Incontrai il suo sguardo, quello sguardo che sempre mi aveva guardato con amore, quello sguardo che ora non era più lo stesso.
I suoi occhi erano accecati dalla rabbia. Rabbia e dolore. Forse pazzia.
Indietreggiai vedendola avvicinarsi, il suo volto contorto dall'ira.
Cosa potevo aver fatto per farla adirare così?
Indietreggiando, arrivai con le spalle al muro. La parete era fredda e il mio sguardo era probabilmente pieno d'orrore. Lei continuava a camminare verso di me, lentamente, come per assaporare la tensione del momento. Poi si avvicinò alla scrivania e ci passò la mano sopra a mezz'aria. Si fermò sulle forbici. Il panico mi diede una fitta allo stomaco.
Prese le forbici e le osservò attentamente, per poi riporle. Si girò a verso di me e i suoi capelli neri mandarono i riflessi blu che mi avevano sempre affascinato, ma ora la rendevano ai miei occhi solo più spaventosa. Si fermò davanti a me, il suo viso a qualche palmo dal mio. Respirava pesantemente. La sua bocca si aprì in un ghigno.
Cercavo disperatamente con gli occhi una via d'uscita, senza successo.
Lei portò lentamente le mani al mio collo. Strinse forte. Più forte che poteva.
Cercai di divincolarmi ma senza successo, la mancanza di ossigeno mi rendeva debole. Più debole. Sempre più debole.
Poi, le forze mi abbandonarono. Ero morto, ma inspiegabilmente vedevo tutto. Dall'alto.
Lei continuava a stringere il mio collo. Il mio corpo giaceva inerte a terra, il mio viso era blu e gli occhi spalancati dal terrore.
All'improvviso gli occhi di lei ebbero un guizzo e si alzò di scatto, inorridita alla vista del cadavere. Si portò le mani davanti alla bocca e sentii un singhiozzo. Si accasciò sulla sedia con la testa fra le mani. Bisbigliava qualcosa che non riuscivo a sentire. Tutto si stava offuscando sempre più e i suoni si affievolivano di pari passo. Poi, il buio.