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Autore: elyxyz    05/02/2011    11 recensioni
Vincitrice del Contest “Songs in the time of magic”, indetto da vogue – EFP Forum.
Un excursus nella vita di Sir Leon, scandito da una frase ricorrente dal sapore amaro.
“Non rischiare di aver ragione, ché la ragione non sempre serve.”
(Pre-serie, prima e seconda serie, la fic contiene anche SPOILER! su tutta la terza serie.)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Terza stagione, Più stagioni
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Questa storia si è classificata prima al contest “Songs in the time of magic”, indetto sul Forum di EFP da vogue, il cui tema era scrivere una fic, scegliendo la citazione di una canzone da un elenco proposto e usandola a piacere, ma con ovvia attinenza

Questa storia si è classificata prima al contest “Songs in the time of magic”, indetto sul Forum di EFP da vogue, il cui tema era scrivere una fic, scegliendo la citazione di una canzone da un elenco proposto e usandola a piacere, ma con ovvia attinenza.

La mia frase è: Non rischiare di aver ragione
ché la ragione non sempre serve.”
(Tiromancino)

Il personaggio protagonista invece è stato assegnato dalla giudice, mediante un numero corrispondente indicato dal partecipante. A me è toccato in sorte Sir Leon.

 

La storia è una what if? e contiene SPOILER su tutta la terza stagione, non ancora trasmessa in Italia.

 

POV di Sir Leon.

 

Nelle note finali, ulteriori spiegazioni.

 

 

 

<>O<>O<>

 

 

All my reasons

 

 

 

La cosa più vecchia che rammenti, quando ripensi alla tua infanzia, sono le parole che la tua anziana balia soleva ripetere, come una cantilena, nelle più disparate occasioni.

 

“Non rischiare di aver ragione, ché la ragione non sempre serve.”

 

A quel tempo eri troppo piccolo per intuire cosa significasse questa frase, la prima volta che la udisti.

Ma ben presto dovesti imparare la sua importanza, piccolo Leon.

E ti sovviene alla mente il momento esatto... in cui hai capito il peso di questo concetto.

 

La tua povera madre, Lady Belinda, si era ammalata un piovoso giorno d’autunno.

Un’inclemente tosse le sconquassava l’esile figura e, malgrado i rimedi del saggio Gaius, nulla sembrava giovare alla sua salute.

 

La vedevi, pallida e febbricitante, sorriderti per rassicurarti.

Ma sapevi che era un sorriso forzato e finto. Lo sentivi sulla tua pelle, sentivi il modo in cui si costringeva ad apparirti serena.

 

“Guarirà presto.” Insisteva la tua nutrice, allontanandoti dalla soglia delle sue stanze, quando ti trovava col faccino preoccupato e la voglia di poterla vedere almeno per un istante. Ma lei era sempre nascosta dalle coltri e dai tendaggi di quel grande lettone, in una camera che ti era stata tassativamente preclusa.

 

“Si rimetterà.” Reiterava Johanna, per blandirti, asciugandoti il moccio e le lacrime che spuntavano dagli occhietti arrossati, trascinandoti in cucina per fare merenda, oppure a lezione dal tuo precettore.

 

Ma i giorni passavano e l’inverno arrivò, gelido e inclemente.

E l’unica cosa che ricordi è un’immagine colta di sfuggita – mentre il portone si richiudeva per sempre tra te e lei –, un fazzoletto macchiato di cremisi, che lei si era messa davanti la bocca, tossendo.

 

Intanto che le cose precipitavano, i servi borbottavano sottovoce nei corridoi del maniero, e il tuo nobile padre veniva straziato dal dolore, però non lo dava a vedere a te – questo lo hai capito solo dopo.

 

E le veglie scorrevano, e scorrevano.

“Non temere, piccino, starà meglio.” Ti confortava la donna che ti aveva allattato, mentre piangevi senza un perché.

 

Ma non era vero. E tu lo sapevi, tu lo sentivi.

Eri piccolo, ma non sciocco.

Tuttavia preferivi mentirti e credere alle parole della tua balia.

“Per non rischiare di aver ragione, ché la ragione non sempre serve.” Come ti aveva insegnato lei.

Alla fine, la tua nobile madre era morta.

E tu avevi avuto ragione. Ma la ragione non sempre serve.

 

 

***

 

 

La prima volta che riesci ad avvicinarti a Lady Morgana, a tal punto da sentire il profumo della sua pelle, sai che te ne sei perdutamente innamorato all’istante. E che lei non sarà mai tua.

 

La sala del banchetto era gremita di nobili e servitori, in un chiacchiericcio quasi assordante, eppure lei riusciva a catalizzare l’attenzione di tutti, con la sua bellezza di fiore in boccio e col suo sorriso sfolgorante.

Riuniti per festeggiare il suo sedicesimo compleanno, era lei la protagonista assoluta della serata, e tutti i cavalieri di corte si erano prodigati nel chiederle l’onore di un ballo.

Tutti, tranne te.

Che al solo guardarla da lontano sentivi il cuore battere forsennato, come il ritmo di un tamburo da guerra; il volto accaldarsi e imporporarsi come il rosso dei Pendragon e il respiro farsi corto, come quando correvi tra i boschi, quand’eri a caccia col principe.

 

Ed era stato proprio Arthur a spingerti – con assai poca grazia, in effetti – a danzare con lei.

 

Morgana ti aveva sorriso indulgente, udendo le parole del fratellastro, e aveva elegantemente allungando la sua mano ingioiellata affinché tu la conducessi al centro della sala.

E poi non rammenti nient’altro che non fosse il suo sguardo d’acquamarina. Non il peso leggero del suo corpo, né il vorticare della stoffa attorno a voi.

 

Da quel momento in poi, era stato più semplice poterla vedere. Ma anche più doloroso.

 

Tu, essendo stato nominato da poco cavaliere e riconosciuto come amico fidato del principe, eri stato assegnato alla guardia personale della protetta del re.

Quando ella andava in pellegrinaggio alla tomba del padre, eri tu a scortarla, con un piccolo gruppo di soldati come protezione.

La sollevavi con gentilezza per farla accomodare in sella, le sistemavi il mantello, affinché non le fosse d’impiccio, e cavalcavi al suo fianco, casomai avesse avuto bisogno di qualcosa. Di qualsiasi cosa.

 

Lei ti sorrideva di rimando, per ringraziarti, in un rituale tutto vostro, e col tempo aveva anche imparato a conversare un po’ con te – che, tra tutti gli amici di Arthur, eri quello più pacato e maturo; l’unico, la cui presenza non la infastidisse davvero.

 

A te bastava il suo sorriso grato, la stretta delle sue dita affusolate sopra al tuo guanto di cuoio.

A volte ti sembrava quasi che le sue mani indugiassero un po’ troppo fra le tue, e che il suo sguardo volesse rivelare altro.

 

Ma sapevi che lei era destinata ad un futuro matrimonio di interesse, eri consapevole che Uther l’avrebbe usata per consolidare qualche importante alleanza strategica.

Ed essendo tu già un fedele vassallo del regno, come tuo padre prima di te, non avresti avuto speranze.

 

E preferivi mentirti, convincendoti di esserti sbagliato, di aver frainteso ciò che non era, ciò che non poteva essere.

Così le parole della tua anziana balia rimbombavano dentro il tuo animo, come severo monito.

“Non rischiare di aver ragione, ché la ragione non sempre serve.”

 

E non rimaneva altro che smettere d’amarla. E cercare di scordarla.

 

 

***

 

 

Dicono di te che tu sia un uomo assennato, valoroso, dall’animo impavido e generoso, affidabile in qualsiasi situazione ci si possa trovare, per quanto pericolosa essa sia.

 

Ed è per questo che talvolta – più spesso, in realtà, di quanto vorresti – sei costretto a portare a termine compiti sgradevoli per chiunque.

 

In certe occasioni, maledici la tua atavica incapacità nel saper dire di no.

Anche perché sovente sei consapevole di aver ragione, ma questo è solo fonte di altra frustrazione giacché, come frequentemente ti spiegava la tua vecchia nutrice, “Non rischiare di aver ragione, ché la ragione non sempre serve.”

 

Ne avevi avuto riprova quando Camelot aveva ospitato quella delegazione di nobili sovrani, dei cinque regni confinanti, per rinnovare i Trattati di Pace.

Avevi avuto il netto sentore che non tutti quei monarchi avessero davvero a cuore la firma dell’Accordo e che Lady Vivian – nel momento esatto in cui aveva messo il suo delicato piedino al castello – avrebbe portato guai, visto e considerato il padre esageratamente geloso di lei e la presenza di quel subdolo guerrafondaio di re Alined.

Avresti voluto mettere in guardia il principe Arthur da possibili intrighi. Ma come avresti potuto fare?

Conoscevi il carattere dell’erede al trono, avevi sperimentato la sua indole. Difficilmente ti avrebbe dato retta, in quell’inceppo di momentanea follia in cui era caduto.

Eppure ci avevi provato, anche se non era servito a nulla e Arthur ti aveva liquidato con un sorriso ebete e una mano svolazzante, lasciandoti da solo a metà di un discorso giudizioso.

Egli non ascoltava neppure il re, suo padre; e nemmeno prestava attenzione alle parole del suo servo personale, Merlin, con cui indubbiamente aveva un forte legame d’amicizia.

 

Per poco Arthur non era morto, in un assurdo duello all’ultimo sangue.

Ma fortunatamente, poi, il principe era miracolosamente rinsavito, benché malconcio.

 

E tu avevi avuto ragione a sospettare.

Ma aver ragione non sempre serve.

 

 

***

 

 

Anche quando quel fetido Troll si è insediato con l’inganno a Camelot, spacciandosi per la defunta Lady Catrina, e circuendo il re con arti magiche e oscure, hai rischiato che la tua testa finisse avvolta dal capestro o recisa per mano di un boia.

 

Tu sapevi di essere nel giusto, anche se avresti preferito “Non rischiare di aver ragione, ché la ragione non sempre serve.” Come borbottava, con parca saggezza, Johanna.

 

Eppure eri consapevole che qualcuno avrebbe dovuto parlare al sovrano di questa delicata questione.

Benché l’argomento fosse alquanto spinoso, ti eri offerto assieme a Gaius di richiedere udienza a re Uther, per tentare di farlo rinsavire. Con alcuni rappresentanti del Consiglio, eri stato introdotto nella sala del trono e in vano avevate cercato – tu e il medico di corte – di far comprendere al monarca l’ovvietà grottesca di cui era vittima.

Ciononostante era stato tutto inutile, come tu avevi previsto e, anzi, avevi guadagnato un severo monito dal tuo sire; e così per i giorni a venire, quando ti eri azzardato a persuaderlo sulla crudeltà di aumentare le tasse: il popolo era già stremato e viveva appena di stenti.

In aggiunta a ciò, per poco non si era sfiorato un incidente diplomatico con re Bayard, che voleva rendere omaggio ai novelli sposi, ignaro di cosa lo avrebbe accolto al suo arrivo. Il tuo consiglio di declinare rispettosamente la sua visita era stato sdegnosamente rigettato; quel Troll era troppo assetato di potere e affamato di ricchezze.

La tua ragione non era servita a molto, a conti fatti.

 

 

***

 

 

E neppure il tuo buonsenso è valso a nulla, allorquando Morgana è stata rapita in un vortice di vento magico da quella strega malvagia. Una maledizione aveva colto tutti, un sonno mortale che annullava le volontà e intorpidiva le membra.

   

L’avevate cercata con ostinazione per più di un anno, tu e gli altri cavalieri, perlustrando palmo a palmo i territori del regno e quelli limitrofi, incuranti dei pericoli, delle privazioni, delle perdite.

 

E poi, insperatamente, un giorno lei era apparsa dal nulla nel mezzo della foresta, provata ma viva.

Nel vederla, avevi rammentato quell’antico amore per lei, che il tempo aveva reso tenero e disilluso affetto.

Tanta era stata la tua gioia, che non ti eri curato di chiederti perché il suo sorriso sembrasse così diverso da quello dei tuoi ricordi.

Forse ti saresti reso conto che somigliava incredibilmente a quello finto di tua madre morente, perché la Morgana che conoscevi tu– quella che avevi amato – era morta anch’ella per sempre, ma hai preferito ignorare quel tarlo.

 

I fatti, poi, erano precipitati.

Non c’era stato neppure il tempo di rallegrarsi di questa lieta novella, che la notizia dell’attacco di re Cenred e del suo esercito aveva turbato la quiete di Camelot.

In fretta, tu e gli altri soldati avevate preparato l’accoglienza del popolo che cercava scampo dentro alle mura, e poi vi eravate armati e avevate combattuto contro l’esercito nemico, e quella schiera di scheletri magici e irriducibili, che erano comparsi dal niente, dentro la cittadella.

Avevate lottato strenuamente, fino a che le sorti della battaglia non vi avevano arriso.

Ed era stata lei, Lady Morgana, a trovare l’incanto malefico e a distruggerlo, favorendovi nella vittoria.

Eri così orgoglioso di lei, da mettere a tacere qualsivoglia rimostranza sussurrata del tuo animo.

 

Non avresti avuto ragione, non questa volta.

 

E invece la realtà aveva dimostrato il contrario di ciò che speravi.

E aveva messo a dura prova il tuo coraggio e la tua determinazione, a partire dall’istante in cui i soldati di re Cenred vi avevano attaccato sul confine dei due regni – dopo mesi di effimera tregua – sterminando la pattuglia di cui facevi parte.

Eri rimasto l’unico sopravvissuto, e solo l’intervento provvidenziale di quel gruppo di Druidi ti aveva concesso di vivere, sanando le tue mortali ferite.

 

Ma al momento di dire come si erano svolti i fatti, davanti al tuo signore, la tua voce aveva vacillato.

Loro ti avevano salvato la vita, senza pretendere nulla in cambio.

Si erano dimostrate persone miti e schive, desiderose solamente di essere lasciate in pace.

Eppure Uther le aveva condannate senza appello, semplicemente perché facevano uso di magia, anche se a fin di bene.

Tu stesso che eri stato graziato per un istante avevi rischiato che l’ira del tuo re si tramutasse in una sentenza di morte.

Eri consapevole che averli difesi fosse pericoloso. D’altra parte, però, ti era stato instillato il senso della riconoscenza fin da quando eri in fasce, e non potevi ignorarlo.

L’onestà si paga.

Dicono.

Ma aver ragione non sempre serve.

 

 

***

 

 

Combattere un esercito di creature immortali è una missione suicida.

Far ragionare il tuo re lo è altrettanto. Lo sai.

 

Come avresti potuto spiegargli che niente, niente e nessuno poteva fermare la loro avanzata?

 

Quei corpi che camminavano anime perse in un patto di sangue non erano più esseri umani, non sentivano il dolore, non venivano feriti né danneggiati in modo serio, lo avevi sperimentato tu stesso personalmente, con tuo sommo sgomento.

 

Ma il sovrano insisteva che l’attacco andava respinto, che Camelot non sarebbe caduta ingloriosamente, che avreste lottato fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo uomo.

 

Eri conscio che le tue parole sarebbero state gettate al vento, tuttavia la tua lealtà ai Pendragon non diminuì né vacillò, mentre eravate riuniti nella Sala del Trono da interminabili ore, tu e gli altri nobili consiglieri, e re Uther non voleva accettare l’ineluttabile verità: la situazione era drammatica, e il principe Arthur dato per disperso da giorni. La missione per recuperare il prezioso Calice della Vita era in qualche modo fallita, forse egli stesso era perito nel tentativo.

 

Rompendo il silenzio greve, qualcuno – probabilmente l’anziano Sir Arvenius – aveva suggerito timidamente di rinforzare le difese sul lato a Nord.

 

Ma non sarebbe servito in alcun modo.

Tuttavia, neppure dirglielo avrebbe giovato. Lo sapevi con certezza, perciò era preferibile tacere.

 

“Non rischiare di aver ragione, ché la ragione non sempre serve.” Meditavi rassegnato, in un monito di fatidica e brutale veridicità, mentre giungeva la notizia che la difesa della Città Bassa a Settentrione aveva ceduto alle pressioni del nemico; il castello stava per essere espugnato.

All’ordine del tuo sire, ti eri alzato dal seggio andando incontro al tuo Destino.

 

 

***

 

 

Vederla sedere sul trono che è stato di suo padre – bellissima e spietata, come la più eterea e crudele delle creature – ti stringe lo stomaco in un nodo di dolore.

Non è più la Morgana che conoscevi. Non è la nobildonna che hai amato e rispettato, a tuo modo venerato nel silenzio e con onore.

 

Non le avresti mai giurato fedeltà. Non all’usurpatrice che si era accaparrata il potere con l’inganno, che aveva tramato nell’ombra, subdola traditrice del suo stesso sangue e della sua casata.

Quando lei ti aveva ripetuto la sua richiesta, non avevi tentennato: la tua vita e la tua fedeltà appartenevano a re Uther e al principe Arthur, e non avresti rinnegato la tua scelta, anche se ti fosse costato la morte.

 

Rinchiuso in cella – nei sotterranei del maniero che ella aveva conquistato, bagnandolo col sangue dei suoi sudditi –, avevi avuto tempo e modo di riflettere, ma non ti eri pentito della tua coerenza.

 

La visita di Guinevere ti aveva inizialmente indignato, però poi avevi compreso il suo reale piano.

Ciò che lei ti aveva proposto era assai rischioso, ma non avevi più nulla da perdere e – prima ancora che tu te ne rendessi pienamente conto –, Gwen era riuscita a farti avere le chiavi per ottenere la libertà e, benché camuffarti in abiti femminili fosse stato umiliante e mortificante per il tuo orgoglio d’uomo e di cavaliere, il suo buonsenso era riuscito ad abbattere le tue rimostranze.

 

E così vi eravate incamminati verso dove eri certo che Arthur e gli altri si fossero nascosti, ignari del fatto che Morgause e le sue guardie vi stessero seguendo per braccarvi.

Scampati per miracolo alla loro trappola, vi eravate successivamente rifugiati tutti nel castello appartenuto agli Antichi Re.

 

 

Ed è qui che, pochi istanti fa, il principe ha preso la sua definitiva decisione:salvare il sovrano e riprendersi Camelot.

Egli vi ha assolto da ogni obbligo, offrendovi la libertà di scegliere. Ma in cuor tuo hai già scelto. E con te tutti gli altri.

 

Ammiri il suo coraggio e la sua determinazione, mentre gli uomini attorno a te promettono di servirlo con onore e vengono solennemente investiti del cavalierato.

 

E’ una missione disperata, oltre il ragionevole buonsenso. Sai che probabilmente andrete incontro a morte certa, ma tu seguirai il tuo principe. Perché è tuo dovere. E perché hai giurato di seguire la stirpe dei Pendragon – e il suo legittimo erede al trono – anche se fosse la tua ultima azione.

 

Sì, potreste perire in quest’impresa.

Ma non ci pensi, per non rischiare di aver ragione, ché la ragione non sempre serve.

 

 

 

Fine

 

 

Disclaimers: I personaggi e la frase della canzone, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Note finali: La traduzione del titolo è “Tutte le mie ragioni”.

Ho voluto dare alla fic un’impostazione un po’ particolare.

In pratica, è una one-shot; ma è anche una raccolta di momenti, disposti in ordine cronologico e non tutti collegati, che come filo conduttore hanno la frase da me scelta, volutamente ripetuta in modo parossistico.

Anche l’uso del presente storico, alternato agli altri tempi, è una scelta voluta, che serve come ‘introduzione’ al pezzo che segue.

La citazione da me riportata è inserita nella canzone “Per me è importante” dei Tiromancino.

 

 

 

Mi sembra corretto riportare il giudizio della giudice:

 

1°Classificata
Elyxyz “All my reasons”


-Grammatica: 10/10
-Lessico e Stile: 10/10
-Caratterizzazione: 15/15
-Originalità: 10/10
-Attinenza al tema: 10/10
-Giudizio personale: 10/10
Totale: 65/65

 

 

Una storia davvero difficile da definire, per tutto quello che rappresenta.
Ogni sua singola parte avrebbe comunque senso di per sé, rimanendo sempre splendida, completa, significativa.
Parto con il dire che l’inserimento della citazione non poteva essere reso in modo migliore di così: dal momento in cui viene pronunciata per la prima volta, diviene come una sorta di mantra per Leon, che riesce a trarre significato da essa in ogni situazione (e va anche detto che, specialmente nei casi in cui essa riferisce a Uther, assume una sfumatura particolare data la caratteristica del re a negare l’evidenza). Insomma lui, da cavaliere, da uomo, prende coscienza di come la ragione davvero non serva sempre, di come ci siano cause contingenti in grado di metterla a tacere, in più di un’occasione.
Quanto alla caratterizzazione e all’originalità, di meglio non si poteva fare: hai sfaccettato Sir Leon, prendendone in esame ogni singolo aspetto, descrivendolo nelle situazioni più disparate, dandogli finalmente voce e descrivendolo in frangenti spesso inaspettati; significativo da questo punto di vista è l’accenno al suo sentimento per Morgana, e alla sua graduale metamorfosi che porta al disprezzo, nel momento in cui la ragazza tenta di prendere il trono di Camelot.
Particolarmente piacevole, ed è qualcosa che risalta, è anche il modo in cui ti cali nell’epoca che descrivi (cosa che, va detto, si riscontra in tutte le tue storie): lessico, stile, strutture... tutto rimanda ad un modo di esprimersi di un tempo del tutto differente, con usi linguistici differenti, e la patina arcaica che permea la tua storia rende alla perfezione l’idea di quel determinato periodo storico, in modo assolutamente fluido, che non pare mai ‘costruito’.
Posso quindi dire che, a parer mio, la tua storia rasenti davvero la perfezione: è un ritratto di Sir Leon come pochi, che gli rende assolutamente giustizia e che fa luce sul suo pensiero e sulle sue reazioni in merito a quei frangenti che l’hanno visto protagonista, ma sui quali non ci si è mai soffermati troppo. Più che bravissima, non so che dirti!

 

 

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L’intero bando del concorso si può leggere qui:

http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9567902&p=1

 

 

Ringrazio sentitamente vogue, per le sue bellissime parole che – come autrice – mi hanno riempito il cuore. *O*

Ringrazio quanti leggeranno la fic, e mi congratulo con le altre partecipanti. ^^

 

 

Avviso di servizio: i problemi tecnici permangono, ogni aggiornamento è sospeso fino a che non avrò risolto.

Vi terrò aggiornati sul mio forum di EFP.

 


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