Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: Elos    29/01/2011    4 recensioni
Gabriel non ricorda di essere stato umano, Gabriel non ha più nessuno. C'è stato un tempo in cui era bello, molto bello, bellissimo, ma adesso quel tempo è passato. Gabriel viaggia con un armadio al seguito e quattrocento anni di ricordi perduti sulle spalle.
In una casa antichissima piena di cose rotte e di cose preziose avrà inizio la più bizzarra delle convivenze.
Prima classificata e vincitrice del Premio Attinenza al concorso Once upon a Bloody December indetto da storyteller lover.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



6. talismani



La notte successiva Gabriel spalancò le finestre nella stanza di Morrigan e divelse le sbarre della grata, accartocciandola come fosse stata fatta di cartapesta invece che di ferro. C'era una luna bianchissima, fuori, e nessuno a passeggiare per Candledoore Square. La mise a sedere sul davanzale mentre spostava il letto al centro della stanza, strappava via i vecchi tendaggi scuri e logori del baldacchino e li sostituiva con altri più luminosi, più vivaci. Li aveva tolti ad una delle camere del piano inferiore: avevano grossi buchi da tarme, bordi sfrangiati, ma alla luce della luna sembravano tingersi d'argento e di porpora.
Appese i pezzi degli specchi rotti al baldacchino, ed ogni raggio che vi finiva sopra era un riflesso di sole sull'acqua, una stella intrappolata nella stoffa. Morrigan sorrise, a vederlo, e fece oscillare le gambe allegramente. Il suono del sonaglio riempì la camera.
Gabriel portò nella stanza una poltrona, poi un basso, grazioso tavolino di legno al quale mancava una gamba. Strappò le tende alle finestre delle altre stanze per foderare le pareti e coprire le chiazze di muffa, scovò un grande tappeto polveroso che nascose le assi malandate del pavimento. Riempì la camera di cose che luccicavano, cose che splendevano. Un vecchio vaso di vetro dal becco rotto, pezzi d'ottone, pezzi d'argento ossidato. Ne appese diversi ad una striscia di rete e li fece calare giù dal lampadario. Appoggiò candelabri ovunque, in ogni angolo, riempì d'acqua una bacinella di porcellana scheggiata e lasciò a galleggiare sulla sua liscia superficie trasparente una candela di cera bianchissima, accesa.
Morrigan scivolò giù dal davanzale e si accovacciò lì accanto, e Gabriel si mise a sedere vicino a lei per poterla prendere in braccio.
- Ti piace? -
Lei annuì. Gli cacciò la testa contro una spalla, strofinandogli il naso lungo il collo. Lo cercava e lo toccava molto più spesso, adesso, con una fiducia assoluta, disarmante, le dita leggere come zampe di ragno posate sulle sue braccia, la pelle liscia di una guancia contro quella di Gabriel - che era liscia anche quella, sì, ma molto più tesa, molto più resistente, come qualcosa di molto elastico e molto robusto.
- C'è qualcos'altro che ti piacerebbe? - le chiese.
Morrigan lo guardò, l'espressione interrogativa, e Gabriel si domandò che cosa piacesse in genere alle ragazze. Aveva un vago ricordo di stanze piene di ninnoli, bambole, argenteria.
- Una bambola? -
Lei inclinò il capo da una parte e la sua perplessità sembrò aumentare.
- Fiori? -
Lei sorrise.
- Erica. - decise Gabriel.
Il giardino era stato pieno d'erica, pieno dei suoi fiori azzurri, e quando la neve si sarebbe sciolta ce ne sarebbero stati ancora, altri, nuovissimi e freschi nella primavera della casa antica.
Le avrebbe appeso festoni d'erica alle pareti. Ninfee nella bacinella, foglie secche, dorate, quello dell'autunno avanzato, in uno strato croccante a fare da tappeto in quella stanza.
Appese lenzuola vecchissime e consunte, il tessuto trasparente per i molti anni in cui erano rimaste ad aspettare negli armadi della biancheria, ai supporti del letto: ne fece una cortina tutt'attorno, un nido, e fece colare della cera sulla testiera per poterci fissare una candela. Il letto sfasciato sembrava una nuvola, ora, con Morrigan nel mezzo. La fiammella disegnava riflessi ambrati sulla sua pelle, ma più giù c'era la luna a bagnarle le gambe, le braccia, a farle di seta la pelle. In quella luce così pallida le sue vesti erano come nuove. Tutta la stanza era come nuova, e il viso di Gabriel aveva perso le sue cicatrici.
Si tolse dal collo un talismano prima che la notte finisse, la larga moneta antica di secoli che aveva portato per innumerevoli anni appesa al collo, e lo passò attorno alla gola sottile di Morrigan.
- Questo è il primo. - le disse, e sorrise nel guardarla torcere il capo per cercare di osservare la moneta.

Mentre l'alba iniziava, si sdraiò accanto a lei.
Morrigan gli si incuneò tra le braccia, rannicchiandosi, gli avvolse le braccia attorno allo stomaco e chiuse gli occhi. Lui non la strinse: addormentandosi sarebbe diventato gelido e rigido, come un cadavere, un corpo che non respira, che non parla, che non si sveglia, un corpo senza un cuore che batte. Non voleva che lei fosse costretta a restargli accanto, poi. Forse ne sarebbe stata spaventata. Le dita di Morrigan giocarono tra i suoi capelli rossi e, così pallide, erano come neve nel sangue. Lui la lasciò fare, socchiudendo gli occhi. Era stanco. Era sempre così stanco cinque minuti prima dell'alba, sempre così intorpidito, svuotato. Le augurò piano:
- Buon riposo. -
Si assopì mentre il sole accendeva in cielo, levandosi oltre le imposte sbarrate, strisce d'oro.

Quando si svegliò, Morrigan dormiva ancora attorcigliata addosso a lui. Il talismano al suo collo splendeva come un occhio caduto.


Qualche sera più tardi le chiese:
- Vuoi uscire? -
La ragazza, seduta sulle sue ginocchia, sorrise e assentì. Gabriel le premette la mano sulla schiena, lievemente, spingendola via:
- Va' a prendere la tua giacca, allora. -
Quando Morrigan scese le scale, cinque minuti più tardi, con la giubba di pelle troppo larga per lei a penderle addosso come da una stretta stampella, puntò diritta verso la porta che dava sul cortile; ma Gabriel la fermò e scosse la testa:
- Andremo da un'altra parte, stanotte. -
Gli occhi di Morrigan si accesero, scintillarono, e tutto il grigio che avevano attorno alle pupille si fece argento liquido.
Era la notte del trentuno dicembre. Le luci di Natale splendevano ancora oltre le vetrine ma, adesso, gli parevano più sopportabili: perché Morrigan ne era entusiasta. Morrigan correva da un negozio all'altro, da un lampione all'altro, cercando d'allungare le mani per toccare le lampadine colorate. Sulla neve lasciava impronte leggerissime, a malapena visibili, e il vento le soffocava con neve nuova in un battibaleno. Gabriel vestiva di nero, le strade erano buie e bianche. Morrigan aveva una gonna rossa, una camicia azzurra. Morrigan aveva le braccia piene di pizzi, una giacca di pelle marrone. Sotto ad ogni lampione la sua treccia scintillava di blu e di viola e il nastro che la chiudeva, il nastro che era stato una benda, prima, e prima ancora una camicia, sembrava a sua volta violetto nel riflesso.
Morrigan era colore e musica in un muto dicembre che di colori non ne aveva. Il sonaglio accompagnava i suoi passi tintinnando, e lei faceva giravolte in mezzo alla strada che erano come una danza di bambina, ininterrotta, senza pudore, senza vergogna, senza mostra. Spontanea come le ninfee ostinate.
Lasciarono Candledoore Square e le sue strade e imboccarono Victoria Lane. I muri del cimitero vennero loro incontro, e poi ci furono gli alberi, larici e querce e un grande salice piangente, tutto piegato oltre la recinzione, che si sporgeva verso il cancello con i suoi rami ad oscillare come un vessillo.

Il cimitero di St.George, in Victoria Lane, la notte era un paesaggio lunare. Non c'erano famiglie a camminare sui prati innevati, niente che respirasse all'interno delle sue mura. I defunti vegliavano, i lumini accesi sulle loro tombe come minuscoli occhi dorati, fuochi fatui.
Era bello.
Le panchine vuote sembravano ospitare gli spiriti dei morti. La fontana mormorava cantando azzurrata sotto ad una fetta di luna pallidissima, e il tetto dei salici e dei faggi era nero come inchiostro versato. C'era una luce chiara, nebbiosa, che trasformava le tombe in pietre cadute dal cielo, i fiori deposti in muschi, licheni rocciosi cresciuti a ricoprire il terreno alieno.
Morrigan scavalcò una lapide senza badarvi, e si fermò a raccogliere un grande fiore freschissimo da un vaso. Se lo appese ai capelli e Gabriel pensò per un attimo, distrattamente, che era sleale rubare ai morti: ma il proprietario della tomba sarebbe stato contento, si disse poi, perché Morrigan era bella, così. A tutti piacciono le cose belle.
Lei si mise a sedere su una grande, vecchia pietra tombale di roccia grigia e porosa, e Gabriel le si sistemò accanto. Morrigan piegò la testa per appoggiargli una guancia alla spalla, e lui sorrise e le avvolse un braccio attorno alle spalle. Era piacevole reggerla così, badare a tenere lenta la stretta, morbide le dita, perché la ragazza che aveva tra le mani era umana, fragile e delicata, e lui doveva aver cura di quel che ne faceva, se la voleva conservare per sé.
La prese in braccio, dopo un po', per non lasciarla stare seduta a contatto con la tomba gelata. Si disse che era diventata una sensazione familiare, quella, un modo familiare di starle vicino: e tutto ad un tratto gli venne da chiedersi se qualcun altro mai l'avesse tenuta così, se qualcun altro l'avesse presa in braccio, mai, abbracciata, avuta.
Due mesi prima aveva pensato che la gens del cimitero l'avesse rubata ad un manicomio. C'erano ancora i manicomi in questo secolo, sì? Forse Morrigan veniva da lì, Morrigan e le sue assenze, Morrigan che aveva parlato per dire mio, sì, ma poi non aveva più detto nulla. Morrigan che aveva la testa e gli occhi sempre fissi su un qualche universo infinitamente distante. Aveva creduto potesse essere una buona ipotesi, ma non gli era interessato abbastanza da indagare: dopotutto, Morrigan sarebbe vissuta poco, no? Lui l'avrebbe uccisa presto. L'avrebbe tenuta in vita, ma solo per un po'.
Solo che adesso questo po' sembrava essere divenuto tutto ad un tratto molto.
Si scoprì a desiderare di saperlo. Voleva sapere da dove veniva, che cosa aveva fatto prima di finire a ballare in un cimitero davanti agli occhi dei morti - quelli che camminavano e quelli che riposavano sotto la terra quieta. Voleva sapere chi era stata sua madre, chi era stato suo padre. Da quale posto era arrivata. Voleva sapere altro, di lei, perché ogni cosa che avesse scoperto avrebbe contribuito a fargliela avere un po' di più, ancora di più, sempre di più.
Si chinò per strofinarle il naso contro il collo, contrastando la sensazione di fame violenta che gli sorse nello stomaco a fiutarla così.
- Il mio nome è Gabriel. - le disse. - E vengo da molto lontano. -


L'ultimo vero capitolo. Dopo il prossimo, un brevissimo epilogo, la storia sarà conclusa: non pubblico i due capitoli insieme perché credo che ciascuno dei due abbia dignità di capitolo a sè stante, per così dire. xD

Un grazie a chi segue questa storia e si è fermato a lasciare un commento allo scorso capitolo. I ringraziamenti completi al prossimo - ultimo - aggiormanento!


Immagine di Prisca Turazzi
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Elos