Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Ruta    07/02/2011    2 recensioni
Immaginò il sorriso storto arcuarsi verso il basso e tramutarsi in una smorfia involontaria, ma non riaprì lo sguardo, mantenendo fissa la sua attenzione sull’immagine su cui si era focalizzato. Il viso si modellò secondo la visione creata e quando i lineamenti smisero di muoversi impazziti e la metamorfosi fu completa, Ted schiudendo i propri incrociò gli occhi del suo riflesso modificato.
Gli occhi di suo padre.
Remus Lupin aveva il volto più segnato e stanco di quanto la risata felice nella foto non facesse presupporre o forse era lui ad aver dato al padre una vecchiaia più incipiente di quanto nella realtà antecedente alla sua morte non fosse stata.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Teddy Lupin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
look

 Look at me

 

 

*

 

 

 

La foto era attaccata con dello scotch fosforescente in un angolo dello specchio, magica come il riflesso parlante che sbuffava stufo per la poca attenzione mostratagli e la bacchetta infilata nel portaspazzolino sbeccato, accanto al dentifricio accartocciato su se stesso come una foglia secca.
Sparsi tutt’attorno sul pavimento della piccola camera del Paiolo Magico, simili a funghi spuntati dal sottobosco, vestiti dalle più disparate forme, con tonalità sgargianti tanto assurde da risultare inguardabili ad occhio babbano quanto stregonesco.  
Ted distolse lo sguardo scuro da quel disordine, riflettendo tra sé che avrebbe davvero dovuto decidersi a rifare i bagagli al più presto, un lampo indecifrabile e fumoso ad attraversarlo e poi scomparire pensando anche a quella che sarebbe stata la reazione della nonna vedendo lo stato caotico in cui imperversava la stanza.
Appoggiò le mani ai bordi del lavandino e strinse i palmi nel piano duro come a volervi imprimere i segni indelebili del proprio passaggio. Piccole fitte di fastidio per quella pressione dolorosa gli trapassarono le falangi, ma non ridusse la forza adoperata né ebbe il coraggio di alzare il capo ed incrociare quello del suo gemello.
O peggio quelli della coppia che la carta un poco stropicciata della fotografia, quasi fosse stata appallottolata in preda a furia cieca e poi riassestata alla bell’e meglio col rammarico sofferto del rimpianto di un’azione sciocca e impulsiva, non mancava certo di rimandare. Sotto una cascata di petali di fiori, nell’atto di danzare un valzer sgraziato causa forse la maldestra goffaggine di uno o di entrambi i ballerini, espressioni serene e occhi sorridenti, volti gioiosi e vivi: i suoi genitori. Quelli che non aveva mai avuto modo di conoscere, non davvero, e dei quali non conservava il minimo ricordo se non gli strascichi labili di un profumo dolciastro e l’eco di una risata roca alla sua conclusione attardata.
Era semplice, si disse, così tanto da risultare ridicola tutta quell’esitazione e patetica la constatazione misera non avesse mai preso in considerazione l’idea di farlo prima.
Si trattava di concentrarsi su quei tratti, chiudere gli occhi e puf!- riaprirli e ritrovarsi diverso e sconosciuto in modo inconsolabilmente vuoto. Trasformarsi in fondo faceva parte della propria natura di metamorfomagus, non c’era nulla di nuovo in quello che si apprestava a fare, nulla di diverso dal solito. Ok, forse assumere l’aspetto di una persona –morta- morta sì, non faceva parte dei cliché di cui la sua vita era costituita. Baciare Vicky ad esempio, quello sì che era un’abitudine, un’azione divenuta quotidiana e indispensabile nel corso degli anni.
Respirare direttamente dalla sua bocca, labbra su labbra, naso contro naso, così vicino da contarle le ciglia e scoprire quante diverse tonalità di azzurro i suoi occhi riuscissero a contenere, osservare come la luce si riflettesse sui lisci capelli rossi rendendoli fuoco pulsante quanto il cuore che sentiva battere impazzito sotto le dita a ritmo forsennato e uguale al suo.
Il pensiero di Vicky non servì a tranquillizzarlo semmai ad acuire l’inesprimibile bisogno desideroso che aveva di affondare in un abbraccio.
Le braccia di lei che gli si intrecciavano dietro il collo, il suo respiro incrociato sulla spalla e il petto morbido su cui avrebbe posato esausto il volto mentre lei diramava la sua espressione corrucciata tra le sopracciglia scure con l’abilità delicata dell’artista che rimodella una propria opera. Avrebbe disteso quelle rughe d’impazienza con amorevolezza esperta, l’uso adoperato di gesti ripetuti con frequenza e divenuti a entrambi cari e familiari.
Era anche per quello in fondo se si era innamorato di lei. Lo comprendeva, sempre e senza gli occorresse dare voce ai suoi pensieri, trasformandoli in parole fastidiose e cave delle emozioni traditrici che suscitavano nella sua mente.
Ted scrollò la testa e le spalle in un movimento di indolenza mansueta e per nulla pigra.
Puntò l’iride sulla foto con una determinazione nuova e ostinata e non si stupì nel sentire qualcosa di caldo e umido premere contro le palpebre serrate sul punto di chiudersi.
Immaginò il sorriso storto arcuarsi verso il basso e tramutarsi in una smorfia involontaria, ma non riaprì lo sguardo, mantenendo fissa la sua attenzione sull’immagine su cui si era focalizzato. Il viso si modellò secondo la visione creata e quando i lineamenti smisero di muoversi impazziti e la metamorfosi fu completa, Ted schiudendo i propri incrociò gli occhi del suo riflesso modificato. Gli occhi di suo padre.
Remus Lupin aveva il volto più segnato e stanco di quanto la risata felice nella foto non facesse presupporre o forse era lui ad aver dato al padre una vecchiaia più incipiente di quanto nella realtà antecedente alla sua morte non fosse stata.
Portò una mano alla guancia scavata e sfiorò la pelle malaticcia che fremette sotto il tocco di quei polpastrelli ruvidi e screpolati, estranei; prestò allora maggiore attenzione ai lunghi lividi scuri che gli ombreggiavano l’estremità delle pupille leggermente oblique, cerchiate da pesanti occhiaie, di un marrone caldo affogato nel miele e nell’ambra, una sfumatura identica alla pelliccia di quello che era stato un suo vecchio lupetto di peluche, regalatogli da Harry tanti e tanti anni prima.        
Avrebbe dovuto capirlo allora che niente fosse dovuto al caso.
Il Remus del riflesso non sorrideva, ma l’espressione sorpresa e mesta gli arricciava gli angoli del mento come frammenti spezzati di ricordi scomposti. Linee dure, profonde, addolcite appena dalla gentilezza che Teddy riusciva comunque a scorgere nel suo –il suo, dannazione!- volto.
Aveva tempie prematuramente ingrigite e quasi immusonite, alte e un’aria colta che non ammansiva l’aspetto selvaggio che in generale possedeva.
Sembrava avesse vissuto chissà quanto all’aperto tra soprusi e angherie e della premura e una certa galanteria generale avesse perciò deciso di rendere il proprio credo.
Suo padre era stato un rinnegato, ricordò tra sé, prima di diventare un eroe. Era stato solo un uomo. Un vecchio mago lasciato troppo a lungo solo negli incubi grifagni delle proprie paure inconfessate e mai completamente accettato dal suo stesso animo.
Un licantropo che ad ogni luna piena si era morso la coda ancora e ancora ululando un odio feroce e brutale contro la natura che lo aveva mutato in qualcosa di mostruoso, diverso. Aveva mai provato ribrezzo per ciò che era, suo padre? E se così era stato come era riuscito ad accettare l’amore di sua madre? Il pensiero che lei si abbassasse allo stato meschino di moglie di un mostro, accontentandosi quando avrebbe potuto avere tanto di più, sapendo meritasse altro e tanto altro ancora che lui pur disposto a concederle non sarebbe mai stato in grado di offrirle, come aveva fatto ad accettarlo?
Studiò con interesse atavico i suoi genitori, analizzò l’abbraccio spensierato in cui erano racchiusi l’una dalla presa del secondo e viceversa. Si erano amati o era stata solo la paura della solitudine ad avvicinarli in quel periodo di guerra e terrore dove tutto era sembrato nero, l’apocalisse doveva essere apparsa tanto vicina da essere sfiorata?

Eppure… Sì, il modo in cui si scrutavano di soppiatto tra una risata incontrollata e l’altra, troppo lievi per essere vere e troppo fragili perché non gli sembrassero meravigliose, come ad accertarsi fossero proprio lì, fosse tutto reale, vero. Quello non poteva essere solo un sentimento leggero dettato da un impulso provvisorio. Come si stringevano disperatamente alle spalle e alla vita, quasi dalla presenza e dalla felicità dell’altro dipendesse la propria, il volto radioso di sua madre e quello un po’ colpevole e più pacato, misurato nel calibrare quell’attimo sfuggente di gioia incompleta, del padre. Quella non poteva essere finzione, né mera illusione.
Era amore semplicemente, puro e semplice. Come quello che vedeva dipanarsi in lacci sottili e inestricabili in ogni dialogo tra Harry e Ginny, in quello che sentiva legarlo a Vicky. Era il tipo d’amore che illuminava lo sguardo, anche il più sgualcito e trasandato, e disarmava per l’intensità intima e radicata che comprimeva tutto l’animo denudandolo degli artifizi di menzogne improprie, smantellando in pezzi il terrore innato di venirne sommersi.
Doveva essere stato difficile per i suoi genitori all’epoca trovarsi a fare i conti con quel genere d’amore, la fortuna d’averlo sì scoperto, ma anche d’essere costretti a pregare perché quella forza non diventasse anche debolezza, il perno su cui il nemico potesse colpirli per farli cadere nell’ombra delle sue oscure minacce. Era un amore che avrebbe potuto frenarli, ma che non aveva impedito loro di diventare gli eroi che erano destinati ad essere.
Si passò una mano tra la zazzera arruffata, in un’abitudine che aveva imparato a fare anche propria vedendola affacciarsi così spesso nei gesti familiari di altri, ora di una tonalità accesa e intensa, il blu del cielo al crepuscolo primaverile e quello che secondo i racconti di nonna Meda doveva essere stato appena dopo la fine della guerra prima che sgargianti fuochi di fuoco fiorissero e divampassero nel velluto della volta celeste cadendo in scie argentate di stelle cadenti.
Incrociò il proprio sguardo ritornato suo, ma non del tutto, castagna tiepido e indorato, e il sorriso timido nell’incertezza che lo animava, un sospiro lieve a dischiuderglielo e mostrare una risata sghemba e malandrina.
Riusciva a scorgere adesso quelle somiglianze, a riconoscere in sé le peculiarità uniche e finalmente note che lo rendessero figlio dei suoi genitori. Colori, lineamenti, la lealtà di Tosca e l’orgoglio di un Grifondoro, ma sopra ogni altra cosa la forma del sorriso sfacciato, contraddistinta nei sogni e dal sapore dei sentimenti che lo rendevano tanto prezioso.
Lanciò uno sguardo in sordina al comodino di fianco al letto, groviglio di lenzuola ammucchiate su cui troneggiava il baule mezzo pieno e gli scappò una risata liberatoria, franca. Un sentimento tranquillo ad invadergli il petto come una bolla esplosa. La scatolina non aveva più il tetro aspetto di poco prima e la proposta che avrebbe dovuto accompagnare gli sembrava di una facilità così disarmante ora da risultare ridicola, quanto poco credibile l’ansia che l’aveva divorato fino a un attimo fa. Se i suoi genitori erano stati capaci di combattere e contemporaneamente mantenere in piedi una famiglia, lui non poteva certo essere da meno, valutò con un ampio sorriso. Esimersi dall’essere altrettanto innamorato. Sarebbe stato felice con Vicky, completo, avrebbe ricostruito la sua famiglia e sarebbe stato un bravo genitore. E un giorno chissà, forse Remus e Dora sarebbero stati orgogliosi dei loro nipoti come lui lo era di loro.

E, sperò tra sé ardentemente, un soffio di polvere e granello di dubbio ad incrinargli appena l’orlo della bocca arricciato in un sorriso discreto, anche di lui.      

 

 


N/A:
Missing moment su Teddy scritto in un momento ispiratore sulle note della canzone Perfect dei Simple Plan di cui consiglio l’ascolto, non ai fini della lettura, ma solo perché bella a mio parere :)
. Ci sarebbero tante cose da dire, da spiegare, ma preferisco scegliere un silenzio pieno delle parole non dette, del dolore e il senso di perdita che credo ognuno abbia un po' provato leggendo di loro e della loro fine. Così come tutti credo possono comprendere i sentimenti contrastanti di Teddy... Un saluto a tutti!

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Ruta