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Autore: Akuma    30/12/2005    8 recensioni
La fine dei mondiali segna un saluto definivo per Genzo, che, nel tentare un arrivederci, riscopre un addio.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il più forte tra noi

Il più forte tra noi

Sei bellissimo. Il più bello di tutti. Forte, determinato e serio... ma con quel sorriso perfetto che è capace di far scomparire l’intero universo.

Ti guardo da dietro la rete.

Ken, abbiamo vinto la coppa del mondo.

O forse è meglio dire che l’hai vinta tu, non io. Io non ho fatto nulla in confronto alle difficoltà che hai dovuto sostenere. Dopotutto io sono entrato in partita solamente per l’ultimo incontro.

Ora stai colpendo violentemente un pallone. Con tutta la potenza che hai in corpo, scaraventandolo al di là dello scheletro della porta. Di sicuro se ci fosse stata la rete, sarebbe ridotta ad uno straccio. I tuoi calci sono sempre stati potenti... secondi solo a quelli di Hyuga.

Un colpo improvviso e brusco alla rete mi strappa dai miei pensieri. La palla rimbalza e torna sul campo di allenamento. Sbatto più volte gli occhi dopo aver fatto tre passi indietro. Mi stai fissando dal campo, senza espressione.

- Ciao!- ti saluto fingendo allegria.

Non ti curi della mia parola e mi fai un leggerissimo cenno di saluto con la mano sana, poi riprendi a calciare il pallone con foga.

Che c’è, Ken?... perché sei così distante?

- Wakashimazu!- sto scendendo sul campo per raggiungerti. Il campo che ha ospitato i nostri allenamenti più duri qui in Francia.

Ti ricordi che momenti stupendi? Eravamo il Giappone! Tutto il Giappone!... per un’ultima volta. Ora ognuno dovrà seguire la propria strada... e tu tornerai a Tokyo.

Vorrei tanto venire con voi, però so già che sarebbe dura reinserirsi... sono stato uno sciocco a credere che in Germania avrei trovato la felicità. Sei tu la felicità, Ken. La nostra rivalità di sempre, è aria. E tra poche ore sarai lontano chilometri da me.

- Wakabayashi.- mormori il mio nome senza la minima enfasi, ma è un saluto, lo riconosco.

Quello che non riesco a comprendere è perché sei così freddo. Certo, tra noi c’è sempre stata rivalità però... ora non c’è più motivo di essermi ostile.

Ti porgo la mano. Ma tu non cogli la stretta che ti sto offrendo.

- Che cosa ti prende, Ken?- ti chiedo stranito.

- Non chiamarmi per nome.- mormori di nuovo con un tono minaccioso.

D’accordo, Wakashimazu. Ma per me sarai sempre Ken... anche se il mio petto in questo istante brucia di dolore.

- Volevo salutarti. Tra poco partirete.- dico, ancora titubante. I tuoi occhi sono freddi. Per un attimo smetti di calciare quel pallone e lo fermi sotto al piede destro.

- Beh, l’hai fatto. Vattene.- mi dici quasi con rabbia.

- Perché... non... no!- riesco a concludere la frase, abbozzando qualche parola. No, non me ne andrò in questo modo! Passeranno anni prima di rivederci ancora e tu stai insultando così la mia anima. Perché?

- Mi dai fastidio.- di nuovo una frase apatica e fredda.

- Ma che diavolo ti prende?!- ti afferro per un braccio. Sul tuo viso si disegna una smorfia di dolore.

- Idiota!- esclami ritirando la mano destra fasciata.

- Mi... dispiace...- cerco di giustificarmi - Scusami.-

- Ci mancherebbe altro! Vuoi distruggermi anche la mano oltre che l’orgoglio??- le tue parole sono come sibili di serpente che si insinuano nella mia testa come velluto.

- Cosa...? Ken, ma che cos’hai!? Credevo di aver risolto...-

- Ti ho detto di non chiamarmi per nome!- mi interrompi con un urlo - Sei un dannatissimo bastardo, Wakabayashi!-

- Cosa?...- sono ancora confuso. Non riesco a capire l’origine di queste parole... da dove sgorga tutto questo odio...?

- Ma allora non capisci.- il tono della tua bellissima voce si è rifatto distante e freddo - Questa è colpa tua.-

Mi mostri la mano destra, coperta dalle bende.

No, ti sbagli. Non è colpa mia. É stato Schneider a ferirti in quel modo. E poi Napoleon a romperti definitivamente il polso.

- Wakashimazu... io...- deglutisco e mi allontano di un passo, vedendo la tua aria rabbiosa -...io non ti ho fatto nulla!-

La tua mano sinistra funziona ancora benissimo. Senza contare che è la mano di un karateka perfettamente allenato. E mi fai male. Le tue dita forti sulla mia guancia.

Volto la testa di lato da quanto è potente il tuo colpo. Non posso reagire, non posso essere il me stesso di sempre, aggressivo e risoluto, non con te... perché ora comincio a capire... ora so che hai ragione tu.

- Non è il dolore fisico che importa.- mi sussurri all’orecchio mentre mi afferri per il collo della maglia - Mi sono stancato di fare il bravo ragazzo. Pensavo che con la fine del mondiale sarebbe tutto finito. Essere secondo a te è una vergogna. Tu non hai spina dorsale, Wakabayashi. Sei venuto in Germania per allenarti... la verità è un’altra. Sei scappato. Sei un codardo e nient’altro. Ed hai anche avuto la faccia tosta di venire a dire a me di non mollare, di continuare a lottare.- la tua espressione è al limite della sopportazione. Mi spingi a terra dopo avermi colpito di nuovo - Hai sempre vissuto sugli allori! Io ho sempre faticato al posto tuo! Per cosa? Per sentirmi dire che tu sei il vero campione! Tu sei il più grande! Oh, il mitico Wakabayashi Genzo!-

Ti avvicini ancora una volta ai miei occhi spalancati e incapaci di opporsi.

- Io ti odio.-

Il buio crolla sulle mie spalle, il cuore diviene uno specchio e si frantuma in mille pezzi talmente piccoli da sembrare spilli acuminati e grondanti dello stesso sangue che tu hai versato durante la semifinale. Tutto il sangue che hai perso... è come se stesse penetrando nelle mie vene e mi stesse uccidendo come veleno.

Volevo solo farti coraggio, ma tutto il coraggio illusorio che dimostravo sta cadendo come un castello di carte. Io, che mi sono sempre mostrato come una perfetta macchina, completo e tenace, incapace forse d’affezionarsi realmente a qualcuno... proprio io, che sono e che ero tutto ciò, non riesco a replicare.

E mentre tu ti allontani voltandomi le spalle, io non posso far altro che rimanere solo, uno spinoso groppo alla gola mi impedisce di aggiungere altro.

Io ti amo.

Volevo che mi amassi anche tu, ma è stato tutto inutile. Più che inutile, insignificante.

E tu, tu mi odi.

Non volevo arrivare a questo punto, Ken. Non ho scelto io di essere osannato come un eroe di guerra. Ho sempre fatto del mio meglio, sono diventato chi sono perché ho guidato gli eventi secondo il mio volere. Secondo la mia indole, secondo il mio essere grande.

Ma ormai è tardi.

É vero.

Tu hai sempre lottato da solo.

Io ho sempre ricevuto aiuto da qualcuno, in Europa non ci sono arrivato da solo. Ed anche se ho dovuto faticare ad inserirmi, oramai avevo forgiato il carattere.

Tu hai scalato la vetta solitario.

Io ho sempre avuto qualcuno che mi tirasse su, Mikami in primis.

Ma il finale non è stato quello che desideravo.

Volevo amarti come meriti. Volevo fartelo sapere. Ma tu mi disprezzi, e probabilmente se lo sapessi mi detesteresti ancora di più.

Lungi da me piangermi addosso, nonostante questa volta mi trovi disarmato, le mani in mano a guardare i tuoi lunghi capelli nerissimi che, ondeggiando, si allontanano.

Per sempre.

Lasciandomi solo con la conseguenza di ciò che sono diventato, di ciò che per me stesso ho creato. Non c’è più agonismo, non c’è più quella sportiva grinta che contraddistingueva le nostre tacite sfide.

Hai vinto tu, Ken.

Sei il più forte.

E mi odi.

   
 
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