Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: Kagome_86    31/01/2011    11 recensioni
Questa shot costituisce un "missing moment" di un'altra mia storia, che è Broken Hearts. Ciononostante, può essere letta come storia a sé stante, essendo piuttosto slegata da quella che è la trama principale.
Citazione dal testo:
Cinque anni e qualche mese.
Era questo il pensiero che riempiva la testa di Leah Clearwater mentre saliva sull’auto di suo fratello. Tornava a casa dopo cinque anni e qualche mese. Aveva i capelli corti, all’epoca, e fuggiva da se stessa.
La mano trovò la lunga treccia che le scendeva sulla spalla, mentre pensava che probabilmente i capelli li avrebbe dovuti tagliare di nuovo, ma decise che non le importava più di tanto. Non le importava, perché sapeva che la Leah che aveva lasciato La Push cinque anni e qualche mese prima non era la stessa che vi stava facendo ritorno.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Leah Clearweater
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
- Questa storia fa parte della serie 'Broken Hearts' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Una piccola introduzione prima di lasciarvi alla storia. Questa piccola shot costituisce un missing moment di una delle mie storie, Broken Hearts, e alla fine si ricollega anche a dei personaggi presenti nel seguito della stessa storia, che è Broken Hearts - Longing For.
Ciononostante, potete tranquillamente leggerla come una shot a sé stante, è piuttosto slegata dal resto.

Dedicata a chi istiga la mia fantasia al lavoro, e a chi mi fa leggere cose oscene costringendomi a metterci una pezza.

Cinque anni e qualche mese

Cinque anni e qualche mese.
Era questo il pensiero che riempiva la testa di Leah Clearwater mentre saliva sull’auto di suo fratello. Tornava a casa dopo cinque anni e qualche mese. Aveva i capelli corti, all’epoca, e fuggiva da se stessa.
La mano trovò la lunga treccia che le scendeva sulla spalla, mentre pensava che probabilmente i capelli li avrebbe dovuti tagliare di nuovo, ma decise che non le importava più di tanto. Non le importava, perché sapeva che la Leah che aveva lasciato La Push cinque anni e qualche mese prima non era la stessa che vi stava facendo ritorno.
Quella era una Leah spezzata, tradita, confusa. Innamorata di un uomo che aveva smesso di amarla da tempo in risposta ad una magia alla quale non era possibile resistere.
La Leah che tornava a casa riusciva a sorridere alla vita, a sperare in un futuro che non la vedesse più soffrire. Riusciva a sperare in un amore che le desse tutto quello che aveva sempre desiderato: due braccia che la stringessero e la facessero sentire al sicuro, due occhi che la accarezzassero facendola sentire bella, una bocca che le sfiorasse le labbra e pronunciasse parole che la rendessero felice e commossa. Ma non voleva solo questo, voleva un compagno con cui scherzare, litigare e confrontarsi. Si rendeva conto che a venticinque anni aveva ancora i desideri di una quindicenne che sperava nel principe azzurro, ma non poteva farci niente. Era ciò che voleva.
«Leah, mi hai sentito?»
Seth l’aveva riscossa dai suoi pensieri, riportandola sulla terraferma. Anzi, in un’auto che la stava riportando a casa.
«No, non ti ascoltavo. Scusami». Seth rise, una risata sincera, pura, la sua solita risata, sebbene lei si fosse accorta che suo fratello era cambiato. Era cresciuto, ed era ovvio che l’avesse fatto. L’aveva lasciato che aveva sedici anni da poco, lo ritrovava che ne aveva quasi ventidue. I suoi occhi avevano perso la luce fanciullesca che li riempiva quando se ne era andata. Era diventato un uomo, il suo fratellino, e aveva anche avuto l’imprinting, con la bambina che Jacob aveva avuto da Bella.
Una bambina che lei ancora non aveva mai visto.
Sintonizzandosi sulla stessa frequenza di suo fratello, e ascoltandolo parlare, le sembrò di averla di fronte a lei. Una piccola peste di quasi sette anni, con gli occhi neri e lunghi boccoli dello stesso colore che le incorniciavano il viso di una carnagione di porcellana.
«Quando la conoscerò?» gli chiese, sorridendo dell’imprinting. La nuova Leah sorrideva, pensando all’imprinting. La nuova Leah riteneva che l’imprinting non fosse malvagio, ma solo una cosa che ti faceva trovare la persona giusta senza bisogno di cercarla troppo. E suo fratello era felice, gli occhi gli ridevano quando parlava di lei, e quando l’aveva lasciato c’era ancora l’ombra della morte del padre.
«Spero presto. Sono convinto che l’adorerai, e che lei adorerà te».

Era andata esattamente così, amore a prima vista, con quella bambina che a sette anni teneva testa a Jacob e a Seth, neanche l’imprinting l’avesse avuto anche lei.
Sarah, per conto suo, si era davvero affezionata a lei, nonostante le tante zie che aveva. Sentiva di avere un posto speciale nel suo cuore, come se la considerasse un gradino superiore alle altre. E sapeva che non era solo per il fatto che fosse la sorella di Seth. Sarah le voleva bene perché lei era Leah.

Dopo un paio di settimane dal ritorno, Leah si trovò a fare i conti con il fatto che era sì tornata a casa, ma che non aveva nessuna voglia di stare a casa di sua madre per tutto il tempo. Non era mai stata con le mani in mano, per tutti i cinque anni e qualche mese in cui era stata lontana da La Push. Dopo il primo periodo nel nord della California, quel periodo che aveva passato con Denise e con suo nipote, quando compariva per qualche sporadica visita, alla ricerca di se stessa, aveva sempre avuto un lavoro per sostentarsi. Aveva fatto di tutto: la bracciante nei campi di grano dell’Iowa, la cassiera in un supermercato del Wyoming e la donna delle pulizie in South Dakota. Aveva girato gli Stati Uniti in lungo e in largo alla ricerca di notizie che potessero chiarirle la sua situazione di donna del branco. Era entrata a far parte delle tribù che aveva visitato, aveva imparato le loro lingue e aveva fatto in modo che si fidassero di lei, tanto da svelarle le loro leggende più segrete. Molte di esse erano simili a quelle che aveva ascoltato fin da quando era una bambina, e molte altre coinvolgevano animali diversi dai lupi, ed erano molto più approfondite. Aveva riempito quaderni interi, con quelle storie, scrivendole dopo averle imparate a memoria fin nei minimi particolari. Alcuni anziani le avevano regalato libri che appartenevano alle loro tribù da secoli. Si era sentita quasi una ladra, appropriandosene, e l’aveva fatto presente a chi le aveva proposto il regalo. La risposta era stata: “servono più a te, che sei alla ricerca, che a noi. Ti auguro di trovare quello che cerchi”. Non c’era stato modo di far cambiare idea all’anziano, perciò aveva accettato il dono, commovendosi per la gentilezza.
A questo pensava, mentre cerchiava con un pennarello rosso tutte le proposte di lavoro che le sembravano accettabili.

La proposta di Jacob era giunta come un fulmine a ciel sereno. Stava giocando con i suoi figli, quei due adorabili chiacchieroni ai quali ogni tanto si offriva di fare da babysitter, quando non ne poteva più di stare a casa con sua madre e Charlie, e Jake le si era avvicinato.
«Leah?»
«Dimmi, Jake»
«Ti andrebbe di darmi una mano in officina?»
«Jake, non capisco niente di motori e affini. Lo sai!»
«No, beh… per quello… per quello c’è Embry a darmi una mano, ogni tanto. No… mi chiedevo… vorresti farmi da contabile?»
«Contabile?»
«Sì, sai… tenere i conti. Le entrate e le uscite, fare gli ordini, tenere i contatti con i fornitori»
«Non le fai da solo queste cose?»
«Sì, ma ricordi che mi davi ripetizioni di matematica e che non sono mai stato… come dire… un campione dell’ordine?»
Leah rise, e accettò il lavoro, nonostante tutte le precisazioni di Jake sul fatto che la paga sarebbe stata un po’ povera, almeno per i primi tempi. Accettò, perché Jake era un caro amico, e perché si sentiva in debito con lui. Perché se aveva ritrovato se stessa era anche merito suo, perché era stato lui a permetterle di fuggire, per farla tornare solo quando si fosse sentita pronta.
Si era pentita solo una volta, nel momento in cui era entrata nello stanzino delle scope che Jake si ostinava a chiamare “ufficio”. Ma si era ripresa subito.
Aveva preteso una scrivania e una sedia, e si era messa a fare ordine nelle fatture di Jake. Più tardi erano arrivati anche un computer, di seconda mano, che Charlie aveva messo loro a disposizione, e una stampante, che Seth le aveva regalato per il compleanno.
Aveva imparato che quello che Jake chiamava “ogni tanto” era la presenza costante, e quasi gratuita, di Embry nell’officina. Non avrebbe mai creduto che Embry fosse così generoso, anche se doveva immaginare che per quello che riteneva quasi un “fratello” avrebbe fatto qualsiasi cosa. Jake, oltretutto, aveva salvato anche il rapporto di Embry con la madre. Beh, lui e Quil. Lo coprivano a turno, quando Embry aveva i suoi turni di ronda.
L’aveva sempre visto come quello strafottente, quello che se ne fregava degli altri e di quello che potevano pensare, quello che faceva di testa sua, quello scanzonato e leggero. Quello spensierato.
Aveva lasciato un ragazzo e ritrovava un uomo. Un uomo generoso, appassionato e dedito agli altri. O forse era lei a guardarlo con occhi diversi. Anche se… ogni volta che le si avvicinava diceva sempre qualcosa che per un motivo o per un altro la portava ad arrabbiarsi. E a non rivolgergli la parola per giorni.

Erano andati avanti così, per tre anni. Fino al giorno in cui lui le aveva chiesto di uscire, con la faccia più seria che gli avesse mai visto. Lei era rimasta un po’ basita, lì per lì, poi gli era scoppiata a ridere in faccia, riuscendo a rispondergli, tra un accesso di risate e l’altro, qualcosa come “Io e te? Uscire? Insieme?”.
Embry aveva cambiato espressione, l’aveva guardata un po’ incazzato e le aveva voltato le spalle. Quella volta, era stato lui a non parlarle per giorni.
In quei giorni, aveva capito che Embry era diventato una parte importante della sua vita. Il vuoto che sentiva ripensando alle loro litigate non era solo dovuto al fatto che senza di lui a gironzolarle intorno nell’officina si annoiava. Sì, magari era anche per quello, ma c’era qualcosa di più. Lei amava litigare con Embry, perché lui era spiritoso, energico, e metteva passione nel difendere le sue opinioni. Per la proprietà transitiva doveva ammettere che quel buco che sentiva nel petto significava che probabilmente stava iniziando a provare qualcosa di più per quel ragazzone scanzonato di ventitré anni.

Quando Embry le aveva chiesto di nuovo di uscire, beh… lei non se l’era certo fatto ripetere due volte. Aveva capito che con lui valeva la pena provare, se non altro per mettere in pace il suo cervello con il suo stupido cuore, che una volta che aveva preso consapevolezza dei suoi stupidi sentimenti non voleva fare a meno di battere più velocemente, ogni volta che lui le si avvicinava. Si sentiva una ragazzina alla prima cotta. Una quindicenne alla prima cotta.
E lei la sua prima cotta se l’era quasi sposata. Quindi… forse era il caso di dare retta al suo stupido cuore e a quegli stupidi sentimenti. La frenava il fatto che lui fosse un altro membro del branco, e la paura che potesse avere l’imprinting con qualcuna che non era lei… beh, era rimasta scottata una volta, la seconda sarebbe stata decisamente troppo.
Embry si era comportato da perfetto cavaliere per tutto il loro primo appuntamento. L’aveva corteggiata, vezzeggiata. L’aveva anche fatta arrossire per i complimenti. E l’aveva accompagnata fin sotto il portico di casa sua. La casa che aveva comprato qualche mese prima, quando finalmente aveva avuto abbastanza denaro da parte per potersi permettere di lasciare casa di sua madre. E di Charlie.
Si era aspettata un bacio della buonanotte da sogno, e forse l’avrebbe anche invitato ad entrare. O forse no, non avrebbe voluto fare la figura di quella che…
Ma lui l’aveva sorpresa, con un bacio sulla fronte e un sorriso che l’aveva stordita. Entrando in casa ammise con se stessa di essere rimasta un po’ delusa dalla decisione del ragazzo, ma ripensandoci nei giorni successivi aveva dovuto ammettere che probabilmente Embry l’aveva capita più di quanto lei stessa non volesse ammettere. Era rimasta scottata una volta, e fare le cose di corsa, bruciare le tappe, non le avrebbe fatto bene.

Il primo bacio era arrivato, inatteso, un pomeriggio in cui all’officina erano rimasti solo loro due. Jake era andato a un colloquio genitori – insegnanti alla scuola dei gemelli, e Embry doveva finire un lavoro. Lei si era offerta di fargli compagnia, perché voleva stare con lui, nonostante non gli sarebbe stata di nessun aiuto. Era nell’ufficio a riordinare delle fatture, quando lui era entrato e l’aveva guardata così intensamente da darle la sensazione di essere la donna più bella del mondo.
Si era avvicinato con una goffaggine che contrastava con quello sguardo intenso e sicuro. Aveva fatto il giro della scrivania, si era abbassato per arrivare a guardarla negli occhi e l’aveva baciata. Dapprima leggero, quasi timido, poi sempre più sicuro, sentendo la sua risposta entusiasta. Gli aveva circondato il collo con le braccia e l’aveva attratto a sé. Lui l’aveva sollevata dalla sedia e l’aveva tirata contro il suo petto.
Reclamò le sue labbra, quando lui allontanò il viso dal suo, e vide un sorriso illuminargli il volto.
«Allora non ero solo io a non poterne più!»
Scese di nuovo con le labbra sulle sue, una, due, dieci, cento, mille volte. Persero la cognizione del tempo, in quello stanzino, fino a quando non si accorsero che fuori si era fatto buio.
Embry la liberò dal suo abbraccio, e la fissò a lungo, prima di parlare.
«Quindi… adesso…»
«Siamo una coppia?» gli chiese lei, completando la sua frase. Il sorriso che ricevette in cambio le fece capire che la risposta era quella giusta. Che erano una coppia, o almeno che ci avrebbero provato.

 

«E tu e papà state insieme da così tanto tempo?»
«Sì, Anna»
«E anche lo zio Seth e la zia Sarah stanno insieme da tanto tempo così?»
«No, amore mio. Lo zio Seth e la zia Sarah si sono fidanzati quando tuo fratello aveva tre anni. Quasi due anni prima che nascessi tu»
«Mi racconti anche la loro storia?»
«Un’altra sera, tesoro mio»
«Ma uffi!»
«Anna, che ti ho detto, riguardo ai capricci?»
«E va bene»
Leah Clearwater in Call si alza dal letto di sua figlia, le sistema le coperte e le dà un bacio sulla fronte. Si avvicina alla porta e spegne la luce.
«Mamma?» la richiama la sua bimba di cinque anni e qualche mese.
«Che c’è, tesoro?»
«Anche io e Joey saremo una coppia?»
Leah sorride nel buio, felice che sua figlia non possa vederla.
«Quando sarai più grande, se non avrai ancora cambiato idea, potrete essere una coppia»
«Grazie, mamma»
«Di niente, cucciola. Ora dormi!»

Sul pianerottolo, Leah ed Embry si incontrano e sorridono.
«Ti ha chiesto di Joey?»
«E a te Harry ha chiesto di July?»
Annuiscono e sorridono più intensamente.
«Saranno felici. Come noi» dice Embry, e Leah non può far altro che annuire. I suoi figli saranno felici.

   
 
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Kagome_86