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Autore: Human_    04/02/2011    9 recensioni
«Lo sai che da piccola mi sono persa sulla spiaggia?».
Matt sorrise, gli occhi ancora fissi sulla strada. «E chi ha avuto la malsana idea di ripescarti?».
«Mi ci dovresti accompagnare, sai Matt? Magari tu puoi aiutarmi» mormorò, gli occhi socchiusi.
«A fare che?».
«A ritrovarmi. Secondo me è lì che son rimasta».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lost souls swimming in a fish bowl.


Ridusse gli occhi a due fessure, affinando la vista, cercando di distinguere la moltitudine di capelli neri e perfettamente arruffati di Juliet in quella piazza gremita di persone che, tendenzialmente, entrambi cercavano di evitare. E quello era il primo segno di quando Juliet dovesse essere sconvolta.
La individuò appoggiata ad un monumento raffigurante Nettuno, che rideva con una bottiglia in mano, circondata da ragazze e ragazzi con i capelli perfetti e le scarpe eleganti.
Ahia.
Si avvicinò quasi correndo, e senza dire neanche una parola l'afferrò per un braccio portandola via.
«Ehi, Matt! Mi stavo divertendo!» si lamentò, corrugando la fronte in segno di rimprovero.
«Sei ubriaca» constatò.
«Non quanto vorrei» gli rispose, e prese un altro sorso dalla bottiglia che aveva in mano.
La guardò con aria di rimprovero e le arpionò un gomito. «Vieni, andiamo a casa».
Juliet protestò un po', ma si lasciò trascinare. «Perché dobbiamo tornare a casa? Non lo sai che potrebbe entrare l'uomo nero?».
«Qui l'uomo nero non ha neanche bisogno di entrare» replicò, alzando gli occhi al cielo.
«Se mi deve prendere tanto vale risparmiargli qualche fatica, no?».
La fece sedere in macchina, e si affrettò a mettere in moto.
«Allacciati la cintura» le ordinò.
Si voltò a guardarlo con il broncio. «Non ne ho voglia».
«Juliet» la rimproverò, con lo sguardo serio. Il labbro della ragazza ancora terribilmente sporgente. «Juliet, o te l'agganci tu, o l'aggancio io».
Sbuffò. «Ma che senso ha? Tanto voglio morire».
«Non è vero che vuoi morire. Vuoi solo andare a dormire e dimenticare tutto».
«E non è la stessa cosa?».
Si voltò a guardarla, interrompendo la sua meravigliosa uscita dal parcheggio. «No, non è la stessa cosa. Adesso andiamo a casa, ti fai un bagno, affoghiamo i dispiaceri nel gelato alla crema e ce ne andiamo a dormire».
Juliet si agganciò la cintura e prese un altra sorsata dalla bottiglia. «Perché parli al plurale? Non sei mica tu quello ubriaco».
«Neanche tu sei ubriaca, o avresti iniziato i tuoi strampalati discorsi sugli alieni».
«Li stavo facendo a quel ragazzo laggiù, i discorsi sugli alieni. Ho pensato di risparmiarti questa rottura. Sei tanto carino con me...» sussurrò, chiudendo gli occhi. «Lo sai che da piccola mi sono persa sulla spiaggia?».
Matt sorrise, gli occhi ancora fissi sulla strada. «E chi ha avuto la malsana idea di ripescarti?».
«Mi ci dovresti accompagnare, sai Matt? Magari tu puoi aiutarmi» mormorò, gli occhi socchiusi.
«A fare che?».
«A ritrovarmi. Secondo me è lì che son rimasta».
Espirò, lui, pesantemente, e cambiò idea all'improvviso sui piani della serata. Mise la freccia per svoltare a destra, verso il grande campo di grano in cui Juliet correva col vestito di lino nei giorni d'estate. «Secondo me non è vero che ti sei persa. Hai solo l'anima che gioca a nascondino, dentro di te».
Juliet rise. «Le anime non giocano a nascondino, stupido. O ce l'hai dentro o non ce l'hai più. Talvolta puoi credere di averla anche se non c'è, ma le opzioni finiscono qui. L'alcol aiuta tanto a capire, sai? Tieni, bevine un po'».
Gli porse la sua bottiglia di whisky, sorridendogli, e lui fece di no con la testa. «Devo guidare. Quando arriviamo ne prendo un sorso».
«Sei troppo responsabile, Matt. Non capirai mai come va il mondo se non bevi un po' di whisky».
Lui roteò gli occhi, quasi divertito dalla sua filosofia spicciola di cui si sarebbe sicuramente vergognata in altri momenti, e sistemò la macchina sul ciglio della strada.
«Dove siamo?» domandò la ragazza, quando lo vide tirare il freno a mano.
«In un luogo in cui potremo finalmente porre fine alle nostre crisi mistiche» rispose, andando ad aprirle la portiera.
Scese dall'auto, barcollante, e lo guardò come se lui avesse appena rotto il vasetto della marmellata. «Il che significa che stiamo per entrare nella fase “Crisi esistenziale”. Ottimo».
Matt rise e la condusse attraverso le spighe, con le stelle sulla testa, e forse una o due pure dentro agli occhi.
Juliet si fermò di colpo, ed accarezzò una spiga. «Io qui ci sono già stata».
Il sorriso che si vide rivolgere le fece venir voglia di non aver bevuto niente, che almeno il giorno dopo non avrebbe dovuto vederlo sbiadito dall'alcol. «Ci siamo stati l'anno scorso d'estate, e tu hai ballato col vento che ti faceva ondeggiare il vestito e poi abbiamo cantato e suonato la chitarra».
«Tu, hai suonato la chitarra» lo corresse. «Io non sono capace».
«Dettagli insignificanti».
«Nessun dettaglio è insignificante». Prese un altro sorso dalla bottiglia e quasi si strozzò. «Ma è qui che abbiamo sacrificato la mia sciarpa in onore di John Lennon?».
«Proprio qui. Un giorno potremmo venire a cercarla con una pala. Era bellissima quella sciarpa rossa».
«No, lasciala lì. Magari nasce un albero di sciarpe» rispose, sedendosi in terra.
Lui la guardò perplesso, poi si sedette accanto a lei. «Inizio a chiedermi se sia davvero colpa dell'alcol».
«No, non è l'alcol. È che una volta che hai visto il sole tramontare su un campo di viole o diventi filosofo o perdi il senno, e io di filosofia ne ho piene le palle» rispose, e si sdraiò.
Matt la guardò, i jeans chiari che le fasciavano le gambe, il maglioncino pallido che le copriva i fianchi sporgenti e una canotta bianca che le marcava i seni, e corrugò la fronte, ma sorridendo. «Ti adoro quando sei così criptica».
Lei rise e lo guardò negli occhi. «Io invece ti odio, come la mettiamo?».
«Ah, mi odi, eh?».
Si sdraiò su di lei ed iniziò a pizzicarle i fianchi, che lui a fare il solletico non era capace, ma Juliet rideva sempre, anche se i fianchi glieli accarezzavi soltanto, e a lui a sentire Juliet ridere veniva una cosa allo stomaco che somigliava a quelle famose farfalle, ma più che farfalle erano pterodattili, e ogni volta si chiedeva dove diamine si fossero nascosti, quei benedetti dinosauri, quando gli han fatto la lavanda gastrica due anni prima che aveva mangiato il salmone salvo poi ricordarsi, poco dopo, che lui al salmone era terribilmente allergico.
Juliet rideva e sentiva le dita di Matt sui fianchi, e voleva supplicarlo di smetterla, ma rideva così tanto che proprio non ci riusciva, a trovare le parole. Maledette parole, che, da lei, non si facevano trovare mai.
Lui si fermò e si sdraiò accanto a lei, sperando di vedere le stelle, ma rideva così tanto che l'unica cosa che vide era un aereo che volava lontano, chissà se diretto in America o in Norvegia, e chissà se le persone stavano partendo o tornando a casa, e chissà poi dove stava la differenza.
«Matt, ma è vera quella cosa dell'arcobaleno?» gli domandò, terribilmente seria, con la voce priva di qualsiasi traccia delle risate di poco prima.
E mentre si girava a guardarla, con i polmoni che cercavano di ritrovare il loro ritmo, si chiese come faceva lei a smettere così in fretta, di fare quello che stava facendo, o in generale come faceva lei ad iniziare così presto qualsiasi cosa volesse fare, eccezion fatta per l'essere comprensibile al resto del mondo, ché quello aveva smesso all'età di sei anni e non aveva mai avuto premura di ricominciare.
«Che esce sempre dopo la pioggia?».
«La metafora che ci hanno costruito sopra».
Matt vide l'aereo scomparire nel nero del cielo, confuso dietro centinaia di stelle e satelliti, e sospirò.
«Non ti dimenticherai mai tutto questo, Juliet. Non te lo dimenticherai e forse è un bene, che il ferro perché diventi un'armatura dev'esser fuso, anche se brucia. Però un giorno, e questo te lo giuro, te lo giuro su Luke Pritchard, che ti guarderai indietro e non ti ricorderai perché cazzo tu sia stata così male, e ti prometterai di non farlo mai più, capito?».
E Juliet sorrise. Sorrise e basta, che le stelle s'incazzarono pure un po', perché, cavolo, loro erano lì a lavorare, non è che può arrivare lei così a brillare più di loro, che cent'anni di esperienza dovrebbero avere un certo valore. «Ma io non sto male, Matt. Non ho dolore, dentro, perché ci sei tu. Sei bravo, lo sai? Mi proteggi a dovere. Solo che tu non puoi aiutarmi a trovare quel che sto cercando. E allora ho pensato di socializzare col whisky che, a proposito, aspetta ancora che tu prenda quel famoso sorso».
«E cosa stai cercando, Juliet? La tua anima?».
«Ma no, te l'ho detto, Matt. L'anima o ce l'hai o non ce l'hai, o al massimo dici a te stessa d'averla anche se non realtà non è così, che poi sarebbe il mio caso. Io cerco un motivo, sai? E non per alzarmi dal letto, che quello basta pensare alla rottura di palle di John se non volendo arrivo tardi al lavoro. Ma per... non lo so. Ci dev'essere un motivo di base, no? Non voglio pensare che la vita sia come diceva la mia professoressa del liceo, che diceva che l'essere umano deve nascere, riprodursi e poi morire, e lì ha esaurito il suo scopo. Non è triste, Matt? Io non voglio essere triste».
La guardò e pensò che due occhi così farebbero innamorare anche Narciso, distraendolo dalla sua immagine riflessa, e si chiese perché lei dei suoi occhi non riuscisse ad innamorarsi. Forse perché lei di solito s'innamorava dei sorrisi della gente, e forse della gente in generale, e il cuore ha i suoi limiti.
«Neanch'io voglio che tu sia triste». L'abbracciò, facendole appoggiare la guancia sul proprio petto, e prese quel benedetto sorso di whisky.
«Allora accompagnami».
«Dove?» le domandò, accarezzandole i capelli.
«A Neverland».
E lui si limitò a fissare le stelle, mentre il respiro di Juliet diventava più regolare, ma non pesante, che Juliet era così delicata e fragile che persino il suo apparato respiratorio faceva piano, per non svegliarla, per non turbarla, ché la terra era tonda e non si sa mai dove si scatena poi l'uragano causato dal suo cuore che batteva come ali di una farfalla, e si chiese cosa mai aveva fatto lui, di buono, per meritarsi una creatura così, e se mai sarebbe stato all'altezza, lui, di una creatura così.
Che alla fine, chissà se erano arrivati poi, quei tizi sull'aereo.








Avevo un sacco di dubbi su questa shot, e ne ho ancora un paio, ma la volevo pubblicare e vabbè.
Non ho tanto da dire, solo:
a) Il titolo è una citazione -e che novità. È una frase di 'Wish you were here', dei Pink Floyd.
b) Juliet e Matt non sono nati come coppia. Nella mia testa sono amici, intimi ma pur sempre amici, però, ecco, giacché non sono stata chiara, voi immaginateli come vi pare.
Niente, fatemi sapere qualcosa, magari. Che questo qualcosa sia “Mi è piaciuta” o “Vai al primo ponte che trovi e fai bungee-jumping senza elastico” non è poi così rilevante.

Thank you,
Human_                      (che ancora sta pensando a cambiare nick ma è troppo pigra per farlo).
   
 
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