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Autore: AnnaLise    12/01/2004    3 recensioni
Sono istanti. Le fiamme che ingoiano un'intera esistenza e la consapevolezza di essere solo una marionetta nelle mani di qualcuno più in alto...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’è fuoco, attorno a me, caldo ruggente che scivola possessivo negli strappi d’aria ancora respirabile. Il fumo mi scioglie la vista tramutandola in schegge di incoscienza, mi violenta la gola facendola ardere, facendola stringere e contorcere. Le gambe tremano ferocemente, rendendosi nemiche al mio già precario equilibrio, mentre le fiamme allungano le loro dita selvagge per afferrare i lembi della mia veste, per trascinarmi in quella danza mortale con loro, ingoiandomi… Così, sul marmo di ghiaccio della stanza dipinta da quel turbinare di scintille impazzite, mi abbraccio da sola, rannicchiata a terra come una bambola in frantumi. Vagamente prendo consapevolezza del battito del mio cuore, che fugge rapido ruggendo sotto la pelle, dilatandomi le tempie. Il crepitare delle fiamme canta beffardo vedendo i miei occhi colmarsi di dense lacrime, che colano impazienti sul mio viso, inumidendo la manica della camicia, incollandomi le ciglia così da rendermi cieca. Con uno sforzo indicibile tento di alzare la testa, issandomi sulle braccia, ma il mio corpo sembra essersi fatto cento volte più pesante e i miei gomiti cento volte più fragili, così che sono costretta a ricadere a terra, per evitare che si spezzino come vetro. Colpisco il pavimento con la bocca, pavimento che non mi è mai sembrato tanto duro, prima. Percepisco il labbro inferiore pulsare rabbioso, il sangue che scivola sul mento, che mi riempie la lingua del suo sapore viscido e amaro. Sputo a terra, un conato che mi fa vibrare lo stomaco, intanto che il rombo delle fiamme si fa più vicino, tanto da lambire le mie gambe nude con le sue brucianti spire. Non ancora, penso. Non ancora. La collera mi monta addosso, ira scatenata dall’impotenza, dalla frustrazione, dalla cognizione di essere soltanto l’ennesimo pezzo degli scacchi spazzato via dalla mano di qualche potente ed egocentrico giocatore… Mi metto a sedere. Sono debole, ma la voglia di sopravvivere è più forte di qualsiasi cosa. Pensa, mi ordino, pensa, pensa! I miei occhi appannati volteggiano nella stanza, con la remota speranza di trovare una via di salvezza. Folle della mia disperazione, aggressiva nella vana illusione di poter fuggire, mi aggrappo allo stipite della porta, le dita che stringono il legno talmente forte da sentirle quasi spaccarsi, se non affondare direttamente nel muro. Non so come - non so perché qualcuno, da qualche parte, ancora mi sia vicino – riesco a tornare in piedi. Rapida, le mani che sussultano, sollevo un lembo della camicia, premendolo sulla bocca. Per qualche fuggevole istante mi sento di nuovo lucida; la testa mi gira furiosamente, le ginocchia sembrano burro fuso, paiono voler cedere da un momento all’altro, ma riesco a pensare brevemente. La porta. Le scale. Di sotto. L’uscita… Attraverso la stanza a passi lenti e lunghi, costringendomi a restare calma, impassibile. Nel ringhio del fuoco, nelle sue faville minacciose ed ipnotiche, mi sembra di sentire la voce di lui… mi sembra di vedere i suoi occhi, le sue labbra… Addio. Così come ci siamo avvicinati ci dobbiamo allontanare. Io nelle braccia della Morte, tu nelle mani di Dio… Perché le strade di angeli e dannati non s’incroceranno mai. Le sue parole, le ultime parole che mi ha gettato addosso con quella freddezza carica d’una passione cancellata dal rancore di secoli trascorsi nell’odio e dall’asprezza dei tradimenti e delle corruzioni, mi gridano in testa il loro dolore celato… e all’improvviso non ricordo più se è stato lui a pronunciarle od io… o se le sto semplicemente immaginando adesso… Arrivo all’altro capo della stanza, conquisto e varco la porta ormai in cenere, della quale restano frammenti a terra ed un buco rettangolare morso e lacerato dal fuoco. Scivolo nel bollore del rogo che incorona l’uscio di strali d’oro, il corpo abbandonato, ormai arreso al brutale destino, che si muove a suo piacimento, con un’energia ed una volontà che non credevo di avere. Tra le mie labbra ancora macchiate di sangue guizza una confusa preghiera, rivolta a non so quale Dio che non merito. Le mani si serrano attorno alla ringhiera delle scale. Finalmente. Sento la mia forza capitolare, ma non mi lascio nessun tempo per cadere ancora a terra, perché ora so che se cadessi non mi rialzerei mai più. Mai più. I muscoli già stuprati dalla fatica si tendono ancora una volta a sostenermi, il mio peso completamente sostenuto dalla balaustra. Temo che i nervi possano saltare come elastici da un momento all’altro, mentre la cenere mi intossica il respiro spezzato, sfinito. Le scale. La mia mente vortica. Scendi le scale, Isabella, scendi le scale… I piedi bizzarramente troppo stretti nelle ballerine nere si spostano da soli. Il corpo vuole abbandonarsi, il cervello lo costringe a non rinunciare. Inciampo tra i gradini, ma miracolosamente mantengo l’equilibrio. Se sopravvivo non mi perdoneranno, se sopravvivo si vendicheranno… Continuo a ripeterlo, dentro di me, rapidamente. Vedo gli occhi di quelli che desiderano la mia morte, vedo le luci spietate nelle loro iridi deserte… E so. So che se uscirò da qui mi riterranno talmente arrogante per l’essermi sottratta alla fine che loro avevano scelto per me da decidere di non darmi tregua mai più. L’ira distrugge la sofferenza. Ingoio le mie lacrime e continuo a scendere, imperterrita, qui gradini infiniti, mentre le urla dell’incendio mi assordano. Il corrimano ondeggia sotto le mie dita, le fiamme che già cominciano avide a divorarlo. Sono a metà della scala. Solo a metà. Con non so più quali energie, con la testardaggine di chi vuole a tutti i costi continuare fino alla fine, comincio a correre. Passi, privi di equilibrio, sui quali inciampo. Il resto giunge in un istante, come un momento che si spacca, ripetendosi all’infinito in tante schegge. Un istante che dura in eterno… La caviglia si storce, la gamba cede, il peso addosso alla ringhiera di legno dalla stabilità precaria, che con uno schiocco assordante si distrugge sotto il colpo del mio corpo… poi il vuoto… le dita che stringono l’aria cercando un sostegno che non c’è, i vestiti che si gonfiano come palloncini colorati, nella testa già quel dolore insopportabile che arriva appena un secondo dopo di quanto non ti saresti aspettato… Un urlo muto, le labbra spalancate dalle quali non esce nessun suono, soffocato nel petto. Mi sembra di morire, i polmoni che esplodono, le membra spezzate dall’impatto come fossero cristalli gettati nel vuoto che prima vomitano una fitta ineffabile, quindi tacciono. Sento liquido bollente impregnarmi i capelli, sopra di me le fiamme volteggiano scompostamente, la nausea mi gonfia dentro. Un’ingente scheggia di legno mi si è conficcata a fondo nella spalla, che sento fremere violentemente, la camicia bianca inondata da fiotti purpurei. Non riesco a muovermi, non sento più nulla, nulla… anche chiudere gli occhi è diventato troppo difficile, troppo faticoso… Il pianto mi fa palpitare gli occhi, senza però che io possa versarlo… Sento l’aria farsi appiccicosa anche attorno a me, segno che il fuoco sta giungendo celere anche qui. E che mi prenderà molto prima di quanto creda. Così, fissando il lampadario d’ottone che tante volte ha illuminato l’elegante hall e che ora pare solo lo scheletro d’un’uccello libratosi nell’aria grazie a qualche maledizione, mi sale alle labbra un ultimo sussurro, un’ultima confessione, un ultimo saluto… Perdonami per non essermi salvata, per non essere stata forte. Grazie per ciò che hai voluto insegnarmi, per tutto ciò che mi hai dato… non avrei voluto sprecarlo così… Ti amo, ovunque tu sia… ed ovunque io sarò pregherò perché tu possa avere una fine migliore della mia… perché tu possa non finire mai… E proprio in questo momento, nel momento in cui sono ormai pronta a soccombere definitivamente, scorgo una figura. È nera, indistinta, pare quasi solo un’ombra creata dalle mani del fuoco che s’intrecciano tra loro. Poi sento i suoi passi lenti… Il resto è silenzioso, sento solo quei passi che ticchettano nella mia testa allo stesso ritmo dell’orologio che segna la mia morte… Morte. Per qualche labile momento mi fugge in testa l’idea che quella figura sia lei, la Morte, giunta a prendermi di persona per portarmi con lei… …ma la stoffa fruscia quando lui si china su di me, sento pallidamente il suo profumo maschile, gli occhi scintillano appena dietro il cappuccio calato sulla fronte… All’improvviso così com’era giunto, il desiderio d’abbandono e di morte fugge rapido da me, mentre ancora quella voglia di vivere mi rende la ragione che andava sfumando. Muovo le labbra, mi obbligo a farlo. Una sola parola. Prima un sussurro, poi lenta affiora la voce roca e spossata… “Salvami!” Le sue braccia mi afferrano saldamente, una culla solida e rassicurante, mentre mi stringe al petto. La mia testa ciondola sulla sua spalla, non riesco neanche a mantenermi dritta per guardarlo… Chiudo gli occhi, poi, quando l’aria gelida della notte mi avvolge, mi sferza il viso, le gambe, le braccia… rinfrescandole, facendomele di nuovo sentire quasi vive… Respiro! I polmoni colmi di limpido ossigeno, forte, mi sembra di tornare a respirare per la prima volta, tanto che brevi e secchi colpi di tosse mi scuotono, facendomi dolere l’intero corpo, il viso che mi si contrae in una smorfia sofferente… Con una delicatezza impensabile, la figura si china ancora a terra, reggendomi con gentile decisione. “Salvami.” La voce ora mi esce sommessa, ma risoluta. Un ordine, quasi, allo stremo ormai delle forze, mentre comincio a rinunciare a me stessa con alacrità… Avvicina le sue labbra al mio viso, labbra sottili sul mento dalla linea virile, mentre quel profumo leggero mi avvolge, un lembo del suo mantello che mi solletica appena le braccia immobili. “Non lo faccio per Te… lo faccio per Lui…” Sussurra. Ed io capisco. …ed i suoi canini affondano feroci nel mio collo, strappandomi quella tenue scintilla vitale che mi era rimasta… Sottratta. E salvata.
  
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