Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh
Ricorda la storia  |      
Autore: Melian    04/02/2011    9 recensioni
"Lì, tra le cianfrusaglie che affollano un vecchio baule foderato di raso ormai consunto, qualcosa brilla, riflettendo la lucina della lampadina, richiamando l’attenzione e la curiosità di chi sogna di star esplorando vecchie rovine sepolte dal tempo in cerca di un tesoro, come un moderno Indiana Jones."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dark/Yami Yuugi, Yuugi Mouto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Qui, all’inizio di ogni cosa


Ha sempre avuto occhi troppo grandi perché potessero essere ignorati.  È sempre stato più piccino, persino gracilino, rispetto agli altri bambini, tanto che, di solito, nelle partite di calcio o basket a scuola viene quasi sempre scelto per ultimo.
Eppure, gli occhi di Yuugi sono così grandi solo perché il suo cuore è grande, sono così fiduciosi perché ha un’anima candida, di chi sa ancora sognare e vedere in una stella non solo una massa gassosa, ma desideri da esprimere e a cui aggrapparsi.
È sempre stato un bambino semplice, persino remissivo, di una dolcezza innata. A vederlo così tranquillo e silenzioso, con un sorriso appena accennato per via della timidezza, si può solo provare tenerezza e chiedersi come non trovi il coraggio di alzare lo sguardo e guardare il mondo da un’altra prospettiva che non sia quella del semplice spettatore.
Bassino, con dei capelli improbabili, Yuugi passa le sue giornate tra i banchi di scuola e i suoi giochi. Li ama, li colleziona, li fa suoi e li usa come un ponte tra sé e gli altri, come lo strumento perfettamente accordato che gli permetta di trovare un amico sincero e vero. 
È sempre stato il suo desiderio più grande, il più impellente, perché non è facile, non è mai stato facile per lui avere degli amici: troppo riservato, troppo introverso, troppo insicuro, troppo silenzioso. Forse persino malinconico, una malinconia che non dovrebbe appartenere a un bambino, una di quelle che ti prende allo stomaco e ti inchioda forzatamente al tuo posto, a guardare come scorre frenetica la vita degli altri e a sognare di “essere come loro”... come se ti mancasse qualcosa e fossi in attesa di capire cos’è, e dove si trovi.
Non è mai mancato l’affetto della famiglia, a Yuugi. Ha un papà sempre in viaggio che chiama ogni sera, una mamma che lo costringe a mettere in ordine la sua stanza ogni venerdì pomeriggio e a piegarsi i calzini, un nonno che, quando sta nel suo negozio di giocattoli, sembra persino più bambino del nipote. Amato, coccolato, gli vengono impartite importanti lezioni di vita e Yuugi avverte il calore che tanto brama scaldargli il cuore.

Ha sette anni, lo zaino in spalla mentre corre per le strade di Domino per tornare a casa, a lezioni concluse.
Il Turtle Game Shop si staglia davanti a lui che si precipita all’interno con la sua solita allegria, la sua ventata di freschezza. Saluta il nonno, aggrappandosi al bancone e curiosando tra gli scatoloni disseminati qua e là.
«Cosa stai facendo, nonno? Cosa sono tutte queste scatole?»
Sugoroku Muto sorride indulgente, mentre sposta l’ennesima scatola e si asciuga il sudore su un grosso fazzoletto. Osserva il nipote con un che di divertito, mentre gli risponde: «Sto facendo un po’ di pulizie nel magazzino, Yuugi. Sai, è ora di mettere in vetrina qualche nuovo gioco. Ti va di darmi una mano?»
Yuugi si illumina, adora curiosare tra i giochi del nonno ed essergli utile, adora allestire le vetrine nel negozio, gli piacciono l’odore del legno dei vecchi giocattoli del secolo scorso e i colori di quelli nuovi e tecnologici. Fila dritto nel retro bancone, infilandosi giù per la scala che conduce alla cantina, accompagnato dalla raccomandazione del nonno: «Fa' attenzione a non farti male!»
Ad accoglierlo, superati i gradini di legno scricchiolante, c’è lo scantinato semibuio e polveroso, la luce tenue di una lampadina appesa al soffitto che, tuttavia, non penetra tutti gli angoli e li lascia immersi nell’oscurità, tanto che sembrano non esistere, ma aprirsi, penetrare l’infinito.
La polvere danza in larghe spirali nell’aria. In controluce, si possono contare i granelli che si rincorrono, vorticando, così come si riconoscono i fili sottili delle ragnatele che ornano come festoni gli oggetti accatastati.
Yuugi non ha paura: c’è stato tante volte in quella cantina; l’odore di carta ingiallita e di polvere gli sono familiari e sa bene che le ombre proiettate sulle pareti dalla lampadina appartengono a normalissimi oggetti: un attaccapanni, un baule, vecchi quadri accatastati, scaffali e tante scatole di diverse dimensioni.
Saltella oltre una cassettina piena di libri, aggira uno scaffale colmo di barattoli opachi, e si guarda in giro come se fosse nel paese dei balocchi, come se ci fosse un mistero da svelare: fantasia da bambini.
O forse no, forse nell’aria c’è qualcosa di diverso, una lieve tensione che ingigantisce man mano e batte, come un cuore, nella speranza di dissolversi nella consapevolezza della scoperta.
Lì, tra le cianfrusaglie che affollano un vecchio baule foderato di raso ormai consunto, qualcosa brilla, riflettendo la lucina della lampadina e richiamando l’attenzione e la curiosità di chi sogna di star esplorando vecchie rovine sepolte dal tempo in cerca di un tesoro, come un moderno Indiana Jones.
E il tesoro c’è: Yuugi lo adocchia. Lascia perdere tutto il resto per quel tesoro luccicante e sconosciuto. Sente il cuore battere improvvisamente più forte e socchiude gli occhi, aggrotta la fronte man mano che si avvicina al baule. Le sue mani si allungano verso la scatola dorata che lo chiama con voce suadente e antica, in una lingua che Yuugi non ha mai sentito ma che, scopre, comprende benissimo col cuore.
Il tesoro è tra le sue mani e Yuugi sorride, sgrana gli occhi con entusiasmo malcelato e rigira la scatola dorata ricoperta di strane incisioni in rilievo e ornata da un occhio stilizzato.
«Che strani segni! Però è così bella e chissà cosa c’è dentro… la porterò al nonno! » decide Yuugi, gongolando.
Già stringe la scatola al petto, già se la accosta al cuore. Già sente su di sé una ventata potente di consapevolezza, di completezza che gli scivola nell’anima, senza apparentemente lasciare traccia, ma attecchendo segretamente, silenziosamente: darà i suoi frutti qualche anno dopo, il tempo di crescere, il tempo di realizzare i propri sogni.

 
***

 
Il deserto è sconfinato e, davanti ai suoi occhi, muta continuamente. Le dune vengono spazzate dal vento, prima abbattute e poi rimodellate; il Khamsin – il Ghibli – soffia sempre da una parte diversa rispetto alla precedente e non si mai quando si abbatterà in tutta la sua maestosa potenza. Le piramidi sorgono e si sbriciolano, assecondando lo scorrere veloce e inglorioso del tempo che, tuttavia, non sfiora il vagabondo che si aggira in quel luogo caotico. Una maledizione o un dono? Tutto attorno a lui muta, senza che l’ospite di quel mondo ne venga intaccato.
Vede gli obelischi sfiorare un cielo denso di nubi, oscuro e tempestoso, e poi crollare di schianto al suolo ed essere seppelliti dalla sabbia vorace, corrosi. Vede un sole freddo sorgere e subito lasciare il posto alla notte cupa, senza il conforto delle stelle o della luna.
Il tempo danza a un ritmo forsennato in quel luogo dove tutto esiste e, contemporaneamente, non esiste.
Lui, il vagabondo, si aggira senza mai fermarsi, condannato ad errare in un mondo che sente essere il suo, ma troppo diverso da come l’ha vissuto in vita.
Non ha un nome, anzi, non lo ricorda. Dev’essere stato cancellato dallo schiaffo del vento del deserto o roso dalla sabbia, o cancellato dagli anni che, in fila, gli son piovuti addosso come falchi sulle prede. Non ha memoria, non stringe nulla tra le mani, se non la certezza del suo vagare senza meta tra le rovine di un mondo che doveva essere stato ricco, fastoso, traboccante di vita. Non sa nemmeno perché vaga; lo fa per inerzia, per non essere seppellito sottoterra, per non divenire un’arida mummia, per non permettere che il suo spirito venga dissolto nel nulla.
Indossa vesti di lino bianchissimo, si cinge i fianchi e la fronte con oro purissimo, eppure il suo volto è segnato da un antico dolore, dalla certezza che il suo esilio, in quel luogo privo di luce e conforto, è stato volontario. Eppure, non ne conosce il motivo.
Il deserto scorre sotto i suoi piedi, rapido, sempre più rapido... fino a che scompare come un miraggio e lui raggiunge nuovamente la porta che aveva attraversato per penetrare in quella regione arida, se la chiude alle spalle solo per guadagnare l’accesso al solito labirinto in pietra, con scale in posti improbabili e tappezzato di porte, che esplora da più di tre millenni.
Peccato, non ha ancora trovato la porta giusta per uscire da quel posto.
Ogni porta che apre, infatti, si rivela un fallimento: molte non si aprono, altre non portano che a stanzette vuote, altre lo catapultano tra rovine di un'epoca lontana come quella da cui è appena uscito. Certe stanze sono così sconfinate, che non è riuscito mai ad esplorarle interamente; altre rivelano trappole, mostri, incubi e tormenti.
È privato della pace, in quel luogo dove spazio e tempo sono solo illusioni, metronomi che lui usa per scandire una realtà in cui è imprigionato da troppo tempo e che l’ha reso come una fiera in gabbia.
Ha occhi troppo affilati, uno sguardo troppo freddo e troppo terribilmente antico. Alto, così longilineo, con quel portamento tanto orgoglioso e determinato da incutere timore e reverenza.
Ha un cuore che non conosce la tenerezza di una voce amica o la dolcezza di un sorriso, che non viene sfiorato dal calore da secoli. Non prova pietà, solo la logica, gelida sicurezza di dover vegliare su ciò che ritiene giusto, di amministrare col pugno ciò che non può essere raddrizzato con la gentilezza.
È il guardiano della sua stessa memoria e del suo stesso spirito errabondo. È il re del suo mondo senza regole, immerso nel caos. È il signore che dirige il suo gioco con l’eternità come fosse una partita a Senet. Il tavoliere che usa per le sue partite esiste davvero e occupa un’intera sala: è di forma rettangolare, con le caselle colorate e smaltate, le pedine di forma diversa in alabastro, le tavolette che fanno da dadi...
Il gioco è tutto ciò che ha imparato a conoscere e ad apprezzare nella sua prigionia. Il gioco è quanto gli basta per trovare un senso alla sua esistenza, in attesa che si compia la sua missione… se ha una missione da portare a termine, ovvio.
Deve aspettare che arrivi il momento propizio e, forse, potrà tornare ad assaporare la vita, la luce del sole e delle stelle. Forse potrà persino invecchiare e ritrovare se stesso. Infondo, lo spera. Sono tremila anni che lo spera.

Sta camminando lungo lo stretto corridoio illuminato da una torcia che proietta la sua lunga ombra tutt’attorno. Le mani sfiorano la cintura che gli stringe il gonnellino ai fianchi e poi salgono alla larga collana di placche d’oro e lapislazzulo, la slacciano. Gli manca il respiro: è una strana sensazione, come se fosse risucchiato, richiamato verso una meta che prima non aveva mai sfiorato e che ora lo vuole urgentemente trarre a sé, tanto urgentemente che lui prova un senso di affanno, di vertigine.
Si spoglia degli ornamenti regali, li ammonticchia in un angolo e raggiunge la grande porta su cui troneggia un gigantesco occhio dorato.
«L’Occhio di Ra mi chiama. Non avevo mai notato questa porta. Dove condurrà? », la sua voce rimbalza profonda e colorata di stupore tra le pareti di nuda pietra.
Parla una lingua che ha obliato, ma che gli appartiene come gli appartengono le iscrizioni che campeggiano sulla quella strana porta: “Questa è la via che conduce all’Inizio e alla Fine”.

 
***


Yuugi sgambetta su per le scale, con il suo tesoro tra le mani, vittorioso. Sbuca nel negozio, saltella attorno al nonno, mostrandogli la scatola d’oro.
«Nonno, nonno, guarda cos’ho trovato! Posso tenerlo, posso?! »
Sugoroku pare stupito, esamina la scatola con un’occhiata critica. Si massaggia il mento e poi annuisce con soddisfazione.
«Yuugi, sai cos’è questo? È un antico gioco egizio. Io cercai di costruirlo, ma non ci sono mai riuscito e l’ho conservato nel magazzino. Pensavo di venderlo a qualche collezionista ma, dopotutto, se ti piace tanto, puoi tenerlo! »
«Un gioco egizio? Sembra proprio bello, grazie nonno! Mi metterò d’impegno per risolverlo e lo custodirò gelosamente! » Yuugi è luminoso, felice. Imbroncia appena la bocca e continua a tempestare di domande il nonno: «Mi dici cosa c’è scritto, sopra? Ci sono dei disegni così strani…»
Sugoroko gli scompiglia i capelli e ridacchia. Assume l’espressione da vecchia volpe e rivela, con tono cospiratorio: «Vedi, Yuugi, questi sono geroglifici, l’antica scrittura egizia. C’è scritto che colui che risolverà il rompicapo potrà esprimere un desiderio. Su, coraggio, fila in camera tua, adesso! »
Yuugi non se lo fa ripetere due volte. Attraversa il negozio, s’infila in casa e sale le scale di corsa, salutando la mamma che si affaccia dalla cucina con una risata argentina. Una volta in camera sua, si fionda alla scrivania, ci poggia sopra la scatola, pigia sul pulsantino della lampada da tavolo e si siede.
«Se finirò il gioco potrò esprimere un desiderio. E io so già cosa voglio!»
Con cura, come se dovesse esaminarla a fondo, osserva i bordi cesellati del contenitore d’oro sotto la luce della lampada. Apre la scatola e ci guarda dentro trepidante, trovandoci tanti pezzi dorati, un rompicapo dall’aria di difficile risoluzione, che sparge sul pianale, passandoseli tra le dita tutto eccitato.
«Fantastico, è un puzzle!»
Speranza negli occhi di Yuugi: una marea che fluisce delicata a lambirgli il cuore, a cullarlo. Il suo desiderio più grande potrà avverarsi: potrà finalmente avere degli amici sinceri. Speranza gli colora le guance.
 
***


Lo Spirito, inquieto, spalanca la porta con risolutezza.
Il buio della stanza in cui s’insinua viene improvvisamente interrotto da un fascio di luce, tenue, timido, appena accennato. Lui segue lo spiraglio di luce come fosse un sentiero sicuro, con la certezza che i tempi sono maturi, che tutto sta per avere inizio, ancora una volta, e poi per finire. Definitivamente.
Remota, una voce di bambino. Remota, la speranza che si riaccende. Remota, la carezza di dita delicate, come eco del passato.
Yami, lo Spirito Oscuro, sorride e, investito dal fascio di luce, spalanca le braccia: «Ti stavo aspettando.»
Sente in bocca il sapore della vita. La speranza gli lambisce il cuore.






__________________________
Note dell’autrice:

la fan fiction trae ispirazione dal primo numero del manga di Yu-gi-oh e vuol descrivere il momento in cui Yuugi trova il Puzzle del Millennio, oltre che la vita del Faraone intrappolato nel rompicapo.
Spero di essere riuscita a descrivere fedelmente entrambi i personaggi, ho fatto del mio meglio.
La storia partecipa, inoltre, all’iniziativa di FanWorld “un prompt al giorno”, con prompt: “deserto”.


Melian
   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh / Vai alla pagina dell'autore: Melian