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Autore: SweetTaiga    06/02/2011    11 recensioni
IV CLASSIFICATA AL CONTEST "THE PAIRING IN THE BOX" DI SEPHORA20
«Potrei ucciderti.», disse piano, in un sussurro a mala pena udibile.
Ma Goldstein lo sentì, ed un’altra risata amara s’accese tra le sue labbra.
Alzò la mano fino a sfiorare il viso della giovane donna che invano tentava di spaventarlo, minacciandolo di una morte che probabilmente sarebbe stata molto più semplice e indolore della vita stessa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Pansy Parkinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quarta classificata al contest “The Pairing in the Box” di Sephora20. ( che potete trovare qui http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=104260:D )


Coppia: Protego  -  Anthony Goldstein/Pansy Parkinson
Canzone:  Goodbye my lover - James Blunt


 

Lei che non sorrideva mai.

 

 

Per mille volte cercò gli occhi di lei, e per mille volte lei trovò i suoi.
Era una specie di triste danza, segreta e impotente.

( Alessandro Baricco )




La Stanza delle Necessità sembrava un vero campo di battaglia.
I muri spogli erano corrosi, i tendaggi neri in fiamme, il soffitto sgretolato e sul pavimento numerose crepe rovinavano il pregiato marmo scuro.
Quando un Corvo e una Serpe combattono, non vi è pietà per nulla.
«Stupido Corvonero, perché diamine continui a difenderti? Attacca, vigliacco!», urlò Pansy Parkinson in preda all’esasperazione, dopo l’ennesimo incantesimo di protezione di Anthony Goldstein.
Erano ore che continuavano a squadrarsi senza proferire altre parole se non incantesimi, brevi formule ora sussurrate a fior di labbra ed ora urlate a pieni polmoni.
Molte volte la ragazza aveva cercato di ferirlo, altrettante volte lui si era difeso.
Era una sorta di triste e crudele danza, durante la quale i partecipanti non dovevano far altro che ferirsi, scappare e poi ferirsi ancora.
Come predatori continuavano a rincorrersi, scontrandosi per poi allontanarsi.
Saette, lampi, fasci di luce illuminavano a tratti la stanza buia.
La rabbia cieca si contrapponeva alla controllata compostezza, l’istinto alla razionalità, l’attacco alla difesa.
Per alcuni minuti si limitarono a camminare intorno ad un punto immaginario, come se la distanza tra loro non potesse diminuire né aumentare, come se tutto fosse in equilibrio.
Quiete prima della tempesta, brevi attimi di respiro.
Poi la Parkinson scattò in avanti, con l’ennesimo incantesimo tra le labbra.
Lei attaccava, lui si difendeva. Un equilibrio semplice eppure precario.
«Rispondimi, idiota!», urlò ancora lei, mentre il ragazzo continuava a lanciare banali incantesimi-scudo.
Una breve risata roca, priva d’allegria e divertimento ma carica invece di risentimento e amarezza.
«La vigliaccheria è una dote di voi Serpeverde, non nostra. Non mia.», rispose lui, col solito tono pacato.
La ragazza emise un sonoro sbuffo, e subito dopo rialzò la bacchetta verso l’avversario. «Mi hai dato della vigliacca? Stupeficium!»
«Protego!», urlò a sua volta Anthony. «Non saprei come altro chiamare qualcuno che nasconde in modo così palese i propri sentimenti.»
«Idiota! Io non nascondo proprio niente!»
L’equilibrio crollò.
La rabbia prese il sopravvento, l’odio s’impossessò completamente delle membra della Serpeverde, ed in un attimo gli fu addosso, immobilizzando il corpo del ragazzo con il suo.
«Preferiresti che usassi una Maledizione Cruciatus come i Mangiamorte che mi hanno cresciuta?», sibilò la ragazza, con gli occhi ridotti a due fessure.
Con la bacchetta gli rigò il collo, tanto forte da fargli male ma abbastanza piano da non graffiarlo.
Anthony continuava a fissarla, imperterrito. Né la paura né la rabbia smuovevano i suoi lineamenti; nemmeno per una volta tremò, mentre l’erede di numerose generazioni di maghi oscuri e potenti gli puntava la bacchetta al petto.
«Potrei ucciderti.», disse piano, in un sussurro a mala pena udibile.
Ma Goldstein lo sentì, ed un’altra risata amara s’accese tra le sue labbra.
Alzò la mano fino a sfiorare il viso della giovane donna che invano tentava di spaventarlo, minacciandolo di una morte che probabilmente sarebbe stata molto più semplice e indolore della vita stessa.
Non appena il suo palmo sfiorò la pelle pallida della ragazza, quest’ultima si alzò, senza però abbassare la bacchetta.
«Non osare toccarmi, vigliacco, altrimenti ti Crucio!», gridò senza esser capace di trattenere un fremito di rabbia e irritazione.
«Non lo faresti.»
«Cosa ne sai tu di quello che farei o meno?»
«Lo so perché ti osservo, stupida Serpeverde!», urlò allora il ragazzo, perdendo per un attimo la sua proverbiale calma. «E non sono così orgoglioso e insensato e VIGLIACCO da cercare di nasconderlo come fai tu!»
«Io non nascondo proprio niente, soprattutto perché non c’è niente da nascondere! Sei solo un illuso se pensi che io…»
«Che tu cosa, Pansy? Che tu mi osservi esattamente come faccio io? Che mi hai mandato quel biglietto di sfida solo per avermi visto con Susan Bones?»
Al sentire pronunciare questo nome, i tratti della Parkinson diventarono a mano a mano più rigidi, risentimento e delusione occuparono il posto della rabbia, un freddo contegno rimpiazzò la cieca furia di pochi attimi prima. «Sei libero di portarti a spasso chi vuoi, Goldstein.»
«Ne sei sicura?», replicò lui, con uno strano bagliore negli occhi.
Pansy annuì con forza, per poi alzare il mento e voltare le spalle al ragazzo dai capelli corvini, incamminandosi verso l’uscita della Stanza delle Necessità.
«Allora, stupida Serpeverde, esci con me.»

La scena sembrò svolgersi al rallentatore, mentre la ragazza si voltava, con le guance solitamente pallide tinte di un lieve rossore, fino ad incrociare gli occhi di Anthony.
A piccoli passi si avvicinò a lui, colmando parte della distanza che li separava.
Aumentò lentamente il passo fino a che, a pochi metri di distanza dal Corvonero, non iniziò letteralmente a correre.
La sua mano corse a cingere la cravatta blu e nera del ragazzo e a strattonarla verso il basso.
Non vi era dolcezza in quel gesto, non vi era affetto, ma solo una cieca rabbia che si riversò negli occhi di lei, quando con voce bassa si rivolse a Goldstein.
«Non osare prenderti gioco di me, è chiaro? Non osare mai più!»
La sua voce era simile al sibilo di un serpente, i suoi occhi avevano la forza del mare in tempesta e la sua mano, che ancora stringeva con forza la cravatta, tremava leggermente.
L’altra mano invece, con la bacchetta stretta tra le dita, era puntata con decisione al collo del ragazzo.
«Sei davvero convinta che ti stia prendendo in giro?», bisbigliò Goldstein, sporgendosi appena per arrivare a sfiorare il suo collo col fiato caldo.
Lei soppresse un brivido, per poi alzare gli occhi nei suoi.
«Come potrei crederti?», sussurrò poi, ma la sua intenzione di assumere un tono indifferente sfumò presto a causa della disperazione che trapelò dalla sua voce nel pronunciare l’ultima parola.
«Come puoi credermi, ti chiedi? Io non sono uno sporco Serpeverde doppiogiochista!», gridò lui.
La mano del ragazzo saettò sul suo polso, facendo cadere la bacchetta con un tonfo sordo.
Con l’altro braccio le cinse la schiena, stringendola a sé.
«La dote dei Corvonero è l’ingegno, Pansy. L’ingegno, non l’imbroglio.», sussurrò poi al suo orecchio.
Pansy scostò il viso per allontanarlo dalle sue labbra, la mano sempre stretta alla cravatta del ragazzo.
«Guardami negli occhi, Pansy.», disse piano il ragazzo. «Guardami.»
Non un ordine, ma una supplica.
L’urgenza nella sua voce costrinse Pansy a voltarsi, incontrando per l’ennesima volta gli occhi che per lungo tempo avevano partecipato assieme ai suoi ad una triste danza.
Occhi, i loro, che a lungo si erano cercati e per qualche strano scherzo del destino erano destinati a trovarsi.
Nero nel nero, abisso nell’abisso: sguardi così simili eppure così distanti, anime separata da un crudele disegno divino e avvicinate da un desiderio dolce e beffardo al tempo stesso.
«Qualcuno si sta prendendo gioco di noi...», sussurrò Pansy, ancora immersa in quegli occhi.
«Che cosa intendi?»
«Siamo così diversi, così…»
Un dito si posò sulle sue labbra, prima che potesse completare la frase.
«Se le differenze fossero una pecca per un rapporto, allora persino uomini e donne non potrebbero stare insieme.»
Pansy rise. «Da dove l’hai presa questa? Da uno di quei cosi babbani, da un film?»
Anthony rise con lei. «Oh, no: é tutta farina del mio sacco. Sono irresistibile, lo so.», rispose lui, sorridendo alla risata della ragazza.
«Sei più bella quando ridi, dovresti farlo più spesso.»
Le guance della Serpeverde si tinsero pericolosamente di rosso, ma questa volta il loro colore c’entrava ben poco con la rabbia e sicuramente troppo con l’amore.

«Fidati di me, stupida, orgogliosa, viziata Serpeverde.»
«Se ho così tanti difetti, non dovresti sprecarti con me, idiota di un Corvonero.», disse lei, cercando di divincolarsi dal suo abbraccio.
«Questi non sono difetti, questa sei tu.», bisbigliò lui.
«Ti ho odiata, lo sai. Ho odiato la ragazzina insicura che eri all’inizio di Hogwarts, ho odiato il tuo essere sempre attaccata al mantello di Malfoy, ho odiato il tuo nasconderti nell’ombra. Ti ho odiata quando hai fornito informazioni false sui miei amici, quando hai preso parte alla squadra di inquisizione della Umbridge. Ma quando mi sono accorto di averti odiato soprattutto perché al Ballo del Ceppo hai ballato con Draco Malfoy, allora ho capito che poteva, doveva esserci qualcosa di più.»
Al silenzio ostinato della ragazza, Goldstein continuò.
«Tu non sei come vuoi far sembrare, Pansy. Non lo sei. Ti ho visto piangere nascosta nell’ombra della guferia, ho visto spesso la tristezza ed il dolore nei tuoi occhi, ho visto la fatica che provi nel seguire le esigenze dei Mangiamorte. Tu non sei così, Pansy.»
«Io sono una Serpeverde..», sussurrò lei, distogliendo lo sguardo.
«Ma Serpeverde non è il male! Serpeverde non è sinonimo di Mangiamorte! Serpeverde è astuzia, egoismo, altezzosità e persino doppiogiochismo.. Ma non è cattiveria!»
Lacrime calde scivolarono sulle guance della ragazza, che si strinse convulsamente al mantello del giovane mago.
«Devi capirlo, Pansy: il tuo futuro non è già scritto. Sei tu ad avere in pugno il tuo destino.»
Con una costellazione di baci asciugò le lacrime della ragazza, che dopo anni ed anni di solitudine aveva trovato la forza di mostrarsi per ciò che era: una giovane donna fragile e bisognosa di protezione, ben lontana dall’immagine di ragazza forte e menefreghista che gli altri conoscevano.
E Anthony quella dolcezza e quella fragilità le aveva scorte da tempo, da quando anni prima l’aveva incrociata all’entrata del castello, prima che ognuno di loro venisse assegnato alla propria casa di appartenenza, prima che il dolore e la sofferenza varcassero i cancelli di Hogwarts.
Gli aveva teso la mano, quella bambina, quando, preda della sua goffaggine, era inciampato scendendo dalla barca.
“Ti sei fatto male?”
Dopo anni la voce era sempre la stessa, appena appena meno acuta e più sensuale.
I tratti spigolosi del viso si erano addolciti, la pelle era diventata ancora più chiara e i capelli, per contrasto, sempre più corvini.
Ma gli occhi, gli occhi! Quelli erano gli stessi, neri e profondi, ma oscurati da un velo di dolore che da bambini è impossibile conoscere.
“Ora non sono brava con la magia, ma posso darti un cerotto. Quando diventerò una brava strega ti curerò, è una promessa!”
Poi un sorriso, quel sorriso che finalmente, dopo anni di attesa, aveva visto risorgere su quel viso pallido, illuminandolo di una luce rassicurante.
Non aveva mai dimenticato quel sorriso, Anthony Goldstein.
Né quel sorriso, né quel nome, né quella voce, né tantomeno quella piccola mano che si era stretta alla sua.
“Io sono Pansy Parkinson. Spero tanto che diventeremo amici!”
Troppi anni, c’erano voluti davvero troppi anni per arrivare a realizzare quell’ingenuo desiderio.
Anthony credette di sognare, quando finalmente poté chinarsi e sfiorare quelle labbra che non sorridevano mai.
Mentre le loro bocche s’incontravano per la prima volta, il velo di oscurità negli occhi di Pansy si dissolse, lasciando spazio solo alla gioia degli occhi ingenui di un tempo.
Strano come l’amore faccia tornare bambini: in un attimo entrambi dimenticarono le loro famiglie, i loro principi, le loro case di appartenenza, gli amici, i timori, gli sbagli commessi.
Niente aveva importanza, non finché l’uno respirava tra le labbra dell’altro, non finché le loro mani potevano sfiorarsi, non finché erano solo loro due.
«Vieni via con me. Unisciti all’Esercito di Silente. Loro sapranno proteggerti, io saprò proteggerti. Non sei costretta a tornare da loro.», sussurrò Anthony, prendendole il viso accaldato tra le mani e poggiando la fronte sulla sua.
«Pansy, guardami, puoi farlo!»
Il silenzio li avvolse.
 Anthony si sarebbe potuto pentire di quelle parole, se non avesse creduto fermamente nella necessità di pronunciarle.
Pansy avrebbe persino potuto accettare.
«Anthony... sai qual è la caratteristica principale dei Serpeverde?», chiese lei, baciando il palmo del ragazzo.
«Il vostro essere incredibilmente insopportabili?», tentò di sdrammatizzare lui con un sorriso incerto ad incurvargli le labbra.
Pansy ricambiò brevemente il sorriso, poi strinse tra le mani le ciocche nere del ragazzo prima di continuare a parlare. «Il nostro essere incredibilmente conservatori, Anthony. I cambiamenti ci spaventano, le novità ci terrorizzano.»
Anthony restò immobile, le dita affusolate ad accarezzare lentamente quel collo bianco, nonostante fosse consapevole di ciò che la ragazza stava per dire, nonostante volesse solo urlare e scappare dall’evidenza dei fatti.
«Io ti amo, lo sai che è così. L’hai sempre saputo. Ma cambiare è troppo difficile, ed io sono troppo abituata ad essere ciò che sono.», concluse piano, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe nere.
Udendo il sospiro del ragazzo, alzò nuovamente lo sguardo sul suo viso.
«Lo so, ma dovevo provarci.», disse lui a mezza voce, scrollando le spalle con finta indifferenza.
«Non ti chiederò di seguirmi, solo una cosa: se ci riesci, non odiarmi.», sussurrò lei.
«Non lo farò.»
«Non dimenticarmi.»
«Non lo farò.»
«Non…»
«Pansy, va tutto bene. Dopo aver visto la parte migliore di te, dopo aver visto il tuo sorriso, non basterà tutto l’orrore del mondo a permettermi di odiarti.», le sussurrò, cullandola tra le sue braccia mentre i singhiozzi della ragazza si acquietavano.
«Tieni.», sussurrò poi Anthony, allacciando al collo della ragazza una sottile catenina d’argento.
«Non ti dimenticherò», le disse poi, baciandole la fronte.
Pansy si mise in punta di piedi e gli sfiorò piano le labbra con le sue. «Nemmeno io. Mai.»
Poi lei si allontanò, incamminandosi verso la porta della stanza delle Necessità, stavolta senza rabbia né rimpianti.
«Pansy, nel caso dovessi cambiare idea...», azzardò Anthony, tendendo la mano verso di lei.
Con le lacrime che ricominciavano a rigarle il viso ed un sorriso malinconico sul volto, Pansy scosse la testa ed uscì.
Anthony vide nello stesso momento la sua prima amica e il suo unico amore uscire da quella porta e dalla sua vita, ma non dal suo cuore.
Goodbye my lover, goodbye my friend.
You have been the one, you have been the one for me.

Se Pansy Parkinson si fosse fermata, se non avesse avuto paura di cambiare, se avesse accettato la protezione dell’Ordine della Fenice, forse molte cose terribili non sarebbero successe.
Se fosse rimasta in quella stanza, se invece delle lacrime sul suo volto fosse sorto un nuovo sorriso, se le sue mani fossero rimaste intrecciate a quelle di Anthony Goldstein, probabilmente sarebbe stata una donna diversa dall’ombra che è diventata, una donna più forte e più felice, una donna meno sola.
Se non fosse scappata dall’amore, probabilmente molte persone innocenti non sarebbero morte.
Ma se quella notte Pansy Parkinson non avesse deciso di rimanere se stessa, se non avesse giurato di non dimenticare il suo stupido Corvonero, non avrebbe potuto mantenere la promessa fatta anni e anni prima.
Se Pansy Parkinson non fosse tornata dalla parte dei Mangiamorte, non avrebbe potuto curare le ferite che una Cruciatus aveva inflitto al corpo del suo amato.
Non avrebbe potuto allontanare Bellatrix con la scusa di volerlo uccidere, per poi salvarlo.
Se Pansy Parkinson non fosse rimasta la Serpeverde doppiogiochista di un tempo, non sarebbe riuscita a nasconderlo, ancora privo di sensi, in uno sgabuzzino, lontano dagli occhi degli altri Mangiamorte.
Probabilmente sarebbero successe molte cose se Pansy Parkinson fosse rimasta nella Stanza delle Necessità, quella notte. Tutto, forse, sarebbe stato diverso.
Ma noi non possiamo saperlo.
Di lei si sa solo che non sposò mai Draco Malfoy, al quale invece andò in moglie la bella Astoria Greengrass.
E possiamo immaginare il sorriso di Anthony Goldstein quando, una decina di anni dopo la grande battaglia, lesse delle liete nozze.
Nemmeno lui si sposò mai.
Due paia di occhi neri rimasero a cercarsi malinconicamente, troppo impegnati in una triste e dolce danza per posarsi su qualcuno che non fosse un’orgogliosa Serpeverde o uno stupido Corvonero.
Non si rincontrarono mai, ma forse al ricordo del loro fugace amore, al leggero contatto di una catenina sul collo, persino le labbra della donna che non sorrideva mai si curvarono in un sorriso.

‘Cause I saw the end before we’d begun…
But my heart was blinded by you.




Il parere della giudicia :D

4 classificata (parimerito): SweetTaiga - lei che non sorrideva mai 
Originalità: 9/10 
Mai letto niente del genere, nella maniera più categorica. Critica o lode? A te la scelta. Ovviamente, considerando i 9 punti, io opterei per la lode ;D 
Correttezza grammaticale: 8,5/10 
Nessun errore di battitura, grammaticale o di sintassi. Il lessico è vario ed appropriato, ho trovato solo la ripetizione del nome "Anthony", ma niente di grave ^^ 
Stile: 9/10 
C'è poco da fare, il tuo stile mi ha assuefatta. È curato, si vede anche dalla scelta delle parole e sintattica, ma allo stesso tempo scorrevole e coinvolgente. Bravissima! 
Gradimento personale: 9,5/10 
Ti dico la verità: quando ho letto il finale, mi sono commossa. Mi ero così immedesimata, ero entrata così in contatto coi personaggi, che alla fine mi sono praticamente messa a piangere :'( 
Sniff, sniff.. Brava, brava! 
IC personaggio: 5/5 
Punteggio totale: 41/45 





NOTE:
Scrivere questa fan fiction è stata davvero una sfida. Quando ho letto i nomi dei due personaggi che mi sono capitati, per un attimo ho seriamente pensato di rinunciare.
Poi però è spuntata una minuscola idea nella mia testa bacata – tutto grazie alla parolina “PROTEGO”, ed agli incantesimi che Sephora20 ha utilizzato per assegnare le coppie – ed ecco qui la mia piccola creazione.
Se da una parte è stato difficile scrivere di una coppia così improbabile, dall’altra ho avuto molta libertà nel creare questa storia, rendendo i personaggi un po’ più “miei” e rispettando semplicemente gli ideali delle loro case.
Ammetto che, dopo la crisi iniziale, mi sono divertita molto.
Ringrazio quindi Sephora20, che mi ha permesso di mettermi alla prova con questa stramba ed adorabile coppia!

Baci,
SweetTaiga : )

   
 
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