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Autore: Akane    03/01/2006    1 recensioni
Non ho mai voluto dirmelo per non ammettere di non aver mai capito nulla, di aver sbagliato, per una volta, valutazione, ogni cosa. Non mi ero chiuso la strada su di lei, ma le cose sono andate troppo veloci ed io lo ammetto, ho avuto paura di entrare in qualcosa di troppo grande. L’ho persa e non mi è andato più bene.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AUTORE: Akane

AUTORE: Akane

TITOLO: Una settimana un giorno

SERIE: original

GENERE: romantico

RATING: PG

TIPO:  etero

PARTI: 1/1

NOTE: Innanzitutto il titolo in realtà non centra con la storia, c’entra solo perché è la canzone che fa da colonna sonora, nonostante non sia il mio genere, questa di Gatto Panceri andata qualche anno fa, in sti giorni la cantavo e ce l’ho fissa. Infatti c’è il testo sotto. Si può dire che è tutto partito da un sogno notturno che avevo dimenticato.

Solito discorso, volevo correggerla, ma non ho proprio tempo, spero non ci siano troppi strafalcioni, perdonatemi comunque. Ho così tanto da fare che mi vergogno di essere così romantica da non evitare storie simili. Prometto che poi vado avanti con quelle a capitoli!

DEDICHE:  la dedico a tutte le persone fortunate e sfortunate in amore!

RINGRAZIAMENTI: Gatto Panceri che ha fatto questa bella canzone!

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UNA SETTIMANA UN GIORNO

 

Era solo un semplice e banale pomeriggio afoso come tanti, stancante, soffocante, stressante giornata di estate.

Era luglio inoltrato e si avvicinava il compleanno di Michelle, ora rinchiusa nel chiosco dell’oratorio, a preparare la merenda per i bambini del centro vacanze, di cui faceva l’animatrice.

L’avevano lasciata sola poiché tutti, adulti e ragazzini, erano andati al parco vicino a giocare, sarebbero tornati per la merenda, così lei era dovuta rimanere a tagliare le tortine come d’accordo.

Si raccolse i lunghi capelli dalle maches rosse, in una coda bassa, che puntualmente si scioglieva dopo pochi minuti, iniziò a tagliare ignorando i rivoletti di sudore che le colavano ai lati del volto.

Borbottava fra se e se  che qualcuno poteva rimanere ugualmente, avevano chiuso l’edificio con gli attrezzi e i giochi per non darle quel pensiero, ma comunque avevano portato via tutti.

Fu lamentandosi fra se e se di queste cose che una voce alle spalle la fece sobbalzare:

- ehi…-

Quando lo sentì, per poco il coltello non la tagliò, la lama toccò l’indice sinistro ma non terminò il viaggio nella carne. Michelle si voltò di scatto per vedere chi fosse e solo quando ebbe realizzato chi era, il coltello annullò lo spazio che lo separava dal tagliere, levando tutto ciò che stava in mezzo, come la punta laterale del polpastrello.

Non provò subito dolore, solo un secondo dopo una fitta l’attraversò, questo la fece imprecare con un poco carino:

- merda!-

Fu tutto ciò che si concesse, non era nella sua indole mostrare la sofferenza fisica, tanto meno quella morale, aveva sempre avuto una soglia di male piuttosto alta e difficilmente si lamentava o strepitava con pianti.

Era una ferita non da poco, le era partita una minima parte del dito, solo pochissimi millimetri, quelli che bastavano a far uscire una gran quantità di sangue in poco tempo, dovuto ai vasi capillari numerosi in quei posti.

Si strinse la mano con la destra portandola fra le ginocchia che piegò brevemente, appoggiò la testa nel tavolo chiudendo gli occhi e mordendosi il labbro per accantonare quella specie di bruciore che partiva dall’indice, spandendosi poi in tutta la mano.

- Cosa succede?-

Sentì il ragazzo dietro di se avvicinarsi per cercare di capire cosa le prendesse improvvisamente. Aveva sentito solo un netto: TOC! E poi lei aveva fatto quella smorfia.

Michelle si alzò di scatto per evitare di farlo avanzare ulteriormente, nascose il dito istintivamente e tornando ad un espressione normale, quasi sorridente, per i suoi canoni, rispose:

- nulla, mi sono un po’ tagliata, nulla di che…non reggo bene il dolore, tutto qua! Ti serve qualcosa?-

Lo guardò meglio, per assicurarsi che non fosse un suo sosia o che non avesse visto male. No, era proprio lui: Simone. Era da secoli che non lo vedeva più, da quella famosa litigata in cui aveva deciso che era ora di smetterla.

Litigata…era una parola grossa, in realtà lui le aveva detto acidamente di lasciarlo in pace e lei effettivamente infuriata per l’ennesima delusione da parte sua, aveva chiuso tutto quello che si poteva chiudere in una relazione a senso unico, platonica, insomma.

Lui non aveva mai provato nulla per lei, spesso glielo aveva fatto credere con alcuni atteggiamenti particolari, ma erano state più le volte in cui l’aveva fatta star male e soffrire. Aveva avuto un gran coraggio la ragazza a rivelare i propri sentimenti, la selvatica Michelle che in gran segreto ammette i propri sentimenti verso un ragazzo, viene respinta e va avanti come nulla fosse nella propria vita….solo leggermente più chiusa.

Quante cose che aveva fatto per provare a dimenticarlo o al contrario, per vedere se poteva starci qualcosa fra i due. La verità era che sì, l’amore è cieco, ma gli uomini con le loro indecisioni e cambiamenti di umori e idee, ci mettono un gran zampino. Come poteva capire qualcosa di quel serrato, incomprensibile, introverso e cupo ragazzo? Era il più strano e lunatico che avesse mai conosciuto.

Si conoscevano sin da piccoli, avevano giocato negli stessi gruppi anche se non erano mai diventati proprio amici, conoscenti era il termine adatto.

Poi lei si era innamorata, con la cotta adolescenziale era andata avanti rivelandosi a lui, sperando a lungo ed infine quando sembrava essere riuscita di lasciarlo perdere, era tornato lui facendole credere chissà cosa, riaccendendo quelle fiamme spente da poco tempo.

Si era ferita ed era stata così male da pagarne le conseguenze, a lei e a chi le era rimasto accanto.

Col carattere difficile che aveva, si era chiusa ancor di più, aveva passato un anno terribile, sia a scuola che in generale, era quasi stata bocciata, voleva mollare tutto.

Una volta per tutte la parola fine l’aveva messa lei, basta incertezze, false immaginazioni, attese sui suoi lunaticismi. Si erano detti un ultima volta le proprie intenzioni, lui l’aveva respinta di nuovo e Michelle era sparita dalla sua vita.

Ci era riuscita benissimo, nonostante abitassero nello stesso quartiere, lei l’aveva evitato con cura, con un buon successo a dire il vero.

Ogni volta che lo incrociava per sbaglio, cambiava strada, faceva finta di non vederlo, lo ignorava completamente, aveva sviluppato un vero e proprio odio puro, nei suoi confronti, quando si era trovato la ragazza non le aveva più fatto effetto, ormai sperava solo che si trasferisse lontano, senza doverlo più vedere nemmeno quelle poche volte.

La notizia che stava passando un bruttissimo momento di crisi, la colpì, ad essere sinceri. Aveva mollato gli eterni gruppi che aveva sempre frequentato sin da piccolo, aveva venduto la moto con cui correva, che adorava, aveva chiuso con le corse da rally(spero si scriva così ma non ne sono sicura). Sbalorditivo.

Simone era sempre stato un tipo notevole, un leder se voleva, lunatico e testardo, impavido di natura, in grado di fare alla perfezione tutto, con una gran forza di volontà ed un carattere complicato, incomprensibile che era meglio non far arrabbiare.

Aveva molti difetti ma lei era stata capace di innamorarsi persino di quelli…difetti che ora detestava con tutta se stessa.

Tornò alla realtà quando lui chiese:

- ma dove sono tutti?-

La bionda, di base aveva i capelli biondi, si risollevò pensando che se ne andasse subito credendo che non si fosse fatta nulla.

Non parlavano da secoli e già quelle parole indifferenti le pesavano come un masso in pieno stomaco, il solo guardarlo e stare nella stessa stanza con lui era troppo.

In tutto quel tempo aveva sviluppato come una sorta di rifiuto e di fobia per lui in modo specifico, ora si trovava con un accelerazione cardiaca, dovuta al sangue che le usciva in maniera esagerata dal dito e dalla presenza di Simone lì.

Pensava incessante:

“vattene vattene vattene!”

- Sono al parco qua vicino, coi bambini a giocare…staranno ancora un bel po’, quindi ti conviene andare loro incontro.-

asserì convinta che se ne sarebbe andato.

Mosse qualche passo verso il lavandino, non voleva che le gocce rosse cadessero sul pavimento macchiandolo e rivelando a lui più del necessario, non voleva assolutamente nulla da quella persona.

Simone aveva lunghi capelli castano chiaro che in estate diventavano più tendenti al biondo, alto, fisico atletico, abbronzato, occhi chiari, era oggettivamente bello e probabilmente era stato questo a fregarla ai tempi indietro, vederlo crescere da bambino a ragazzo, in modo così affascinante, interessante e disarmante.

Tutte le ragazze del quartiere erano un po’ perse di lui, anche per questo si era staccato da tutti loro, non frequentava l’oratorio, centro d’incontro di tutte le compagnie, per evitare di vedere certa gente. Era una persona schiva se decideva di esserlo, se qualcuno o qualcosa non gli andava a genio era anche capace di passare un intera giornata fra tutta la gente in festa, seduto in un angolo, col broncio, senza far avvicinare anima viva per pericolo di sbranamento!

Vide che tirò un po’ lo sguardo sulla sua mano che ancora non rivelava.

- si…-

disse distratto da Michelle, anche lui era imbarazzato dal loro incontro, stare soli dopo tutto quello che era successo, non era gradito da entrambe le parti, non lo dimostrava, ma provava gran vergogna generale, lei era una delle poche in grado di riuscire a portarlo in quello stato.

La ragazza arrivò al lavandino e nonostante lo sforzo, il sangue uscì dalla mano che copriva quella ferita e si vide subito, la pelle così chiara e delicata, macchiarsi di quel rosso vivo, tuttavia testardamente non si arrese e non mostrò cosa si fosse fatta, fu lui ad andarle accanto e chiese con quella sua voce profonda e di natura poco allegra:

- cosa hai fatto? Fammi vedere…-

Quando la vide ritrarsi ancor di più, prese l’iniziativa, afferrandogli i polsi, allargò le mani e guardò: il palmo della mano che copriva, era sporco di sangue, come anche le dita dell’altra, alcune gocce, infine, caddero libere a terra, così lei imprecò a denti stretti seccata e mise la mano nel lavandino.

- non è nulla, dovrai andare, io mi arrangio!-

Disse scontrosa, non era un taglio gravissimo, ma il fatto che un pezzetto di pelle fosse stato tagliato via, si vedeva poco in mezzo a tutto quel liquido rosso che usciva in continuazione e non era sicuro di quel che  fosse, non avrebbe permesso alla ferita di rimarginarsi da sola ed in fretta.

- è da far curare, invece…-

“quanta banalità!”

pensò Michelle esasperata, non per il dolore fisico, quanto quello interiore.

- no, non importa, passerà…-

Fu la sua risposta che si perse in un biascicato ‘subito’ poco udito, ebbe un piccolo mancamento e le ginocchia le cedettero, come era naturale, pallida e debole di salute già abitualmente, figurarsi in quella situazione.

Si aggrappò con le mani al lavandino e fece cadere pesantemente la testa sulle spalle, un millesimo di secondo, si riprese subito…con Simone che la sorreggeva, aveva le mani sulle sue braccia e il torace contro la schiena.

- porca vacca…-

disse quando capì confusamente la situazione.

Si staccò bruscamente ma dovette ammettere di avere bisogno di ancora qualche minuto.

- è meglio che vai al pronto soccorso…-

la voce finalmente le arrivò più chiara.

- mm…-

mormorò mantenendo il suo lato selvatico bene in mostra.

- ora, prendo la macchina e ci vado, tanto ce la faccio…devo avvertire gli altri, mica posso andarmene, poi si preoccupano se non mi trovano…-

cominciò a farfugliare freddamente le cose più tecniche e sensate da fare, sensate a parte il fatto di guidare da sola.

- si, come no…così poi ti raccolgono con uno straccio…-

Fu il commento di lui.

- esagerato…-

Come sempre nemmeno in un momento simile, andavano d’accordo, non c’era da stupirsi ma per Michelle era già tanto se ci stava parlando, voleva solo allontanarsi da lui, solo questo.

- ho la giornata libera, ti porto io, non c’è tempo per avvertire gli altri e preoccuparli così…-

- certo, perché io non sono un buon motivo di preoccupazione?-

- non intendevo questo, l’hai detto anche tu, no?-

- io lo posso dire, non uno sconosciuto che non sa nulla di me!-

Il primo piccolo pugnale su di lui chiuse il discorso, aveva alzato la voce facendosi guardare dall’altro che non credeva a quel che sentiva:

- vuoi andare oppure no?-

Preferendo così lasciar perdere quel discorso, sapeva che avrebbe perso, era una chiara sensazione.

- perché con te?-

- perché sono l’unico ad esserci!-

Le fitte la facevano sragionare, per cui non c’era da stupirsi se la risposta immediata e sgarbata fu:

- Tu non ci sei mai stato, come puoi esserci ora?-

Il secondo pugnale.

Ecco, lentamente stava uscendo tutto quello che si era tenuta dentro in quegli anni, pian piano, proprio quando il suo controllo veniva a meno, come una piccola cascata aggressiva, indebolita ma sempre impossibile da ignorare.

Soprattutto che non si arrendeva in nessun caso.

Non lo guardava ancora negli occhi, voleva evitare di farlo perché il suo sguardo lo ricordava ancora troppo bene, magnetico, toccante…faceva male.

Simone, a quanto pare, non fu della stessa opinione: la prese per le spalle e la voltò con forza verso di lui. Erano molto vicini e si guardarono, i loro sguardi si incontrarono contro la volontà di lei che fu colpita e penetrata.

- Smettila! Non c’entra ora! Non vuoi andarci con me?-

Lei reagì d’istinto, senza riflettere e dare ascolto alla sua piccola coscienza. Sentendosi indifesa, quasi nuda, in un certo senso, gridò aggressiva:

- NO! NON VOGLIO STARE CON TE UN MINUTO DI Più!-

Il terzo pugnale.

Gridò per non far notare l’inclinazione insolita della sua voce, per mostrare sicurezza e astio.

Lui ci rimase e dopo un minimo di riflessione, incomprensibile anche quello, la mollò e si voltò andandosene:

- ok, non prego nessuno, arrangiati!-

Se ne andò veramente, non era tipo da supplicare anima viva, specie in una situazione simile, con una così testarda. Anche per lui non era una passeggiata stare con lei, ma non poteva lasciarla così, non sarebbe stato da Simone, come non lo sarebbe nemmeno un implorazione.

Aveva visto un sentimento ostile negli occhi di Michelle e la cosa non la capì, non era lui quello che si era intestardito contro tutto e tutti su una persona sbagliata; non aveva fatto nulla, ai suoi occhi, e non si era mai reso conto delle false speranze che le aveva dato a lungo, non se ne era mai accorto. Perché lui come tutta la sua ‘categoria’, era fatto così.

La ragazza rimasta sola nel chiosco strinse il pugno della destra sul bordo del lavandino di latta, la rabbia crebbe in lei, ancora maggiore, si era trattenuta, dopo tutto avrebbe voluto picchiarlo, insultarlo, rinfacciargli molte cose, l’averlo mandato via, aver vinto quella specie di piccola battaglia, non le aveva portato nessuna soddisfazione, anzi.

Aveva passato anni a dimenticarlo, a tornare la persona che era sempre stata, a star bene anche senza di lui…ce l’aveva fatta, o se ne era illusa, poi un giorno d’estate, arrivava il protagonista delle sue sofferenze e buttava tutto a quel paese i suoi sforzi. Solo lui era veramente capace di farla stare in quel modo. Solo lui.

- ‘Fanculo!-

disse a denti stretti, non si godette l’eco di quella parolaccia, nella stanza d’alluminio solido, poiché non era vuota, anzi.

Sentì una presa forte al gomito ed uno strattone, uno straccio in faccia, un:

- mettilo sulla mano!-

Ed infine venir trascinata fuori da lì.

Si tolse il panno dal volto e guardò chi stava osando, anche se aveva immaginato; la tirava come fosse una piccola bambina che faceva i capricci ed in un certo senso si sentì subito tale, appena realizzò il proprio stato d’animo.

Non riusciva più a capire Simone, perché era tornato e perché insisteva con l’aiutarlo, forse si sentiva un po’ in colpa, ma tanto che ne sapeva del momentaccio che aveva passato a causa sua? Lui sapeva solo quello che importava a se stesso, gli altri non li aveva mai visti.

- dannato egoista…-

Finalmente riuscì semplicemente a dirlo, la prima serie di insulti.

Il ragazzo però parve non sentirlo, lei arrotolò la stoffa sul dito ferito che perdeva ancora sangue e continuò, suo malgrado mantenendo il passo:

- Cosa te ne frega di me, ora? Cosa diavolo vuoi? Metterti la coscienza a posto? Tu vedi solo te stesso, che ti importa degli altri? Di me? A me non importa nulla di te, dovresti lasciarmi in pace, una buona volta. Io faccio di tutto per starti lontana, di tutto, ci riesco e quando sono ad un passo da quello definitivo, finisce che tu torni e mi rompi le scatole in qualche modo! Si può sapere cosa ti ho fatto? Perché ti sto così sulle palle? Cosa cerchi di ottenere assicurandoti la mia attenzione? Non voglio saperne di te!-

Era esplosa, aveva lasciato libera la sicura alla sua rabbia, troppe cose trattenute, ignorate, serrate nella sua anima, ma non piangeva, non avrebbe pianto, era sempre stata brava a non farle vedere, a non farle neanche uscire, lì, ora, davanti a lui, mai! Aveva una testardaggine di ferro e si vedeva.

L’altro, dal canto suo, continuava la marcia verso la macchina, ascoltando le parole, ma come se fossero acqua che scivolavano addosso.

La lasciò sfogarsi, immaginava che prima o poi sarebbe successo, ugualmente non pensava che credesse tutte quelle cose.

Non parlò per tutto il tempo e il resto del viaggio lo passarono in silenzio. Aveva lasciato un biglietto agli altri e la madre l’avrebbe avvertita più tardi.

Passarono un pomeriggio insieme senza più calcolarsi nemmeno di striscio, lei svuotata di ogni sentimento, nemmeno la rabbia la riempiva più, non sapeva cosa volesse in realtà, forse solo tornare a casa, da sola, e dimenticare, riprovarci per l’ennesima volta. Era veramente possibile? Non lo sapeva, non pensava, anche se a quel punto era molto confusa e non capiva più…era stanca di soffrire sempre per lui, di scoprire che non era arrivata al punto in cui credeva di essere giunta, ogni volta la stessa storia, l’averglielo detto non le cambiava nulla, lui non aveva fatto nulla e ciò dimostrava che l’aveva aiutata solo per senso del dovere, nient’altro. Non gli importava nulla di lei.

Gli infermieri li presero per una coppia di fidanzati, loro non si affannarono a negare, sarebbe stato noioso e complicato spiegare cos’erano….ovvero nulla!

Le riflessioni di Simone arrivarono in quei momenti di lunga attesa, mentre lei non parlava e manteneva un espressione cupa, arrabbiata.

Fu sincero con se stesso poiché si rese conto di non avere altra scelta. Quando prima era tornato indietro non si era spiegato il motivo, si era infuriato di più con se stesso perché non si capiva. Ora finalmente c’era.

Grazie a quella presenza forzata.

“Non sono un tipo che si emoziona facilmente, anzi, ci devono essere le cose giuste che mi prendono, e poi forse mi lascio andare. Non posso dire che ora lo sono, ma ammetto che non sono nemmeno in uno stato d’animo facile, sono in…come si dice? In subbuglio, forse. Si. Ovvero, non ci capisco molto, ma non posso far finta di nulla, non ancora.

Ho sempre cercato di capire, mi guardavo intorno e vedevo che tutto e tutti sapevano ciò che li riguardava, sia la natura che le persone. Perfino in un fiume, l’acqua sa dov’è che va’. Quello che so io si riduce a questo: sto male dentro di me, una continua pioggia, viene giù da tanto, da quando ho lasciato tutti e tutto quello per cui ho sempre vissuto. Sono cambiato tanto fino a non riconoscermi più, perché? Come se in me fossero franate tutte le mie certezze, il mio stesso essere.

Fino a non capirci più nulla, una sensazione che va avanti da tanto.

Cos’ha fatto questa ragazza? Andavo avanti nella mia vita normale e sono sempre stato bravo a far finta di nulla, a chiudermi in me stesso e a buttare fuori tutti. Poi lei è arrivata testarda e prepotente, ha fatto sì che la prendessi in considerazione e quando l’ho fatto mi sono reso conto che qualcosa non mi quadrava. Analizzandola, osservandola incuriosito mi sono fatto un po’ un’idea di lei, mi è sempre sembrata una tipa che se vista con gli occhi giusti, diventa una persona impossibile da ignorare e da sentire, qualcuno che conduce, in un certo senso, in una via. Ciò che unisce pioggia e fiume, quel vento che non permette di dormire, ma che non è fortissimo o freddo. In lei ho visto del sole, tante cose contrastanti. Ho passato molto tempo senza toglierle gli occhi di dosso, cercandola di proposito, c’è sempre stato qualcosa che mi sfuggiva.

Perché la sua confessione ha scatenato tutto questo? Andiamo, quante ne ho ricevute? Ed ora, arriva lei, che la conosco da una vita, mi dice le solite cose che mi sento dire, ed io provo un sano desiderio di scoprire com’è.

So che lei se ne è accorta di questi miei atteggiamenti insoliti e deve essere stato questo che l’ha illusa, che non le ha permesso di staccarsi da me, ha ragione a dire che sono stato egoista, lo sono ancora, ma nonostante lo sapessi non riuscivo a lasciarla andare.

Quando se ne è andata ho sentito freddo in me, smarrimento, ho provato a far qualcosa ma sono stato sempre peggio, ho avuto la ragazza, ho cambiato vita, lasciato le moto e le corse, gli amici. Nulla mi ha dato pace, quando non l’ho più vista, quando non sono riuscito a completare quel quadro, mi è sempre mancato qualcosa e non mi bastava l’idea che per un periodo della sua vita si fosse consacrata a me.

Ora, oggi, ci sono riuscito. Ho capito cosa c’era.

L’emozione che mi toglieva il coraggio di ammetterlo a me stesso.

Sono riuscito a provare qualcosa per lei, per questa insolita ragazza che appare in un modo, riservata e sulle sue, in realtà ci sono scorci di altro genere, di altra personalità, viva e ribelle.

Non ho mai voluto dirmelo per non ammettere di non aver mai capito nulla, di aver sbagliato, per una volta, valutazione, ogni cosa. Non mi ero chiuso la strada su di lei, ma le cose sono andate troppo veloci ed io lo ammetto, ho avuto paura di entrare in qualcosa di troppo grande.

L’ho persa e non mi è andato più bene.

Ma ora io vorrei spiegarmi, dirtelo, farti sapere come stanno le cose.

Vorrei dirti che ti voglio amare, lo voglio adesso, non posso aspettare, nè una settimana nè un giorno di più.

Prima che tu te ne vada di nuovo in una vita infinita nella quale io non ci sono, ti prendo ora, non un minuto ancora.”

 

FINE

 

   
 
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