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Autore: Geil_Flynn    05/02/2011    1 recensioni
Non so nemmeno se qualcuno leggerà questa storia, anzi ne dubito, ma è semplicemente uno sfogo. Qualcosa forse per tranquillizzare addirittura me stessa...
Dedicata alla mia Ginevra Greco, e ricorda che i ricordi sono la migliore arma per abbattere le barriere del futuro.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bene. Non so esattamente che cosa sia questa roba. Solo uno sfogo, probabilmente più per me stessa che altro, visto che nessuno arriverà mai in fondo, figurarsi recensire.

È quello che provo adesso, diciamo così, immaginandomi tra dieci – quindici anni.

È dedicata alla mia Ginevra Greco, con la speranza che guardi al futuro senza paura e voglio ricordarle che i ricordi sono l’arma migliore per affrontare il domani.

Love,

Alex <3

P.S. Per vedere le traduzioni delle frasi in lingua straniera evidenziate tutto il paragrafo.

 

 

24 Luglio 2024

 

- Alex! Mi vuoi dire che hai, dannazione?! Sono due ore che cerco di spiegarti i dettagli della mia spedizioni in Turchia e tu te ne stai fregando altamente!

- Ti stavo ascoltando! – protestò Alexandra irritata – Vai a Ankara.

- A Smirne. – precisò Gio, stizzito.

- È uguale – sbottò lei.

Alexandra prese un sorso del suo té e da sopra la tazza sbirciò il suo migliore amico, Giovanni. Si conoscevano da venticinque anni, rifletté.

Aveva i capelli neri, grandi occhi azzurri, era pallido. Le lentiggini che aveva avuto fino ai suoi diciassette anni si erano dissolte leggermente, ma erano ancora un segno caratteristico in quel suo viso diafano.

Era un archeologo del Museo di Storia Naturale di Milano. Aveva accesso alla Biblioteca Ambrosiana, una delle più ricche e belle al mondo, era uno dei più riconosciuti in Italia.

Aveva sempre sognato di essere uno storico e ora che ci era riuscito Alex provava ammirazione per lui. Aveva realizzato il suo sogno.

Almeno lui.

“Da grande diventerai una scrittrice, Al. Ne sono sicura”

- Alex, vuoi dirmi cos’hai?

- Ma nulla, ti dico! – replicò lei, decisa. Si scostò un ciuffo di capelli marrone scuro dagli occhi castani e sospirò. L’ennesimo rifiuto. Cosa c’era che non andava nel suo modo di scrivere?

“Sei una leggenda, scrivi davvero bene!”

O forse era la storia?

- Mi stavi parlando del viaggio a Smirne. Quanto starai via?

- Due mesi al massimo – rispose lui, sorridendo raggiante. Adorava il suo lavoro, era quello che aveva sempre voluto.

- Ma ti rendi conto?! La mia prima vera spedizione!

Gio rise, sollevato e felice. La voce bianca da ragazzino era cambiata, era quella di un vero uomo.

L’uomo aprì il “Corriere Della Sera” sulla pagina degli eventi, sempre con lo stesso sorriso sulle labbra. Rimasero qualche istante in silenzio, in cui Alex osservò attentamente il fondo della sua tazzina e analizzò profondamente il suo romanzo, pagina dopo pagina.

Lei non ci vedeva nessun problema… Dopo quasi dieci anni di lavoro l’aveva finito e, per la prima volta dopo centoventi mesi, le era sembrato… giusto.

- Cavolo! Non ci crederai mai, Alex!

Forse era la divisione in capitoli. In effetti avrebbe potuto mettere pagina cinquantasette col capitolo tre e non con il quattro. Sarebbe stato molto meglio… I lettori si perdevano tra due capitoli. Perdevano il filo degli eventi.

- Senti qua! “Ginevra Greco, celeberrima pianista dell’Opéra di Parigi, riprende in mano gli spartiti dopo un anno sabbatico”

E il quarto paragrafo di pagina ventitré andava eliminato. A nessuno interessavano vari sproloqui su uno sperduto paesino della Finlandia!

- Da quando ti interessa la musica classica? – chiese lei, senza espressione e senza smettere di fissare la sua tazzina.

Il capitolo sette era da rivedere. Assolutamente atroce.

- Ma come Alex! Ginevra Greco! Gin! Non ti ricordi?

Si risvegliò dal torpore, improvvisamente destata da un dolore sordo infondo allo stomaco.

- Che nome hai detto, scusa? – domandò, con voce flebile.

- Ginevra Greco.

Un visetto pallido, con grandi occhi castano-verde invase la sua mente. Un volto che non aveva più visto dopo i suoi quattordici anni, quando era andata al liceo linguistico, mentre la ragazza in questione aveva continuato per il classico.

Certo che si ricordava.

- Ma dai! Pensa! La Greco ha sfondato… All’Opéra di Parigi! Chi l’avrebbe mai detto…

“Io l’avrei detto”

- Già – disse in un mormorio appena udibile.

- Nell’articolo c’è scritto che ora vive nella capitale francese, in una delle vie più lussuose. Pensi che abbia sposato davvero Max?

Gio scoppiò a ridere e Alex si sforzò di sorridere.

Max… Le Cronache Di Kilmainham Gaol, EFP, Gin…

Si ricordò quando, al compimento dei suoi quindici anni, dopo lunghe difficoltà e impegni, aveva postato l’ultimo capitolo della storia. Ginevra sprizzava felicità da tutti i pori. I regali per Natale, per l’amiciversario, i contest a cui avevano partecipato, la loro storia sul loro personale universo alternativo, la vacanza studio a Dublino, la sua passione improvvisa per la Francia… Aveva davvero perso tutto questo scegliendo semplicemente una scuola diversa?

“Diventerai una scrittrice, Al, sicuro come l’oro”

Aveva deluso tutte le sue aspettative?

“Fra dieci anni dobbiamo rincontrarci qui, a scuola,a quest’ora”

Lei ci era andata, ma non l’aveva trovata. Centinaia di persone le erano passate davanti in quelle ore. Ma lei no.

“La vita è come una cantina, piena di trappole per topi. I bambini sono piccoli, magrolini, riescono a passare attraverso le trappole. Ma quando si incomincia a crescere, scappare non serve più. Prima o poi si incappa sempre in una trappola. Una volta diventati adulti cambiamo tutti. Ci dimentichiamo delle cose più belle, non riusciamo più a vedere attraverso lo scorrere del tempo… Perché non possiamo restare bambini per sempre?”

E loro due? Erano davvero finite nella trappola?

- Cavolo, Al! Io devo andare, è tardissimo! Ho una conferenza al museo. Ci vediamo.

- Ciao – rispose Alex, apatica. Gio si alzò e le batté una mano sulla spalla.

- Stasera ti porto fuori a cena –disse lui, con tono dolce - All’Irish Pub che ti piace tanto, in Galleria. Va bene?

Alex gioiva sempre, quando per qualche strano motivo, Gio acconsentiva di portarla in quel locale irlandese. Saltava, gridava, urlava “Erin Go Bràgh!” come una disperata. Il suo amore per la splendente Isola di Smeraldo non si era sminuito con gli anni e non aveva mai smesso di esasperare il povero sventurato amico.  “Irlanda per sempre!”

Ora però, non riusciva. L’Irish Pub le sembrava una di quelle tante cose futili che la rendevano felici per qualche ora. E poi in Irlanda ci era andata con Gin.

Irlanda si collegava con Ginevra, Ginevra con Max, Max con Phoebe, Phoebe con le Cronache di Kilmainham Gaol, Le Cronache con il suo manoscritto che dopo dieci anni di travagli aveva terminato e che nessuno aveva mai accettato. Quindi tristezza, anche se la catena veniva percorsa al contrario.

Annuì con lentezza.

- Passo a prenderti alle otto.

Nessuna reazione.

- Offro io – buttò lì Gio, cercando di strapparle un sorriso.

- Va bene – disse lei, ridendo forzatamente.

Un sospiro.

- Fatti trovare pronta – la ammonì lui, prima di stringerle il braccio e sparire fuori da casa sua.

Rimasta sola, Alex prese le due tazzine e con movimenti lente le posò nel lavello. Si diresse nel suo studio, stracolmo di libri di tutti i generi e con il suo agognato PC della Apple, tutto scheggiato e malridotto. Aprì la finestra del suo romanzo.

Lo rilesse, in quasi tre ore lo finì tutto. Ricordò improvvisamente cosa le aveva detto Roberto Olmo, il suo vecchio prof. delle medie, che l’aveva aiutata ad appassionarsi alla scrittura, quasi sei mesi fa.

 

- Allora, professore? Che cosa ne pensa? – chiese Alex, torturandosi le mani, ansiosa.

- È molto ben scritto – replicò l’uomo che, anche dopo che Alex fu andata al liceo, era sempre stato il suo miglior critico letterario. Era sincero, schietto, ma al contempo molto delicato. Oramai non aveva più ventinove anni, era abbastanza vicino alla cinquantina – Molto ben scritto, non c’è che dire.

Lei sorrise.

- Grazie.

- Le emozioni sono perfette. Le descrizioni e il lessico sono sempre stato il tuo forte.

Lei arrossì un poco.

- Solo una cosa non sento leggendo questo romanzo.

Alex si accigliò.

- Cosa?

- Alex – lei aggrottò le sopracciglia – non sento Alex.

- Prego?

Lui aprì il manoscritto rilegato.

- Non sento le tue emozioni. Sono sento cosa ne pensi a riguardo – disse lui, con tono solenne.

- Ma come…? – esalò Alex, esterrefatta –È una storia inventata. Come può leggere me stessa?

- Posso, Alexandra. Ma in questo meraviglioso manoscritto non c’è una sola traccia di quella stupenda e brillante persona che sei. Non c’è nulla di Maria Alexandra Jiménez Sobieski.

 

Era orribile. Finalmente si rese conto di quanto fosse vuoto e senza senso il suo romanzo. Non aveva né capo né coda. Con un gesto secco lo evidenziò e premette il tasto “Cancella”. Ecco, il lavoro di dieci anni buttati al vento, sparito per sempre in qualche oscuro meandro della memoria sperduta dal tempo. Sospirò.

Tutta la sua vita sprecata a correre dietro ad un’inutile storia. Non piaceva nemmeno a lei, come poteva affascinare gli altri?

Un squillo di telefono la distrasse da quelle oscure riflessioni.

- Pronto? – mormorò, senza colore.

- Jiménez! – abbaiò una voce sonora e profonda, facendola sobbalzare - Sono due mesi che hai quel maledetto manoscritto tedesco da tradurre! Quanto può essere difficile un libro per bambini di duecento pagine?!

Il signor Vella, il capo della casa editrice per cui lavorava come traduttrice, era furioso.

- Mi mancano solo due capitoli – rispose Alex. Aprì subito il documento di Word e diventò rossa al pensiero di aver trascritto solo la dedica iniziale.

- Due capitoli?! Domani lo voglio sulla mia scrivania, o sei licenziata!

- Mi dia almeno cinque giorni, signore – implorò lei, mentre le sue dita correvano veloci sui tasti.

- Due!

La comunicazione si interruppe.

Alex si infilò le dita trai capelli. Forse era ora di cominciare a lavorare.

Es war einmal ein Junge namens Tom. Tom hatte eine Schwester namens Helen…

C’era una volta un ragazzo di nome Tom. Tom aveva una sorella chiamata Helen…

 

 

26 luglio 2024

 

Il sole filtrava leggermente dalle tende, entrando nello studio che emanava odore di chiuso. Alex sbadigliò, guardando l’orologio. Le sei e cinque. Non aveva dormito tutta notte, ma la traduzione del libro era pronta. L’aveva già inviata, ora aveva finito. Non restava che aspettare.

Ma aspettare cosa?

Si guardò intorno. Ormai era rinchiusa in quello studio da due giorni. C’era un filo di polvere sui mobili, i tappeti andavano sbattuti.

Si sentì vuota, spenta, senza emozione o carattere. Si accorse improvvisamente di quanto fosse cambiata dai suoi tredici, quattordici anni.

Da quella creaturina pura, che aveva le sue precise idee puerili, ma così incredibilmente giuste e morali.

Ora era una donna, viveva sola, con un solo amico. Invidiava tutti gli altri componenti della sua famiglia.

Sua sorella Yelena aveva una splendida casa dall’altro lato della città, un marito, due figlie, un cane. Era un’impiegata, ma guadagnava bene. Lavinia e Sveva, le due piccoline, le davano soddisfazione, era una mamma perfetta. Federico, suo marito, la amava, non la trascurava, vivevano una vita agiata e senza troppi problemi.

“A volte ti invidio, sai?”

Si chiese se era davvero quella la vita che voleva.

Sua madre era rimasta sola, ma stava bene. Oksana Sobieski aveva finalmente i suoi nipotini, una nuova soddisfazione di cui curarsi, dopo le due figlie. Le sue amiche Svetlana e Tanja erano ancora con lei, erano inseparabili. Oksana sosteneva che era bello sentirsi a casa, nella sua Ucraina, almeno per qualche ora.

“Mamma… non ti senti infinitamente mai isolata?”

Ma quella domanda era davvero per la dolce Oksana oppure aveva lo scopo di arrivare a qualcun altro? A quella piccola Alex dispersa nel tempo, magari…

Suo padre, invece, era un caso a parte… Alejandro Jiménez era morto, otto anni prima, lasciando Alex appena ventenne e Yelena (che si era sposata da poco) di trent’anni. Alexandra non aveva mai potuto perdonarsi il fatto di non aver mai passato abbastanza tempo con lui. Ma forse non era colpa sua… Era stato lui a sparire, dopo il suo ottavo compleanno, e a rifarsi vivo solo al diploma. Ricordò il momento in cui aveva gridato contro di lui, in cui per la prima volta nella sua vita aveva veramente perso il suo perfetto self-control.

“Perché sei tornato?! Io non ti volevo! Non ho bisogno di te!”

Forse ora era in un posto migliore, senza figlie isteriche e prive di una minima intelligenza.

Anche il compagno di sua madre, Rolando, era andato via da tempo. Era più anziano rispetto ad Oksana, di quasi quindici anni. In ogni caso era stato sereno, aveva avuto una vita longeva e felice.

Alex ricordò i suoi racconti sull’infanzia, lo stupido aneddoto che raccontava a chiunque, per metterla in imbarazzo:

“Quando ti ho vista per la prima volta, alla stazione dei treni, eri alta come la tua valigia. Quasi non ti vedevo!”

Lei gridava sempre di smetterla, dandogli uno scappellotto sulla spalla, e poi ridevano insieme.

Il suo studio di contabilità e paghe lo dirigeva Emanuela adesso, la figlia del suo primo matrimonio. Omar e Jacopo, i suoi nipoti facevano qualche giorno come impiegati ogni tanto, in attesa di finire o l’università o la scuola.

Ricordò le sere in cui, fino ai suoi cinque anni, le leggeva una favola. O quando le aveva insegnato a nuotare, ad andare in bicicletta o sui pattini. Quando andava con lei a vedere i cartoni animati, e quando se la caricava sulle spalle, giocando agli indiani. Anche se non aveva mai voluto ammetterlo era stato il padre che non aveva mai avuto.

Non c’era mai stato nessuno di particolare ad occupare il suo cuore. Qualche ragazzo l’aveva avuto, certo, ma non aveva ancora incontrato nessuno di davvero importante per lei. Ricordò tutte le sue piccole cotte, da Gabriele a Francesco, Mattia … Sorrise.

E poi c’era Gin, che nelle notte più tempestose, in cui piangeva tutti gli errori che inconsciamente sapeva di aver commesso, le tornava in mente.

Quel visetto pallido, dolce, così incredibilmente nordico, che faceva dimostrazione della sua metà finnica. I capelli castani che le incorniciavano graziosamente il viso, gli occhi marroni - verdi che brillavano sempre.

Penso a tutte le notti in cui avevano parlato ininterrottamente per ore, tutte le storie che avevano scritto, le filosofie di vita che si scambiavano, cercando di comprendere quel complicato e pazzo mondo. Delle volte in cui aveva provato a convincerla di seguirla al classico, ma lei aveva rifiutato. Non perché non volesse stare con lei, ma solo per paura di deludere qualcuno. Inoltre sua madre ripeteva sempre che con il classico non sarebbe riuscita ad andare da nessuna parte. Ad Alex serviva un liceo con cui sarebbe riuscita a lavorare per pagare l’università.

Ora Gin si trovava a Parigi ed era una pianista. Pensò a Minna, la madre, a Fabio, il suo simpatico papà, e a Matias il dispettoso fratellino, che oramai doveva essere un uomo.

Pensò a tutte le cose che avevano fatto insieme. Un miscuglio di immagini, emozioni, ricordi le passarono nella mente. Chiuse gli occhi, e lasciò che le dita scorressero sui tasti del computer. Quando li riaprì guardò la frase che aveva scritto:

"Ginevra et Alexandra étaient deux jeunes filles. Tout à fait normal de voir, mais à l'intérieur il y avait seulement un petit regain d'étincelles colorées, généralement appelé: pensées"  “Ginevra e Alexandra erano due ragazzine. Normalissime a vedersi, ma dentro erano solo uno scoppio di piccole scintille colorate, comunemente chiamate: pensieri

 

 

28 luglio 2024

Il treno sferragliava sulle rotaie. Con un colpo secco si fermò.

“Paris, arret du Paris”   “Parigi, fermata di Parigi”

Alex raccattò la sua roba, e scese in fretta, tra la folla parigini che spintonava e tra i classici “pardon”  sussurrati.

Si avviò dritta verso l’uscita e chiamò il primo taxi che vide passare. Il taxista scese, afferrò il suo borsone con una mano e lo caricò sul bagagliaio.

- Où dois-je vous accompagner?- chiese, sbrigativo. Alexandra si frugò in tasca, alla ricerca del fogliettino sui cui aveva annotato l’indirizzo. “Dove devo accompagnarla?”

- 26 Rue Saint - Guillaume, s’il-vous-plait - replicò lei, con perfetto accento francese, lui annuì e si mise subito alla guida.

Alex guardò affascinata le strade di Parigi. Non se le ricordava così belle, così colorate, così… parigine. Passarono davanti all’Arco di Trionfo, alla Tour Eiffel, a Champs-Elysées… Guardò tutto a bocca aperta, meravigliata.

- Et-voilà, Rue Saint – Guillaume. Il est douze euro – tirò fuori dalla sua tasca il portafoglio e gli porse due banconote, lui le diede in mano tre monetine e la salutò con aria di sufficienza. “Ecco, Rue Saint - Guillaume. Fanno dodici euro”

“Razza di snob francesi!”

Guardò l’enorme palazzo davanti a sé, in pietra grigia, con un cancello nero. Si avvicinò con lentezza e lo spinse delicatamente.

Una donna sui cinquant’anni bassa e tarchiata, grassottella, con capelli neri le si parò davanti, con aria arcigna.

- Oui? Que puis-je faire pour vous?– Alex scattò, al sentire il pronunciato accento italiano di quella che evidentemente era la portinaia. “Sì? Che cosa posso fare per lei?” 

- Salve – cominciò, con un sorriso che andava da orecchia a orecchia. Il viso della donna si rilassò e sorrise anche lei – È italiana, dico bene?

- Sì, signorina. Vivo in Francia da poco.

Alex pensò a quanto fosse ingiusto usare l’arma dell’adulazione e l’amore che ogni italiano provava per il proprio paese (insieme all’odio per i francesi) per ottenere quello che voleva, ma in guerra e in amore tutto è concesso. Si chiese se l’amicizia fosse veramente un tipo di amore.

- Anche io sono italiana – bugia. Beh, in realtà no. La cittadinanza sarebbe dovuta arrivare a breve…

“In guerra e in amore tutto è concesso, Alexandra!” Sentire la voce di Gin nella sua testa era normale?

- È favoloso! Mi mancava sentire la mia lingua madre!

“Ridi”

- Ah, beh, capisco! Sono a Parigi solo da due giorni e già mi manca l’Italia.

"Ruffiana!"

- Senta, io sarei qui per vedere una persona. Abita qui, a quanto dicono. Si chiama Ginevra Greco, è una pianista dell’Opéra.

- Oh, ma certo! La signorina Greco! Ma… io non ho il permesso di fare entrare nessuno a parte il fidanzato, il datore di lavoro e i parenti.

- Ma… Io sono una sua amica d’infanzia. Eravamo praticamente sorelle!

Prima verità dopo tanto tempo.

- Signorina… cerchi di capirmi. La signorina Greco…

- Glielo chieda allora! Su, avanti!

Alex stava iniziando ad irritarsi. Aveva fatto quasi mille chilometri per qualcuno che probabilmente nemmeno si ricordava chi fosse.

- Mi chiamo Alexandra Jiménez. Su, le dica che Alex Jiménez è qui per vederla.

La portinaia alzò un sopracciglio.

- Ma non era italiana lei?

“Oddio”

- Mio padre è ecuadoregno – spiegò alla svelta – Su, perfavore, sono un po’ di fretta – la implorò, sbattendo le ciglia.

La donna annuì e sparì nella guardiola. Alexandra sentì un vociare concitato, ma non riuscì ad afferrarne una parola. Poco dopo la portinaia uscì nuovamente dalla stanzetta. Sorrise, rilassata.

- Appartamento 3A. Terzo piano. E scusi se l’ho fatta attendere.

- Grazie mille – rise Alex, avvicinandosi alle scale larghe e marmoree. Salì in fretta le tre rampe di scale e una volta sul pianerottolo si avvicinò alla prima porta.

Rimase per qualche istante davanti al legno duro. Gin era davvero dall’altra parte? Trattenne il fiato quando sentì dei passi dall’altra parte.

"Inspira."

Sentì la chiave che si infilava nella toppa.

"Espira."

Un giro.

"Inspira."

Due giri.

"Espira."

Tre giri.

Si sistemò la camicia, e guardò che le scarpe fossero allacciate.

La maniglia si abbassò.

Si passò una mano tra i capelli marroni scuri e se li ravvivò.

Ecco che la porta si aprì.

Era la stessa figura snella, ma molto più alta. I capelli erano ancora della stessa lunghezza, più chiari dell’ultima volta. Alcune ciocche erano raccolte sopra la testa con un fermaglio. Gli occhi aveva le stesse sfumature verdastre. Il viso però era più adulto, più professionale. Aveva degli spartiti in mano, e una matita. Rimasero qualche secondo in silenzio, sena dire una parola, con sguardi carichi di apprensione.

- Ciao – mormorò Alex, guardandola negli occhi. Gin mordicchiò la matita.

- Ciao.

Alex tacque. Guardò l’attaccatura dei capelli della ragazza che le stava di fronte con insistenza.

- Vuoi… - Ginny tossicchiò – Vuoi entrare?

- Grazie – gracchiò Alexandra, imbarazzata. Sentiva il cuore batterle all’impazzata. Gin si scostò e aprì la porta. Percorsero un lungo corridoio pieno di quadri, con il parquet. Arrivarono in un salotto ampio, le pareti erano di un caldo color miele, con un enorme pianoforte a coda nel centro. A lato c’era una grosso divano beige.

- Siediti pure. Vuoi un caffè?

Alex detestava il caffè con tutte le sue forze. Preferiva il te, o addirittura il liquore. Ma il caffè …

- Grazie mille – non voleva offenderla dopotutto. Gin sparì in cucina senza dire una parola. Alex si alzò cautamente, per osservare meglio il pianoforte. Si ricordò di quando, alle medie, lei si divertiva a schiacciare tutti i tasti a caso, vantandosi dell’alta musica che produceva. Gin la prendeva sempre in giro, ma infine con un po’ di impegno erano riuscite a suonare a quattro mani “Vois Sur Ton Chemin”, una canzone francese di un film.

Avvicinò le dita ai tasti e accennò alla famigerata canzoncina con una mano sola. Dopo qualche secondo aggiunse anche la seconda mano, alternandole. Eppure non suonava bene. O meglio. Non suonava così bene come quando la suonavano a quattro mani loro due. Insieme. Continuò, mentre la sua mente viaggiava indietro nel tempo, dove le cose avevano decisamente una piega diversa.

Sentì come in un sogno dei passi e Gin posò il vassoio sul tavolino. Lei si alzò precipitosamente dallo sgabello del pianoforte.

- Oh… ehm… scusa – borbottò. Lei alzò una mano con noncuranza e Alex tornò cautamente al suo posto. Gin teneva lo sguardo fisso nel vuoto, decisa a non incrociare il suo sguardo. Evidentemente quella canzone le aveva fatto venire tanti ricordi. Dopo quasi un minuto si riscosse e porse ad Alex la sua tazza e la zuccheriera.

- Tieni. Non sapevo quanto zucchero ci metti solitamente, quindi…

- Grazie – si affrettò a replicare la mora. Prese il cucchiaino e ci caricò quasi sei cucchiai nella tazza con la sostanza zuccherina. Gin la guardò con gli occhi fuori dalle orbite.

- Mi piace il caffè molto dolce – si scusò lei, arrossendo. Ginevra alzò le spalle. Rimasero in silenzio religioso, sorseggiando i loro caffè. Alex si trattenne educatamente dallo sputarlo sul divano. Odiava il caffè. Si sentì quasi una bambina a pensarlo.

- Così… hai sfondato, eh. All’Opéra.

La bruna annuì.

- Già, sono una pianista. Ma faccio avanti e indietro, ho anche un lavoro nella ditta di famiglia, in Italia. Sono una pendolare, diciamo così.

- Bello – asserì Alex, guardandosi le scarpe.

- Mi appassiona - ammise lei, spostando gli occhi verso la volta del soffitto.

- E tu? – chiese, dopo qualche istante di silenzio. Alex arrossì.

- Sono… una… - tossicchiò – una traduttrice.

Gin sbatté le palpebre.

- Ah. E… cosa traduci?

- Libri – prese un sorso del caffè, sperando che la tazzina fosse abbastanza grande da coprirle la faccia.

- Libri… di altri? - Alex chiuse gli occhi e sentì i suo viso andare in fiamme. Posò la tazza e guardò Gin con aria di sfida.

- Certo, e che altro?

Crollò un silenzio imbarazzato. Forse Alex sapeva cosa Gin si sarebbe aspettata. Che fosse una scrittrice, una di quelle brave, piene di soldi. Invece traduceva le glorie di qualcun altro, senza nemmeno troppa passione. L’aveva delusa?

- Beh… ti impegna molto il tuo lavoro?

“Certo. Quasi sei giorni al mese, ma sono talmente scandalosa e non consegno mai in tempo che è un miracolo che mi diano lo stipendio!”

- Abbastanza… e il tuo?

- Moltissimo.

- Lo vedo… - borbottò Alex. Ginevra sembrò alterarsi.

- Che cosa vuoi dire?!

- Che non arrivi in tempo nemmeno agli appuntamenti che programmi da dieci anni!

Le risposte pungenti di Alex erano state sempre le migliori. Sapeva sempre cosa dire al momento giusto, se c’era qualcuno a cui rispondere per le rime era sempre pronta. Soprattutto quando era ferita.

Gin socchiuse gli occhi.

- Io c’ero. Tu non sei venuta.

Alexandra boccheggiò. No, no, non era assolutamente possibile!

- Anche io c’ero – soffiò. Ginevra le studiò il volto, come a testare la validità di quell’affermazione. Sembrò convincersi della sincerità della ragazza.

- Non può essere! Io sono stata a bar per quasi tutto il giorno.

- Anche io… - mormorò Gin. Rifletterono per un istante e la soluzione arrivò loro in un istante.

Non si erano riconosciute a vicenda.

Si guardarono a lungo, ognuna esplorò negli occhi dell’altra, cercando almeno un briciolo della persona che avevano conosciuto dentro a quella marionetta che gli stava davanti. Probabilmente la trovarono, infondo, nascosta in qualche buio e solitario pertugio. Perché sorrisero.

- Sai… - cominciò Gin, dopo dei lunghi minuti di silenzio opprimente. Alex la guardò, senza che il suo sorriso si spegnesse – Ho una nuova filosofia di vita da esporti.

Alex sentì qualcosa di bagnato urgere sul suo ciglio, ma si rifiutò tassativamente di pensare che fosse una lacrima.

- Sentiamo – disse, con la voce commossa e leggermente tremante.

Ginevra le sorrise sinceramente.

- Secondo me tutto è una convenzione. Ti spiego. La tristezza è qualcosa di incredibilmente astratto e che del resto…

Alex guardò le sue mani che si agitavano mentre gesticolava animatamente e le labbra che si muovevano svelte nello spiegare i suoi pensieri. Eccola, finalmente, la Gin che conosceva.

Ora sapeva cosa avrebbe fatto, la vita le apparve più chiara. Avrebbe buttato tutte le copie del suo vecchio romanzo e avrebbe provato a far sfondare in Francia la storia su Ginevra e Alexandra, le amiche che erano riuscite a cambiare a vicenda la vita dell’altra. Per la prima volta in vita sua si sentì sicura delle sue capacità. Era Gin che le faceva quell’effetto?

Anche Alexandra aveva una nuova filosofia di vita.

 

Si può incappare in una trappola per topi in cantina. L’importante e venirne fuori più consapevoli e forti di prima.

   
 
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