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Autore: Hez    06/02/2011    1 recensioni
In ogni caso, il suo orgoglio le vietava assolutamente di dimostrarsi debole: una vocina da qualche parte remota della sua mente -come i diavoletti che accompagnano i protagonisti dei cartoni animati- le consigliava -urlava- di essere cattiva. Quello lo sapeva fare bene. Un'altra frase le salì spontanea. "Se devi lasciarmi hai tre minuti poi devo prendere l'autobus". Provò a dirlo, ma si accorse con sgomento che non aveva più voce. Lui si stava portando via anche quella.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Heaven's on fire
Heaven's on fire.
Pardadiso in fiamme.


You drive me crazy when you start to tease
You could bring a devil to his knees.
~
Tu mi fai diventare pazzo quando inizia a prendermi in giro.
Tu potresti mettere il diavolo in ginocchio.
[Heaven's on fire - Kiss]

Non andava affatto bene.
Matt scansò suo fratello che, con in mano un cucchiaio di legno, girava per casa incitando la sua cara famigliola a sedersi in tavola. Quattro anni, un mucchio di capelli biondi e un'intelligenza fuori dal comune, naturalmente usata non a scopi molto leciti: il perfetto ritratto di Jhonny.
Il birbante, infuriato per essere stato palesemente ignorato e, diciamo la verità, piuttosto affamato, iniziò a urlare, riducendo gli occhi azzurri a due fessure e agitando pericolosamente l'utensile, probabilmente rubato qualche minuto prima.
Un bravo fratello l'avrebbe accontentato e si sarebbe seduto a tavola, togliendogli di mano la pericolosa arma, ma Matt non era esattamente quel tipo di ragazzo e aveva cose più importanti a cui pensare, momentaneamente.
A suo fratello avrebbe pensato sua madre, o suo padre all'occorrenza. Magari Anthony avrebbe potuto alzarsi dal divano e occuparsi del loro fratellino, una volta ogni tanto.
Prese il cappotto, velocemente, per poi aprire la porta e urlare un 
«Ma', esco!».
La donna fece capolino dalla cucina giusto in tempo per vedere la figura del figlio maggiore sparire dietro la porta, mentre Jhonny, armato di un cucchiaio di legno, correva per la casa credendosi un moderno Lancillotto e un forte rumore, proveniente dal fondo del corridoio, faceva tremare i muri. "La lavatrice, si è rotta di nuovo.", pensò, incamminandosi verso il bagno, totalmente dimentica del suo bambino che stava per fracassare il vaso di vetro di Murano.
*
Era stata una bella mattinata, tutto sommato. Girovagare tra i negozi con le sue amiche rilassava, e tanto. Alice, sua compagna di banco dal primo anno di superiori, era tornata a casa con un bel paio di stivali beige e con un luccichio di felicità negli occhi, mentre lei e Sonia si erano limitate a guardare le vetrine.
Stava scendendo dal treno, attenta a non cadere, come suo solito, girandosi indietro a salutare le sue amiche che sarebbero scese alla prosisma fermata.
Frugò nella tasca del giubbino -ormai più grigio sporco che bianco- e prese gli auricolari, per collegarli al cellulare e ascoltare un po' di musica. Pregustava già la voce del cantante e l'assolo di batteria, quando una vibrazione la distolse dai suoi pensieri rilassanti. Il nome sul display del cellulare la colpì come un pugno e un brivido la percorse da capo a piedi, lasciandole addosso una sensazione di malessere. Aveva un brutto presentimento, che si era annidato viscido alla bocca dello stomaco, impedendole di parlare. Accettò la chiamata e, se possibile, la fredda voce dall'altro lato le fece più male della precedente impressione. In quel momento il treno partì e Sonia e Alice fecero in tempo a vederla ferma sulla piattaforma della stazione, come una statua di ghiaccio.
*
"Hez, Aspettami. Ti devo dire una cosa. "
A telefono era stato più freddo possibile, speranzoso di ferirla. Aveva usato il suo soprannoma più comune: era stato come uno dei tanti, trattandola come una qualunque. Si passò una mano tra i capelli neri, guardando un punto fisso: era pentito già e la morsa che gli stringeva le viscere, quasi come se gliele strappasse via dal corpo, non l'aiutava di certo. In quel momento si rese conto che stava ancora sotto casa e s'affrettò a raggiungere la stazione, prendendo un respiro forte e chiudendo gli occhi per un attimo. Ripensò a quella mattina e gli ritornarono le forze, assieme a un dolore vivo e bruciante. Era convinto più che mai.
*
Alice posò la testa sul braccio, guardando fuori dal finestrino il paesaggio scorrere. Le venne in mente lo sguardo vitreo e spaventato di Helene, la sua piccola Hez, e tremò inpercettibilmente. Con chi stava parlando a telefono? Sonia la tirò per la manica, cercando di attirarare la sua attenzione su un tipo che era appena entrato. Ali alzò lo sguardo e lo scrutò, con un sorriso dipinto sul volto dalla pelle scura. Alzò un sopracciglio lasciando intendere alla compagna i suoi pensieri. Poi si girò di nuovo verso  il finestrino e sospirò.
«Sei preoccupata per Helene?»
La risposta era scontata.
«Ho un orribile presentimento, ed io non sbaglio mai.»
*
Ci erano voluti meno di dieci minuti per arrivare alla stazione e Matt ripensava mentalmente al suo discorso. Un fuoco gli ardeva dentro, alimentato da una strana sensazione amara, un fuoco che si spense non appena vide la sua figura stagliata contro il cielo azzurro, seduta su un muretto a testa bassa.
Stava ascoltando sicuramente qualche canzone, pensò subito, notando gli auricolari neri tra i capelli color miele. Un languore gli partiva dal cuore, per estendersi in tutto il corpo, facendolo tremare. "Avanti, Matt, se ti rammollisci solo guardandola non concluderai niente." La sua coscienza certe volte non voleva proprio stare zitta e in quel momento la sua vocina interiore aveva deciso di diventare logorroica. Si avvicinò e senza degnarla di uno sguardo le si sedette affianco. In risposta lei staccò le cuffie e, con sua enorme sorpresa, invece del solito glam rock stava ascoltando una canzone dolce, un po' malinconica che non riconobbe. Hez interruppe la musica e con calma, ripose il cellulare nella tasca. A un tratto sentì i suoi occhi nocciola addosso e spostò lo sguardo. Non per paura e nemmeno per disprezzo aveva evitato gli occhi in cui tante volte si era specchiato, ma perchè in quell'attimo una scossa aveva raggiunto il suo sistema nervoso. Una lampadina si era accesa: l'aveva capito. Lei sapeva cosa stava per dirle. Sentì i polmoni svutati dell'aria e qualcosa premere sulla sua cassa toracica. Aprì la bocca due o tre volte, a vuoto, cercando una forza che non sapeva di possedere. Inutile aspettare, aveva atteso tutta la mattinata. La delusione prendeva possesso della sua mente, ma non riusciva a capire per quale motivo. Lei? O sè stesso? Si diede mentalemente del coglione nel preciso attimo in cui capì che non sarebbe mai stato in grado di lasciarla, anzi, nel preciso istante in cui si rese conto che non aveva mai avuto intenzione di lasciarla.
*
Hez era rimasta con gli occhi bassi, aspettando la stilettata. In quel momento non era tanto diversa dal guerriero che, sapendo di morire, era anche stanco di combattere. Come quello, non aveva nemmeno più gli occhi per piangere. I suoi occhi erano gli occhi di lui, così diversi, così lontani, che avrebbe volentieri voluto incrociare e che, sordi alle sue intime richieste, erano rivolti verso il cielo azzurro di quel giorno. Se c'era un Dio lassù, li stava certamente prendendo in giro: quel cielo azzurro era così in contrasto con le loro facce scure che qualche spettatore esterno non avrebbe creduto alla loro veridicità e avrebbe controllato le loro ombra per assicurarsi che non fosse un fotomontaggio.
"Eppure è tutto vero" si ritrovò a pensare Helen, con un brivido nelle carni e la testa bassa a controllare la sua ombra che di riduceva a un po' di nero sotto i suoi piedi. Una macchia sfuggita a un pittore disattento. Aveva una sola parola in mente, una "perchè?" con la voce rotta, ma in fondo il perchè lo sapeva. Era sempre stato così, sempre per un suo sbaglio perdeva ciò che voleva davvero. In ogni caso, il suo orgoglio le vietava assolutamente di dimostrarsi debole: una vocina da qualche parte remota della sua mente -come i diavoletti che accompagnano i protagonisti dei cartoni animati-  le consigliava -urlava- di essere cattiva. Quello lo sapeva fare bene. Un'altra frase le salì spontanea. "Se devi lasciarmi hai tre minuti poi devo prendere l'autobus". Provò a dirlo, ma si accorse con sgomento che non aveva più voce. Lui si stava portando via anche quella.
*
«Io non ti capisco.»
Ecco. Aveva parlato. «Dici di volermi bene, ma poi te ne strafotti di me! Te ne vai tutta la mattinata con quelle due e non ti fai sentire, non uno squillo, un messaggio.Avevi detto che saresti venuta fuori scuola e non ti trovo...»
Lo sguardo di Matt era... triste? Hez non poteva crederci.
«Abbiamo perso io treno perciò...»
«Non voglio sapere niente. Non mi da fastidio il filone ma il fatto che te ne sbatti di me!»
Sembrava un bambino capriccioso, che batte i piedi a terra per attirare l'attenzione: Hez si sentì minuscola davanti a quegli occhi grandi. Si ritrovò a rimpiangere che non avessero inventato armi contro l'amore, piuttosto che bombe nucleari. La voce che uscì dalle sue labbra non sembrò nemmeno la propria, anzi, aveva una sfumatura di cattiveria.
«Se ti avessi fatto uno squillo ti avrei forse mostrato che ti pensavo? Avrei potuto pure farlo "per non sentire questa palla al piede dopo"... avrei potuto mandarti un messaggio e poi fare la cretina con un altro tipo.. Non è una garanzia, non dimostra nulla. Dillo che ti bruciava perchè avevi paura che ti mettessi le corna! Chi tra i tuoi amici ti ha riempito la testa?».
Matt evitò la domanda con plateare disinteresse.
Helen gli voleva bene, ne aveva la certezza. Aveva voglia di abbracciarlo, ma qualcosa la teneva ferma, immobile, poggiata a quel muretto. Prima che se ne accorgesse una mano si era già posata sulla guancia di lui, percorrendola. Poi, fugace, tornò al suo posto.
«Sai qual è il problema? Te ne sarebbe passato per l' anticamera del cervello se avessi fatto la stessa cosa io! Quello sta in giro con i suoi amici e io sto a scuola. Non si è fatto sentire, non viene fuori scuola, lo chiamo e mi dice di non aspettarlo... Vabbè chi se ne sbatte, sarà in giro!» Imitava la voce di lei.
Sembrava la fine, la fine del suo mondo.
*
Stavano litigando. Era già capitato altre volte: lui l'accusava di essere stafottettente, lei di essere troppo geloso. Non sarebbero mai riusciti a trovare un buon accordo, mai, e in fondo lo sapevano entrambi. Era come mettere esplosivo e accendino vicini. Bisognava solo decidere i ruoli: chi era la scintilla e chi era dinamite?  Prima o poi un'esplosione più forte li avrebbe portati alla disfatta e tutto sarebbe ricominciato di nuovo, con personaggi diversi. Ignoravano questa verità, come s'ignora il lento e inesorabile scorrere del tempo. Chiudevano gli occhi, stringendo le labbra, e continuavano a tenersi per mano e a dare pugni al muro. Gli opposti si attraggono e si uccidono. Se quello era amore, era un amore autodistruttivo.
«L'hanno capito tutti ormai che io a te ci tengo davvero! Tutti mi dicono che non sei quello che fa per me e io m'infervoro per ripetere, che, sì, tu mi piaci sul serio e che non mi sono accontentata del primo che passava, anche Alice ormai l'ha capito e non storce più il naso quando ci vede assieme, ma se non l'hai capito tu, allora alzo le mani, Matthew» Hez calcò sul suo nome, prendendo le distanze.
«Io voglio solo meno strafottenza, lo capisci o no questo?» Si avvicinò a lei, con lo sguado basso. Se l'avesse guardata negli occhi, avrebbe perso il filo del discorso. Helen si alzò sulle punte e posò la fronte su quella di lui, facendo sfiorare i loro nasi. I respiri erano diventati tutt'uno, e anche i cuori sembravano battere all'unisono. Un solo canto: tum tum. Una sola richiesta: tum tum.
«Ho deciso di dare a ognuno ciò che si merita. Quello che mi danno, restituisco.» Sussurrò Matt a due centimetri dalle due labbra.
«Ed io, io che ti do?»
«Mi dai l'Inferno e mi dai il Paradiso.»
«E tu che vuoi?»
«Te.»
Inclinò la testa di lato, socchiudendo gli occhi. Le labbra si incontrarono, con un fremito. Restarono per un attimo lì, inermi e unite a gustare ognuna del calore dell'altro, poi cominciarono a giocare. Si muovevano veloci, come le onde del mare che vanno e vengono. Danzavano, infrangendosi, incontrandosi. Si separavano solo per sussurrare uno "scusa" quasi senza voce, per poi ricominciare. Non era un contatto profondo, ma sapeva di rancore accumulato, di umidità e di possesso. Come il mare quando si alzava la marea, quel tocco sovrastava i pensieri, coprendoli e portandoli al largo. Loro si lasciavano solo cullare da quel movimento, arresi a qualcosa di più grande.
Di nuovo separate, di nuovo unite. Le loro labbra di chiamavano a vicenda, vibrando di una musica tutta loro. Le mani andarono intrecciandosi, e nessuno avrebbe detto che fino a poco fa quei due stavano litigando.
Matt le passò una mano dietro la schiena, sorridendole. Lo stava facendo diventare completamente pazzo, ma finchè sarebbe rimasta con lui gli andava bene. Era in grado di sentire il cuore rimbombargli nelle orecchie, e sapeva che anche quello di Hez seguiva lo stesso ritmo.
Un solo dolore: tum tum.
Un solo amore: tum tum.
*

La storia è di pura inventiva e i soggetti qui descritti non vogliono nè mancare di rispetto nè offendere qualcuno: ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale.La canzone iniziale è "Heaven's on Fire" dei Kiss e non è usata a scopo di lucro, come del resto tutta la fanfiction.
Pshyco Circus.
Ciao, se siete arrivati fin qui credo abbiate letto questa storia: vi ringrazio e mi scuso per gli eventuali errori.
Si accettano critiche e consigli su come migliorare...
è la mia prima fanfiction qui su EFP e spero non sia l'ultima.
Con affetto, Hez.

   
 
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