Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: thefung    30/01/2011    14 recensioni
Isabella Swan è una ragazza di diciassette anni a cui viene diagnosticata la leucemia. Non reagisce male alla notizia, infatti è convinta che la sua vita non abbia senso, che questa malattia sia una 'manna dal cielo', mandata per alleviare tutte le sue sofferenze terrene. All'ospedale di Phoenix incontra un ragazzo dalla bellezza sconvolgente, Edward Cullen, suo coetaneo che, nonostante le carattersitiche fisiche, rimane sempre coi piedi per terra. E' qui per assistere una sua parente in malattia e, giusto per scacciare la noia, decide di scambiare due parole con Bella. Quest'ultima, piuttosto che raccontare al ragazzo il vero motivo per cui si trova lì, inventa una scusa, nascondedogli la sua malattia.
Da quelle che sembrano poche ed insignificanti parole, nasce un'amicizia che ben presto diventa un'attrazione travolgente. Purtroppo però il loro sogno sembrerebbe irrealizzabile, perché c'è ancora qualcosa che Edward non sa e che minaccia di distruggere tutto.
Tratto dal capitolo 11: "Lo sai che dalla calligrafia di una persona si può capire come essa sia?", mormorò Edward fissando il mio foglio scarabocchiato. Mi accigliai. "Mi stai dicendo che faccio schifo?". Sorrise. "No, affatto. Sto dicendo che tu sei diversa, sei speciale."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Your Guardian Angel

*° Capitolo Undici: Speciale  °*


POV BELLA
 
“Perciò dovremmo organizzar loro un appuntamento?”, domandò Edward giocherellando con il tappo blu della biro, rigirandoselo in mano e mordicchiandone la punta di tanto in tanto.
“Sì. E vedi di non ingoiare quel coso!”, esclamai seccata, rubandoglielo di mano con un movimento repentino.
“Come siamo gelose …”, mormorò con tono di scerno.
“Dovresti solo ringraziarmi. A momenti l’avresti mandato giù sul serio e poi all’ospedale ci saresti finito tu, come paziente, altro che quella povera donna di tua zia! ”, ribattei mentre, aprendo uno sportello, cercavo un foglio pulito su cui scrivere.
“Sei fatalista”, affermò solenne, afflosciandosi sulla sedia spaiata della cucina.
“Realista, vorrai dire”, lo corressi con indifferenza.
“No, no. Fatalista, cara Bella. Oltre che scontrosa, permalosa e cocciuta, ovvio”, confermò con un sorrisino angelico.
“Mi sento lusingata dai tuoi elogi, davvero. Anzi, mi stupisco che non ci sia qualcosa di peggio”
“Be’, su questo non ti devi preoccupare. Di difetti ne hai a non finire, e non te li dico solo per non offenderti. Però … una delle cose su cui proprio non posso attaccarti è la prevedibilità”
Aggrottai le sopracciglia, tornando a sedermi accanto a lui con il foglio bianco.
“Come mai?”
“Per questa storia dell’appuntamento fatto da noi. Io non ci sarei mai arrivato, in effetti. Devi avere tante amiche per riuscire ad organizzare piani così ben congeniati. Un giorno me le devi presentare”,  spiegò con un sorriso, appoggiando il mento sul palmo della mano aperta, sostenendosi col gomito al tavolo.
Bastarono le sue poche parole perché mi irrigidissi.
“Edward, veramente io …”
“Non sono molti?”, m’interruppe prima che potessi dire altro, “Non importa assolutamente. Sai quel che si dice, pochi ma buoni?”, ammiccò con un occhiolino divertito.
Il suo sorriso solitamente riusciva a contagiare anche il mio, come un riflesso involontario ad ogni volta che lo guardavo.
Quella volta, però, non fu così. L’istinto fu battuto dalla ragione.
“Non intendevo questo. Stavo dicendo che non ne ho”, mormorai con gli occhi bassi, senza aspettarmi una particolare reazione.
Fosse stato uno come Mike Newton, avrei saputo con certezza che con quell’affermazione l’inferno per me era appena iniziato, ma trattandosi di Edward … avrebbe potuto pensare qualsiasi cosa, eppure avrebbe fatto di tutto per non farmi pesare niente, per farmi sentire sempre a mio agio, in qualsiasi situazione.
“Oh”, sussurrò, la sua voce paragonabile a quella di un bimbo a cui la madre ha appena spiegato che Babbo Natale è semplicemente un’invenzione dei grandi.
“Non importa, però.”, mi affrettai a dire, conficcando le unghie nei palmi delle mani nascoste sotto il tavolo. “Sto bene così.”
“Gli amici servono”, constatò con tono piatto.
“Sì”
“E ne avresti bisogno anche tu”, continuò.
“A volte non si può fare tutto quello che si vuole o avere ciò di cui si necessita”, mormorai stupendomi della mia filosofia, di quello stile di vita con cui avevo imparato a convivere da tantissimo tempo.
“Ma questo non cambia il fatto che tutti abbiamo bisogno di persone che ci sostengano e ci facciano stare bene”
“Mi basta la mia famiglia”, farfugliai, omettendo due paroline che mi avrebbero sicuramente messa in sua situazione imbarazzante: e tu.
Nei libri che avevo letto, la protagonista femminile non si sarebbe certo vergognata di far sapere una cosa del genere al ragazzo che le piaceva, avrebbe detto ciò che pensava e, grazie a quelle sue parole, la relazione con lui sarebbe divenuta più intima, sino a raggiungere, entro poco tempo, l’amore.
Nei libri che avevo letto, il lieto fine era d’obbligo, ecco perché, ogni volta che mi trovavo in libreria, subito dopo aver letto la trama di un romanzo, ciò che facevo era andare a controllarne l’ultima pagina, in modo da potermi assicurare un finale alla Walt Disney.
Nei libri che avevo letto c’era felicità, c’era amicizia, c’era quell’amore vero che mi aveva ammaliata sin da quando ero piccola, quando ogni giorno organizzavo matrimoni ed anniversari per le mie Barbie, immaginando il momento in cui io avrei preso il loro posto.
Nei libri che avevo letto, le vite descritte, che fossero reali o no, erano completamente diverse dalla mia.
“Nonostante sia stato adottato”, proruppe Edward con la voce roca, “ho sempre avuto un buon rapporto con la mia famiglia.”, prese un sospiro di sollievo, senza, però, abbandonare i miei occhi. “Non so se ricordi, ma ho un fratello oltre ad Alice, si chiama Emmett. Ha due anni più di noi e ha cominciato ad avere dei problemi con i miei genitori circa un annetto fa. Voleva essere più indipendente, guadagnarsi da vivere da solo senza dover per forza sottostare agli ordini dei miei. Ci sono state frequenti discussioni su questo, ma Esme e Carlisle non hanno mai voluto che lui andasse a fare qualsiasi tipo di lavoro dato che loro già guadagnano parecchio con il loro. Non hanno capito che il suo desiderio non dipendeva solo dal fatto di avere dei soldi tutti suoi. Per questo è scappato di casa, portando con sé quasi tutte le sue cose e lasciandoci solo un biglietto con scritto ‘non cercatemi’.”
Strabuzzai gli occhi, incapace di aprir bocca, convinta che qualsiasi cosa dicessi non potesse essere all’altezza della situazione.
“E voi? Non l’avete cercato?”, pigolai quando vidi che non accennava a continuare.
“No, non l’abbiamo cercato, però, lui qualche volta telefona a me e ad Alice per sapere come stiamo, se tutto va bene. I primi tempi senza di lui sono stati difficili, è vero, ma adesso è tutto a posto. Io ed Alice, in compenso, abbiamo stretto un patto per evitare che qualcosa del genere succeda anche a noi. Ognuno di noi si è cercato un lavoretto da fare durante la settimana per essere un po’ più autonomi e ricavare qualche soldo. Alice è diventata una babysitter d’altissimo livello”, scherzò sorridente.
Sorrisi di rimando, incuriosita dalle informazioni che stavo ricavano attraverso questa conversazione. “E tu cosa fai?”
“Top secret”, ghignò semplicemente, lasciandomi con un palmo di naso e una curiosità che non sarei riuscita a mettere a tacere tanto presto.
“Sei crudele, Edward, lasciatelo dire.”
“Dai, se questo tuo piano risulterà proficuo forse te lo dirò” ghignò divertito, parlando come se si trattasse di un segreto di Stato, troppo importante per essere svelato.
“Ok …”, borbottai svogliatamente, indispettita dal suo modo di fare.
“Allora, per quanto riguarda il biglietto da dare a mia zia, io non posso scriverlo”, annunciò pizzicandosi il mento con il pollice e l’indice.
“Perché?”, domandai aggrottando le sopracciglia.
“Perché conosce la mia scrittura e capirebbe che siamo stati noi”, rispose con ovvietà. “Perciò dovremmo usare il computer”
“No, io non credo. Penso che la mia scrittura possa andare bene, è maschile e orribile”
Edward non riuscì a trattenere un sorriso. “Davvero?”, ghignò.
Feci una smorfia. “Stai a vedere.”
Impugnai la penna che avevo lasciato sul tavolo e cominciai a scrivere.
“Lo sai che dalla calligrafia di una persona si può capire come essa sia?”, mormorò Edward fissando il mio foglio scarabocchiato. Mi accigliai, abbandonando la biro sul tavolo, convinta che mi stesse prendendo in giro. “Mi stai dicendo che faccio schifo?”.
Sorrise. “No, affatto. Sto dicendo che tu sei diversa, sei speciale.”
Rimasi in silenzio, fissando i suoi occhi di quel verde così brillante, intenso, sincero.
Fu quell’ultima caratteristica che mi fece perdere il controllo, mi spinse ad abbracciarlo di slancio, nascondendo il volto e le piccole lacrime salate sulla sua spalla, abbandonando le difese, quella sensazione di inadeguatezza che mi aveva accompagnato in ogni istante della mia vita.
Stretta a Edward mi sentivo così al sicuro, così protetta dal mondo e da tutte quelle cose che mi avrebbero potuto far male … sentire le sue braccia restituire l’abbraccio, cingermi la schiena, fu quanto di più appagante avessi mai provato.
“Grazie, Edward”, sussurrai contro il suo petto.
Non avevo mai detto a nessuno questa parola, grazie. La consideravo troppo intima, troppo importante da dire al primo che passa per un motivo banale. Un po’ come quando si chiede come stai. È spontaneo, ovvio rispondere che si sta bene, nascondendo il proprio reale stato d’animo.
E fu proprio in quel momento che una strana sensazione – le fantomatiche e famose farfalle nello stomaco? – mi fece temere di aver osato troppo, di essere andata troppo oltre …
Scostai il viso dalla sua spalla e lo guardai in volto.
Stava sorridendo ad occhi chiusi.
… O di essere già completamente persa per Edward.
 
 
* * * * * *
 
Mi sentivo importante, in quel momento.
Fondamentale per la prima volta.
La missione dipendeva completamente da me, dal mio essere capace di depositare due miseri bigliettini senza farmi vedere.
Un compito degno di 007, non c’è che dire.
Camminavo sorridente per il corridoio del terzo piano, diretta al reparto dove era curato Eleazar.
Girai l’angolo e, a causa del mio minimo equilibrio, andai a sbattere contro una persona.
Rossa in faccia ed arrabbiata con me stessa, mi scansai immediatamente e feci per chiedere scusa al malaugurato passante.
Le parole, però, mi rimasero in gola quando scoprii di chi si trattava.
“Dottor Banner …”, mormorai deglutendo.
“Isabella”, mi salutò lui con un sorriso, chinando leggermente il capo verso destra. “Ti ho vista spesso in questi giorni”
La mia pelle s’imporporò ancor di più. “Sì?”, gracchiai.
“Eh, già. Ti ho visto meglio, se devo essere sincero”
Tentai di sorridere, ma ciò che mi uscì fu soltanto una smorfia tirata della labbra.
“In che senso?”
“Il figlio del dottor Cullen è un bravo ragazzo”, disse, sorridendo mesto. "Ma dovrebbe sapere della tua malattia"
Ci misi qualche secondo più del dovuto per rispondere a quella constatazione, ma, nonostante questo, non trovai nulla di appropriato da dire.
“C-come fa a dirlo?”
“Immagino che non sapendolo suo padre, non lo saprà nemmeno lui”, spiegò, dando prova di grande intuito.
Sospirai pesantemente, così come ogni volta che si toccava questo tasto nolente.
“Ho paura di dirglielo”, dissi tutto d’un fiato, chiedendomi nel frattempo perché stessi confidando i miei pensieri a quel dottore.
Mi sorrise, avvicinandosi e dandomi una lieve pacca sulla spalla, gentile. “Vedrai che capirà”, detto questo, si congedò, lasciandomi in uno stato di trance nel corridoio.
Una volta che mi fui ripresa dalla conversazione - appuntando mentalmente di pensare a quelle parole più tardi - raggiunsi di soppiatto la stanza di Eleazar, sicura di trovarla vuota. Io e Edward il giorno prima avevamo pensato parecchio a quale fosse il momento più adatto in cui lasciare il biglietto ed eravamo giunti alla conclusione che avremmo dovuto approfittare dell’orario in cui i pazienti dovevano andare a pranzare.
Di conseguenza, depositai il bigliettino vicino alla bottiglietta d’acqua appoggiata sul comodino accanto alla prima barella e sperai di aver fatto una cosa buona.
Uscii dall’ospedale in fretta e, una volta fuori, davanti all’ingresso, non potei far a meno di sorridere a quel luogo che avevo tanto odiato ma che mi aveva permesso di conoscere la persona che adesso era più importante di tutti: Edward.
Presi il cellulare dalla tasca e composi velocemente il suo numero, ansiosa di sentire la sua voce.
 
 
* * * * * *
 
POV EDWARD
 
Suonai due volte al campanello, impaziente come poche volte.
“Arrivo, arrivo!”, sentii la voce della proprietaria correre ad aprirmi e sorrisi.
Non appena la porta si aprì, mi intrufolai dentro l'appartamento, prendendo la ragazza tra le braccia e baciandola con ardore.
Era decisamente troppo tempo che non facevo quel genere di attività fisica.
“Oh, Edward …”, ansimò lei, staccandosi dalle mie labbra per poter riprendere a respirare. “Mi sei mancato”
“Anche tu”, sussurrai mettendola a tacere con un bacio e accarezzandole i capelli biondi.
“Dai, vieni in camera mia”, propose, divertita e maliziosa.
Acconsentii di buon grado e, con lei tra le braccia, percorsi le scale sino a raggiungere la sua stanza.
C’è da dire che la sua casa la conoscevo molto bene, in particolare il bel lettino in cui la proprietaria riposava
“Mmm … Tanya …”
“Ancora non capisco dove sei stato per tutto questo tempo”, mormorò lei con tono di rimprovero, tirando giù la zip della felpa con un movimento fluido.
“Sono … un uomo impegnato”, risposi mentre le baciavo il collo.
Lei ridacchiò, allontanandosi quel poco che bastava per chiudere la porta con un calcio e spingermi sul letto.
“Mi piaci quando prendi l’iniziativa”, risi aspettando che si sistemasse su di me.
Rimase soltanto in intimo e mi raggiunse a gattoni sul letto.
“A me piaci in ogni caso”, sussurrò tracciando i contorni del mio petto con le unghie lunghe e curate.
Non avevo mai capito cosa ci trovassero le ragazze nel mettere smalti su smalti in base al proprio abbigliamento o mettere delle unghie finte, tipo quelle robacce per cui mia sorella andava pazza chiamate ‘french’.
Sorrisi, riflettendo sul fatto che Bella non aveva nulla di tutto questo, anzi, lei le unghie preferiva mangiarle …
Scuotendo la testa e dandomi uno schiaffo virtuale, mi distolsi da quei pensieri, concentrandomi sul tocco di Tanya che pian piano si faceva più sicuro.
Le mie mani corsero alla sua schiena liscia e pallida, con l’intento di slacciarle il reggiseno colorato e imbottito.
Quasi tutte le ragazze con cui ero stato avevano biancheria intima di quel tipo, vistosa e appariscente.
Chissà se anche Bella …
Interruppi il pensiero sul nascere, lanciando l’indumento dall’altra parte della stanza con impazienza.
“Oh, Ed, cazzo se mi sei mancato …”, ripeté per l'ennesima volta Tanya, tirando giù pantaloni e boxer insieme.
“Anche tu …”, risposi a mia volta, accarezzandola con più vigore.
Gemette per il piacere che il miotocco le stava provocando e, improvvisamente, spalancò gli occhi eccitati.
Perché nel vederla sollevare le palpebre mi ero aspettato di scorgere delle iridi … marroni?
La baciai con foga, giusto per chiudere gli occhi e impedirmi la vista, ma fu tutt'altro che una buona idea.
La mia mente aveva prodotto una fantasia malsana che non aveva nulla a che vedere con la realtà.
Bella semi nuda, con il reggiseno colorato di Tanya …
Bella con le unghie curate che mi accarezzava …
Bella che con le sue labbra rosse mi baciava … che con la sua innocenza mi toccava …
Bella …
Bella
Mi staccai dalle labbra di Tanya con il respiro accelerato e un’erezione non da poco.
Mi staccai dalla ragazza bionda scuotendo la testa con enfasi.
No, non andava proprio bene.
“Cosa c’è?”, chiese leggermente infastidita.
“Non posso”, sussurrai quasi a me stesso, tormentato.
“Cosa significa che non puoi?!”, strillò mettendosi in ginocchio e avvicinandosi ogni qual volta io tentavo di allontanarla.
“Significa che non ci possiamo più vedere, Tanya”
“Che cosa?!”, sbottò alzandosi in piedi, senza curarsi della sua semi nudità. “Mi stai lasciando?!”
“Non siamo mai stati insieme, Tanya.”, mormorai raccattando le mie cose e rendendomi conto della veridicità delle mie stesse parole.
“Ah sì?!”, strillò inferocita. “E allora vai, Edward! Tanto non ci metterò nulla a trovare qualcuno mille volte migliore di te!”, mi spinse fuori dalla sua camera e chiuse la porta con un tonfo, lasciandomi libero di andarmene.
Uscii da casa sua in silenzio, dandomi del cretino ad ogni secondo che passava.
Come avevo potuto pensare quelle cose mentre ero con Tanya?
Non mi era successo mai con nessuna, o, per lo meno, mai nei momenti clou. Perché di paragoni ne avevo fatti, cavolo, e anche tanti, ma soltanto una volta a casa, da solo o in compagnia di amici con cui parlare delle proprie avventure sessuali.
Mi sedetti su una panchina, passandomi la mano sul volto stanco.
Ma che cavolo mi stava succedendo?
Era tutta colpa di Bella se avevo lasciato Tanya? O … merito?
Tsamina mina eh eh
Waka waka eh eh
Tsamina mina zangalewa
This time for Africa

La suoneria del mio cellulare mi distolse dai miei pensieri, facendomi tornare alla realtà.
Guardai il display del telefono, ritrovandomi a sorridere come un ebete.
“Pronto?”
“Edward, sono Bella.”
Be', quando si parla del diavolo …


Buooonasera, carissime!!!!!
Lo so, sono imperdonabile per tutto il tempo che vi faccio aspettare, ma l'unica cosa che posso fare è implorare il vostro perdono.
Questo è stato un capitolo difficile da scrivere, e non tanto per l'ultima parte (su quella sorvoliamo perché mi vergogno da morire per quello che ho scritto), ma per la prima, quella in cui era presente un pezzetto dell'introduzione alla storia, nonché momento bellissimo e importantissimo, secondo me. ^^
Non stanno succedendo cose particolarmente importanti, ma siamo ad un punto decisivo, ragazzi miei.
Ringrazio da morire i 122 che seguono la mia storia, i 51 che la preferiscono e i 15 che la ricordano (che cifre, mamma mia!!!!! *________*)!!!
A poco a poco risponderò alle meravigliose 11 recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo!!! Mi hanno fatto gongolare ogni secondo di più *.*
Colgo l'occasione per dedicare questo capitolo a Lua93, il mio splendore!!!
Un grazie in particolare a tutte coloro che mi hanno sostenuto in Missione d'Amore. Grazie per il vostro sostegno e le vostre belle parole: sono le uniche cose che mi fanno desistere dallo sprofondare nell'amarezza che ciò che è successo ha causato.
Prossimo capitolo ... missione Carmen - Eleazar ;)
Un bacio grandissimo a tutte voi!!!
Recensite, per favore!!!
Ele

   
 
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: thefung