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Autore: Betrayed    07/02/2011    2 recensioni
Una stanza, una notte.
Edward, chiuso nella sua follia, nella gabbia della sua stessa colpa, nel dolore del suo peccato. Un'unica soluzione che la sua mente malata gli propone.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Elric
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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One Shot Edward Elric Autore: Crystal Radke
Titolo: Delirium Mentis.
Fandom: Fullmetal Alchemist.
Personaggi: Edward Elric.
Tema scelto: Autolesionismo.
Genere: Dark, triste, malinconico.
Rating: Arancione.
Avvertimenti: One-shot.
Beta Reading: (sì/no, nome del Beta Reader)
Introduzione alla storia: Una stanza, una notte.
Edward, chiuso nella sua follia, nella gabbia della sua stessa colpa, nel dolore del suo peccato. Un'unica soluzione che la sua mente malata gli propone.
Una pazzia.
Ma non è questo ciò che fanno i pazzi?
Note dell'autore: nessuna nota.


Delirium Mentis.

Si gira e si rigira su quella sudicia brandina, sudato e in preda alle convulsioni.
Il suo incubo non gli da tregua, come un abile spadaccino lo incalza, spingendolo sul baratro di una follia ancora più radicata in lui.
La casa è vuota e spettrale, disabitata.
Grigie e spente le sue pareti sembrano gridare a tutti l'eco di una guerra cominciata e mai finita.
Vive in un presente logorato e sbrindellato, si agita tra lacune colmate da ricordi del passato che sanno di lacrime consunte che danno ormai la nausea.
Un tempo quell'intonaco scrostato era di un bel bianco quasi brillante, ora è anche macchiato di sangue, come se non ne fosse stato versato ancora abbastanza.
Eppure seduta attorno al tavolo c'è ancora quella famiglia che tanto agognava. Quella che per tutta la vita ha rincorso, senza mai raggiungere.
Sembra di vivere in una dimensione parallela, sfocata, irreale, persino i loro corpi non sono veri, ma labili come il riflesso che si specchia nell'acqua.
Sembra che un muro invisibile divida i loro mondi, che corrono vicini come due linee parallele, senza incontrarsi mai.
Edward si guarda intorno e tende la mano verso il fratello, la poggia sulla sua spalla ossuta, ma non lo sta toccando veramente.
Non riesce a percepire il calore di un corpo sotto le dita, non sente alcun respiro; non una parola esce da quelle labbra perfette che si muovo sorde alle sue orecchie.
Allora si sposta, avvicinandosi a Winry, ma nemmeno lei lo percepisce, e lui stesso non la vede interamente. Ogni volta è sempre uguale, quel ritorno ai suoi ricordi è come un incubo, pesante come una pressa che tra non molto lo schiaccerà, sospeso sopra la sua testa come una muta promessa di morte, rimandata di volta in volta da un destino crudele.
Ed è a quel punto che viene risucchiato. Artigli invisibili gli perforano il petto, tentacoli neri maledettamente familiari gli avviluppano le caviglie e lo trascinano via. L'impatto con il terreno è duro, gli graffia le braccia, lacrime amare e impossibili da fermare gli scorrono sulle guance mentre per l'ennesima volta cerca di urlare qualcosa, ma la gola sembra sapere solo bruciare.
Spalanca gli occhi di colpo, un urlo muto soffocato in petto e il respiro affannato.
Ha la fronte imperlata di sudore, e la maglia si è appiccicata al torace e alla schiena.
La notte ricopre ancora tutto con il suo religioso silenzio, troppo assordante per le sue orecchie.
Si osserva ancora una volta le braccia. Quel maledettissimo arto sinistro, fatto di carne, ossa e sangue.
Già, sangue.
Si solleva come un'automa dalle coperte logore e si avvicina al bagno.
Fruga preso da un'improvvisa fretta febbrile, gli occhi spalancati, le pupille dilatate a dismisura, mentre i battiti del suo cuore aumentano sempre più, fino a sconquassargli il petto, risuonano vuoti nelle orecchie e nella mente che in quel momento è occupata dal nulla più assoluto proprio al centro del caos più totale.
Un vortice di emozioni gli spaccano in due la testa con fitte lancinanti, ma non un gemito sfugge dalle labbra rosse strette fino a sanguinare tra due fila di denti bianchissimi; le sue dita stringono convulsamente tutto ciò che trovano, ma niente di ciò che passa sotto il suo sguardo corrisponde a ciò che cerca.
In preda alla rabbia per la propria inettitudine, scaglia con forza un pugno allo specchio sull'armadietto chiuso, che si rompe in mille pezzi, i quali crollano brillando sul lavandino bianco.
"Sette anni di sfortuna" pensa distrattamente, osservando affascinato il sangue che cola dalla sua mano stretta a pugno, attirato ogni volta che il flusso aumenta sotto la sua stretta.
Quando le nocche sbiancano il dolore aumenta, ma quella sensazione non provoca altra reazione all'infuori di un sorriso compiaciuto.
"Beh, poco male, se questo è il prezzo da pagare per tornare."
Afferra il frammento più grosso a mani nude, incurante del liquido scarlatto che ormai gli sta colando giù fino al gomito tracciando una scia sulla pelle pallida.
Torna velocemente nella sua stanza, stringendo la scheggia come se fosse la sua ultima salvezza, l'ultima speranza.
Si posiziona al centro della stanza come un'animale braccato, negli occhi l'ombra di una follia radicata, gli occhi dorati bruciano di una finta euforia, celata persino a se stesso.
La scheggia incide il braccio sinistro con forza e rabbia, fino a farlo quasi grondare di sangue ed Edward si sente subito mancare le forze.
Eppure continua, intinge le dita in quel liquido così dolce e caldo che sta macchiando anche il pavimento.
Attirato da quel colore così acceso posa l'indice e il medio sulla lingua, assaporandone il gusto amaro che gli pervade la bocca, stringendole con forza fino a leccarne anche l'ultima goccia.
Sulle tavole in legno a terra si posa il suo sguardo eccitato, quasi posseduto.
Si lascia cadere a terra, ignorando il dolore che le protesi di quel mondo provocano a quel che resta della sua gamba sinistra e comincia a disegnare un cerchio, preso nuovamente da quella fretta maniacale e febbrile.
Il sangue si asciuga in fretta, ma dal suo braccio continua a colare, mentre la ferita slabbrata brucia e pulsa quasi animata dal desiderio morboso del suo possessore.
Infine, quando la sua opera è completa, il dolore sembra appartenere a qualcun altro di molto lontano. Le sue orecchie non percepiscono più alcun rumore, i suoi arti sono insensibili, l'unica cosa che sente è il suo cuore che pulsa, e ad ogni battito il dolore al braccio aumenta in modo esponenziale.
Stringe i denti e si impone di rimanere lucido nella sua stessa pazzia.
Le sue mani schioccano, quando entrano in contatto l'una con l'altra, e ancora una volta una fitta lancinante gli attraversa il braccio destro, dandogli la sensazione che si sia aperto in due. Le appoggia sul terreno quando ormai i suoi occhi non vedono più nulla.
Per un attimo la sua mente, invasa da ricordi di quella che sembra un'epoca passata, riproduce la sensazione di realizzazione che provava nel vedere il cerchio illuminarsi.
Rivede la luce gialla, che muta in viola e gli sembra di udire la voce del traghettatore nero che l'aspetta dietro il portale.
Ma nulla di questo è reale. Sono solo reminescenze di un passato intrappolato ormai in una bolla di sapone, che lui stesso, Edward Elric, aveva provveduto a scoppiare, precludendosi per sempre la possibilità di tornare nel suo mondo.
Il suo corpo si accascia a terra, in preda alle convulsioni. Tiene le braccia lungo i fianchi, la guancia sul freddo terreno, sopra il cerchio che odora del ferro del suo sangue.
E così, solleva per un'ultima volta il suo sguardo alle sbarre di quella prigione in cui lo hanno rinchiuso.
Tutto ciò che vede è un cielo nero e senza stelle, un buio che avvolge ben presto tutto il suo mondo e gli strappa un'ultimo, orribile suono distorto.
Una risata isterica, che soffoca tra le sue stesse lacrime, miste ormai al sangue che riempie quasi tutto il pavimento.









   
 
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