di certo! – E come dimenticarsi anche di quella voce? Lupin assaporò la sua intonazione, familiare ma al tempo stesso inaspettata, come qualcosa di quotidiano, ma situato nel posto sbagliato. Erano passati così tanti anni da quando l’aveva sentita l’ultima volta, ma ora che la udiva gli sembrava che tutto quel tempo fosse stato una sola lunghissima giornata, e che i loro momenti assieme risalissero al giorno prima, davvero, e non riusciva a capacitarsene.
Nel frattempo, le due voci continuavano a battibeccare fra loro. Lupin realizzò veramente quello che stava cercando di elaborare quando vide i suoi amici poco lontano. Sirius era letteralmente abbandonato contro la parete, come era solito fare pigramente a scuola, e sul suo volto non c’erano più i segni della permanenza ad Azkaban. Sembrava il giovane ragazzo ventenne che aveva visto il giorno del matrimonio del loro migliore amico.
E anche James era lì, con le mani in tasca, rimanendo in piedi vicino a Sirius, la sua attenzione rivolta a quello che l’altro gli stava dicendo.
Ma entrambi, non appena lo ebbero scorto, gli regalarono il sorriso cameratesco dei vecchi tempi, e Lupin non avrebbe mai potuto giudicare quale dei due avesse la faccia più felice.
Sentì il petto riempirsi di una nuova emozione, che gli toglieva il fiato, senza sapere se fosse felicità o inquietudine per aver visto qualcuno da lungo tempo morto. Qualcosa gli chiuse la gola, e all’improvviso si accorse che il respiro non era abbastanza, non lo era mai stato. Gli mancava qualcosa di essenziale, ma non lo aveva voluto ammettere prima, non finché la vista dei suoi due vecchi amici glielo aveva fatto realizzare.
C’era qualcosa che lo turbava, forse l’assenza di aumento di battito cardiaco come reazione emotiva. Ma poi si rese conto di come il suo cuore non battesse affatto, e finalmente capì ciò che i due dovevano dirgli, ma non sapevano come: era morto.
E il pensiero andò a Dora, al figlio che non avrebbe mai conosciuto suo padre, ad una vita che ora che cominciava ad amare, non avrebbe più potuto vivere.
Si era negato la felicità per tanto tempo e, ironia della sorte, ora che era circondato da persone buone e gentili, la morte aveva preferito tagliare i suoi legami con la realtà.
Sirius notò il suo repentino cambio di espressione:
- Allora, hai capito? – gli chiese con dolcezza.
Lupin era troppo intontito per rispondere. Sentiva un ronzio nelle orecchie e la mente come svuotata. Non riusciva più a pensare. Ma poi sembrò esserci un’esplosione violenta, che forse coinvolgeva la mente, o il petto, o entrambi, che tese ogni suo singolo nervo ben al di là della soglia del dolore, e quell’esplosione portava un nome con sé, che rimbalzava dappertutto, lo riempiva, ma allo stesso tempo gli faceva capire che aveva davvero perso tutto. Dora.
Dora Dora Dora. Lo ripeté tra sé e sé come un mantra, come una preghiera rivolta al cielo così alto sopra la sua testa, come l’unica ancora di salvezza rimastagli. Dora era al tempo stesso tutto e niente, perché esisteva ancora da qualche parte sotto quella stessa distesa azzurra visibile dalle finestre, ma non più per lui.  
Si accorse ben presto che anche lì, adesso, come molti anni prima, non c’era bisogno di troppe parole fra loro tre per capire al volo tutto. Era come se i due amici avessero seguito tutti i suoi pensieri e i loro sguardi si erano incrociati proprio mentre il nome di Dora gli rimbombava dentro.
Sia James che Sirius si resero conto di quanto fosse difficile e strano, molto strano, dire all’amico quello che era successo, anche se era compito loro. Sirius si avvicinò passandosi una mano fra i capelli con quel solito tocco di eleganza e prepotenza insieme. Infondo era l’unico modo per controllare la situazione. Davanti a lui aveva un Remus più sconvolto che nelle peggiori notti di luna piena.
Forse lui, Sirius Black, non aveva mai avuto una donna nel vero senso del termine, ma aveva perso tante persone importanti nella sua vita, così da poter dire di comprendere anche solo un briciolo della sofferenza che stesse provando l’amico. E poi c’era quel bimbo, senza ormai nessuna possibilità di ricevere l’abbraccio di una madre o il sorriso di un padre. Gli ricordava troppo Harry, e sentì da qualche parte, più o meno dove avrebbe dovuto trovarsi lo stomaco, in condizioni normali, una stretta dolorosa. Strano come in quel posto i sentimenti non fossero spariti anzi, apparissero intensificati.
Guardò ancora Lupin, sentì il silenzio pesante calato dopo le sue parole. Cavolo, si sentiva inadatto, per la prima volta nella sua vita forse, si sentiva perfettamente fuori posto.
Accanto a lui James sembrò risvegliarsi lentamente. Sirius lo vide avvicinarsi a Remus e capì in un secondo che quello che adesso stava sconvolgendo quest’ultimo era già passato molte volte nella testa del suo amico. In fondo la loro situazione era più o meno la stessa.
James gli mise una mano sulla spalla e Remus sembrò ritornare da molto lontano.
- Beh, penso che avrai capito, non siamo noi due gli intelligentoni della compagnia, o sbaglio? - e ammiccò verso Sirius che tentò un sorriso.
- Sì, credo di sì e…sono contento ragazzi. - Li guardò ancora un po’ scosso. James pensò che fosse davvero arrivato il momento, tanto prima o poi da quella nebbia la risposta sarebbe arrivata da sé quando Dora fosse comparsa.
- C’è una cosa che non sai, però. Vedi, da là, - e indicò col dito un punto imprecisato dietro le spalle di Sirius, oltre la cortina fitta di nebbia - da là possiamo vedere un po’ tutto di quello che succede giù. -
- Volete dirmi che avete visto tutto? La battaglia e…- le parole gli morirono in bocca. Allora loro sapevano sicuramente!
- E Dora, sì. - Sirius si pentì di essersi lasciato scappare quelle maledette parole, vedendo di nuovo la faccia dell’amico rabbuiarsi.
- Vedi, è come se a un certo punto sparissero. Il colore svanisce molto lentamente, e prendono la consistenza di fantasmi. Poi rimane solo una sagoma più sbiadita di quella di un fantasma, e poi più niente. Allora capisci che hanno deciso di andare avanti. -
- Andare avanti? - Remus non capiva.
Per un attimo James ebbe voglia di ridere, non si era mai immaginato di dover spiegare qualcosa a Remus, e si sentì abbastanza imbarazzato.
- Sì, andare avanti. Ce ne sono alcuni che preferiscono restare, lasciare qualcosa di loro stessi laggiù. Molti però vogliono andare avanti, venire qua. Insomma, non rimangono fantasmi, si spingono oltre. Qui è ciò che hai sentito oltre l’arco all’Ufficio Misteri. - Accennò a Sirius.
- Ma io non volevo…Cioè, non ho scelto proprio nulla… -    
- Non è una vera e propria scelta, come potresti scegliere una gelatina Tuttigusti da un’altra. E’ più un’ultima spinta che viene dal profondo di te, un desiderio che non controlli. -
Sirius lanciò uno sguardo allarmato a James che captò il messaggio. Dovevano fare in fretta, infondo erano lì per aiutarlo, non potevano perdere tempo.
- Dopo che abbiamo visto sparire te, c’è stata un’altra ombra che è svanita… -
- Dora… -
James annuì lentamente, fissandolo come se dovesse rompersi da un momento all’altro.
Remus si sentì strano. La disperazione che poco prima lo aveva trascinato nel suo vortice sembrò scomparire del tutto. Lei era lì, questo bastava. Poteva vederla forse, poteva toccarla, poteva sentire ancora il profumo forte di lei che lo avvinceva, fermando per eterni secondi il cuore e il cervello, poteva stringerla piano e sentire quel brivido che solo lei era in grado di risvegliare dentro di lui. Una folla di ricordi si riaffacciò alla sua mente, le sue labbra che si avvicinavano e il suo corpo e i sussurri nel buio di una notte che entrambi speravano non finisse mai. Ma all’improvviso qualcosa di orribile si mischiò a quei ricordi, sporcandoli di un sottile velo di angoscia. Teddy!
Era completamente solo ora, e se Harry e gli altri non ce l’avessero fatta, i Mangiamorte avrebbero impiegato poco tempo a scovare la casa dei Tonks e quello che sarebbe inevitabilmente successo dopo non voleva neanche pensarlo. Se invece le cose fossero andate bene, sarebbe rimasto comunque solo. Sarebbe cresciuto un po’ come lui. Maledizione! Sembrava che i figli dovessero a ogni costo seguire il destino dei padri in quella dannata storia. Si sentì come un equilibrista in bilico su un filo troppo sottile e posto troppo in alto, tanto da dargli le vertigini. Da una parte sapere che Dora era lì gli faceva venire voglia di non pensare più a niente, ma dall’altra il pensiero di suo figlio completamente solo, esposto a qualsiasi orrendo piano i Mangiamorte avevano in serbo per lui, lo faceva ricadere nella disperazione. All’improvviso le parole di James lo riportarono indietro dal suo viaggio.
- Credo sia stato Dolohov, i manti dei Mangiamorte non permettono di riconoscere bene un’ombra vivente nemmeno da qui. Un altro stupido tentativo di Tom Riddle per vincere la sua eterna nemica, ma credo che ormai nessuno dei suoi trucchetti funzionerà più, povero Riddle. -  Sorrise amareggiato.
- Volete dire che lui…insomma, che Harry ce l’ha fatta? –
- Egregiamente, direi. - Rispose Sirius con un sorriso d’orgoglio.
Vide il volto di Remus rilassarsi, doveva ancora digerire molte cose, e in pochi secondi gli avevano fatto un resoconto fin troppo dettagliato. I nuovi arrivati, poi, erano sempre molto più sensibili, e ne sapeva qualcosa.
All’improvviso, delle voci acute sembrarono rimbombare oltre la cortina di nebbia. Prima sfumate, poi sempre più nitide. Sirius vide i volti dei due amici illuminarsi contemporaneamente e si voltò. Due donne si fermarono poco più in là uscendo da chissà dove. La prima aveva capelli rosso scuro e lisci che gli scendevano dolcemente sulle spalle, l’altra, un po’ più bassa, aveva dei capelli di un colore indefinito, ma la faccia era quella inconfondibile della cugina preferita.
Lupin rimase per un momento un po’ intontito.
- Io fossi in te mi lancerei all’assalto” gli sussurrò James abbastanza forte da essere udito da tutti gli altri. Ma non ce ne fu bisogno. Dora, con un’agilità incredibile, gli volò letteralmente addosso, stringendolo in un abbraccio soffocante. In quell’istante, con il viso immerso fra i suoi capelli si sentì felice, annusò il suo profumo e fu contento che nemmeno la morte lo avesse cancellato.
Lily si era avvicinata a James, che le teneva la mano.
Sirius sentì dietro di sé un rumore lontano. Sembrava il lungo fischio di un treno vecchio come il mondo.
Guardò Remus e Dora, James e Lily, e ricordò lo stesso fischio, ma risalente a molti anni addietro. Mentre viaggiava con la mente lontano nel tempo, i suoi ricordi sembrarono fuoriuscire dalla nebbia, un po’ sbiaditi, ma stranamente più reali. La colonna del binario nove e tre quarti si materializzò davanti a loro e sembrò la cosa più naturale del mondo vedere, lontana, avvicinarsi la locomotiva rossa dell’ Espresso.
- Un po’ in ritardo, che dite? - la voce argentina di Tonks rimbalzò sulle pareti della stazione di King’s Cross, mentre gli occhi di tutti si spostavano sul grande orologio in alto.
- Credo sia un cambio di programma dell’ultimo momento. Devono aver capito che non ce l’avreste fatta prima delle undici. - Aggiunse Lily, lanciando uno sguardo divertito a James che per risposta la attirò a sé, stringendola forte.
- Devono aver capito che avevi intenzione di spremere da Dora qualunque fatto di cronaca rosa ti fosse sfuggito negli ultimi anni! - Le disse sorridendo, cercando lo sguardo complice dei due amici. Si accorse però che guardavano lontano.
Oltre la nebbia la locomotiva era sempre più vicina e il suo sbuffo di fumo si confondeva con il vapore acqueo, creando figure leggere che svanivano chissà dove. I cinque sentirono l’inconfondibile brivido che percorreva loro la schiena ogni volta che l’Espresso si affacciava dietro la curva. Non c’erano parole abbastanza complete per esprimere quello che stessero provando. Era come tornare indietro nel tempo, anche se non esisteva tempo in quel posto. Era sentirsi di nuovo piccoli inesperti studenti, niente era cambiato, erano tutti lì. Ci fu un attimo in cui i ricordi si confusero con la realtà e, forse, non esisteva neppure la realtà. 
Remus guardò Dora, poi il suo sguardo si posò sui due vecchi amici e fu ricambiato. Non sorridevano, ma non c’era tristezza né nostalgia nei loro occhi. In fondo, erano arrivati fino a dove mille prima di loro si erano spinti, al limite massimo dell’amicizia. Fino a dove questa brilla più splendente di una stella e può volare oltre il gelo della morte, spiegando finalmente le sue ali, perché ha ormai sconfitto anche l’ultimo grande nemico.

  
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