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Autore: Asuka Soryu Langley    02/02/2011    0 recensioni
Morire, che strana parola usiamo per esprimere il tasso di sofferenza, “sto per morire” oppure “mi sento morire” che senso ha? La morte non è altro che la pace assoluta dopotutto. Quello che viene prima, quello si che si potrebbe definire sofferenza, il vivere è sofferenza, non è più corretto forse dire “mi sento come se stessi per Vivere” ? Io lo trovo decisamente più appropriato.
In fondo non avrei motivo per dire mi sento di morire, non sono mai veramente stata cosi bene per poterlo dire, sono stata bene abbastanza per desiderare di morire in quell'istante, cosi che tutto si fermasse in quel modo. Ma mai ho detto mi sento di morire.
In fondo non vorrei nemmeno dirlo, mi sento di vivere è decisamente più teatrale e adatto a me.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Com'è vivere?

Qualcosa nella mia testa, ad ogni risveglio, mi chiedeva insistentemente se ero viva, e com'era vivere, e io cosa potevo rispondergli? Ignoravo il suo parlare, come mi era stato consigliato di fare fin dall'età di sei anni, “ignorali, non sono reali” ma questa frase la ripeteva a pappagallo anche la vocina che sentivo, chi dei due mondi avesse ragione, io non lo sapevo.

Sassi, i sassi erano molto simili a me, non parlavo, non dialogavo ne interagivo con il mondo, a mala pena mi muovevo, non mi nutrivo, ne pensavo a me, in alcun modo. Quella domanda mi tormentava veramente, com'è vivere?

Com'era farlo? Io lo facevo poi? era vivere anche rimanere seduti su quel letto sfatto dalla mattina alla sera, era vivere guardando il tuo piatto vuoto. Era vivere, insomma il non vivere lo era?

Era impossibile, pensare di vivere, che fosse vivere, in quella cella asettica, in quel modo asettico. Lo sguardo indagatore del custode di questo pazzo pazzo mondo, mille celle come le mie, mille anime come le mie, e loro vivevano? La solita giornata, il solito mondo differente per ogni anima, e caramelle colorate per tutti, caramelle, già cosi ci dicevano, ma sapevo bene che erano psicofarmaci, quelle caramelle colorate, ogni persona ne aveva tutte sue, e tutti dopo si sentivano altre persone ancora, era cambiarci, renderci uguali a loro, era questo che volevano, lo scopo di quelle caramelle.

 

Perchè volerci cambiare?
Perchè non viviamo? Perchè non viviamo? Com'è vivere?

Ancora quella voce, perchè parlava per me, perchè solo lei doveva sapersi esprimere?

Mi voltai, ancora quelle mura color bianco vomitato da chissà quale esperto imbianchino. Poi camici bianchi, camici azzurri, camici, e sotto ai camici bianchi dei vestito, i camici azzurri non avevano nessun vestito sotto ai camici, perchè?

I vestiti facevano parte del vivere, i camici azzurri non vivevano da tempo.

Da che la mia memoria ricordi non ho mai visto posti diversi da questo, ma ne ho sentito parlare dalle persone che portano i camici bianchi. Non ne parlavano a me, ma il mio udito ne aveva catturate di cose proibite.

 

Ancora quelle caramelle, quelle schifosissime pillole, una, due, tre, quante erano le mie necessità?

Un dolce sacrificio, un eterno sacrificio, era la mia vita.

E per vivere serve l'agonia, quindi io vivevo, ma la vita non è fatta solo di agonia, la vita è Quell'agonia particolare che ti fa desiderare sempre di più la vita. Un'agonia che ti fa desiderar altra agonia, come una droga.

Droga, era ciò che mi distraeva dal mondo, la droga mi distraeva dalla droga di vivere, perchè io non vivevo affatto, nemmeno sopravvivevo, forse ero solo un essere che aspettava incosciente di ricevere la sua dose, una drogata in astinenza, poiché la prima botta di droga la ricevi nel momento stesso che nasci.

 

La mamma. Chi è la mamma?
La mamma, quell'entità che ti da alla luce, la privi di un po' di vita ogni giorno, e si spegne, quant'era la luce della mamma? Si è spenta in fretta quella luce, non mi sorprende affatto, Fu portata in questo luogo perchè aspettava me, la mamma non era sposata, e io pareva fossi la figlia del demonio. Ma non importa, della mamma non ho ricordo, ne ricordo cosa provasse per me.

 

E tutte quelle persone, come me non avevano veramente niente di sbagliato, io non ero un'errore, ero esattamente come loro, un essere, un'entità umana, o forse ero solo una copia esatta del loro corpo, l'interno, il mio essere era costantemente bombardato da sostanze che lo annullavano.

Le giornate, il giorno e la notte, esistevano, ma non per noi, il ritmo del mondo era scandito da una lampadina e da dei capricci di un'inserviente che tornava sempre troppo presto a casa. E tutte quelle persone, come me, perse a loro stesse, nelle loro piccole celle, o in celle comuni, un po' a turno.

 

Com'è vivere, dunque?

 

Rimanevo muta fissando la mia porta, alle volte, quando si era nelle sale comuni, fissavo a porta “degli altri” che per noi era inaccessibile

indifferentemente da quale porta si trattasse immaginavo sempre di stare dall'altra parte, e di provar a rispondere a tale domanda, ma niente le porte erano chiuse quelle poche volte che si aprivano mi lasciavano intravedere il mondo

Mi voltai, la mia attenzione venne rapita da un gruppo di pazienti che avevano creato scompiglio picchiandosi, tutti gli infermieri erano la, a cercare di separarli, con quelle siringhe stracolme di sedativi, che metà sarebbero sicuramente bastate per stender l'intero edificio.

Scompiglio, urla e tradimento all'alto ordine, ma non importava, ne ad inquisitori ne ai carcerati. Allora mi alzai, non so cosa mi prese, ne da che forza attingevo, ma sicura mi diressi verso la Loro porta, la aprii, e del vento mi investi a fatica, dimenticandosi cosi che trà me e loro non vi era differenza se non la piccola particolarità del vivere.

Cosi vuoi vivere, com'è vivere?

 

Silenziosa, come la neve che cade d'inverno mi lasciavo quella porta alle spalle, chiudersi lenta con dentro tutto ciò che ero, il mondo fuori, il mondo dentro. Rimasi a guardare il fuori per lungo tempo, un'anima in più, una in meno, pensavo, non si sarebbero accorti di me, del fatto che mancavo all'appello, troppa confusione, ne avranno per una ventina di minuti.. com'era bello il mondo? Non lo era, non mi sembrava niente di speciale, era diverso da dentro però, e questo mi bastava

Scalza presi a camminare tra il selciato, era dolore quel camminare, un piacevolissimo dolore, credo sorrisi al mio primo dolore, sentivo i miei piedi e sentivo ciò che provavano, era meraviglioso.

È questo vivere quindi? Com'è vivere?

Ah già, ancora quella voce, di certo non poteva sparire anche quella dietro la porta bianca lucida, ero lontana da quell'edificio oramai, ma la mia malattia, insanità mentale, era rimasta. Passate ore, passati sassi alberi e un fiume, qualche casa e con rispetto pure qualche Dio, mi accovacciai sotto un grosso albero, dall'ombra estesa, era sera, e tutto attorno non c'era rumore alcuno se non il gracidare di qualche rana, il cinguettare di qualche fringuello, e il vento che si divertiva a scompigliare i capelli degli alberi, e pure i miei, corti.

 

Già stanca di vivere?

Scossi la testa, volevo solo veder se a quel mondo era possibile dormire senza assumere nulla.. e cosi fù, tale la pace, tale la quiete, che non passò nemmeno un minuto, la mia testa, cosi come il mio corpo si accasciò beatamente a terra, piano, leggera, con le foglie tutte attorno ad attutire, ed il freddo chi lo sentiva in quel pezzo di paradiso.

 

Una luce, l'indomani, una luce calda e dolce come il miele mi svegliò, non visite indiscrete di finti benefattori, solo quella luce che si illuminava, non sembrava vero, sempre un po' di più. Alzare il capo dolcemente, con una foglia ancora appiccicata in viso, il camice cartaceo quasi distrutto che lasciava intravedere il mio corpo, osseo fino all'invero simile, in un mondo alla quale io non appartenevo affatto, ma ero cosi dannatamente felice di quel nuovo mondo.

 

Cos'aveva di cosi diverso il vostro cervello dal mio? Forse il mio era cosi dannatamente sviluppato che voi, avete tentato in tutti i modi di sedarlo per tanto tempo. I pensieri quel giorno, partirono spediti come razzi, non importava a cosa pensassi, ma il fatto stesso che lo facessi era una cosa sorprendente.

Sentii abbaiare poi quel giorno, Alzai il mio fragile corpo dal suolo, ed intravidi un cane, un grosso e peloso cane bianco, sembrava una di quelle nuvole che stavano in cielo, accanto a quel cane, un ragazzo basito mi stava fissando, Forse di me per la prima volta non fu il caso clinico, ma il mio mortale corpo a stupir.

Lui senz'altro vive, com'è quindi vivere?

 

Ero nuda, davanti al mondo, e il mondo sembrò esclamare pena per me

Si avvicinò a me, togliendosi il cappotto, veloce come un fulmine, lo strinse attorno al mio corpo, e all'improvviso notai che avevo veramente freddo, un bisogno disperato di quel cappotto, se me lo avesse tolto, avrei senz'altro preso a tremar. Lo guardai negli occhi, i miei occhi, grandi e vitrei sembravano voler scavare dentro ai suoi, che erano dolci e stranamente luminosi, Non fosse che era impossibile, si poteva pensar che i miei occhi per un attimo avessero rubato l vita ai suoi, luccicando per un po', e poi giù qualcosa di bagnato sulla guancia.

   
 
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