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Autore: baby80    06/02/2011    36 recensioni
Cosa sarebbe successo se ad Oscar fosse stato imposto di vivere come una donna dopo l'incidente a cavallo della principessa Maria Antonietta? Come sarebbe stata la sua esistenza da quel momento in poi? Si possono cancellare diciotto anni di vita un individuo, il proprio carattere, semplicemente indossando un abito differente?
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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È ancora notte quando impongo alle mie membra di alzarsi dal letto e camminare fino alla terrazza, un vano tentativo di zittire la ragione che non vuole darmi pace, impedendomi di dormire.
Dormire? Come potrei sapendo ciò che mi attende domattina?
L'idea di chiudere occhio mi fa star male, non voglio perdere neanche un minuto del tempo che mi separa dall'alba, come se da qui al mattino vi fosse tutto il resto della mia vita, e solo in queste ore potessi goderne ogni istante.
Sei una sciocca Oscar, sembra quasi che vi sarà la fine ad attenderti con le primi luci del giorno.
Rimprovero me stessa esattamente come farei, e come ho fatto fino a qualche giorno addietro con i miei uomini, ma contrariamente al consueto, qui non ottengo il medesimo risultato.
Sono una sciocca, è vero, ma la realtà non si discosta di molto dalla follia, non ci sarà una morte fisica per me, nulla che si potrà scorgere con lo sguardo, ma sarà, se possibile, qualcosa di più doloroso.
Oltrepasso la soglia della terrazza poggiando i piedi nudi uno dinnanzi all'altro, beandomi della piacevole sensazione che il contatto con la fredda pietra mi procura, ed ignorando i leggeri brividi che mi scorrono lungo la pelle mi spingo a ridosso della balaustra, respiro il profumo della notte permettendo al vento di allontanarmi i capelli dal volto, mentre lo sento nel medesimo istante insinuarsi al di sotto della veste da camera, gonfiandola, come gonfie nello stesso modo  immagino le tende della mia stanza.
Come sarà la mia vita d'ora in poi?
Mi trascino fino al letto sul quale mi lascio cadere pesantemente, abbandono le braccia lungo il corpo ed una fitta mi colpisce come una lama rovente infilata a forza nella carne, sollevo la manica della camicia da notte da cui compaiono delle candide bende lievemente sporcate di un pallido rosso.
Svolgo la fasciatura liberando la carne arrossata sulla quale spicca una ferita ancora fresca, una ferita che stava per costarmi la vita, o forse dovrei dire che così è stato, perché da domani sarà come essere morta.
Poggio le dita sul taglio che fatica a rimarginarsi, premendovi sopra i polpastrelli con sempre maggior vigore, una sciocca azione che mi strappa un lamento di sofferenza di cui però non mi curo, ho bisogno del dolore per provare a me stessa d'essere viva, per dimostrare alla mia mente che Oscar Francoise De Jarjayes esiste ancora, o almeno fino a domani.
Socchiudo gli occhi scordandomi del presente, dimenticando la ferita, il dolore, il sangue che sta macchiandomi le dita, ed è in questo attimo di pace, in questo luogo tra il presente e il passato che non mi è possibile fermare quelle parole che ho udito una manciata di giorni fa, e che mai avrei immaginato di ascoltare...

“Oscar! Oscar! Sei viva! Dio ti ringrazio. Ho temuto di perderti, e sarebbe stata solo colpa mia, solo colpa mia. Ho commesso il più grande degli errori educandoti come un maschio, sono stato un pazzo, un folle! Ho rischiato di perdere mia figlia per inseguire un capriccio. Ero convinto che non ti sarebbe mai accaduto nulla, perché tu eri un Jarjayes, l'erede di questa famiglia, intoccabile dal fato, ma sbagliavo, Dio solo sa quanto ero in errore! La natura non può essere cambiata, e tu Oscar sei nata donna, e come tale saresti dovuta crescere... perdonami, perdona tuo padre.
Ma non temere, ho intenzione di porre rimedio, d'ora in poi vivrai come doveva essere. Da questo momento in poi vivrai come una donna. Non ti accadrà più nulla di male, te lo prometto, sorridi Oscar, ti aspetta una nuova vita.”

Sorridere?
Credo di aver smesso di farlo quando mio padre mi ha abbracciata per la prima volta, diciotto anni dopo la mia nascita.
Un tempismo perfetto Generale.
Schiudo gli occhi cercando di ritornare al presente, ma non mi è possibile scacciare le immagini di me stessa sdraiata su questo letto, circondata dalle persone più care, immobile, ancora febbricitante, scampata alla morte per un soffio ma non ancora così lontana dal precipizio.
Rammento le grida di Nanny, il silenzio del caro André, ed uno sguardo insolito negli occhi di mio padre, come se un velo si fosse posato sulle sue iridi rendendole vuote, incolore, indecifrabili.
Ho temuto il peggio quando l'ho scorto avvicinarsi e protendere le braccia verso il mio collo, ho creduto seriamente che avrebbe messo fine alla mia esistenza con le sue stesse mani, per aver quasi ucciso la principessa Maria Antonietta e aver oltraggiato sua Maestà il Re per salvare la vita ad un servo.
Ma è stato quando mi ha stretta contro il suo corpo che la paura si è tramutata in vero e proprio panico, ho trattenuto il respiro per evitare anche il più piccolo gesto sbagliato, perché un soldato non deve mai mostrare i propri sentimenti, un soldato non abbraccia, un soldato non... non piange.
Eppure erano lacrime quelle che ho sentito scivolarmi lungo le guance, lacrime provenienti dagli occhi di un uomo che ha fatto della freddezza il proprio stemma.
Le parole sono arrivate poco dopo, come un fiume in piena hanno rotto gli argini di una mentalità contorta, ammettendo, senza una leggera vergogna, quello che per tutti era stato un errore.
Io.
Oscar Francoise De Jarjayes è stato un imperdonabile sbaglio.
Uno sbaglio a cui ora bisogna rimediare.

“Non voglio... non voglio...”
Sussurro al buio stringendo i pugni che sbatto violentemente sul materasso, ed una rabbia cieca mi fa saltare in piedi.
Indosso senza quasi rendermene conto gli abiti da casa e sono di già fuori dalla mia stanza, decisa a ribellarmi alla insana decisione di quel padre che mi pare più folle ora che il giorno in cui decise ch'io dovessi vivere come un uomo.
Corro verso le cucine e con la medesima determinazione che mi ha condotto fin qui faccio scorrere il chiavistello della porta, giro la chiave nella toppa, stringo tra le dita le travi di legno...
Dio Oscar, cosa vuoi fare? Dove vorresti scappare?
Spingo i battenti dinnanzi a me ed è l'oscurità a sorprendere i miei sensi, è una notte senza luna questa, così scura da togliere il fiato e paralizzare gli arti.
Cosa sto facendo? Dove credo di poter andare?
Mi rendo conto che non esiste altra casa all'infuori di questo palazzo, non c'è anima viva che si prenderebbe cura di me là fuori, ed anche con tutta la mia baldanza non saprei come sopravvivere, il mondo reale è totalmente differente da Versailles.
Allento la presa attorno al legno della porta e compio un passo dietro di me, la tensione di poco fa si scioglie precipitando lungo il mio corpo che sembra ripiegarsi su se stesso, privo di peso, inerme.
Cado sul pavimento con un tonfo rumoroso, insensibile a quel dolore che non sento ma che mi lascerà degli evidenti lividi nelle prossime ore.
Getto il capo all'indietro, abbandono le braccia in grembo e la verità mi schiaffeggia in pieno volto, rendendomi consapevole del mio stato; sono sola, tristemente e pateticamente sola.
Non possiedo amici, l'unico e il solo che ho mai avuto dorme a pochi passi da me, e son certa che lui mi seguirebbe se solo glielo domandassi, ma cosa potrebbero fare un servo e una ragazzina?
Si Oscar, sei solo una stupida ragazzina che sarebbe persa senza il proprio mondo di finzione.
Torturo un lembo della mia camicia mentre tento con ogni mezzo di non piangere, ignorando quelle lacrime che rendono la visuale del mio sguardo ormai distorta.
Un respiro profondo muta in quei singhiozzi involontari che preannunciano un pianto che non voglio, e che respingo corrugando la fronte nella tipica espressione del soldato algido ed arrogante, ma la maschera svanisce all'improvviso, sciolta da una lacrima sfuggita agli occhi, così calda da bruciarmi la gota.
Potrei ribellarmi, gettarmi a terra e sbattere i piedi come un infante viziato, o urlare fino a quando non resterebbe più un soffio di fiato nei polmoni, potrei perfino impugnare la spada e minacciare colui che si è fatto voce di questa nuova follia, ma qualsiasi cosa facessi in ogni caso ne uscirei perdente.
Al diavolo Oscar, non hai mai avuto timore di qualche livido, non comincerai proprio ora a comportarti come una codarda?
Non è la vigliaccheria che mi trattiene, non mi spaventano le punizioni corporali, sono cresciuta a suon di schiaffi, è qualcosa di più forte che mi impone di fare un passo indietro e chinare il capo.
L'amore.
Mio padre non farebbe mai nulla che potrebbe arrecarmi danno, anche la decisione di crescermi come un uomo è stata presa con l'amore nel cuore, e in qualche modo mi ha permesso di vivere tutte quelle cose che le donne comuni non potrebbero mai, il suo capriccio mi ha dato la possibilità di avere un'istruzione che le mie sorelle non hanno mai avuto, ma soprattutto mi ha dato la possibilità di saggiare la libertà, per questo non potrei disubbidire a questo suo desiderio.
Non posso.
Mi alzo da terra e cammino verso la mia stanza, sconfitta, arresa alla decisione di mio padre, che stranamente ora mi pare legittima, in fondo ciò che inizierò domani altro non è che quello che avrei dovuto essere da sempre: una donna.


Mi desto alle prime ore dell'alba, infastidita da un raggio di sole che si è posato sulle mie palpebre rendendole tremendamente dolorose.
Allontano la luce coprendomi gli occhi con la mano, ma questo non è sufficiente a far cessare il dolore che sembra essere strisciato fino alle tempie, così non mi resta altro da fare che infilare la testa sotto il cuscino, e forse chissà, smettere di respirare!
Dischiudo le labbra e soffoco un urlo premendo il viso contro il materasso, ed un altro, ed un altro ancora... fino a quando il fiato mi vien meno, facendomi ansimare.
Libero il capo dal cuscino che getto lontano, con un gesto deciso e rabbioso.
Odo un suono sordo, ed immediatamente dopo un tonfo rumoroso che mi induce a sollevarmi a sedere per verificare la gravità del danno, ed è in quell'istante che lo vedo.
Poco distante dal mio letto, nell'angolo accanto alla specchiera giace a terra un manichino color porpora, abbigliato con un enorme abito chiaro.
Un manichino, esattamente quello che sarai tu Oscar.
Mi avvicino all'abito che Nanny deve aver portato nella mia stanza questa mattina presto, perché mi pare di non ricordarlo qui ieri sera.
Sollevo il manichino e sistemo l'abito alla bene e meglio, sfiorando le stoffe lisce e arricciate che ne compongono il modello, e con mio immenso stupore ne rimango affascinata, persa tra nastrini intrecciati, ricami in rilievo e... la scollatura profonda!
Lo sai, vero, che quella mancanza di stoffa dovrà essere colmata con una precisa parte di te? Oscar sei ancora in tempo per scappare...

“Oscar, bambina, grazie al cielo sei già sveglia, ci vorrà parecchio tempo per indossare quell'abito. Avanti vieni qui, non perdiamo tempo, tuo padre e Madame ti attendono nella sala da pranzo. Su, su, non restare immobile, avvicinati e togliti quei vestiti di dosso.”

Ubbidisco a Nanny senza  proferir parola, e nel medesimo modo svesto il mio corpo dagli abiti maschili che ho indossato da sempre, ripetendomi che non sarà poi così tremendo essere una donna, non cambierà di molto la mia vita, io rimarrò la stessa, di differente ci sarà soltanto un insignificante vestito colmo di merletti e nastrini, nient'altro...
Stringo le braccia attorno al petto nudo ed un brivido scivola sulle mie labbra quando i miei occhi fanno capolino sull'immagine di me stessa riflessa alla specchio.
Io sarò la persona di sempre, io sarò sempre Oscar, mi dico mentre sollevo le gambe per permettere a Nanny di far scorrere le ampie gonne su, fino alla vita.
Tutto sarà come sempre, continuo a ripetere come una litania, forte della convinzione che con molta probabilità il generale si stancherà presto di tutto questo e rivorrà indietro suo “figlio”.
Un unico pensiero che riesce a strapparmi perfino un accenno di sorriso.
Non temere Oscar, non cambierà nulla.
  
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