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Autore: titania76    07/02/2011    5 recensioni
[Post Lost Canvas - pre Sanctuary]
Erano anni che girava il mondo alla ricerca di qualcuno, anni che girava fra gente di tutte le razze e religioni, fra sfarzo e miseria; a cercare un segno, un qualcosa che gli facesse capire che stava andando nella giusta direzione, che era nel posto giusto.
[Versione revisionata, corretta e ampliata]
Genere: Drammatico, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Shion
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'L'amaro prezzo della devozione'
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1859

Stanco e sconfortato, uno strano individuo camminava per una stradina sterrata e fangosa, avvolta nel buio di un’umida notte di primavera inoltrata. Nuvole fosche permeavano ingombranti, nella loro staticità, a coprire la tenue luce della luna e delle stelle. Non un alito di vento muoveva una foglia; in quel surreale silenzio dove persino gli animali notturni, che popolavano le zone circostanti, avevano timore di farsi sentire. Solo l’assordante rumore delle suole consumate degli stivali, era percettibile. Passi, a volte strascicati, che procedevano senza un ritmo uniforme e senza una direzione precisa fra le pozzanghere.
Da quando era arrivato in quel luogo, una manciata di giorni prima, aveva piovuto ininterrottamente. A volte con violenti scrosci, tali da allagare le viuzze e renderle dei piccoli canali e a volte, imperversare con fini pioggerelline; come in quella notte. Lo straniero aveva alzato lo sguardo ormai disilluso, verso quel cielo plumbeo. Aveva mormorato fra sé e sé parole in una lingua che non era del luogo, chiedendosi se quella terra così devastata, fosse stata abbandonata dalla sua amata Dèa. Dopo tutto quel tempo che aveva passato alla costante ricerca, dopo gli orrori che aveva vissuto e a cui aveva assistito, dopo quella lunga attesa solitaria, tutto gli appariva privo di speranza. Ed un manto di umida e gelida pioggia, invano cercava di lavare via la desolazione e la disperazione, anzi, ne alimentava la pesante presenza, accompagnandolo lungo la strada di ritorno verso la locanda dove aveva preso alloggio.

Erano anni che vagabondava per il mondo, anni che camminava fra gente di tutte le razze e religioni, fra sfarzo e miseria; era uno straniero senza pace che aveva abbandonato la sua dimora in rovina per inseguire un segno, un qualcosa che facesse capire che stava andando nella direzione giusta, che nonostante le apparenze, fosse nel posto giusto. Preghiere e speranze che rivolgeva a quelle stelle da giorni celate, che lo avevano portato fino a quell’anonimo paesino del nord Italia: poche centinaia di anime rimaste ad abitare quel luogo, immerse nel dolore e nella più cruda miseria che la guerra potesse produrre. Schiacciate da un conflitto che non apparteneva loro, semplici contadini ignoranti.
Vi erano rimasti solo vecchi, donne e bambini troppo piccoli; gli uomini e i giovani del paese e di quelli limitrofi, erano andati tutti ad unirsi dalle truppe volontarie che a pochi kilometri di distanza da lì, stavano dando la vita per la libertà e un futuro migliore per i propri figli. Proprio come aveva fatto lui, assieme ai suoi compagni, in un lontano passato.
“Abbiamo combattuto per salvare il mondo dalle tenebre e dalla bramosia di Hades. Ho perso i miei compagni in quella dura battaglia. Ma per cosa? Nel mondo impazzano sempre di più le guerre e gli uomini continuano ad uccidersi fra loro. È forse diventato Ares il nuovo padrone? Il nostro sacrificio non è dunque valso a nulla se non a lasciare incustodita la Terra a voi così cara? Mia Atena, sono rimasto solo. Mi hai affidato un compito gravoso: trovare i nuovi eletti e riedificare le tue schiere per difendere la giustizia; ma come potrò adempierlo senza una guida? Mia Dea guidami in questo momento di grande sconforto.”
Pensieri tristi e lugubri si affollavano nella mente dell’uomo, che intirizzito dalla pungente umidità si stringeva nell’ormai logoro pastrano stava procedendo quasi rasente i muri diroccati delle case. Il suo fisico, anche se poteva sembrare giovane e vigoroso come quello di un ventenne, era gravato dal peso di un mondo sempre più oscuro, così come la sua chioma un tempo di un vivido e fluente castano che copriva la sua schiena come un manto regale, si era progressivamente spento negli anni, lasciando solo l’inusuale lunghezza a ricordo del passato.

Il convulso e rabbioso abbaiare di un vecchio cane, chiuso nel giardino incolto di una casa fatiscente che si affacciava sulla via principale, aveva risvegliato lo straniero liberandolo per un momento da quel vortice di malinconia che lo aveva sopraffatto. A grandi falcate, nonostante il terreno scivoloso, l’uomo si era precipitato verso il punto da cui proveniva il rumore, notando una strana figura coperta da un mantello sdrucito che poco riusciva a nascondere le sue fattezze. Era una giovane donna dall’aspetto emaciato che camminava ricurva e con passo malfermo, alla ricerca forse di un riparo per la notte.
Avanzava appoggiandosi stancamente al muro di cinta di quella casa, non facendo caso al continuo ringhiare dell’animale che poco più avanti tentava di sfondare il cancello malandato, seguendo quasi indemoniato i suoi passi. Si sosteneva come poteva a quei mattoni scivolosi, tentando di mantenersi in piedi per non cedere alla fatica e ai dolori lancinanti che le facevano scappare degli improvvisi lamenti. Si sosteneva come poteva a quei mattoni scivolosi, tentando di mantenersi in piedi per non cedere alla fatica e ai dolori lancinanti che le facevano scappare degli improvvisi lamenti. Pochi passi ancora aveva percorso, camminando per raggiungere uno degli sparuti lampioni ad olio che malamente illuminavano quella strada, cadendo rovinosamente poco prima di arrivare alla sua meta. Altri gemiti avevano riempito l’aria.
Si era portata una mano a protezione del ventre rigonfio che aveva iniziato a provocarle dolori sempre più forti e frequenti, con l’altra invece tentava di risollevarsi per riprendere il cammino. Si era portata una mano a protezione del ventre rigonfio che aveva iniziato a provocarle dolori sempre più forti e frequenti, con l’altra invece tentava di risollevarsi per riprendere il cammino. L’uomo le era arrivato vicino, accovacciandosi su di lei per prestarle i primi soccorsi. Non era preparato a quella situazione e nei dintorni, non sembrava esserci nessuno a cui chiedere aiuto. Se qualcuno c’era, era ben rintanato dietro le imposte sconnesse delle finestre, celato agli occhi di uno straniero come lui, incatenato dalla paura o solamente dal disinteresse per le sorti di altri sventurati.
Prendendola fra le braccia, sollevandola da terra non senza qualche incertezza, si era poi incamminato affrettando il passo, verso la locanda.


*****


Erano più di quattro ore che la giovane si contorceva nel letto della camera dello straniero, in presa a deliri provocati dalla febbre alta e dai lancinanti dolori delle contrazioni, ormai sempre più frequenti e prolungate. L’uomo non sapeva come agire in quel frangente e si era rivolto alla padrona della locanda – che da quando lui era tornato si stava prendendo cura della giovane – chiedendole dove poter rintracciare il medico del paese. Gli fu risposto, con grande rammarico, che da tempo lì non se ne trovava più e anche a cercare nei paesi vicino, avrebbe portato allo stesso risultato.
Tutti gli uomini abili sono andati ad unirsi ai volontari e il dottore è stato uno dei primi ad aderire alla causa – gli aveva riferito la donna, con le lacrime agli occhi. – Persino il mio figlio più piccolo di appena tredici anni, l’ultimo che mi era rimasto, è fuggito di casa poco più di un mese fa per raggiungere i suoi fratelli maggiori e combattere.
L’uomo non poteva far altro quindi, che vivere nell’impotenza l’agonia della giovane, assistendo come riusciva – e senza intralciare troppo, con le sue scarne conoscenze mediche – l’anziana locandiera nei suoi tentativi di salvare sia la partoriente che la creatura che portava dentro di sé. La donna infatti, era un’esperta levatrice che negli anni aveva aiutato molte volte il dottore a far nascere i bambini, lei stessa ne aveva avuti ben cinque di figli; ma seppur molto preparata, non era un medico.
Il parto era risultato fin da subito assai difficile, sia per la debolezza della gestante, sia per le complessità insite in esso. Inoltre, la grande quantità di sangue che la giovane aveva perso, non faceva presagire un roseo epilogo. Nonostante il gran prodigarsi dell’anziana, in quella notte si consumò l’ennesima tragedia. Poco dopo il parto del neonato, un maschietto che non aveva avuto neppure la forza di sopravvivere al suo primo vagito, anche la giovane madre lo aveva seguito, ormai spogliata delle sue ultime forze. Ma le brutture della vita, in quella lunga notte di dolore, non erano ancora terminate. Esaminando il corpo ormai privo di vita della giovane, un’agghiacciante scoperta aumentò lo sgomento nei presenti. Un’altra creatura era ancora presente nel suo grembo. Con le rudimentali nozioni che l’anziana levatrice aveva appreso dal medico del paese, aveva eseguito un grossolano parto cesareo per estrarre il corpo della seconda creatura, con la speranza di poter salvare almeno lei.
Vana speranza.
In quel mondo afflitto da guerre e morte sembrava non esserci proprio posto per una nuova vita.
Anche il secondo corpicino, questa volta una femminuccia, giaceva ora inerme accanto al suo gemello; entrambi avvolti in teli di cotone grezzo e deposti su un vecchio e consunto tavolo di legno, accostato ad una delle pareti di quella stanza spoglia. L’anziana donna, non potendo fare altro in quel frangente, si avviò fuori dalla stanza con aria greve e lacrime che sgorgavano da occhi troppo stanchi; tamponandoli con il bordo del grembiule.
Lo straniero invece, con il cuore gonfio di dolore e scoramento, si era lasciato cadere sulla sedia, appoggiata accanto all’unica finestra della stanza, prendendosi la testa fra le mani tremanti di rabbia e sconforto. Aveva serrato le labbra in un debole tentativo di reprimere i singhiozzi che gli sconquassavano il petto, ma nulla aveva potuto per fermare le lacrime che rigavano il suo volto ancora giovane, fino a cadere sul pavimento di legno. Appoggiandosi infine sul malandato schienale della sedia, osservava assente gli alberi che in lontananza danzavano mossi dal vento che da poco aveva preso a soffiare.
“Perché ancora morti sul mio cammino? Non ne ho veduti già abbastanza da colmare una vita intera? Il fato mi ha fatto dunque incontrare questa donna per essere testimone di quanto effimera può essere la vita per coloro che non sono benedetti dalle stelle. Basta morti, basta sofferenza. Con tutto il potere che mi è stato concesso non sono riuscito a salvare queste povere creature. Mia Dea hai forse abbandonato questo mondo e la sua gente, a tale destino?”

Si era perso nuovamente nei suoi pensieri Shion, nei ricordi della sua vita passata, di quanto il suo dovere lo aveva portato a perdere tutto ciò che aveva e amava: gli amici e compagni, il suo maestro, la dolce e combattiva Sasha incarnazione della sua Dèa. Pochi attimi di distrazione che erano sembrati invece un’eternità e un improvviso risveglio, ad opera di un ragazzino – forse entrato lì dentro senza che lui se ne accorgesse – l’avevano riportato alla dura realtà di quello che c’era nella stanza.
Aveva forse sognato il sorriso malandrino di quel giovane che ora sembrava non essere mai stato in quella stanza?
Come per istinto aveva rivolto il suo sguardo sui due corpicini avvolti nei teli, che giacevano sul vecchio tavolo, illudendosi che stessero solamente riposando. Aveva indugiato in quella macabra contemplazione per una manciata di secondi e, seppur svuotato di ogni energia, Shion si era alzato e si era avvicinato a loro. Con estrema delicatezza aveva scostato il panno dal volto della piccolina per donarle una carezza, quando una flebile aura sembrava averla avvolta, ridonandole una carnagione più rosea. Un miraggio dovuto alla stanchezza, aveva pensato Shion, un’alba troppo precoce che filtrava dalla finestra e gli faceva credere di vedere ciò che in realtà non poteva essere. Eppure, pochi istanti dopo, aveva udito un vagito sommesso e percepito sulla sua stessa mano, l’impercettibile scatto della manina dell’infante. Si era stropicciato gli occhi arrossati e pensati, incredulo a quello a cui aveva assistito. Qualche secondo ancora e un lamento più nitido, forse un piccolo colpo di tosse e un’altra contrazione di quel corpicino poco prima freddo e immobile, avevano preceduto dei vagiti sempre più forti e insistenti; iniziando poi a muoversi con maggiore vitalità ed ora, anche il suo pianto riecheggiava con forza in quella stanza, regalando all’uomo, la musica più dolce e benedetta che mai avesse potuto udire.

Un vero miracolo si era compiuto davanti ai suoi occhi nuovamente inondati di lacrime. La speranza non aveva abbandonato quel mondo.
Prendendo in braccio la piccola, dapprima in modo impacciato, con una pezzolina intinta nella bacinella d’acqua lì vicino, aveva iniziato a pulire quel visetto sempre più roseo e sano, ringraziando la misericordiosa Atena per quella vita innocente strappata alla morte. Sempre con la piccola in braccio, si era avvicinato alla finestra, dove il chiarore del mattino diveniva gradualmente più evidente. Senza la presenza di testimoni, Shion l’aveva alzata di fronte a sé, leggermente sopra la sua testa, accettandola come dono della sua Dèa e consacrandola alla stessa. Erano quasi le cinque di un mattino di fine maggio, il 29 maggio del 1859.
Tante schermaglie si stavano combattendo e si sarebbero ancora combattute nei dintorni di quelle terre martoriate, ma una ancor più grande e sanguinosa battaglia sarebbe infuriata da lì a pochi giorni, per quegli uomini già provati da infinite sofferenze. Migliaia di morti ci sarebbero stati; ma almeno quella giovane vita che stringeva fra le sue braccia era stata risparmiata.
In quell’ora che volgeva ad un’alba già scossa in lontananza dal fuoco della guerra, il fragore delle cannonate salutava quella nuova vita.
Prima di riprendere il suo viaggio, lo straniero che aveva soggiornato in quel paesino in quei giorni di guerra, aveva pagato una moneta d’argento all’anziana locandiera affinché essa sbrigasse le pratiche burocratiche con le autorità, chiedendo inoltre che fosse predisposto per la giovane sfortunata madre e il suo piccolo, una degna sepoltura.
Nessuno in paese ha mai visto quella donna prima di qualche notte fa – gli aveva detto la donna, accettando il pagamento. Senza alcuna remora, la vecchia aveva preso anche la seconda moneta che Shion le aveva fatto tintinnare sul tavolo, come compenso per il suo silenzio sul destino della piccola sopravvissuta.
Ora che si stava accingendo a lasciare quel luogo, non era più così certo della decisione che in quella strana notte aveva preso. Ma quale futuro avrebbe potuto avere una creatura così piccola e indifesa, a vivere in mezzo a tutto quello squallore e povertà, dove la guerra ogni giorno bussava a quelle porte? L’unica cosa che poteva fare per lei era di portarla lontano da lì, in un luogo sicuro. Era dunque un chiaro segno della sua Dèa, quello che per lunghi anni aveva cercato durante il suo peregrinare. Ora poteva avviarsi sulla strada di casa: verso il Santuario che non sarebbe più stato vuoto e desolato. Con questa consapevolezza nel suo animo, Shion poteva ritornare a sorridere.
Ora lui non si sarebbe più sentito solo.




   
 
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