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Autore: Hui Xie    02/01/2006    10 recensioni
Il puzzle e Yami sono scomparsi, Jounouchi è tornato un teppista, Gozaburo è ancora a capo della Kaiba Corporation, Marik non è più un custode delle tombe... E' un altro anime? No, è solo una semplicissima distorsione temporale... Capitolo nove modificato.
Genere: Avventura, Commedia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Prologo

Hola ^^ Buon anno a tutti.
Ho scritto questa storia su ispirazione di "Ritorno al futuro", uno dei film migliori che io abbia mai visto. L'avete mai visto? La storia, ovviamente, si può leggere anche senza averlo mai letto, ma, a chi l'avesse fatto, spero che gli piaccia in versione Yu-Gi-Oh. Buona lettura a tutti.
Lasciatemi un commento, sia negativo che positivo. Vorrei conoscere le vostre opinioni. Hui Xie.

Prologo

Quella mattina, Yuugi si svegliò con una strana sensazione nel cuore, un presentimento malinconico che gli serrava la gola in una morsa dolorosa, che per qualche minuto lo fece rimanere fermo, gli occhi viola fissi sul soffitto bianco, e la bocca rigorosamente chiusa.

Era il primo giorno delle vacanze estive, riflettè, ossia qualcosa di cui essere felice. Quel malumore che sentiva sulla pelle e nelle viscere doveva derivare da qualche incubo notturno che la sveglia naturale aveva cancellato come un disegno sulla spiaggia. Con questa allegra consapevolezza, Yuugi scostò di scatto le lenzuola e scese con un rapido balzo, stiracchiando in alto le braccia, per cercare di crescere ancora un po’ di più.

“Buongiorno, mou hitori no boku!” esclamò, senza doversi curare delle opinioni degli altri. Non venne nessuna risposta.

Allora Yuugi si voltò e notò, con sua grande meraviglia, che il suo adorato puzzle non era appeso, come al solito, al lato del letto, per vegliare su di lui anche la notte. Eppure, non ricordava di averlo spostato altrove, la sera precedente. Che si fosse alzato nel sonno? Iniziò a cercare per tutta la stanza dove potesse averlo nascosto, dall’ovvio posto sotto il letto, a dentro l’armadio, sotto le pile di vestiti disordinati, dentro i cassetti e fra i libri di scuola a mucchi nella scrivania e nella libreria, tra i modellini e i vari giochi che possedeva, con un’ansia che cresceva sempre di più.

Sentendo il rumore di suo nonno, che armeggiava nel negozio, scese, senza curarsi del fatto di essere in pigiama, deglutendo e sperando che lui ne sapesse qualcosa.

“Hai visto il mio puzzle?” domandò immediatamente, senza preoccuparsi nemmeno di un “buongiorno”, troppo ansioso per pensare alle buone maniere.

Sugoroku finì di appoggiare l’ultima confezione al suo giusto posto e poi si voltò verso di lui. “Che puzzle?”

“Il mio puzzle. Il puzzle millenario” Yuugi non poteva credere che suo nonno si fosse scordato di una cosa tanto importante. “Quello che porto sempre al collo, che ci ho messo otto anni a completarlo, la piramide…” E man mano che parlava, si accorgeva sempre di più che suo nonno, seriamente, non se ne rammentava affatto.

“Non ricordo…” rispose infatti, facendo anche uno sforzo di memoria, concentrandosi con la mano che sfiorava il pizzetto ingrigito. “E non guardarmi come se fossi arteriosclerotico!”

Ma Yuugi non lo stava facendo: era solamente sorpreso, spiacevolmente, di quello strano comportamento, fin troppo realistico per sembrare una recita. Eppure, suo nonno non era così vecchio da dimenticarsi i fatti, specie se riguardavano da vicino una parte importante del suo passato.

Scotendo la testa, ritornò lentamente in camera sua, si sedette sul letto e afferrò il suo deck, iniziando ad esaminarlo. A parte lo strano comportamento di Sugoroku, Yuugi doveva arrendersi all’evidenza che qualcuno gli aveva rubato il puzzle. Non sarebbe certo stata la prima volta, ma finora si era sempre trattato di sfide leali, niente di così subdolo come entrare di notte in casa e sottrarglielo. Man mano che scorreva con lo sguardo i mostri che componevano il suo deck, si rese conto che qualcos’altro, quella mattina strana, non andava. Semplicemente, quello non era il suo mazzo, o, meglio, non era quello che aveva preparato con il suo doppio. Era sempre il solito, tranquillo deck che suo nonno gli aveva regalato, senza Divinità Egizie e con le cinque carte di Exodia ancora al loro posto, mentre, nella logica dei fatti, tre di loro si dovevano ormai trovare in fondo all’oceano Pacifico.

Rimise in fretta il mazzo a posto, afferrò la cornetta del telefono e compose il numero di Jounouchi. Troppe cose non quadravano, troppi fatti strani. Aveva bisogno di qualcuno che gli desse la conferma materiale che tutto ciò che ricordava sul Magic&Wizard, sugli oggetti millenari e, soprattutto, sul suo doppio non fossero soltanto il frutto della sua mente sognatrice.

“Pronto?” rispose la voce sbiascicata di qualcuno che si era appena alzato.

“Jounouchi-kun!” esclamò, felice di avere accanto a sé qualcuno di familiare. “Sono io, Yuugi. Volevo dirti che…”

“Chi?” chiese qualcuno di incredulo dall’altro capo del telefono, cercando di ricordare. “Intendi Yuugi Mutou? Il nanerottolo cacasotto che sta in classe con me?”

La felicità di pochi istanti prima svanì rapida come una doccia fredda, e le mani iniziarono a tremargli come in preda agli spasmi. “S-si, io…” riuscì ad esalare.

“E perché diavolo mi chiami a quest’ora del mattino? Come se avessi tempo da perdere con te!” replicò la voce, arrabbiata. “Su, vai a giocare con i bimbi dell’asilo” E, senza aggiungere altro, interruppe la comunicazione.

Yuugi, come in un film muto, abbassò la cornetta e rimase fermo, seduto sul letto, con le mani in grembo. Forse era quello l’incubo che stava vivendo, e desiderò unicamente il risveglio, fosse anche per andare a scuola a prendere uno dei suoi soliti brutti voti.

Cercò di riflettere con una mente fredda che, in quel momento, non possedeva. Non era davvero possibile che tutte le avventure che aveva vissuto dal quando aveva terminato il puzzle fino a quella maledetta mattina fossero state solo un sogno, perché il tempo trascorso era veramente troppo per essere contenuto in una notte sola. Inspirò profondamente, riprese il telefono e premette il pulsante di richiamata.

“Pronto?” rispose la stessa voce di prima, ma meno addormentata.

“Sono Yuugi…” mormorò timidamente il ragazzo, già preparato ad una pessima replica.

“Yuugi! Ciao!” esclamò invece Jounouchi, allegro. “Guarda, se chiamavi un attimo fa ti mandavo a quel paese per avermi svegliato! Allora, che si fa di bello oggi, che siamo in vacanza?”

“Lo hai fatto…” Yuugi, nonostante il sollievo nel riconoscere in quella voce il solito amico gentile e disponibile, non potè allontanare il ricordo della telefonata precedente, di quel tono che rammentava un tempo vuoto e in solitudine.

“Come?” Jounouchi sbatté le palpebre.

“Mi ci hai mandato…” spiegò debolmente. “Questa è la seconda telefonata che ti faccio…”

“Ma no, non è possibile” replicò Jounouchi, agitando una mano davanti alla cornetta, come se l’amico potesse vederlo. “Mi sono alzato da due minuti, quindi non è possibile che tu mi abbia telefonato prima… Sicuro che non fosse mio padre?”

Yuugi scosse la testa. Non era così stupido da scambiare la sua voce con un’altra. “Lasciamo perdere…” Se voleva fargli uno scherzo, di sicuro era di pessimo gusto, ma forse derivava da un cattivo risveglio. Meglio non stare a recriminare su qualcosa che era passato, adesso che aveva ritrovato il suo migliore amico, in forma come sempre. “E’ successo un guaio…”

“Un guaio?!”

“Mi hanno rubato il puzzle! Non lo trovo più…” spiegò in fretta Yuugi, con il groppo alla gola che gli faceva bruciare gli occhi e gli serrava il fiato nei polmoni. “Stanotte… E non me ne sono accorto…”

Per qualche minuto, entrambi rimasero in silenzio, ad ascoltare i rispettivi fiati. “Chiama Anzu, io avverto Honda” disse infine Jounouchi. “Ci ritroviamo al parco fra mezz’ora. Tranquillo, vedrai che lo recuperiamo!”

Bastò quello a renderlo di nuovo sicuro e speranzoso, relegando in un piccolo angolo tutta l’angoscia che gli strani avvenimenti della giornata gli stavano causando. Si salutarono velocemente, quindi Yuugi, chiamata velocemente Anzu, che si mostrò comprensiva come al solito, abbandonò il pigiama sul letto sfatto e si mise i soliti pantaloni blu della divisa di scuola, con la maglia elasticizzata intonata e la giacca dello stesso colore. Finito di prepararsi, uscì subito di casa per recarsi all’appuntamento con i suoi amici, scordandosi persino di aprire le persiane, che serravano la stanza, chiudendola ermeticamente dall’interno.

  *-*-*

Per Seto Kaiba la parola “vacanze” non esisteva. Al contrario, la sospensione estiva delle lezioni di scuola era per lui soltanto un vantaggio, perché gli permetteva di recarsi al lavoro anche la mattina, evitando le prediche degli insegnati che gli raccomandavano di non perdere giorni di scuola.

Perciò, quel giorno, il presidente era già al lavoro nel suo ufficio di prima mattina, e batteva velocemente sui tasti del computer, facendo risuonare il rumore nell’aria attorno, mentre progettava il codice per un nuovo videogame che intendeva far uscire per Natale.

Il suo accurato lavoro fu interrotto da una chiamata della sua segretaria, che gli annunciava la visita di uno dei suoi soci. Quello non era proprio il momento più adatto per perdere tempo a discutere con gente simile, vista la mole di lavoro che aveva accumulato.

Sentendo dei passi nel corridoio, si alzò dalla sedia ed aprì la porta: come aveva immaginato, si trattava di Roland, che si stava avviando verso l’ascensore. Avrebbe mandato lui a trattare con tutte le persone con cui aveva appuntamento, risparmiando del tempo prezioso. “Roland!” lo chiamò, ma il dipendente non si fermò, continuando a camminare, con la schiena rivolta verso di lui, poi, improvvisamente, scomparve.

Seto sbattè le palpebre. Forse, aveva visto male e la presenza del suo più fedele dipendente altro non era che un miraggio creato da lui stesso, un’illusione dovuta a qualche strana riflessione della luce che penetrava dalla vetrate. Seccato per essersi alzato inutilmente, riappoggiò la mano sulla maniglia della porta per richiuderla dietro di sé mentre rientrava nell’ufficio, ma si bloccò non appena i suoi occhi azzurri si posarono sulla stanza che avrebbe dovuto essere, a rigor di logica, completamente vuota.

Invece, seduto alla sua scrivania, con il solito smoking rosso fresco di tintoria, stava Gozaburo, un sigaro fra le labbra, e i gomiti appoggiato sul piano del tavolo. Davanti a lui, su comode poltrone in veltro verde, erano allineati tutti i Big Five, uomini che, ormai, avevano la carriera distrutta e la vita intrappolata in un gioco virtuale. Seto, con le gambe completamente congelate giusto sulla soglia, non potè far altro che assistere a quel teatrino di cui, purtroppo, conosceva fin troppo bene la causa. Evidentemente, qualcuno aveva usato, ovviamente a sproposito, “quell’invenzione”, che avrebbe invece dovuto essere sorvegliata accuratamente, e gli effetti non stavano tardando a manifestarsi.

“Irak?” domandò Gozaburo, interessato.

“Ormai è sicuro che gli Stati Uniti dichiareranno la guerra” spiegò uno degli uomini. “L’ONU ha fallito la sua missione di ricerca delle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam…”

“Armi che Bush gli avrà venduto, suppongo…” Gozaburo se la rise di gusto. “Dopotutto, è il presidente della patria delle armi…”

“Più probabilmente, è solo una scusa per impedire alla Cina di intessere dei rapporti commerciali con l’Irak ed impadronirsi così del petrolio” commentò un altro. “Non sia mai che ci sia una potenza più forte degli USA!”

“Il motivo non mi interessa affatto” Gozaburo si alzò, e aggirò la scrivania. “La cosa importante è trovare il modo di guadagnare il più possibile da questa guerra, vendendo le nostre armi. Dopotutto, questo è il ruolo della Kaiba Corporation” Appoggiò la mano sulla spalla del Big Five più vicino, sorridendo. “Riesci a contattare Saddam?”

La scena, com’era comparsa, svanì: l’ufficio tornò vuoto e silenzioso, e nelle gambe di Seto tornò a circolare il sangue, rimettendo i muscoli in movimento. Con un respiro quasi di sollievo nascosto, rientrò nell’ufficio, ritrovando tutti gli oggetti familiari, appartenuti a lui solo, che il suo patrigno non aveva sfiorato nemmeno col pensiero.

Seto si risedette sulla poltrona, che ovviamente non era la stessa dei tempi di Gozaburo, perché non aveva mai avuto l’intenzione di toccare qualcosa che gli fosse appartenuto, riflettendo sul da farsi. La sua sorveglianza, che avrebbe dovuto proteggere quell’invenzione importantissima e pericolosa, era imperdonabile, certamente, ma attualmente questo non era il problema più importante. Se si fosse trattato di un semplice furto, gli sarebbe bastato licenziare tutti quegli incapaci e sostituirli con gente più preparata, invece si trattava di qualcosa di ben più complesso, qualcosa che rischiava di sconvolgere tutto il corso della storia.

Non aveva la minima idea di chi fosse il colpevole, né di quale avvenimento avesse cambiato per creare un futuro del genere, conosceva solo il modo e, probabilmente, il movente. La sua mano corse inevitabilmente alla tastiera del computer, aprendo il database dei duellanti che aveva sempre a disposizione, aggiornato sui nuovi giocatori: gli bastava dare un’occhiata al suo nome, con le otto stelle accanto, al secondo posto, giusto sotto il nome “Yuugi Mutou”, per riavere dentro di sé la forza di combattere e di vincere.

Quella forza gli entrò nelle vene anche quel giorno, ma non per il motivo usuale. Entrambi i nomi, il suo e quello del suo rivale, erano infatti scomparsi dalla lista, sostituiti da persone e volti conosciuti, ma assolutamente inadatti a ricoprire quelle cariche. Spense di getto il computer, scordandosi persino di salvare i dati del programma.

Aveva sbagliato: non cercavano di colpire lui, bensì Yuugi. Doveva trattarsi di qualcosa che riguardava un passato molto lontano, fin troppo. Per Seto, quella non era altro che una seccatura, perché avrebbe dovuto coinvolgere persone con le quali preferiva sempre non avere a che fare. Ma con una situazione del genere, non aveva altra scelta. Si alzò, indossò il suo soprabito bianco, afferrò la sua valigia e si diresse verso l’unico luogo in cui era sicuro di trovarli. Il tempo a disposizione era poco e lui ne aveva già sprecato abbastanza.

  *-*-*

Marik accavallò le gambe, cercando di sistemarsi meglio sulla scomoda sedia, in una delle aule del museo, dove stava studiando. Girò un’altra pagina del libro, scrutando con la fronte aggrottata le formule chimiche che doveva imparare, giusto un attimo prima che qualcuno glielo strappasse dalle mani e lo gettasse a terra in malo modo.

“Piantala di studiare ‘ste stupidate! C’è qualcosa di più importante da fare!”

“Ah, sei tu…” commentò l’egiziano, alzando leggermente un sopracciglio mente osservava annoiato il ragazzo dai lunghi capelli bianchi. “Che vuoi?”

Bakura gli scoccò un’occhiata atroce. “Cos’è quel tono?” chiese, incrociando le braccia. “Noi due siamo amici, no?”

“Amici!” esclamò beffardo Marik, mentre si alzava a recuperare il libro. “Alleati, diciamo… E tempo fa”

“Si, ma tu mi devi ancora restituire il favore per quello che ti ho fatto a Battle City”

“Per quello che non hai fatto” pensò il biondo, ma si trattenne dal dirlo. “Insomma, che vuoi?”

“Guarda” Bakura allungò un braccio verso di lui. “Sto scomparendo”

“Eh?” Marik sbattè le palpebre sugli occhi violetti, quindi fissò quel arto pallido coperto dalla solita maglia a righe blu, senza vedere nulla di strano. “Scusa…?”

Ma gli occhi nocciola di Bakura non erano meno sorpresi dei suoi. Iniziò ad esaminarsi il braccio, quasi stupito di trovarlo al suo esatto posto. “Ma… Prima…”

L’egiziano già non lo ascoltava più. “Io me ne vado” Si infilò il libro che stava studiando sotto il bracco e fece per allontanarsi verso un’altra sala del grande museo di Domino City.

“No…” Il tono usato da Bakura per fermarlo era tutto tranne che autoritario, una sorta di stupore misto a incredulità e, forse, paura. “Il tuo tatuaggio…”

Parola magica. Marik si fermò immediatamente, cercando di tirarsi su più che poteva la maglietta, onde evitare che spuntasse da sopra al colletto. “Si vede?”

L’ex ladro di tombe scosse la testa. “Al contrario…”

Marik infilò la mano al di sotto della maglia, sfiorando con le dita la pelle della schiena, perfettamente liscia, non più scavata e abbrustolita dal tatuaggio delle Divinità Egizie che suo padre gli aveva impresso a fuoco quando era ancora un bambino. Rabbrividì, ad un contatto così diverso dal solito e così incredibilmente piacevole.

“Hai fatto una plastica?” domandò Bakura, con uno scherzo macabro. L’altro non si curò nemmeno di rispondergli, ma iniziò a correre verso l’ultima stanza del museo, giusto in fondo al corridoio, dov’era conservata la stele del Faraone Senza Nome. Si fermò proprio davanti alla vetrina che la conteneva. “Che diavolo sta succedendo…?” mormorò.

Lui e Bakura rimasero immobili a fissare la stele che, lentamente, cambiava sotto i loro occhi. Le figure delle Divinità Egizie, così come il Puzzle Millenario e la scena della lotta fra il Faraone e il sacerdote, sostituite in fretta da altri bassorilievi che nulla centravano con la storia che conoscevano, né con il Magic&Wizard. Erano solo il ritratto di un uomo e una donna, alla solita maniera egiziana, come se quello fosse un blocco di pietra qualunque.

“Che sta succedendo?” ripetè una voce dietro di loro. Yuugi, assieme alla sua banda composta dai soliti Jounouchi, Honda e Anzu, era apparsa dietro di loro, e tutti fissavano l’immagine con lo stesso sguardo spaurito.

La risposta venne dalla soglia della porta, e dalla persona che meno avrebbe dovuto interessarsi a quella storia. “Una semplice distorsione temporale” rispose Kaiba.

Nella prossima puntata….
Distorsione che?! Kaiba! Lo sapevo che c’entra tu! Quando succede qualcosa, la colpa è sempre tua! Ma adesso io, il grande Jounouchi Katsuya, ti… Bakura! Marik! Dov’è che vorreste andare voi?! Nel passato?!
Prossima puntata: “la macchina del tempo (presenta Seto Kaiba)” Non perdetela!

  
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