Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: MrEvilside    02/02/2011    2 recensioni
[ seguito di "This Choking Lullaby" ]
«Tu hai mai desiderato di ripudiare la tua stessa natura, Sebastian?»
[ spoiler! sulla fine della seconda stagione ]
[ Ciel/Elizabeth ]
Genere: Dark, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'In the afterdeath'
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Terza fanfiction della serie In the afterdeath, incentrata sulla coppia Ciel/Elizabeth, formata da one-shot legate dal filo comune della stessa coppia e della stessa ambientazione: gli avvenimenti successivi alla fine della seconda stagione dell'anime. Perciò, per chi non avesse visto l'ultimo episodio della seconda stagione, questa serie è SPOILER, sia chiaro. E grosso come una casa, anche.
Unica nota: la traduzione del titolo (ispirato a Si Deus Me Relinquit, Original Soundtrack di Kuroshitsuji) è "Se il cielo mi abbandona". "Ciel" è la parola francese che corrisponde all'italiano "cielo"; nel titolo, quindi, esiste il paralellismo tra la morte di Elizabeth (Ciel l'ha abbandonata, quindi è morta di dolore) e il desiderio di pace di Ciel (se Ciel - inteso come il demone - lo abbandona, se ne starà in santa pace). Quale delle due parti sia prediletta, sceglietelo pure voi.

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Si Caelum Me Relinquit
 
«Vogliate perdonarmi il comportamento azzardato, signorino…»
Sebastian chinò il busto in avanti e allungò una mano al suo padrone, inginocchiato sul terreno sudicio di un vicolo dell’East End.
Ciel ripulì la bocca sporca di sangue sul tessuto pregiato del guanto nero che avvolgeva le proprie dita, apparentemente ignorando le parole del maggiordomo e la sua mano tesa verso di lui.
Sebastian inarcò un sopracciglio, poi riprese.
«… ma ultimamente vi comportate in modo molto strano».
Il giovane conte reagì a quell’affermazione con uno sguardo meravigliato e la fronte aggrottata. Si sfilò i guanti neri, insudiciati dallo stesso sangue che si allargava sotto il cadavere privo d’anima dinanzi il quale si trovava in ginocchio, e chiese: «Tu hai mai desiderato di ripudiare la tua stessa natura, Sebastian?»
Per un momento, il maggiordomo non rispose, colpito da quel quesito insolito, nonché dal modo di fare di Ciel, che d’improvviso gli ricordava il conte del quale aveva bramato l’anima come non era mai accaduto da quando il ragazzino era rinato demone e aveva preteso di ergersi, sciocco ed arrogante, sopra la sua libertà.
Senza comprendere appieno il motivo di quella nuova urgenza, Sebastian incurvò gli angoli della bocca nel sorriso che gli non mostrava più da molto tempo – un sorriso di cui aveva degnato soltanto il suo signore, l’umano e umile Ciel Phantomhive – e replicò: «Me ne rammarico, my lord, tuttavia non ho una risposta a questa domanda: non sono mai stato niente di diverso da un demone, non ho termini di paragone che mi permettano d’odiare o apprezzare la mia essenza».
Il giovane conte assentì col capo e, in un sussurro, convenne con lui che doveva essere vero; levatosi in piedi, spinse con un calcio i guanti accanto al corpo brutalmente squartato, si rassettò gli abiti eleganti e infilò le dita della mano destra tra i capelli scuri, nascondendo un occhio alla vista e socchiudendo il suo gemello, rosso.
«È a causa di lady Elizabeth?» osò soggiungere il maggiordomo nel porgergli il bastone da passeggio, che era stato Ciel a consegnargli poco prima, affinché non si sporcasse mentre lui si sfamava. «È per lady Elizabeth che pensate tutto ciò? Vi state forse pentendo dell’iniziale gioia che avete provato, una volta appreso di non essere morto – o, meglio, di essere resuscitato come creatura immortale?»
Il demone Ciel – senza cognome, senza passato, senz’anima – avrebbe reagito con rabbia a quella provocazione; il conte Ciel Phantomhive – orgoglioso della propria casata, che aveva dedicato il futuro al proprio passato e aveva promesso il proprio spirito ad un demone – degnò Sebastian a malapena di un’occhiata distratta.
I suoi occhi – blu – guardavano lontano, com’era stato un tempo.
«Forse hai ragione» ammise, onesto. «Forse Lizzie era quel che rimaneva della mia defunta umanità…» Quel pensiero lo rendeva sollevato e al tempo stesso furioso – con se stesso, perché non era riuscito a proteggere la sua donna dalla propria realtà neppure abbandonandola. «Ma come avrei potuto ripresentarmi a lei in queste condizioni, Sebastian? Come avrei potuto guardarla negli occhi e rivelarle il motivo per cui non porto più la benda? Come avrei potuto dirle che non l’avrei mai sposata?»
Era stupefacente come il maggiordomo fosse in grado d’apparire estremamente divertito ed estremamente serio ad un tempo.
«È un consiglio che state domandandomi, signorino?» quasi sogghignò. E, prima che il giovane conte potesse ribattere, con quel suo ridicolo fare stizzito, che non ne aveva alcun bisogno – mai menzogna fu più patetica –, riprese: «Avreste dovuto ritrovarvi prima, my lord. Se voi non vi foste perduto, lady Elizabeth Ethel Cordelia Middleford avrebbe avuto ancora una ragione per esistere».
«Questa è un’accusa, o mi sbaglio?»
Gli occhi azzurri di Ciel Phantomhive si riflettevano in quelli scarlatti di Sebastian Michaelis così come il suo sorriso dolcemente disperato era speculare al ghigno che si stava allargando sul grazioso viso del maggiordomo.
«Tutto ciò che dovete fare, signorino, è pronunciare il vostro ordine, se lo desiderate» gli ricordò Sebastian in tono cortese.
«Soltanto qualche altra domanda» sembrò quasi volerlo rassicurare, il giovane conte.
Il maggiordomo si profuse nell’inchino più profondo che mai avesse concesso ad essere umano, in parte per beffarsi di lui – che, malgrado fosse oramai un suo pari, rimaneva un mortale nella sua intimità –, in parte per celare quel delicato sorriso insanguinato che si posava sui suoi lineamenti.
«Ogni vostro desiderio verrà esaudito, my lord».
«Se non riesco del tutto a separarmi dai sentimenti umani, significa che non sono un demone completo?» volle sapere Ciel. «Significa che, malgrado Alois, sono ancora mezzo umano? Perché i demoni non provano alcun sentimento, non è così?»
«Non è esattamente come dite». Sebastian non si fece alcuno scrupolo nel metterlo a parte di quella verità: non dopo l’umiliazione subita. Al contrario, mentre pronunziava quella terribile realtà, sorrise – se possibile – ancor più di quanto già stesse facendo: «Voi siete un demone. Non avete anima, ed il vostro corpo emana il fetore di ogni altro demone. È pur vero, tuttavia, che anche noi siamo soggetti alle emozioni, in particolare a quelle maligne, naturalmente; esse hanno un effetto molto più devastante su un demone o su un angelo che su un mortale».
Il giovane conte non aveva mai espresso nessuna sensazione sulla sua nuova condizione di demone, se non – al principio – la gioia crudele dettata dalla vittoria che aveva sempre ritenuto nelle mani di Sebastian.
Da quando Elizabeth era morta, era divenuto taciturno e ancor più restio a mostrare le proprie emozioni. Restio a vivere, per meglio dire: si limitava a divorare le anime dei ladri e dei fraudolenti – spiriti di poco conto, dal sapore orribile – e si rifiutava di stipulare Contratti, mentre nei primi tempi era apparso quasi entusiasta di potersi beare delle sue capacità, pari a quelle del maggiordomo – proprio come aveva sempre segretamente desiderato.
Se dapprima era stato confuso da quei cambiamenti improvvisi, oramai Sebastian aveva compreso: Ciel non riusciva più a sostenere il peso del senso di colpa per la perdita della fidanzata.
Neppure la rivalità che in un certo senso era sempre esistita tra lui ed il suo maggiordomo – sebbene, alla fine dei conti, entrambi fossero sempre stati consapevoli che sarebbe stato Sebastian a sopraffare l’avversario – aveva potuto alleviare quella sofferenza.
Il conte Ciel Phantomhive era immensamente stanco del demone Ciel.
«L’ultima domanda» promise Ciel.
Mai il maggiordomo si sarebbe aspettato un quesito simile.
«Se è così, allora tu come hai fatto a vivere, per tutti questi secoli?»
Il giovane conte non gli diede nemmeno il tempo di capire appieno quanto aveva domandato, poiché si schiarì la gola e parlò con quella voce solenne alla quale Sebastian non poteva che sottostare. Quella sola voce che poteva soggiogare la sua volontà.
«È un ordine, Sebastian! Uccidimi».
Sebbene quanto più bramava si stesse realizzando, sebbene presto avrebbe riacquistato la propria libertà, il maggiordomo non sorrise. Un’espressione turbata, quasi, gli incrinava il viso.
«Yes, my lord».
 
«Volete davvero conoscere quella risposta, my lord?»
«Sebastian? Ero convinto…»
«Siete morto, sì. Vi ho appena ucciso. Avete ancora qualche momento, prima che cessiate del tutto di esistere. Volete udire quella risposta?»
«Ti ho posto la domanda: vorrà pur dire qualche cosa».
Sorriso rosso di sangue – o forse sorriso d’occhi cremisi?
«Ebbene, è per il profumo delle anime, signorino, che sono stato in grado di continuare a vivere. Se voi foste stato realmente un demone, sapreste che cosa voglio dire. Eppure io ve l’ho sempre ripetuto: voi siete troppo gentile per essere come me».
  
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