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Autore: Melian    10/02/2011    8 recensioni
Sono ormai passati tre anni da quando Cenerentola e il suo Principe Azzurro si sono sposati.
Ma siamo davvero sicuri che la formula :"e vissero felici e contenti" sia davvero veritiera e duratura anche per loro?
Genere: Comico, Parodia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cenerentola, Principe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E VISSERO FELICI E CONTENTI, L’EPILOGO


Cenerentola se ne stava affacciata dalla finestra sulla torre più alta del castello, quella dove aveva le sue regali stanze e da cui poteva osservare tutto quello che accadeva nella città che si stendeva ai piedi del maniero.
Guardava fuori con aria piuttosto annoiata e sospirava, sospirava... ad ogni battito di cuore, un sospiro. Doveva essere davvero profondamente annoiata, per sospirare così tanto e rischiare di soffocarsi da sola, non che si potesse darle torto, dato che non c’era davvero niente di interessante da fare: si era già pettinata cento volte e cambiato già tre vestiti (uno per la colazione, uno per lo spuntino e uno per il pranzo, ovviamente); aveva già spartito i compiti tra i domestici, gli stallieri, i giardinieri e tutta la restante servitù del palazzo reale e già richiesto ai suoi amici topolini di ricamarle tovaglioli per almeno milleduecento cene coi parenti del marito e gli ambasciatori dei regni vicini.
Cosa poteva mai fare lì, sola soletta, nelle sue stanze enormi e solitarie?
Azzurro, il marito, teneva per sé tutto il divertimento: se ne andava a caccia con gli amici, faceva i suoi viaggi diplomatici (ed era meglio per lui che non fossero viaggi diplomatici tra le braccia di altre principesse, o Cenerentola, diplomaticamente, lo avrebbe messo sotto con la carrozza), andava alle feste, partecipava alle guerre… e Cenerentola niente! Doveva starsene al castello, perché quelle erano “faccende da uomini” e lei “non poteva capire certe cose”. Sì, tutte parole di Azzurro.
Ah, gli uomini, tutti uguali! Prima tutti baldi eroi, pronti ad esibirsi in un profluvio di fiori, cioccolatini, cene galanti, mille regali e passeggiate romantiche sul cavallo bianco al chiar di luna, poi – appena sposati – pronti a reclamare la loro “libertà perduta” e a sottolineare che non è vero che mettono a soqquadro una stanza dopo un minuto netto dal loro arrivo o che i calzini, appallottolati e puzzolenti, infilati a casaccio sotto al materasso sono un reato di lesa maestà verso le consorti. No, affatto! Semplicemente è che loro sono “diversamente ordinati”.
Cenerentola sospirò per l’ennesima volta e si ritrasse, chiudendo la finestra con un gesto secco. Si guardò attorno e, con un sinistro ghignetto (doveva far qualcosa per quel sorrisetto sadico, prima che le venissero le rughe ai lati delle labbra; se lo appuntò mentalmente), prese la sua decisione: aprì la porta della stanza, attraversò il lunghissimo e tortuoso corridoio, scese le scale che parevano non finire e si precipitò a cercare il suo diversivo preferito per sfuggire alla monotonia delle giornate da regina.
Il suo passatempo altro non era che il pungolare sadicamente le sorellastre e la matrigna che l’avevano vessata per anni. Cenerentola, infatti, si vendicava quotidianamente con le due cozze e con l’arpia imponendo loro i compiti più ingrati che potessero esserci.
Quando le tre donne videro arrivare la regina nel suo elegante vestito e con le sue scarpette di cristallo, tremarono e deglutirono.
«A che cosa dobbiamo questa visita, vostra maestà?»
La matrigna avrebbe preferito mordersi la lingua, mentre pronunciava quella frase con tono ossequioso. Le sue due figlie tenevano gli occhi sgranati e stavano rigide come se si fossero sedute su un letto di aghi.
«Oggi ho un delizioso compito per voi.» esordì Cenerentola, con tono gioviale e una vena sadica nello sguardo che non prometteva niente di buono. «Si tratta di un compito che richiede la vostra mano, la vostra pazienza e perizia…»
Se si accese un pizzico di speranza nei cuori delle tre donne, dovette esplodere come una bolla di sapone un momento dopo che Cenerentola concluse il discorso: «Si tratta del Draghetto del regno. Son tre giorni che non gli si pulisce la lettiera.».
Lettiera coincideva con pupù e, se si parlava di pupù di Drago, l’affare diventava davvero pessimo, basti pensare che un Drago mangia quasi il doppio del suo peso ed espelle altrettanta pupù: pessimo, pessimo e ingrato lavoro per sorellastre e matrigna che Cenerentola lasciò pallide e disgustate.
Quando uscì dalla modesta stanzetta riservata alle tre donne traumatizzate, Cenerentola rise di gusto, con un che di isterico. Passò davanti a uno specchio e si vide con un’espressione nevrotica che la fece spaventare. Forse, dopo tre anni di matrimonio con Azzurro, doveva concedersi una vacanza…
Ma in quel momento anche una passeggiata l’avrebbe aiutata a distendere i nervi.
In pompa magna, accompagnata dai maggiordomi, si avviò fino al parco e si fece portare la carrozza reale con un paio di splendidi cavalli bianchi aggiogati. Con aria decisamente compiaciuta, ordinò al cocchiere di lasciarla guidare da sola, diede di piglio alle briglie e sfrecciò lungo il parco a tutta velocità.

Quando Azzurro rientrò al castello, gongolando come un bambino in un negozio di balocchi e tenendo tra le braccia la testa già impagliata di un grosso cervo, trovò Cenerentola nel sala da tè che sorseggiava qualcosa dall’odore dolciastro da una grande tazza tutta dipinta di fiori che, però, le tremava un po’ tra le mani.
La poveretta sembrava una corda di violin,o per com’era tesa e aveva ripreso a sospirare a più non posso. Appena vide Azzurro entrare, ingollò un generoso sorso della sua tisana calmante. Stava per dire qualcosa, quando fissò con la fronte pesantemente aggrottata la testa impagliata che il marito si portava dietro.
«E quella cosa da dove viene?»
«Cosa? Quale cosa? Questo, dici? Ma è il mio trofeo di caccia: il più bel cervo che abbia mai abbattuto. E questa meraviglia… » Azzurrò baciò in fronte il testone cornuto «Adesso la appendo qua, proprio qua, che ci sta d’incanto!»
Cenerentola sprofondò nella poltroncina, ingoiò ancora un sorso di tisana e si passò una mano sulla fronte. Era inutile far notare al marito che una testa di un animale morto è un ornamento da parete orrendo, degno del gusto di ogni maschio, ma non di una donna raffinata, e che – per di più – era inutile che si affaccendasse per appenderlo di persona, visto che puntualmente sarebbe penzolato da un lato, tutto storto. Ma no! L’uomo grande e forte, l’uomo di casa, il cacciatore, il signore indiscusso del castello doveva appendere il suo trofeo accanto a tutti gli altri: teste di coccodrilli, lupi, leoni, tigri, renne, enormi lucci e chi ne ha più ne metta.
Inutile discutere con un uomo col gusto estetico di uno gnu, entusiasta come un gorilla con una banana tra le zampe e che, in una stanzetta dove è severamente vietato l’ingresso, ha un’intera collezione di scarpe, scarpette, scarponi, stivalacci e pantofole di ogni foggia e colore appartenenti a chissà quante donne. Da bravo feticista qual era, infatti, Azzurro aveva un’intera collezione di calzature che si spolverava e rimirava ogni sera prima di andare a dormire.
Cenerentola non era di certo la prima donna di cui Azzurro si era innamorato per via delle scarpe, solo che lei lo aveva accalappiato con i suoi piedini da fata e le scarpe di cristallo, mentre le altre non erano state tanto fortunate.
A Cenerentola non restò che guardare il marito mentre appendeva il trofeo di caccia, rinviando il momento in cui avrebbe dovuto far quattro chiacchiere con lui.
Dopo una manciata di minuti in cui fissava Azzurro combattere con la testa di cervo che non voleva saperne di star su dritta, ma continuava a cascare di lato, la poveretta non poté trattenersi oltre e - ad un certo punto – esclamò: «Ti devo dire una cosa, Azzurro. Ma promettimi che non ti arrabbierai…»
«Quando dici così, vuol dire che hai fatto un danno. Di che si tratta, stavolta?»
Cenerentola non ebbe il cuore di raccontarglielo: glielo fece direttamente vedere.

Azzurro fissava la sua carrozza più bella con gli occhi sgranati. Aveva il viso ad un palmo dall’enorme ammaccatura che era stata provocata sul fianco della vettura. Trattenne il respiro e poi sbuffò, finendo per assomigliare ad un toro piuttosto arrabbiato.
«E tu questo me lo chiami… GRAFFIETTO?!», strepitò Azzurro, fuori di sì. Gesticolava a più non posso e fissava in tralice la sua consorte. «Ti rendi conto che questa carrozza non ha nemmeno un anno, che è costruita in serie limitata e che quella vernice è introvabile?! Guarda, guarda qua! Quest’ammaccatura è una voragine, non un graffietto!»
Cenerentola stava lì, le mani in grembo, l’espressione contrita, ad incassare le invettive del Re. «Mi dispiace, mi dispiace…» cantilenava con rammarico.
«Ti dispiace?! Quante volte ti ho detto che non devi guidare la mia carrozza? Le donne non devono toccare nemmeno una briglia; soprattutto tu, che nemmeno sai parcheggiare, poi! Scommetto che sei andata a sbattere contro una staccionata: ci sono pure le rigature!» Azzurro ansimò a più riprese e si appoggiò alla carrozza scuotendo il capo.
Cenerentola sospirò e azzardò a dire: «Ma almeno io non mi sono fatta male… è stato terribile, Azzurro!»
«È terribile per me, ora, vedere questo scempio! Sarebbe stato meglio se ti fossi rotta una gamba, per solidarietà con questa povera carrozza!»
«Ti faccio portare un sorso di tisana, così ti calmi un po’?”» propose Cenerentola dopo un momento di silenzio.
Non l’avesse mai detto! Il marito la fulminò con lo sguardo.
«Non la voglio la tua stupida tisana!»

Fortuna volle che quella sera fosse in programma un ballo a cui erano  stati invitati tutti i sovrani dei regni vicini e che, quindi, Azzurro non avesse più tempo di prendersela con Cenerentola per quella disdicevole faccenda dell’incidente con la carrozza.
Cenerentola era seduta sul suo trono, fasciata nel suo vestito più bello, e accanto il marito con una faccia da funerale: tutto imbronciato, la guardava male, rinfacciandole silenziosamente il suo attentato contro la carrozza. La regina, ad ogni occhiataccia, si faceva sempre più piccola, e stava quasi per scoppiare in lacrime, quando Azzurro la lasciò lì da sola per andare a brindare assieme ai suoi invitati. Cenerentola trasse un respiro profondo, di puro sollievo.
La vita da regina era dura. Cenerentola aveva immaginato che quel “e vissero felici e contenti” di cui le aveva parlato la Fata Madrina (sì, quella che era partita per una vacanza esotica che, a quanto pareva, sarebbe continuata ancora a lungo… beata lei!) potesse durare per sempre, ma la realtà era ben più dura e diversa: Azzurro era uguale a tutti gli altri uomini e mariti del mondo, e anche lei non era certo infallibile e aveva i suoi difetti come qualsiasi altra donna. Si litigava e si faceva pace, si combinavano guai e si riparava… insomma, non erano certo perfetti, anche se erano i sovrani di una bella contrada fiorente.
Cenerentola si riscosse dai propri pensieri, bevve un goccio di vino e spiò la sala da ballo piena di dame e cavalieri. Ad un certo punto, intravide un bel ragazzo prestante, alto, biondo e con due occhi scuri e seducenti che si faceva servire da bere da uno dei servitori che giravano con i vassoi. Si allungò di lato e mormorò alla sua dama da compagnia: «Chi è quel giovanotto tutto solo?»
«Quello è il principe del regno a sud del nostro, maestà. È proprio un bel partito.» replicò compiaciuta e maliziosa la dama.
Cenerentola sorrise e continuò a guardare il ragazzo che la salutò sollevando il proprio calice in un brindisi ideale.
«Già, è davvero affascinante…» mormorò a fil di labbra. «Voglio proprio conoscerlo.» soggiunse, piuttosto interessante.
Ci rimuginò un attimo su e poi diede fondo a tutto il suo fascino mentre invitava con un cenno della mano il giovane ad avvicinarsi.
Tanto Azzurro non se ne sarebbe accorto. Troppo occupato dagli affari di stato, dalle sue scarpine, dalle sue battute di caccia e dagli amici, figuriamoci se potesse mai far caso a un bel paio di corna che gli sarebbero potute spuntare sulla testa!
Dopotutto, Cenerentola era la Regina e poteva anche concedersi il lusso di avere un’amante che poteva soddisfarla a dovere, no? Almeno, sarebbe stata lei a “vivere felice e contenta”: se lo meritava!





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Note dell’autrice:

Storia partecipante all’iniziativa un prompt al giorno: “tisana” e al challenge San Valentino VS San Faustino di Fanworld.it.

Che dire? Ho preso alla lettera le parole del bando della challenge e ne è venuta fuori questa storie che vuol essere, si spera!, ironica e parodica dei soliti luoghi comuni che si sentono in giro, piuttosto caricaturale nei confronti degli archetipi di uomini e donne. Non so se ci sono riuscita! XD Spero, tuttavia, di strappare un sorriso a chi si affaccerà alla lettura e, magari, di avergli fatto passare qualche minuto in allegria.
E’ una storia senza pretese, demenziale ma anche sì, quindi, vi prego, non siate troppo severi! U.U”


Melian
   
 
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