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Autore: Herit    08/02/2011    9 recensioni
Victor Stradivari è un giovane violinista di successo. Ha dalla sua un discreto fascino ed un carattere piuttosto altezzoso. Apparentemente frivolo, ha la fama del Don Giovanni bello e bastardo. Durante un concorso internazionale per una borsa di studio, la sua vita si incrocia con quella di Mark Violin: musicista pressoché sconosciuto nell'ambiente. E' proprio Mark a soffiargli la tanto ambita borsa di studio da sotto il naso. Una volta tornato nel conservatorio in cui studia, il Monteverdi di Londra, Victor è convinto che le strade sue e di quel "musicista da quattro soldi" non si incrocieranno più. Peccato che la Vita riservi parecchie sorprese...
E c'erano ricordi, in quella melodia. Un incontro fatto di sguardi penetranti ed astiosi. D'insofferenza reciproca e di sguardi lanciati di nascosto. Di risate fatte tra amici e di gelosie che avvolgevano il cuore come serpenti, iniettando il loro aspro veleno. Parlava di brividi, quella sinfonia. Quelli sollevati per lo scampato pericolo e quelli arrabbiati. Quelli provocati dallo schioccare di un bacio e quelli per la paura di perdere qualcuno di caro. C'erano nove mesi della loro vita, lì dentro. E li stavano offrendo al pubblico con il cuore aperto.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anche gli Dei muoiono.
The Show Must Go On


Prologo: Melodia d'autunno.


Empty spaces - what are we living for

Abandoned places - I guess we know the score
On and on, does anybody know what we are looking for...

    La musica scemò lentamente, lasciando che solo le ultime note emesse dallo Stradivari riempissero uno dei più importanti teatri d'Italia. Un silenzio tombale scese lento e leggero come la neve quando anche quell'ultimo accordo morì, denso ed acuto, infrangendosi come una bolla di sapone contro le pareti dell'auditorium. Era una strana sensazione quella che seguiva la fine di ogni esecuzione. Gli capitava sempre più frequentemente di sentirsi svuotato, privato di qualunque cosa portasse dentro di sé. Ascoltò quel silenzio leggendolo attentamente. Beandosene. Gli occhi ancora chiusi come da programma. Se avesse continuato ad apparire concentrato, un frammento della sua immagine sarebbe rimasto impresso nella mente degli spettatori.
    Una figura alta. Impeccabile. Curata sotto ogni aspetto, con quei ricci di un castano chiaro che gli solleticavano sfrontati le guance creandogli in realtà più fastidio che piacere, ma che facevano parte della maschera. Risollevò lentamente le palpebre, svelando lo sguardo del colore di uno smeraldo opaco, lasciando che un fiume in piena di applausi lo travolgesse in quello stesso istante, riempiendolo nuovamente di quanto lui poco prima aveva donato al suo pubblico. Le gambe immobili, seppure lui le sentisse chiaramente tremare dall'interno. Pronte a scattare verso le tende che segnavano la linea di demarcazione tra il palco e il backstage. Stabili impalcature di chi è abituato al confronto con la platea, seppure ogni volta minacciassero di cedere non appena fosse arrivato in camerino, dando libero sfogo alla tensione che si è accumulata nei giorni precedenti e durante la sua prestazione. Il corpo magrissimo che si traduceva in un'armoniosa massa di nervi saggiamente foderati da abiti curati. Eleganti: un gessato nero con una morbida coda a frac che gli si apriva dietro la schiena e che ondeggiava seguendo i suoi movimenti, ogni volta che li accentuava appena rendendoli più teatrali.
    Sorrise. Sentì le labbra stendersi in un'espressione sfrontata, di chi sapeva di aver fatto centro, incantando non solo gli spettatori, ma anche la giuria che sedeva poco distante, in un angolo dell'amplio palco sul quale era ancora il protagonista assoluto. Sorrise sciogliendo quella posa ben studiata ed andando a chinarsi provocando un nuovo scroscio di applausi. Quello era il suo posto: lo era sempre stato. L'unico che potesse appartenergli davvero. D'altronde non si fregiava del cognome Stradivari per nulla.
Uno.
Due.
Tre.
Come gli avevano insegnato da bambino. Inculcandoglielo in testa fino a quando quel gesto non era divenuto automatico. Tre secondi esatti ed alzarsi lento ed elegante.
Girarsi verso la giuria.
Di nuovo inchinarsi.
Uno.
Due.
Tre.
Ancora su. Poi un ultimo sguardo al pubblico a dimostrar sicurezza e lasciar ancora più vivo in questo il ricordo del giovane violinista che l'aveva appena saputo incantare. Fu con la stessa orgogliosa sfrontatezza con la quale aveva lasciato l'uditorio, che si diresse dietro le quinte.

    Flessuoso e silenzioso, lasciò che fossero i tacchi dei mocassini ad essere il solo avvertimento della sua presenza lì: gli piaceva l'apparenza da ragazzo perfetto che si era creato attorno dopo anni di lavoro. Era pronto, ben conscio che presto due braccia sottili e non troppo lunghe gli avrebbero cinto quasi con fatica il torace non particolarmente largo e sviluppato, ma caldo e confortevole e che un corpo minuto lo avrebbe stretto a sé, lasciando spazio solamente ad una vocina acuta che si sarebbe complimentata con lui per la sua esibizione. Era ordinaria amministrazione da che era riuscito ad entrare al Monteverdi, uno dei Conservatori più rinomati, in Inghilterra. Eppure l'inevitabile non accade. Non ci furono braccia sottili a stringerlo. Così come nessuna bocca sfiorò la sua e nessuna vocetta stridula si complimentò con lui per la sua impeccabile esecuzione. Per qualche istante quel sorriso tronfio con il quale aveva fatto il suo ingresso nella quinta si spense. Che fosse deluso?
    “Mio Dio! Sei stato bravissimo!” Squittì una vocina a lui ben nota. Vocina che ebbe il potere di fargli arricciare le labbra di nuovo, soddisfatto. Complimenti. Ecco di cos'aveva bisogno. Ecco, ora non avrebbe dovuto far altro che abbassarsi appena per accogliere l'abbraccio della sua ennesima pseudo fidanzata e le sue coccole. Sarebbe stato soddisfatto per almeno un paio d'ore. Poi tutto sarebbe tornato ad essere la solita tiritera accompagnata dal solito tram tram che si ripeteva incessantemente da un paio di anni a quella parte e che si sarebbe ripetuto per tutti i secoli dei secoli. O per lo meno quello era ciò che temeva: non riuscire ad andare al di là di quella scuola di musica. Invecchiandoci dentro e divenendo un docente di musica decrepito come il vecchio Harvey. E sarebbe continuata anche quella dannata sensazione di... vuoto. Di incompletezza.
    Presto probabilmente avrebbe lasciato anche quella graziosa ragazzina, così come aveva piantato tutte le altre prima di lei. Era il ragazzo più dotato -non solo musicalmente parlando- dell'istituto. Se lo poteva permettere. Aveva anche un certo fascino: avrebbe potuto avere tutte le ragazze che avesse desiderato, ne era ben conscio. Bastava vedere la fila di gentili donzelle che non aspettavano altro che poter uscire con lui o che gli sospiravano dietro ogni volta che passava per i corridoi con quell'aria un po' svogliata e seria. Altera. Era un miscuglio che alle ragazze, per qualche strana alchimia, piaceva. Però c'era sempre quella sensazione che ognuna non fosse quella giusta. C'era da dire che lui comunque non cercava una storia seria e duratura. Si era steso su tante lenzuola solo per sfogarsi e tutto sommato la cosa non lo dispiaceva nemmeno più di tanto. Semplicemente era tutto così maledettamente freddo, esattamente com'era lui. Ancora nessuna era riuscita a dargli quello che cercava. Sentimenti che invece sapeva infondergli la musica cui dava vita. O era la musica che dava vita a lui? Sinceramente non avrebbe saputo dare una risposta, se qualcuno glielo avesse chiesto. Non la sapeva dare nemmeno a sé stesso quando, mentre suonava un pezzo, si poneva quel quesito.
    Ecco però, lui si sentiva così:
Come una canzone Pop senza un ritmo orecchiabile e facilmente fruibile.
Come una canzone Rock priva di un testo che sapesse lasciare un segno dentro chi l'ascoltava.
Come un madrigale privo di una voce.
Lui era il testo, morbido ed appassionato come una poesia, ma gli mancavano le note. Quelle note che avrebbero potuto dargli spessore e renderlo terribilmente suadente.
    Aggrottò le sopracciglia in attesa di un abbraccio che per la seconda volta non arrivò, mentre invece, la voce di Elisabetta gli giungeva chiara e tonda alle orecchie. Scocciato. Capriccioso. Scostante. Solo in quel momento decise di dirigersi verso i camerini per vedere con chi la sua ragazza stesse parlando in modo tanto concitato. Furono note di un violino prima ed il giovane rimase impietrito. La medesima sinfonia che aveva suonato lui portata alla perfetta esaltazione. Non era solo musica. No. V'era un mondo dentro quelle note che si susseguivano in un bis che l'esecutore aveva concesso solamente a quella ragazzina petulante che gli stava poco distante.
    “Vic, senti! Senti!” Lo invitò una giovanetta tutto pepe dai folti boccoli neri, avvicinandosi a lui. Ma  Victor non la sentiva: troppo preso da altro. Stava fissando attonito il giovane che si stava esibendo con quello quello stesso brano che poco prima aveva portato tanto consenso da giuria e pubblico, dopo esser stato eseguito dal suo Stradivari e che, invece, ora lo faceva sentire solamente un violinista da strada, di quelli alle prime armi. Lo stesso brano che si troncò bruscamente quando il direttore di scena fece il suo ingresso nel camerino.
    “Violin Mark?- Il ragazzo volse immediatamente lo sguardo verso l'ometto basso e rotondo che sostava sulla soglia con alcuni fogli in mano, picchiettandoli distrattamente con una matita. Si sciolse dalla sua posizione carezzando con le dita lunghe ed affusolate il suo violino come se fosse la cosa più preziosa dell'universo. -Oh, signor Stradivari, la sua esecuzione è stata magistrale. Sono sicuro che la borsa di studio andrà a lei, quest'anno.” L'uomo si rivolse così al giovane Stradivari che però non sembrava dargli ascolto, ancora troppo preso dall'osservare quello che di punto in bianco era divenuto il suo più terribile avversario. Alto. Altissimo. Con quei capelli biondissimi e la pelle leggermente olivastra. E poi quegli occhi colore del ghiaccio che lo avevano trapassato da parte a parte giusto in quel momento. Nel momento esatto in cui Pancho (come l'avrebbe rinominato in seguito Lizzy. Si, come quello di Don Quijote) aveva pronunciato il suo cognome, i loro sguardi si erano incrociati ed il castano aveva avvertito una stretta allo stomaco: pesante ed opprimente. Eppure portava con sé una sensazione quasi... calda?
    Senza dire una parola, Violin superò quell'insolito trio che si era andato a formare alla porta del suo camerino passandogli accanto senza dire una parola. Aveva un buon profumo. Victor se lo sarebbe ricordato, ma in quel momento non poteva sapere quanto a fondo sarebbe penetrato in lui quell'aroma. E poi che diavolo stava pensando? Che doveva importargli del profumo del suo avversario più prossimo? Lo seguì per qualche istante con lo sguardo soffermandosi sulle sue mani. Erano grandi. Sicuramente calde. Essere toccato da quelle doveva essere un'esperienza da spezzare il fiato.
E quelle spalle larghe.
Se poi, scendendo, tutto andava in proporzione... stop! Stop! Stop!
Tutti sogni e congetture che poi avrebbero trovato il loro perché, ma che in quel momento lo fecero rabbrividire. Si ritrovò a scuotere il capo con veemenza. Lui era un uomo! Ed era pure gran bel pezzo di figliolo di quasi diciotto anni e soprattutto senza nessuna strana inclinazione sessuale.
Perché tutto ad un tratto si ritrovava a fantasticare su... sull'ultimo arrivato? Che fosse una crisi ormonale? Ma avrebbe dovuto averla superata da un po', insomma.
Tra l'altro era oltremodo sciatto. Vestito con Jeans strappati probabilmente presi al mercatino di quartiere e con una camicia nera che gli fasciava il torace e le spalle in maniera così tremendamente sexy. Con un nuovo scossone  del capo, Victor andò a rifilare il violino tra le mani di Elisabetta che ancora era lì a cinguettare e a tessere le lodi di quanto aveva appena fatto il signor Violin. Almeno fino a quando la ragazzina non si prese qualche istante a fissarlo meglio, richiamata da quel gesto così inusuale per lui che trattava il suo violino come un oggetto sacro.
    “Hai una brutta cera, Vic...- Constatò la ragazzina che accolse tra le braccia lo Stradivari cambiando completamente espressione, divenendo improvvisamente seria dopo aver sentito la poca delicatezza con cui glielo aveva praticamente buttato addosso. Ci mancò poco che l'archetto facesse un pericoloso incontro di terzo tipo con il pavimento. -Dovresti trattarlo meglio, il tuo vi...” Ma non ebbe il tempo di finire quella predica perché il giovane era già uscito di corsa dai camerini per richiudersi in bagno con la testa infilata nel lavandino e l'acqua fredda aperta al massimo per cercare di placare quell'improvvisa vampata di calore che gli era velocemente affluita in viso. E non solo lì a giudicare da come gli stava tirando il cavallo dei pantaloni.

    La vittoria di Mark fu schiacciante.
Victor era riuscito a sentire solamente l'ultima parte della sua esibizione, ma ricordava perfettamente quanto fosse stata da brivido. Avevano proposto lo stesso brano, eppure la giuria, al suo avversario, aveva assegnato un punteggio che superava quello del giovane Stradivari di diversi decimi. Quando si incontrarono di nuovo ed i loro sguardi si incrociarono ancora, il ragazzo avvertì chiaramente un brivido lungo la schiena. Aveva un'espressione apatica, Violin. Niente confronto a quella arroganza sfrontata con cui continuava a fissarlo il suo antagonista. Un tacito e cordiale disprezzo tra loro, quando educatamente si complimentarono l'uno con l'altro stringendosi la mano, intascando l'uno il primo e l'altro il secondo premio in palio.














Ho avuto il coraggio di pubblicarlo! O___O
Ho davvero avuto il coraggio di pubblicare questo obrobio?!? O_O
Ebbene sì, purtroppo per voi Herit ha avuto la geniale idea di pubblicare questo piccolo parto demente della sua testolina malata. X°°
Che dire? Che è stato un lavoraccio, in realtà. Non il più lungo. Non il primo. Ma è stato davvero un parto sofferto. Il travaglio della stesura è stato doloroso, perché avrebbe dovuto stare entro un tot di pagine, e purtroppo le ho sforate bellamente... :(
Come avrete potuto intuire dal sottotitolo del racconto, per scriverlo ho preso spunto dalla canzone dei Queen "The show must go on". Il titolo è stato poi modificato all'ultimo momento perché... beh, capirete più avanti.
Questo piccino ha partecipato a diversi contest.
Il primo, cioè quello per cui è davvero nato, è il "Queen contest, il contest della regina", di cui questo cuccioletto, porta già il banner XD E nel quale si è classificato IV° con una meravigliosa recensione da parte della giudice del contest. Recensione e giudizio che però non voglio ancora riportare in quanto l'altro contest cui sta partecipando questa storiella non è ancora concluso.
Il secondo è lo "Yaoi Contest -citazioni da Alessandro Baricco" che deve ancora concludersi. La citazione da me scelta arriverà molto avanti nella trama, ma assicuro che ha influenzato molto il mio modo di decifrare i personaggi per buona parte della stesura del racconto :)
In ultima, ma non per importanza, partecipa anche alla Challenge "dal nome alla storia" ed è da questo che arriva il nome di uno dei due protagonisti. Per l'esattezza "Mark, il cui significato è 'Sacro a Marte'". A primo acchito sembra non abbia nulla a che vedere con la storia, tale lettura del nome. Anche questo si scoprirà a tempo debito. ^w^

Finalmente sono riuscita ad avere anche il secondo bannerino ed il risultato del contest "Citazioni da Alessandro Baricco", nel quale questa cucciolotta si è classificata seconda, cosa che sinceramente non mi sarei mai aspettata Owò


Il mio grazie alla giudiciA ed i miei complimenti alle altre partecipanti. Le vostre storie sono tutte meravigliose! <3





   
 
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