AUTORE:
Akane
TITOLO:
Una settimana un giorno
SERIE:
original
GENERE:
romantico
RATING: PG
TIPO: etero
PARTI:
1/1
NOTE:
Innanzitutto il titolo in realtà non centra con la storia, c’entra solo perché
è la canzone che fa da colonna sonora, nonostante non sia il mio genere, questa
di Gatto Panceri andata qualche anno fa, in sti giorni la cantavo e ce l’ho
fissa. Infatti c’è il testo sotto. Si può dire che è tutto partito da un sogno
notturno che avevo dimenticato.
Solito
discorso, volevo correggerla, ma non ho proprio tempo, spero non ci siano
troppi strafalcioni, perdonatemi comunque. Ho così tanto da fare che mi
vergogno di essere così romantica da non evitare storie simili. Prometto che
poi vado avanti con quelle a capitoli!
DEDICHE: la dedico a tutte le persone fortunate e
sfortunate in amore!
RINGRAZIAMENTI:
Gatto Panceri che ha fatto questa bella canzone!
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UNA SETTIMANA UN GIORNO
Era solo un semplice e banale
pomeriggio afoso come tanti, stancante, soffocante, stressante giornata di
estate.
Era luglio inoltrato e si avvicinava il compleanno di Michelle, ora rinchiusa nel chiosco dell’oratorio, a preparare la merenda per i bambini del centro vacanze, di cui faceva l’animatrice.
L’avevano lasciata sola poiché
tutti, adulti e ragazzini, erano andati al parco vicino a giocare, sarebbero
tornati per la merenda, così lei era dovuta rimanere a tagliare le tortine come
d’accordo.
Si raccolse i lunghi capelli
dalle maches rosse, in una coda bassa, che puntualmente si scioglieva dopo
pochi minuti, iniziò a tagliare ignorando i rivoletti di sudore che le colavano
ai lati del volto.
Borbottava fra se e se che qualcuno poteva rimanere ugualmente,
avevano chiuso l’edificio con gli attrezzi e i giochi per non darle quel
pensiero, ma comunque avevano portato via tutti.
Fu lamentandosi fra se e se di
queste cose che una voce alle spalle la fece sobbalzare:
- ehi…-
Quando lo sentì, per poco il
coltello non la tagliò, la lama toccò l’indice sinistro ma non terminò il
viaggio nella carne. Michelle si voltò di scatto per vedere chi fosse e solo
quando ebbe realizzato chi era, il coltello annullò lo spazio che lo separava
dal tagliere, levando tutto ciò che stava in mezzo, come la punta laterale del
polpastrello.
Non provò subito dolore, solo un
secondo dopo una fitta l’attraversò, questo la fece imprecare con un poco
carino:
- merda!-
Fu tutto ciò che si concesse,
non era nella sua indole mostrare la sofferenza fisica, tanto meno quella
morale, aveva sempre avuto una soglia di male piuttosto alta e difficilmente si
lamentava o strepitava con pianti.
Era una ferita non da poco, le
era partita una minima parte del dito, solo pochissimi millimetri, quelli che
bastavano a far uscire una gran quantità di sangue in poco tempo, dovuto ai
vasi capillari numerosi in quei posti.
Si strinse la mano con la destra
portandola fra le ginocchia che piegò brevemente, appoggiò la testa nel tavolo
chiudendo gli occhi e mordendosi il labbro per accantonare quella specie di
bruciore che partiva dall’indice, spandendosi poi in tutta la mano.
- Cosa succede?-
Sentì il ragazzo dietro di se
avvicinarsi per cercare di capire cosa le prendesse improvvisamente. Aveva
sentito solo un netto: TOC! E poi lei aveva fatto quella smorfia.
Michelle si alzò di scatto per
evitare di farlo avanzare ulteriormente, nascose il dito istintivamente e
tornando ad un espressione normale, quasi sorridente, per i suoi canoni,
rispose:
- nulla, mi sono un po’
tagliata, nulla di che…non reggo bene il dolore, tutto qua! Ti serve qualcosa?-
Lo guardò meglio, per
assicurarsi che non fosse un suo sosia o che non avesse visto male. No, era
proprio lui: Simone. Era da secoli che non lo vedeva più, da quella famosa
litigata in cui aveva deciso che era ora di smetterla.
Litigata…era una parola grossa,
in realtà lui le aveva detto acidamente di lasciarlo in pace e lei
effettivamente infuriata per l’ennesima delusione da parte sua, aveva chiuso
tutto quello che si poteva chiudere in una relazione a senso unico, platonica,
insomma.
Lui non aveva mai provato nulla
per lei, spesso glielo aveva fatto credere con alcuni atteggiamenti
particolari, ma erano state più le volte in cui l’aveva fatta star male e
soffrire. Aveva avuto un gran coraggio la ragazza a rivelare i propri
sentimenti, la selvatica Michelle che in gran segreto ammette i propri
sentimenti verso un ragazzo, viene respinta e va avanti come nulla fosse nella
propria vita….solo leggermente più chiusa.
Quante cose che aveva fatto per
provare a dimenticarlo o al contrario, per vedere se poteva starci qualcosa fra
i due. La verità era che sì, l’amore è cieco, ma gli uomini con le loro
indecisioni e cambiamenti di umori e idee, ci mettono un gran zampino. Come
poteva capire qualcosa di quel serrato, incomprensibile, introverso e cupo
ragazzo? Era il più strano e lunatico che avesse mai conosciuto.
Si conoscevano sin da piccoli,
avevano giocato negli stessi gruppi anche se non erano mai diventati proprio
amici, conoscenti era il termine adatto.
Poi lei si era innamorata, con
la cotta adolescenziale era andata avanti rivelandosi a lui, sperando a lungo
ed infine quando sembrava essere riuscita di lasciarlo perdere, era tornato lui
facendole credere chissà cosa, riaccendendo quelle fiamme spente da poco tempo.
Si era ferita ed era stata così
male da pagarne le conseguenze, a lei e a chi le era rimasto accanto.
Col carattere difficile che
aveva, si era chiusa ancor di più, aveva passato un anno terribile, sia a
scuola che in generale, era quasi stata bocciata, voleva mollare tutto.
Una volta per tutte la parola
fine l’aveva messa lei, basta incertezze, false immaginazioni, attese sui suoi
lunaticismi. Si erano detti un ultima volta le proprie intenzioni, lui l’aveva
respinta di nuovo e Michelle era sparita dalla sua vita.
Ci era riuscita benissimo,
nonostante abitassero nello stesso quartiere, lei l’aveva evitato con cura, con
un buon successo a dire il vero.
Ogni volta che lo incrociava per
sbaglio, cambiava strada, faceva finta di non vederlo, lo ignorava
completamente, aveva sviluppato un vero e proprio odio puro, nei suoi
confronti, quando si era trovato la ragazza non le aveva più fatto effetto,
ormai sperava solo che si trasferisse lontano, senza doverlo più vedere nemmeno
quelle poche volte.
La notizia che stava passando un
bruttissimo momento di crisi, la colpì, ad essere sinceri. Aveva mollato gli
eterni gruppi che aveva sempre frequentato sin da piccolo, aveva venduto la
moto con cui correva, che adorava, aveva chiuso con le corse da rally(spero si
scriva così ma non ne sono sicura). Sbalorditivo.
Simone era sempre stato un tipo
notevole, un leder se voleva, lunatico e testardo, impavido di natura, in grado
di fare alla perfezione tutto, con una gran forza di volontà ed un carattere
complicato, incomprensibile che era meglio non far arrabbiare.
Aveva molti difetti ma lei era
stata capace di innamorarsi persino di quelli…difetti che ora detestava con
tutta se stessa.
Tornò alla realtà quando lui
chiese:
- ma dove sono tutti?-
La bionda, di base aveva i
capelli biondi, si risollevò pensando che se ne andasse subito credendo che non
si fosse fatta nulla.
Non parlavano da secoli e già
quelle parole indifferenti le pesavano come un masso in pieno stomaco, il solo
guardarlo e stare nella stessa stanza con lui era troppo.
In tutto quel tempo aveva
sviluppato come una sorta di rifiuto e di fobia per lui in modo specifico, ora
si trovava con un accelerazione cardiaca, dovuta al sangue che le usciva in
maniera esagerata dal dito e dalla presenza di Simone lì.
Pensava incessante:
“vattene vattene vattene!”
- Sono al parco qua vicino, coi
bambini a giocare…staranno ancora un bel po’, quindi ti conviene andare loro
incontro.-
asserì convinta che se ne
sarebbe andato.
Mosse qualche passo verso il
lavandino, non voleva che le gocce rosse cadessero sul pavimento macchiandolo e
rivelando a lui più del necessario, non voleva assolutamente nulla da quella
persona.
Simone aveva lunghi capelli
castano chiaro che in estate diventavano più tendenti al biondo, alto, fisico
atletico, abbronzato, occhi chiari, era oggettivamente bello e probabilmente
era stato questo a fregarla ai tempi indietro, vederlo crescere da bambino a
ragazzo, in modo così affascinante, interessante e disarmante.
Tutte le ragazze del quartiere erano
un po’ perse di lui, anche per questo si era staccato da tutti loro, non
frequentava l’oratorio, centro d’incontro di tutte le compagnie, per evitare di
vedere certa gente. Era una persona schiva se decideva di esserlo, se qualcuno
o qualcosa non gli andava a genio era anche capace di passare un intera
giornata fra tutta la gente in festa, seduto in un angolo, col broncio, senza
far avvicinare anima viva per pericolo di sbranamento!
Vide che tirò un po’ lo sguardo
sulla sua mano che ancora non rivelava.
- si…-
disse distratto da Michelle,
anche lui era imbarazzato dal loro incontro, stare soli dopo tutto quello che
era successo, non era gradito da entrambe le parti, non lo dimostrava, ma
provava gran vergogna generale, lei era una delle poche in grado di riuscire a
portarlo in quello stato.
La ragazza arrivò al lavandino e
nonostante lo sforzo, il sangue uscì dalla mano che copriva quella ferita e si
vide subito, la pelle così chiara e delicata, macchiarsi di quel rosso vivo,
tuttavia testardamente non si arrese e non mostrò cosa si fosse fatta, fu lui
ad andarle accanto e chiese con quella sua voce profonda e di natura poco
allegra:
- cosa hai fatto? Fammi vedere…-
Quando la vide ritrarsi ancor di
più, prese l’iniziativa, afferrandogli i polsi, allargò le mani e guardò: il
palmo della mano che copriva, era sporco di sangue, come anche le dita
dell’altra, alcune gocce, infine, caddero libere a terra, così lei imprecò a
denti stretti seccata e mise la mano nel lavandino.
- non è nulla, dovrai andare, io
mi arrangio!-
Disse scontrosa, non era un
taglio gravissimo, ma il fatto che un pezzetto di pelle fosse stato tagliato
via, si vedeva poco in mezzo a tutto quel liquido rosso che usciva in
continuazione e non era sicuro di quel che
fosse, non avrebbe permesso alla ferita di rimarginarsi da sola ed in
fretta.
- è da far curare, invece…-
“quanta banalità!”
pensò Michelle esasperata, non
per il dolore fisico, quanto quello interiore.
- no, non importa, passerà…-
Fu la sua risposta che si perse
in un biascicato ‘subito’ poco udito, ebbe un piccolo mancamento e le ginocchia
le cedettero, come era naturale, pallida e debole di salute già abitualmente,
figurarsi in quella situazione.
Si aggrappò con le mani al
lavandino e fece cadere pesantemente la testa sulle spalle, un millesimo di
secondo, si riprese subito…con Simone che la sorreggeva, aveva le mani sulle
sue braccia e il torace contro la schiena.
- porca vacca…-
disse quando capì confusamente
la situazione.
Si staccò bruscamente ma dovette
ammettere di avere bisogno di ancora qualche minuto.
- è meglio che vai al pronto
soccorso…-
la voce finalmente le arrivò più
chiara.
- mm…-
mormorò mantenendo il suo lato
selvatico bene in mostra.
- ora, prendo la macchina e ci
vado, tanto ce la faccio…devo avvertire gli altri, mica posso andarmene, poi si
preoccupano se non mi trovano…-
cominciò a farfugliare
freddamente le cose più tecniche e sensate da fare, sensate a parte il fatto di
guidare da sola.
- si, come no…così poi ti
raccolgono con uno straccio…-
Fu il commento di lui.
- esagerato…-
Come sempre nemmeno in un
momento simile, andavano d’accordo, non c’era da stupirsi ma per Michelle era
già tanto se ci stava parlando, voleva solo allontanarsi da lui, solo questo.
- ho la giornata libera, ti
porto io, non c’è tempo per avvertire gli altri e preoccuparli così…-
- certo, perché io non sono un
buon motivo di preoccupazione?-
- non intendevo questo, l’hai
detto anche tu, no?-
- io lo posso dire, non uno
sconosciuto che non sa nulla di me!-
Il primo piccolo pugnale su di lui
chiuse il discorso, aveva alzato la voce facendosi guardare dall’altro che non
credeva a quel che sentiva:
- vuoi andare oppure no?-
Preferendo così lasciar perdere
quel discorso, sapeva che avrebbe perso, era una chiara sensazione.
- perché con te?-
- perché sono l’unico ad
esserci!-
Le fitte la facevano sragionare,
per cui non c’era da stupirsi se la risposta immediata e sgarbata fu:
- Tu non ci sei mai stato, come
puoi esserci ora?-
Il secondo pugnale.
Ecco, lentamente stava uscendo
tutto quello che si era tenuta dentro in quegli anni, pian piano, proprio
quando il suo controllo veniva a meno, come una piccola cascata aggressiva,
indebolita ma sempre impossibile da ignorare.
Soprattutto che non si arrendeva
in nessun caso.
Non lo guardava ancora negli occhi,
voleva evitare di farlo perché il suo sguardo lo ricordava ancora troppo bene,
magnetico, toccante…faceva male.
Simone, a quanto pare, non fu
della stessa opinione: la prese per le spalle e la voltò con forza verso di
lui. Erano molto vicini e si guardarono, i loro sguardi si incontrarono contro
la volontà di lei che fu colpita e penetrata.
- Smettila! Non c’entra ora! Non
vuoi andarci con me?-
Lei reagì d’istinto, senza
riflettere e dare ascolto alla sua piccola coscienza. Sentendosi indifesa,
quasi nuda, in un certo senso, gridò aggressiva:
- NO! NON VOGLIO STARE CON TE UN
MINUTO DI Più!-
Il terzo pugnale.
Gridò per non far notare
l’inclinazione insolita della sua voce, per mostrare sicurezza e astio.
Lui ci rimase e dopo un minimo
di riflessione, incomprensibile anche quello, la mollò e si voltò andandosene:
- ok, non prego nessuno,
arrangiati!-
Se ne andò veramente, non era
tipo da supplicare anima viva, specie in una situazione simile, con una così
testarda. Anche per lui non era una passeggiata stare con lei, ma non poteva
lasciarla così, non sarebbe stato da Simone, come non lo sarebbe nemmeno un
implorazione.
Aveva visto un sentimento ostile
negli occhi di Michelle e la cosa non la capì, non era lui quello che si era
intestardito contro tutto e tutti su una persona sbagliata; non aveva fatto
nulla, ai suoi occhi, e non si era mai reso conto delle false speranze che le
aveva dato a lungo, non se ne era mai accorto. Perché lui come tutta la sua
‘categoria’, era fatto così.
La ragazza rimasta sola nel
chiosco strinse il pugno della destra sul bordo del lavandino di latta, la
rabbia crebbe in lei, ancora maggiore, si era trattenuta, dopo tutto avrebbe
voluto picchiarlo, insultarlo, rinfacciargli molte cose, l’averlo mandato via,
aver vinto quella specie di piccola battaglia, non le aveva portato nessuna
soddisfazione, anzi.
Aveva passato anni a
dimenticarlo, a tornare la persona che era sempre stata, a star bene anche
senza di lui…ce l’aveva fatta, o se ne era illusa, poi un giorno d’estate,
arrivava il protagonista delle sue sofferenze e buttava tutto a quel paese i
suoi sforzi. Solo lui era veramente capace di farla stare in quel modo. Solo
lui.
- ‘Fanculo!-
disse a denti stretti, non si
godette l’eco di quella parolaccia, nella stanza d’alluminio solido, poiché non
era vuota, anzi.
Sentì una presa forte al gomito
ed uno strattone, uno straccio in faccia, un:
- mettilo sulla mano!-
Ed infine venir trascinata fuori
da lì.
Si tolse il panno dal volto e
guardò chi stava osando, anche se aveva immaginato; la tirava come fosse una
piccola bambina che faceva i capricci ed in un certo senso si sentì subito
tale, appena realizzò il proprio stato d’animo.
Non riusciva più a capire
Simone, perché era tornato e perché insisteva con l’aiutarlo, forse si sentiva
un po’ in colpa, ma tanto che ne sapeva del momentaccio che aveva passato a
causa sua? Lui sapeva solo quello che importava a se stesso, gli altri non li
aveva mai visti.
- dannato egoista…-
Finalmente riuscì semplicemente
a dirlo, la prima serie di insulti.
Il ragazzo però parve non
sentirlo, lei arrotolò la stoffa sul dito ferito che perdeva ancora sangue e
continuò, suo malgrado mantenendo il passo:
- Cosa te ne frega di me, ora?
Cosa diavolo vuoi? Metterti la coscienza a posto? Tu vedi solo te stesso, che ti
importa degli altri? Di me? A me non importa nulla di te, dovresti lasciarmi in
pace, una buona volta. Io faccio di tutto per starti lontana, di tutto, ci
riesco e quando sono ad un passo da quello definitivo, finisce che tu torni e
mi rompi le scatole in qualche modo! Si può sapere cosa ti ho fatto? Perché ti
sto così sulle palle? Cosa cerchi di ottenere assicurandoti la mia attenzione?
Non voglio saperne di te!-
Era esplosa, aveva lasciato
libera la sicura alla sua rabbia, troppe cose trattenute, ignorate, serrate
nella sua anima, ma non piangeva, non avrebbe pianto, era sempre stata brava a
non farle vedere, a non farle neanche uscire, lì, ora, davanti a lui, mai!
Aveva una testardaggine di ferro e si vedeva.
L’altro, dal canto suo,
continuava la marcia verso la macchina, ascoltando le parole, ma come se
fossero acqua che scivolavano addosso.
La lasciò sfogarsi, immaginava
che prima o poi sarebbe successo, ugualmente non pensava che credesse tutte
quelle cose.
Non parlò per tutto il tempo e
il resto del viaggio lo passarono in silenzio. Aveva lasciato un biglietto agli
altri e la madre l’avrebbe avvertita più tardi.
Passarono un pomeriggio insieme
senza più calcolarsi nemmeno di striscio, lei svuotata di ogni sentimento,
nemmeno la rabbia la riempiva più, non sapeva cosa volesse in realtà, forse
solo tornare a casa, da sola, e dimenticare, riprovarci per l’ennesima volta.
Era veramente possibile? Non lo sapeva, non pensava, anche se a quel punto era
molto confusa e non capiva più…era stanca di soffrire sempre per lui, di
scoprire che non era arrivata al punto in cui credeva di essere giunta, ogni
volta la stessa storia, l’averglielo detto non le cambiava nulla, lui non aveva
fatto nulla e ciò dimostrava che l’aveva aiutata solo per senso del dovere,
nient’altro. Non gli importava nulla di lei.
Gli infermieri li presero per
una coppia di fidanzati, loro non si affannarono a negare, sarebbe stato noioso
e complicato spiegare cos’erano….ovvero nulla!
Le riflessioni di Simone
arrivarono in quei momenti di lunga attesa, mentre lei non parlava e manteneva
un espressione cupa, arrabbiata.
Fu sincero con se stesso poiché
si rese conto di non avere altra scelta. Quando prima era tornato indietro non
si era spiegato il motivo, si era infuriato di più con se stesso perché non si
capiva. Ora finalmente c’era.
Grazie a quella presenza
forzata.
“Non sono un tipo che si
emoziona facilmente, anzi, ci devono essere le cose giuste che mi prendono, e
poi forse mi lascio andare. Non posso dire che ora lo sono, ma ammetto che non
sono nemmeno in uno stato d’animo facile, sono in…come si dice? In subbuglio,
forse. Si. Ovvero, non ci capisco molto, ma non posso far finta di nulla, non
ancora.
Ho sempre cercato di capire, mi
guardavo intorno e vedevo che tutto e tutti sapevano ciò che li riguardava, sia
la natura che le persone. Perfino in un fiume, l’acqua sa dov’è che va’. Quello
che so io si riduce a questo: sto male dentro di me, una continua pioggia,
viene giù da tanto, da quando ho lasciato tutti e tutto quello per cui ho sempre
vissuto. Sono cambiato tanto fino a non riconoscermi più, perché? Come se in me
fossero franate tutte le mie certezze, il mio stesso essere.
Fino a non capirci più nulla,
una sensazione che va avanti da tanto.
Cos’ha fatto questa ragazza?
Andavo avanti nella mia vita normale e sono sempre stato bravo a far finta di
nulla, a chiudermi in me stesso e a buttare fuori tutti. Poi lei è arrivata
testarda e prepotente, ha fatto sì che la prendessi in considerazione e quando
l’ho fatto mi sono reso conto che qualcosa non mi quadrava. Analizzandola,
osservandola incuriosito mi sono fatto un po’ un’idea di lei, mi è sempre
sembrata una tipa che se vista con gli occhi giusti, diventa una persona
impossibile da ignorare e da sentire, qualcuno che conduce, in un certo senso,
in una via. Ciò che unisce pioggia e fiume, quel vento che non permette di
dormire, ma che non è fortissimo o freddo. In lei ho visto del sole, tante cose
contrastanti. Ho passato molto tempo senza toglierle gli occhi di dosso,
cercandola di proposito, c’è sempre stato qualcosa che mi sfuggiva.
Perché la sua confessione ha
scatenato tutto questo? Andiamo, quante ne ho ricevute? Ed ora, arriva lei, che
la conosco da una vita, mi dice le solite cose che mi sento dire, ed io provo
un sano desiderio di scoprire com’è.
So che lei se ne è accorta di
questi miei atteggiamenti insoliti e deve essere stato questo che l’ha illusa,
che non le ha permesso di staccarsi da me, ha ragione a dire che sono stato
egoista, lo sono ancora, ma nonostante lo sapessi non riuscivo a lasciarla
andare.
Quando se ne è andata ho sentito
freddo in me, smarrimento, ho provato a far qualcosa ma sono stato sempre
peggio, ho avuto la ragazza, ho cambiato vita, lasciato le moto e le corse, gli
amici. Nulla mi ha dato pace, quando non l’ho più vista, quando non sono
riuscito a completare quel quadro, mi è sempre mancato qualcosa e non mi
bastava l’idea che per un periodo della sua vita si fosse consacrata a me.
Ora, oggi, ci sono riuscito. Ho
capito cosa c’era.
L’emozione che mi toglieva il
coraggio di ammetterlo a me stesso.
Sono riuscito a provare qualcosa
per lei, per questa insolita ragazza che appare in un modo, riservata e sulle
sue, in realtà ci sono scorci di altro genere, di altra personalità, viva e
ribelle.
Non ho mai voluto dirmelo per
non ammettere di non aver mai capito nulla, di aver sbagliato, per una volta,
valutazione, ogni cosa. Non mi ero chiuso la strada su di lei, ma le cose sono
andate troppo veloci ed io lo ammetto, ho avuto paura di entrare in qualcosa di
troppo grande.
L’ho persa e non mi è andato più
bene.
Ma ora io vorrei spiegarmi,
dirtelo, farti sapere come stanno le cose.
Vorrei dirti che ti voglio
amare, lo voglio adesso, non posso aspettare, nè una settimana nè un giorno di
più.
Prima che tu te ne vada di nuovo
in una vita infinita nella quale io non ci sono, ti prendo ora, non un minuto
ancora.”
FINE