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Autore: ElfoMikey    30/01/2011    2 recensioni
"Quando qualcosa irrimediabilmente finisce, si spera sempre che per quanto il tempo serva a dimenticare non lo farà mai con troppo dolore.
Quel qualcosa però era talmente forte, talmente intenso che aveva la capacità, giorno dopo giorno, di rafforzare quei ricordi e lasciando che essi si imprimessero sulla mia pelle come un tatuaggio indelebile."
Brendon non riesce a dimenticare, Ryan crede di avere il mondo hai suoi piedi.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Panic at the Disco
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo sette

 

 

 

Brendon pov

Non sono mai stato bravo con le bugie. 

Ho sempre avuto dei problemi perché la mia faccia riesce a dire la verità più delle parole.

Così non avevo ingannato Pete con la patetica scusa di un malore di uno dei miei fratelli. Avrebbe anche retto se lui non avesse chiamato tutti per sapere chi precisamente stava male.

Così sputai tutta la verità.

Che avevo passato la vigilia da Ryro, che avevamo fatto l’amore e che volevo lasciare Ariel. Fu più comprensivo di quanto mi aspettassi.

Pensavo che avrebbe dato di matto perché non avevo trattato Ariel nel migliore dei modi, ma invece mi abbracciò, contento.

“Non che non voglia bene ad Ariel, ma non ha alcuna possibilità di competizione. Ryan è sempre stata l’unica persona in grado di farti felice e di farti star male allo stesso tempo. Non so se mi spiego.”  Commentò, prendendo fra le braccia Bronx. “è il solo che riesce a renderti così. Non ti ho mai visto così raggiante o così innamorato di qualcuno che non fosse Ryan. E quando stavi male, beh non eri uno spettacolo. Concluse, dandomi un’occhiata.

Ridacchiai, prendendo un sorso di birra e guardando la sala addobbata a festa. Era pieno di gente, parenti e amici di Pete.

Ero riuscito a prendere il primo volo la mattina presto, lasciando Ryan da solo. Non avrei voluto farlo per niente al mondo. Mi sentivo così diverso e il peso leggero di un tradimento che proprio non riusciva proprio a farmi sentire in colpa.

Ariel mi si avvicinò sorridendo, scoccandomi un bacio sulla guancia e abbracciandomi.

Non sapevo come non riusciva a notare quanto ero diverso, quanto ogni parte del mio corpo era immersa nel profumo di Ryro.

Pete ci guardò con un sopraciglio inarcato, mentre io mi limitavo a baciargli la tempia. “Andiamo a consolare Gabe.” Dissi, trascinandolo verso un Saporta mogio e solo perché il suo adorato Billvy era a Barrington a passare il Natale con la figlia. Io e Ariel ci sedemmo al suo fianco mentre stava canticchiando una canzone assolutamente deprimente in spagnolo.

Le provammo tutte, finchè Pete non gli diede in mano un bicchiere colmo di vodka e Red Bull.

Lui si che conosceva bene i suoi pupilli.

A metà serata, quando la tavola era stata sgombrata dal cibo, ricevetti una chiamata che mi costrinse a chiudermi fuori in terrazzo e sedermi sullo sdraio fredda. Sollevai il colletto della camicia per evitare di prendere un mal di gola che avrebbe messo nei casini la band.

“Ho la tua sciarpa.” Esclamò Ryro appena risposi.

“Dillo che l’hai rubata perché vuoi vedermi morire di broncopolmonite!” ribattei, facendolo ridacchiare.

“Non incolpare me! Sei tu che sparisci e ti dimentichi le cose!” borbottò lui.

“Hai letto il biglietto vero?” chiesi, sollevato che non fosse arrabbiato.

“Sì, piuttosto informale direi, e cos’era quel segnaccio alla fine? Un cuoricino? Urie sei sicuro di non essere retrocesso di qualche anno?” chiese e lo sentii ghignare.

“Non apprezzi le mie manifestazioni d’amore! Bastardo!” borbottai.

Chiacchierammo per quelle che mi parvero minuti, ma scoprii essere due ore buone, quando Ariel venne a ripescarmi. “devo chiudere ora, a presto.”

“E’ arrivato il ragazzino? Salutalo da parte mia.”

“Stronzo.” Ribattei.

“Ciao Brend.” E la telefonata finì lì.

“Chi era?” mi chiese El, con un sorrisetto gentile sulle labbra.

“Oh, Shane.” Inventai, evitando di guardarlo negli occhi. Mi chiesi anche da quanto tempo era lì.

“Sente la tua mancanza?” scherzò avvicinandosi per sedersi sulle mie gambe. “sei ghiacciato, perché non entriamo?” domandò, sfregandomi le mani sulle braccia. “c’è Pete che sta delirando su un tour gigantesco che vuole organizzare prima della fine dell’anno!”

“Oddio ma è impazzito?! Ne abbiamo appena finito uno!” Ariel scrollò le spalle e insieme tornammo in casa, dove Pete era in piedi sul tavolo e spiegava la sua grande idea.

Voleva fare un Tour in New Messico e partire il più presto possibile.

Era un piano praticamente irrealizzabile e tutti assecondammo le sue pazzie, finendo a giocare alla Wii.

Quella notte evitare Ariel fu quasi un’impresa, perché venne a dormire nella camera che Pete mi aveva fatto preparare al piano superiore. Mi baciò appassionatamente e mi spogliò dai miei vestiti, mentre pregavo che arrivasse presto la fine.

“Hai cambiato profumo?” borbottò annusando con dolcezza il collo. Io negai, poi annuii inventando su due piedi che avevo provato il profumo di Ash, che c’era nel bagno. Ringraziai il cielo per le luci spente.

Cercai di rilassarmi, mentre la sua bocca su di me faceva reagire il mio corpo in un modo così spontaneo che quasi ringhiai dalla frustrazione. Smisi di pensare e feci Ariel mio con un’arroganza e una freddezza che si spensero solo dopo pochi minuti dall’orgasmo. “Scusa.” Borbottai, baciandogli la fronte sudata. Lui sorrise e mi accarezzò i capelli. “Non c’è nulla di cui scusarsi. È stato meraviglioso.” Sussurrò, baciandomi le labbra. “Ti amo Brendon.”

Strinsi gli occhi fino a farmi male, mordendomi le labbra.

Ero una pessima persona.

Ariel si addormentò fra le mie braccia senza aspettarsi una risposta e io non riuscii a chiudere occhio.

Mi alzai la mattina di Santo Stefano con le occhiaie che mi arrivano ai piedi. L’unico già sveglio era Pete, ma notando i suoi occhi sbarrati pieni di sonno mi chiesi se c’era andato a letto. Era al telefono e annotava delle date e dei luoghi su un taccuino.

“La ringrazio, a risentirci e buone feste!” posò il suo I phone sul tavolo e mi riservò un grande sorriso. “buon giorno Brenny! Pronto a partire per un tuor lungo tutta la costa atlantica? Non è certo il New Messico come desideravo, ma in una notte non posso fare molto!”  esclamò, avvicinandosi per posarmi un braccio sulla spalla. “oppure possiamo andare in Canada! Non credi sia bellissimo il Canada? Con le sue montagne, i suoi laghi!” esclamò prendendo a saltellare e tornando a telefonare gente sconosciuta.

Ash mi si avvicinò, con il piccolo Bronx fra le braccia e un biberon colmo di latte caldo. “Ha di nuovo cambiato idea?” mi chiese posandomi un bacio sulla guancia.

“ A quanto pare…” mormorai, seguendola in cucina. Mi sedetti sullo sgabello imbottito e la fissai mentre preparava del caffè.

“Petey mi ha detto di te e Ryan.” Iniziò, porgendomi Bronx perché lo prendessi. Giocherellai con lui per un attimo, facendogli delle smorfie. Lui rise e afferrò i miei occhiali da vista, sporcando la lente.

“Ottimo. Lo sa qualcun’ altro?”  chiesi sarcastico.

“Beh presumo Gabe e quindi di conseguenza William. Poi immagino lo sappia anche Spencer, quindi anche Dallon e Ian. Ah! Aggiungerei anche la moglie di Dall, perché a quanto pare era con lui quando Pete gliel’ha detto al telefono, poi beh Hemingway, ma presumo che di lui tu non ti debba preoccupare.

Tornai in uno stato di completa depressione.

“E dire che ero sarcastico!” borbottai, mogio.

La situazione stava prendendo una piega molto diversa da quella che mi ero prefissato.

 

 

 

Ryan pov

La saletta delle prove che io e gli altri avevamo a disposizione era piccola ma confortevole e lì passavamo ore a suonare o a pianificare cazzate.

Avevo appena finito di provare “Die Tonight” quando la porta si aprì di colpo e l’immagine bassa e tatuata di Pete Wentz si presentò davanti alla mia faccia.

Jon corse ad abbracciarlo, mentre io mi limitai a porgerli la mano che lui afferrò contento. “Su Ross, fatti abbracciare.” Rimasi un attimo interdetto, mentre mi stringeva in un abbraccio fraterno. Era un po’ ambiguo il suo continuo cambio d’umore.

Soprattutto nei miei confronti.

Ma andava bene così, perché mi dispiaceva sul serio perdere un amico come Pete.

“Come mai qui?” chiesi sorridendogli, mentre lui armeggiava con il piccolo albero di Natale che aveva urtato con il piede.

“Grandi, grandi notizie, Young Veins!” esclamò, la voce eccitata e i denti in bella vista. Quella volta, straordinariamente, ci raggiunse anche il nostro produttore, anche lui piuttosto su di giri per la notizia che Pete stava per darci. “tra due giorni esatti si parte per il Canada!” strillò, prendendo a saltellare.

Canada?

Perché?

L’unica cosa sensata che riuscii a formulare fu un: “uh!” , prima di spalancare in modo poco elegante la bocca.

Noi in Canada? Perché? Non eravamo più sotto la Decay e non capivo il motivo per cui dovevamo partire.

Poi mi si accese una lampadina nel fondo del mio cervello.

“è un tour che tocca i posti più belli del Canada!” continuò a dire Wentz, agitandosi tutto.

“Non saremo soli, vero?” chiesi, scambiando un’occhiata con Nick.

“Certo che no, ci saranno anche i ragazzi della Decay… beh quelli che non mi hanno mandato a fanculo per l’idea assurda!” aggiunse picchiettandosi un dito sulle labbra.  Tornò in un attimo a sorridere, avvicinandosi per prendere il microfono dalle mie mani. “non è un’idea meravigliosamente eccitante?” domandò, parlando direttamente nel microfono.

Il primo a riprendersi fu Andy, che ululò di gioia e Murray gli fece eco con un giro assordante di batteria.

Non sapevo se Brendon e gli altri avevano accettato la proposta, ma visto che ero quasi certo che ci fossero anche loro, mi girai verso Nick e lui mi picchiettò le costole con il gomito, sorridendo.

“Ottimo, trovatevi un altro chitarrista. Io sarò malato quel giorno.” Borbottò Jon, mettendosi a braccia conserte.

Pete mi osservò interrogativo e io alzai lo sguardo al soffitto. “Lui e Spencer si detestano cordialmente.”  Gli spiegai, mettendo a tacere con un’occhiata ogni possibile protesta da parte di Jon. “ma il perché è sconosciuto.”

“Oh, capisco.” Poi si rivolse a Walker con un sorriso che mi mise i brividi. “non ti devi preoccupare Jonny, Spencer si è rotto un polso giocando a Squash, non ci sarà.”  Assicurò, stringendogli amichevolmente la spalla con la mano.

Trattenni una risata, mentre cercavo di immaginare Spencer intento a giocare a Squash.

Piuttosto improbabile.

Comunque sia, la cosa venne accettata da tutti, anche se Jon fu restio fino a che Pete non se lo portò via, sicuramente giocandosi ogni sua carta per convincerlo.

Quella stessa sera, incontrai nuovamente Brendon. C’eravamo dati l’appuntamento in una pizzeria in centro. Sentivo il petto sobbalzarmi di gioia al solo pensiero di essere di nuovo insieme a lui dopo tutto quello che era successo tra noi il giorno della vigilia.

Lui era già lì che mi aspettava, stretto nel suo cappotto e lo sguardo perso. Mi avvicinai lentamente e quando fui davanti al suo viso, gli sorrisi circondando il suo collo con la sciarpa che fino a un momento prima era legata al mio. Mi sorrise di rimando e trattenne a sé per un attimo la mia mano, poi la lasciò andare.

“Entriamo?” chiese, ammiccando verso la pizzeria. Io annuii e gli feci strada finchè non ci trovammo seduti a un tavolo appartato.

“Ti prego dimmi che partecipi anche tu al tuor!” fu la prima cosa che dissi, mentre lo fissavo sgranocchiare un grissino. Lui rise, buttando il capo all’indietro.

“Ovvio che sì, non me lo perdere per nulla al mondo.” Rispose, ammiccando. “non trovi che sia stato gentile, Pete a invitare anche la tua band?” chiese poi, afferrando il menù che la cameriera gli stava porgendo. Io alzai un sopraciglio, scettico.

“Gentile?” sbottai. “lui ha in mente un piano malefico, ne sono certo.” Brendon spezzettò un grissino né lo lanciò addosso.

“Io credo invece che voglia solo farci un piacere!” esclamò. “per riuscire a stare insieme più tempo possibile.”

A volte mi stupiva ancora l’ingenuità, per non chiamarla stupidità, di Brendon. Lui vedeva il buono in tutti.

“Ci sarà anche Ariel?” chiesi. Brendon annuì e io picchiai una mano sul tavolo assumendo un’espressione ovvia.

“Vedi? Se voleva tanto farci un piacere non se lo portava appresso!” ribattei. “altro che piacere! Ci sta complicando la vita!”

Brendon rimase zitto, smangiucchiando quel che restava del grissino. Ero sicurissimo che stesse pensando a una qualsiasi altra scusa per poter affermare le buone intenzioni di Pete.

“Pete non è cattivo.” Borbottò.

“Certo che non lo è, è solo piuttosto vendicativo.” Dissi, allungando la mano per riuscire a sfiorare la manica della felpa rossa che indossava. Mi sorrise.

Non toccammo più l’argomento Pete e la serata proseguii senza intoppi. Uscire di nuovo da soli, come facevamo tempo prima, mi aveva procurato un languido senso di nostalgia, colmato da quei baci che solo un anno prima non avevo mai desiderato così intensamente.

Mi chiesi, cosa pensava Ariel di questa uscita che Brendon l’aveva giustificata come un recupero dei tempi andati. Smisi subito perché le labbra di Brendon mi cercarono appena varcammo la porta di casa mia.  Era un bacio così inteso e bisognoso che mi lasciò un attimo senza forza, mentre il divano accoglieva le nostre membra abbracciate e desiderose di contatto.

All’inizio l’idea di essere l’amante mi aveva procurato una scossa d’eccitazione, ma già in quel momento non riuscivo più a sopportare l’idea di essere lasciato solo, con un bacio e una promessa di rivederci ancora. Infondo non potevo lamentarmi, no? Gliel’avevo chiesto io di aspettare.

Brendon non era completamente mio. C’era ancora qualcosa che lo legava ad Ariel e non vedevo l’ora che quel qualcosa si spezzasse.

“Senti, ma come sta Spencer?” chiesi, quando il silenzio rilassato aveva fatto sorgere in me una domanda.

“Oh, benissimo. Non vede l’ora di partire per il tour!” esclamò Brendon, abbracciandomi ancora più stretto.

“Come pensavo…” mormorai sul suo collo, nascondendo un sorrisetto.

 

 

 

Brendon pov

Il giorno prima della partenza, un freddissimo 28 dicembre, l’aria era così agitata che avevo l’ansia che mi corrodeva lo stomaco e Pete non mi aiutava a tenerla ferma. Si agitava come una trottola impazzita, aveva preso le sembianze mostruose in un Humpa Lumpa ed era più isterico del solito, tanto che Ash l’aveva cacciato di casa. Ovviamente aveva bussato alla mia porta, facendo del mio salotto un ufficio e della mai cucina una mensa da cui entravano e uscivano persone mai viste.

Collaboratori, diceva lui.

Ariel si rifiutava di mettere piede in casa quando Pete era nei paraggi o in alternativa si chiudeva in camera fingendo di studiare.

Io d’altro canto fingendo di essere in missione per il capo passato tutto il mio tempo da Ryro. Ci aspettava un periodo piuttosto difficile e volevamo sfruttare quel momento di calma, si fa per dire, per stare insieme.

Non parlavamo nemmeno tanto, Ryro diceva che avevamo speso anni della nostra vita a raccontarci cose inutili e che per quei giorni l’unica cosa che gli andava a genio di fare era sesso.

Tanto, troppo.

“Dobbiamo rifarci.” Diceva.

La realtà era sola una, ovvero lui era un fissato col sesso. Insomma passavamo più tempo svestiti che vestiti, più tempo a succhiarci la faccia invece che parlare.

Ovviamente su questo punto non avevo lamentele da fare.

Ci sarebbe stato comunque il tempo di parlare, almeno pensavo che tutta una vita potesse bastare per tutte le parole del mondo.

Dicevo, la sera del 28 Ryro mi portò alla sala prove. Era abbastanza inquietante perché dovunque mi girassi c’erano le facce e gli occhialini tondi dei Beatles.

Loro, però l’adoravano.

Suonarono qualche cover e poi fecero alcune canzoni che avevo espressamente richiesto.

 alcuni testi dei Young Veins avevo ritrovato le nostre sensazioni. Alcune le sentivo mie, altre no, ma era come se Ryro avesse pensato a noi mentre le scriveva.

Non osavo chiederlo. Non perché non avessi abbastanza sfacciataggine, quella certamente non mi mancava, ma perché non avrei mai ottenuto risposta.  

Lui era così, totalmente geloso dei suoi pensieri e delle sue sensazioni, anche quando questi coincidevano perfettamente con i miei.

“Resti a dormire sta notte?” mi chiese mentre riponeva la chitarra nella sua custodia rigida con particolare cura.

Negai, assumendo un broncio. “Non posso, devo tornare.” Dissi, mentre lui si irrigidiva un po’, sorridendo.

Conoscevo i suoi sorrisi come le mie tasche. Quello aveva una pieghetta falsa. “Okay. Allora ci becchiamo sull’aereo.” Poi si bloccò. “perché tu prendi l’aereo, vero?”

Io risi, alzandomi dal divanetto per raggiungerlo e stringergli la vita con le braccia.

“Stesso orario, stesso aeroporto, stesso aereo. Tranquillo.” Assicurai.

“Sono contento che Wentz ha escluso il meraviglioso viaggio in Tuor bus per i suoi pupilli.”  Borbottò sarcastico.

“Era molto combattuto per questo, ma invece di metterci ore ci avremmo messo giorni.”

Riuscii a farlo ridere e facendo pressione si rigirò nel mio abbraccio, fino ad avere i suoi caldi occhi nocciola puntati nei miei.

“Abbi pazienza.” Mormorai, baciandogli la punta del naso. “Presto glielo dirò.”

Ryro mi ricalcò il profilo con un dito e sospirò. “Ti ho detto io di aspettare, lo so, ma è più dura di quanto credessi.”

Non gli risposi e mi accoccolai sulla sua spalla, finchè lui non una carezza non mi richiamò, facendo scontrare piano le nostre labbra, per poi mordicchiarle dolcemente.

“Che ne dici di dimezzare i tempi?” domandai, alzando un sopraciglio malizioso.

“E cioè?”

“Invece di tornare a casa, facciamolo qui.” Spiegai e ammiccai al divanetto dove fui spinto senza nemmeno riuscire a finire la frase.

Ridacchiai mentre me lo ritrovavo a cavalcioni sul bacino intendo a togliermi la felpa il più velocemente possibile, accanendosi contro la zip. Gli morsi la clavicola giocosamente mentre la sua camicia veniva aperta lentamente, bottone dopo bottone, solo per riuscire a vedere la sua reazione impaziente. Me lo tirai contro, fasciandogli le natiche coperte dal tessuto liscio del pantalone scuro, con le mani e... la porta si aprì di scatto.

Lui bestemmiò, appoggiando per un attimo la fronte sulla mia prima, di girarsi verso la causa di quella interruzione.

“Cosa vuoi, Nick?”

L’interpellato ridacchiò, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.

“Non ti ho detto d’entrare!” ringhiò, scivolando seduto al mio fianco.

“Mi hai chiesto cosa volevo e io volevo entrare.” Rispose semplicemente. “Oh ciao Brendon.” Aggiunse con un sorriso. Io ricambiai, ripescando la felpa che era caduta a terra e infilandola, mentre Ryro si abbottonava i pochi bottoni che ero riuscito a sganciare.

“Bene i convenevoli sono finiti, ora fai quello che devi fare e vattene.”  Disse Ryan, guardandolo malissimo.

“Vorrei fare due chiacchiere con Brend se non ti dispiace.” Ribattè lui sedendosi davanti alla sua tastiera.

“Ovvio che mi dispiace mi stai dicendo di andarmene!” borbottò Ryan.

“Si tratta solo di pochi minuti.” 

Ryro mi fissò un attimo, come in cerca d’aiuto. “Credo anche io che sia ora di fare due chiacchiere con Nick.” Commentai, sorridendogli. Lui, per nulla contento, afferrò il suo cappotto e dopo un “Ti aspetto fuori.” Uscì.

Nick si voltò verso di me sorridendomi, riuscendo a mettermi a disagio.

Non avevo un gran rapporto con lui.

Non avevamo nemmeno intrapreso una seria conversazione o parlato mai di stupidate.

“Così, state insieme.” Esclamò, allargando il suo sorriso. Io annuii cominciando a dondolare sul posto, evitando accuratamente il suo sguardo. “sei fortunato ad avere il suo amore, lo sai questo?”

Mi voltai per fissare i suoi occhi, che avevano addosso una malinconia da straziare il cuore.

“Sì lo so.” Risposi solamente.

“Certo non è l’uomo migliore del mondo, ma ha i suoi pregi.” Continuò. “ma non sono quelli che mi hanno fatto innamorare di lui.” mi chiesi come faceva a sembrare così sereno, nonostante la delusione. “volevo farti sapere che per me sarà difficile vederlo solo come amico. Almeno per ora.”

“Non voglio che tu ti sforzi di fare una cosa che è impossibile da compiere. E non mi da assolutamente fastidio. ” Ribattei io, cercando di sorridergli. “solo ecco, non stargli troppo appiccicato come negli ultimi tempi ecco… lì probabilmente mi darebbe molto fastidio.”  Conclusi e lui rise annuendo.

“Lui è felice con te.” commentò, sedendosi vicino a me. “ e questo mi basta. Non ti avrei reso la vita facile se lui fosse stato solo una povera donzella innamorata, ma infelice.”

E non so perché, l’immagine di Ryan, vestito di abiti femminili vittoriani, si focalizzò nel mio cervello.

Dio, l’avrei preso in giro a vita.

 

 

 

Ryan pov

Aspettai Brendon e Nick per una mezz’oretta buona, fuori al freddo.

Non ero preoccupato di quello che il mio tastierista aveva da dirgli, ero solo dannatamente curioso, tanto che mi prudevano le mani.

Quando misero piede in strada, erano intenti in una conversazione fitta, fitta. Li osservai dal mio angolino, sotto al lampione con le braccia incrociate e il piede che batteva insistentemente sull’asfalto.

“Questione di pochi minuti?!” feci il verso a Nick, che si guadagnò la mia peggior occhiata perforante.

“Avevamo più cose da dirci del previsto!” rispose Brendon, scambiandosi un fottutissimo sguardo d’intesa con White.

Mi davano sui nervi.

“Avete finito di fare le comari?” sbottai accostandomi a Brendon per tirarlo più vicino, afferrandogli la manica della felpa.

“Donna Ryan si sta infuriando. Mi conviene scappare.” Esclamò Nick. “Ci si vede domani!” e salutandoci con un veloce gesto della mano si diresse verso la sua auto.

Rimasti soli, lanciai uno sguardo indagatore su Brendon che ancora salutava Nick, agitando il braccio. “Cosa vi siete detti di così importante?” domandai, calcando pesantemente sull’ultima parola.

“Nulla di che, un po’ di questo, un po’ di quello…” borbottò lui, senza levarsi quel sorrisetto furbo dal viso. “senti posso dire a Ariel che ritardo, così possiamo parlare con tutta calma a casa tua.” Si affrettò a cambiare argomento.

Ce la misi tutta per fargli estorcere mezza parola, ma la verità fu che non mi lasciò fare alcuna domanda e io mi dimenticai presto di farle.

Mi trascinò quasi correndo nella mia stanza, ignorando gli abbai insistenti di Hobo. Mi attirò a sé per un veloce bacio prima di avventarsi sul cappotto e sfilarlo velocemente, facendo lo stesso con il suo. Mi afferrò il viso, tornando a premere le sue labbra piene sulla mie e le baciò appassionatamente finchè non ci staccammo per la mancanza d’aria dei polmoni.

Poi il suo cellulare squillò e dovette darsi un minimo di contegno prima di rispondere, ancora lievemente affannato.

“Dimmi tesoro.” Disse, cosa che mi fece alzare gli occhi al soffitto dalla frustrazione.

Tesoro?

Sul serio o stava scherzando?

“Ehm sai i ragazzi volevano chiacchierare un’altro po’. Sì, tranquillo torno appena posso. No, non ti preoccupare non sarò stanco. Va bene, buona notte!”

Agganciò, spegnendolo successivamente.

“Qual era la scusa, questa volta?” chiesi, sedendomi al bordo del letto, togliendomi anche la giacca del completo.

“Vecchi compagni di scuola.” Mi rispose, levandosi la felpa.

Durante quei pochi secondi ero davvero deciso a mandarlo via, farlo tornare dal suo Ariel che sembrava tanto premuroso, quanto vomitevole.

Però la sola idea di vederlo assieme a lui, in un letto ad accarezzare e bramare il corpo di Brendon mi diede alla testa.

Avevo addosso un desiderio di possessione che non mi era mai appartenuto.

Mi alzai di scatto e lo attirai a me per i passanti dei Jeans stretti che portava, mentre lui sorrideva tutto contento di quella palese gelosia e possessione che proprio non riuscivo a nascondere.

Volevo stupidamente urlare e affermare al mondo intero che era mio, solo mio. Corpo e anima, solo e unicamente mio.

L’amore rende così sciocchi?

Ci spogliammo freneticamente, senza dar peso agli abiti buttati a caso per la stanza e solo quando fummo senza nulla addosso, Brendon mi spinse verso il letto, dove caddi disteso.

Sollevai un sopraciglio, curioso di vedere la sua prossima mossa.

Mi guardò per quelli che mi sembrarono minuti interi, totalmente ammaliato dal suo sguardo caldo e sfacciato.

Nei momenti che passavo con lui avevo la capacità di ridurmi a pensare come una dannata donna. E me ne vergognavo tantissimo.

Sollevai le ginocchia, aprendo lievemente le cosce, squadrandolo quasi con sfida.

Mi piaceva provocarlo, mi piaceva guardarlo mentre perdeva ogni controllo, mordendosi le labbra e lanciando scintille di pure passione da quei occhi color carbone.

Sì avvicinò velocemente, facendosi spazio su di me, per afferrarmi il collo e baciarmi fino a perdere il fiato. Alternava sorrisi a parole sconnesse, e provocanti baci a fior di labbra che non facevano altro che pretendere di più.

Mi strinse le braccia attorno al busto, attirandomi più vicino, finchè anche il minimo spazio tra noi fu coperto ed entrò dentro di me con una lentezza tale da farmi gemere di frustrazione e desiderio.

Anche Ariel diventava di burro fra le sue braccia?

Anche Ariel pregava per aver di più?

Con lui era così appassionato, così coinvolto come lo era con me?

Ero arrivato alla folle conclusione che se fosse stato possibile avrei addirittura ucciso per la gelosia che mi scorreva dentro le vene.

A volte era talmente forte da superare l’amore che provavo per Brendon e mi portava a pensare cose che mai mi sarei immaginato di pensare.

Brendon mi lanciò uno sguardo interrogativo, ansimando lievemente sul mio viso.

“Cosa c’è?”

Deglutii, prima di sorridere e negare con il capo. “Nulla.” Gli passai una mano fra le ciocche sudate, tirando leggermente per far si che continuasse con i suoi movimenti. Furono lenti, più lenti del solito e i suoi occhi che non facevano che parlarmi, che confessare l’amore che sentivo che provava per me.

Era difficile tenere fra due mura un sentimento tanto forte. E nonostante fossero cemento erano piene di crepe ed era diventato impossibile sorreggere e proteggere quello che provavamo io e Brendon, che smaniava, urlava di voler uscire allo scoperto.

Era normale, no?

Era lecito.

Perché nascondere una cosa tanto bella?

Per uno stupido ragazzino, per evitare di farlo piangere, farlo star male.

Non mi rimaneva altro che darmi dello stupido da solo. A volte dimenticavo che la colpa di tutta quella storia era solo mia.

Cercai di non pensare più per quella notte e godermi ancora una volta il suo calore e il suo abbraccio, gemendo e graffiando la pelle di Brendon, urlando per farmi sentire, baciando le sue labbra schiuse in un lamento di piacere.

Dovevo pazientare ancora un poco, per essere veramente felice.

 

 

 

 

*****

 

 

Grazie, davvero, per tutti quelli che hanno letto lo scorso capitolo e soprattutto chi ha commentato! Ovvero  B_Lady e  Annabellee, oramai siete di casa per questa fic *_*

Scusate se domenica scorsa non ho aggiornato ma ho avuto diversi impegni e problemi vari…! Okay ora vi lascio!

Al prossimo capitolo!

E per favore, lasciatemi un pensiero, anche solo per sapere se vi è piaciuta =) grazie =)

 

Grè <3

  
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