Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Talia Joyce    01/02/2011    1 recensioni
-Se non ti amassi così tanto credo che ti odierei dal profondo…- confidò alla sagoma che si stava rivestendo e che intravedeva a tratti da dietro la tendina.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Aroma de cafè

AROMA DE CAFè  

http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.caffenews.it/wp-content/uploads/2008/08/caffe.jpg&imgrefurl=http://www.caffenews.it/%3Fp%3D6258&h=400&w=400&sz=30&tbnid=nG1HWw4ab5q7tM:&tbnh=124&tbnw=124&prev=/images%3Fq%3Dcaff%25C3%25A8&zoom=1&q=caff%C3%A8&hl=it&usg=__tPxtB9_9SMhxVfura-sluVDfCgc=&sa=X&ei=nD5ITZbzM4vHswbPldGSAw&ved=0CEwQ9QEwAwVeta amava l’odore del caffè.
Paradossalmente, quando sentiva il bisogno di calmarsi, prendeva la caffettiera, vi versava tre cucchiaini, non uno di più né uno di meno, di nero –nerissimo- caffè e poi, semplicemente, aspettava. Aspettava, a braccia conserte, appoggiata al muro rosso di fronte al minuscolo cucinino. 
Con gli occhi neri –nerissimi- che guardavano la caffettiera, senza realmente vederla, aspettava di sentire il tipico sfrigolio del liquido, che rapido risaliva nella caldaia, finché non sentiva nell’aria il classico aroma; dopodiché beveva. 
Beveva lentamente premurandosi di assaporare nonché di guastare ogni piccolo sorso ma, questo, non prima di aver girato il cucchiaino nella tazzina tre volte in senso orario, non una di più né una di meno.
La terapia del caffè, così la chiamava lei, che fosse dovuta all’effetto placebo o meno una cosa era certa: funzionava.
- Hai chiamato l’ambulanza, Veta?-
La risposta altro non fu che un mugugno d’assenso da parte della ragazza, le cui labbra erano troppo impegnate contro una tazzina arancione dai disegni rossi per fare altro.
- Sei piena di sangue, faresti meglio a darti una ripulita…- le suggerì saggiamente il suo interlocutore.
Veta si guardò le mani immacolate, com’era giusto che fossero dato che pochi minuti prima le aveva lavate sfregandole tre volte, non una di più né una di meno. Lentamente passò in rassegna il resto del corpo e registrò, come fosse una cosa da nulla, il fatto che la sua vestaglia da notte –verde bosco- fosse per gran parte chiazzata di rosso. Un rosso che, si ritrovò a pensare, non stonava per nulla, anzi. Dopo essersi premurata di risciacquare la tazzina e di averla messa a scolare sulla piccola superficie in marmo del lavabo, si tolse l’abito abbassando le spalline e lasciandoselo scivolare via da dosso.
- E faresti meglio anche a metterti qualcos’altro, e a far sparire quella vestaglietta…- riprese la parola il suo interlocutore che se ne stava tranquillamente seduto vicino al tavolo di legno, su una sedia di paglia con le mani impegnate a spingere sul ventre una pezza bianca che lentamente, ma irrefrenabilmente, si stava macchiando di sangue.
- Per il resto lascia tutto com’è: inventerò qualcosa…mi prenderesti le sigarette sul camino, sai, vorrei evitare sforzi inutili…- continuò lui pacato.
- E allora non fumare- fu l’acida risposta della ragazza che, ancora nuda, aveva raccolto la vestaglia e, diversamente da quanto le era stato consigliato, l’aveva appoggiata in un angolo tra tele e colori.
- Sei ancora arrabbiata con me, Veta? Dovrei essere io quello arrabbiato...sono io quello con la pancia squarciata…- le fece notare lui senza perdere la calma.
- Chi è causa del suo mal pianga se stesso…- rispose lei guardandolo di traverso con quei suoi dannati occhi, talmente neri da rendere impossibile individuarne l’iride.
- Potrei dirti lo stesso guardandoti mentre te ne stai, al fresco, dietro le sbarre…- fu la pronta risposta dell’uomo che condì le sue parole con un ghigno di sfida.
- Spero tu muoia!- gli augurò lei con tutto l’astio possibile scagliandogli contro quel suo dannatissimo pacchetto di Malboro Rosse.
- L’accendino!- gli ricordò lui prendendo al volo il pacchetto con una mano mentre l’altra era occupata a tamponare la ferita. – E poi, se continui ad offrirmi sigarette e a darmi coltellate prima o poi il tuo augurio si avvererà, sta tranquilla, sei sulla buona strada…- la informò guardandola di sbieco mentre era intento ad accendersi la sigaretta che penzolava tra le sue labbra.
- Di un po’…a cosa devo il silenzio di tre settimane ed il conseguente tentato omicidio?- chiese lui curioso, dopo un paio di tiri.
Veta nel frattempo, del tutto incurante della sua nudità e per nulla intenzionata a curarsene, aveva preso a ripulire la caffettiera e così, se ne stava lì, davanti al lavandino dando le spalle all’uomo, al suo uomo, con i lunghi, lunghissimi, capelli neri, nerissimi, che oscillavano ritmicamente ad ogni suo movimento, lasciando intravedere lembi di pelle scura.
- Dal momento che sono vivo gradirei, gentilmente, essere degnato di attenzione…- disse lui spegnendo la sigaretta sul tavolo.
- Così mi rovini il tavolo!- esclamò lei indignata dirigendosi a falciate verso l’uomo con tutta l’intenzione di colpirlo, intenzione che scemò alla vista del panno bianco chiazzato di rosso che l’uomo stringeva al ventre.
- Così mi dai retta!- rispose lui a tono con un sorrisino snervante stampato in faccia. – Allora, a cosa devo le tre coltellate -non una di meno né una di più- al mio petto?- chiese ancora con sincera curiosità.
- Marta - fu la bisillabica risposta.
- Marta?- ripetè lui del tutto spaesato, tutto si era aspettato meno che quello, ma infondo molte erano le cose che la mente di Veta elaborava senza che lui le comprendesse, di cosa ancora si stupiva?
- Marta Toleda de Mendoza- gli specificò lei rendendogli chiaro di chi stessero parlando, per poi minacciarlo con un – Non negare- detto con un tono talmente roco e con gli occhi talmente strizzati da far paura. Mai come in quel momento Veta gli era parsa brutta, a tratti, animalesca.
- Cosa non dovrei negare?- chiese lui cercando di non pensare a quanto quegli occhi, di cui si era innamorato fin dal primo momento in cui li aveva scorti tra il pubblico di un suo concerto, brillassero di astio.
- Che tu mi hai tradita con quella puttanella!- sputò lei liberandosi finalmente da quel peso che si trascinava dietro da quelle che ormai erano tre settimane. Aveva urlato quelle parole talmente forte che la sua voce a tratti aveva perso l’intonazione, il silenzio che era seguito era stato così denso che Veta, sotto lo sguardo stranito del suo interlocutore, aveva disteso una mano per provare toccarlo.
- La mia amica, il mio uomo, alla mia mostra…- mormorò lei pacata più a se stessa che al suo uomo, calcando l’accento sui tre “mia”. Ripetè la cantilena per altre due volte, così da fare tre in tutto –non uno di più né uno di meno.
- Veta, non è successo nulla- provò a tranquillizzarla lui con voce vellutata.
- L’hai guardata-  gli rinfacciò girando la testa di scatto e riprendendo i suoi toni irati.
- Veta, tutto questo è assur…-
- L’hai guardata, come hai guardato me la prima volta che ci siamo incontrati, me ne sono accort…-
- E tu hai costruito tutta questa storia su uno sguardo?- la interruppe lui a sua volta, cercando di dare un taglio logico a tutto quell’assurdo discorso.
- Chi s’innamora a prima vista, tradisce con uno sguardo- sentenziò lei velenosa passandosi una mano tra i capelli per portarli indietro, poi pose una mano sul fianco sinistro e  gli scoccò uno sguardo, come se lo stesse sfidando a contraddire l’assoluta veridicità di quelle parole. Dopo alcuni minuti, nel più totale dei silenzi, si voltò e si diresse nella stanza adiacente.
La camera da letto era separata dalla cucina attraverso una tendina di perline che, alla giusta ora, i raggi del sole colpivano facendo brillare tutta la stanza.
Ma, quella tendina, oltre a lasciar passare i raggi del sole, lasciava passare anche e soprattutto gli sguardi, tant’è vero che Veta in quel momento, attraverso quella stessa tendina, stava continuando a squadrare il suo uomo ed il suo uomo ricambiava a fissandola rassegnato.
- Se non ti amassi credo che ti odierei dal profondo…- confidò alla sagoma che si stava rivestendo e che intravedeva a tratti da dietro la tendina.
Una qualsiasi risposta da parte di Veta fu evitata dal bussare insistente alla porta d’ingresso.
Toc. Toc. Due colpi secchi seguiti a breve distanza da altri quattro. Poi vide il suo interlocutore alzarsi a fatica e dirigersi zoppicando verso la porta per aprirla.
- Cos’è successo?- sentì chiedere da un uomo che doveva essere sicuramente uno dei paramedici che aveva chiamato.
- Un litigio con un amico del bar, alle volte il rum può causare non pochi danni…-  spiegò lui cercando di risultare il più naturale possibile.
- C’è qualcun altro in casa? È solo?- chiese il paramedico sporgendosi per dare un occhiata all’interno.
- Si, perché?-
Sentì rispondere Veta che, con prontezza si era nascosta dietro la parete, in modo da non essere vista ma da poter continuare ad ascoltare la conversazione in corso.
- Bhè vorrei tanto offrirvi qualcosa ma credo che prima dovreste mettermi un po’ di punti…- ironizzò l’uomo ferito riportando l’attenzione del paramedico su di se.
- Javier, Carlos aiutatelo a scendere, andiamo, portiamolo in ospedale: i tagli non mi sembrano gravi ma la prudenza non è mai troppa…- rispose solerte il paramedico dopo aver dato uno sguardo veloce alle ferite.
La porta che sbatteva e la sirena spiegata diedero a Veta la conferma di essere rimasta sola. Lentamente uscì dalla sua stanza con indosso un abitino turchese e, desiderosa di non pensare più, si sedette sul suo solito sgabello in legno, davanti ad una tela verde, già precedentemente colorata. Prese il rosso. Il suo unico problema al momento era che, nonostante mischiasse e rimischiasse il colore, proprio non riusciva ad ottenere quell’esatta sfumatura che cercava. Quella stessa sfumatura di rosso che aveva chiazzato il suo vestito quella notte. Poi, il suo sguardo, si posò sul coltello che giaceva al suolo a pochi, pochissimi, metri di distanza. Fece tre passi, non uno di più né uno di meno, e pensò che, forse, il suo problema poteva dirsi risolto


*Lakme’s place*
Ok, tutto ciò non ha molto senso, però mi è venuta così, anzi, sembra quasi che questa storia si sia scritta da se. Per il momento ho optato per una one-shot ma sono indecisa se lasciarla così o darle un seguito, è tutto da vedere. Bhè, questo è tutto, passo e chiudo!

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Talia Joyce