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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    06/02/2011    2 recensioni
"All’improvviso, il grido solitario di un gufo ruppe la pace quasi mistica in cui il luogo era immerso, evidentemente disturbato da qualcosa. O qualcuno.
Un qualcuno che faticosamente stava uscendo attraverso uno stretto passaggio nascosto tra le radici del millenario, e alquanto irascibile, albero in fondo al parco.
Un qualcuno che tra le braccia stringeva un corpo inerte."
Ambientata durante il periodo scolastico dei quattro Malandrini, dopo una notte di luna piena particolarmente difficoltosa.
E' molto dolce, non c'è una trama specifica, è quasi un inno alla loro amicizia e al loro legame. Piccoli accenni di RemSirius ma a farla da padrona è sempre lei. L'Amicizia.
E naturalmente la donna più cazzuta del Castello non mancherà di fare una rapida apparizione.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Minerva McGranitt | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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ALBA SUL LAGO NERO

La notte e le sue ombre correvano via veloci mentre il cielo rapidamente si schiariva, le sfumature di colore che dipingevano strane figure nella volta celeste tendevano al rosato e le poche nubi, rosso fuoco, sembravano fenicotteri dalle ali vermiglie, fenici che danzavano tra le fiamme, mitiche creature che volteggiavano leggere nel cielo ormai prossimo all’alba.

Una fioca nebbiolina, resa ancora più brillante dai primi, timidi, raggi di luce, permeava tutta la foresta e l’imponente castello che si ergeva sulla riva del lago dalle acque calme e oscure.

Il bosco era silenzioso e tranquillo, un alito di vento freddo soffiava e smuoveva lentamente le foglie degli alberi, ma nient’altro.

All’improvviso, il grido solitario di un gufo ruppe la pace quasi mistica in cui il luogo era immerso, evidentemente disturbato da qualcosa. O qualcuno.

Un qualcuno che faticosamente stava uscendo attraverso uno stretto passaggio nascosto tra le radici del millenario, e alquanto irascibile, albero in fondo al parco.

Un qualcuno che tra le braccia stringeva un corpo inerte.

Altre due figure rotolarono fuori dallo stretto cunicolo, distendendosi sull’erba e ansimando mentre l’altra, in piedi e poggiata contro una roccia, li osservava con un misto di preoccupazione e sollievo sul volto, senza però mollare la presa sul ragazzo dai capelli scuri e dalla veste stracciata e insanguinata che riposava stremato, poggiato contro di lui.

Un sorriso di trionfo illuminò il viso di James Potter, una volta deciso di avere ripreso adeguatamente fiato.

Il ragazzo saltò su come una scimmietta, avvicinandosi con un balzo ai due amici: “Certo che questa volta ce la siamo vista brutta.” ridacchiò, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto candido e tamponando sangue e sudore dal viso di Remus; Sirius guardò ora il fratello ora il lupacchiotto spelacchiato che ancora non dava segno di volersi svegliare, “Però ne siamo usciti, come sempre.” gli fece notare neutro Black, scostando con noncuranza una ciocca di capelli che infastidiva il naso di Lupin.

Conclusa la sua opera di pulizia, James ne approfittò per fare una linguaccia dispettosa all’indirizzo del proprio migliore amico: “Ovviamente, cosa credevi, Black?” lo rimbeccò severo il moro, pulendosi a propria volta gli occhiali con un lembo del mantello stracciato di Remus, o almeno quel che ne restava.

Una volta al castello, la prima cosa da fare sarebbe stata riparare i suoi poveri specchietti.

Dopo aver messo l’amico a letto, ovviamente.

“Oh, beh.” cominciò Sirius, “Il fatto che questa volta la trasformazione di Remus è stata del tutto differente dalle altre volte, il fatto che questa volta il nostro trasformarci in Animagi non è servito a granchè, il fatto che questo demente,” e così dicendo indicò l’amico svenuto, “avesse la febbre alta, tanto da impedirgli di riconoscerci come gli animali con cui di solito riesce a sfogarsi. E soprattutto il fatto che la abbia ancora adesso e che non dovremmo gironzolare per il parco quando la temperatura esterna non supera i 4°. Tutto questo non lascia molte speranze.”.

Il discorso più che eloquente dell’amico fece scomparire il sorriso sulle labbra a James, che si soffermò un attimo a riflettere.

Era vero.

Spostò lo sguardo su Peter, rannicchiato a terra mentre si teneva la spalla, poi sulle sue mani, lorde di sangue proprio e degli amici, poi su Sirius, il cui viso sembrava una maschera di porcellana in frantumi, tanto era segnato da graffi e cicatrici e tanto era pallido, e infine su Remus, quello che forse, in tutta quella storia, c’entrava di più e allo stesso tempo ne era una vittima innocente.

Lui, un bambino che per tutta la vita si era portato un fardello di cui non era mai riuscito a liberarsi.

Grazie a loro, quel peso un po’ si era ridotto, ma le cicatrici, quelle esterne e quelle interne erano difficili da rimarginarsi.

Sirius aveva ragione, la febbre che per giorni non aveva dato tregua al povero Lupin aveva aggiunto un carico da undici non da poco sulla schiena già sufficientemente provata dell’adolescente, soprattutto in quel delicato periodo del mese.

Ma ormai il peggio era passato, e il Sole che si alzava su di loro, malconci ma vivi, e insieme, era un regalo troppo bello per sprecarlo in simili discorsi.

Con aria comprensiva, e un poco di scherzoso compatimento dipinto sul musetto segnato, Potter battè una mano sulla spalla del proprio migliore amico: “Si, si… Ora andiamo via di qui, se Minnie ci pesca fuori dal letto sarà alquanto difficile spiegarle cosa stavamo facendo col cadavere di Rem.” ridacchiò, evitando per un soffio uno Schiantesimo lanciato alla massima velocità possibile verso di lui.

Rotolò sul prato per qualche metro, ridacchiando come un matto, e ritrovandosi disteso accanto a Peter, che lo fissava con un vago sollievo sul viso paffuto.

Il Cercatore sollevò in piedi il ragazzotto ferito e si fece passare il braccio sano dietro la nuca: “Torniamo al castello, facci strada Paddy. Da bravo segugio!” esclamò Jamie, abbassando la propria testa e quella di Minus per evitare un povero e innocente sassolino lanciato verso di loro.

“Piantala di fare lo stupido e pensa a non far cadere Peter.” lo rimbeccò Black, trattenendo un sorriso rassegnato mentre s’inerpicava lungo i sentieri che costeggiavano le serre di Erbologia, “Il nostro topolino con me è al sicuro.” assicurò il moro con un gran sorriso, anche se l’espressione stravolta e vagamente spaventata del ragazzino non era granché rassicurante.

“Da quanto sei sveglio?” bisbigliò a mezza voce Sirius, cercando di non farsi sentire dai due amici, che camminavano lentamente poco più indietro; il corpo tra le sue braccia ebbe un tremito, mentre le palpebre s’alzavano debolmente: “Da quando Jamie mi ha passato il suo fazzoletto sul viso…” sussurrò con la voce impastata dalla debolezza e dal sonno, “Voi…-“

Il ragazzo sospirò, sistemandoselo meglio in braccio: “Stiamo tutti bene, dormi ancora un po’.” lo rassicurò, impedendogli di continuare a parlare, “La febbre non accenna ad abbassarsi…” notò, mentre Lupin richiudeva stancamente gli occhi.

Si fermò nel mezzo del sentiero, lasciandosi avvolgere dal vento mentre l’amico, nella sua stretta, tremava sofferente.

“Ragazzi, non possiamo tornare al castello.” disse all’improvviso Sirius, senza voltarsi verso di loro ma intuendo dal loro silenzio ciò che stavano pensando: “E non sono impazzito. Moony ha bisogno di noi, dobbiamo fargli abbassare la febbre, ripulirgli le ferite. Se Poppy ci vede piombare in infermeria con lui in queste condizioni e noi non tanto messi meglio, minimo allerta Minnie e poi il preside.” dichiarò Black.

Peter annuì: “Andiamo al Lago allora.” propose il ragazzino, staccandosi gentilmente dalla presa di James e avvicinandosi agli altri due; sorprendendo tutti, si levò quel che restava del suo mantello e lo stese sul corpo inerte dell’amico.

Inutile dire che venne praticamente stritolato da un James sull’orlo delle lacrime per il suo gesto.

Il Sole che poco dopo sorse su Hogwarts aveva quattro testimoni d’eccezione in quella mattina di marzo, sulle rive del placido specchio d’acqua.

Quattro ragazzi, quattro amici, stretti gli uni agli altri.

L’alba li colse con James che, col massimo impegno possibile, cercava di ripulire con un lembo della camicia i tagli vistosi che Peter aveva sulla schiena, Peter che per inciso si lamentava di continuo, e con Sirius che stava poggiato contro il tronco della quercia, con Remus addormentato sulle ginocchia.

Assieme, meravigliosamente assieme, ignari della presenza furtiva e commossa di una donna che li spiava da una delle più alte finestre del castello, ignari che il loro patto segreto fosse stato scoperto a quel modo così ingenuo, quasi bambinesco.

I quattro, ovviamente, quel giorno non si fecero vedere a lezione, e anzi, passarono la giornata a letto.

Fu solo verso le cinque del pomeriggio, quando si svegliarono, e trovarono su ognuna delle loro scrivanie un vassoio pieno di leccornie ancora calde, assieme a un biglietto, che capirono di essere stati scoperti.

La calligrafia elegante, in rosso, poteva appartenere solo a una persona.

Ma non ne erano spaventati, anzi, sapevano che con lei il loro segreto era al sicuro.

E quando il mattino dopo la incrociarono nel corridoio, mentre si dirigevano tutti e quattro, a rotta di collo, a lezione di Pozioni, non mancarono di farle un profondo inchino, Sirius e James si azzardarono anche in un baciamano, Peter abbozzò un “Grazie, professoressa McGrannit” e Remus… Beh, Remus le sorrise con affetto, prima di venire trascinato via da un Sirius inquietantemente ululante.

La donna li osservò allontanarsi velocemente, e non potè trattenere un sorriso, sperando che quell’amicizia meravigliosa durasse per sempre.

   
 
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