Ce
l’hai la ragazza?
-Perché l’avete invitato?- la voce di Dave era ridotta a un sussurro e lo sguardo era preoccupato.
-David, cerca di comprendere. Tuo padre e tuo zio
si sono riconciliati da poco. Invitarlo a cena era il minimo che potessimo
fare.- gli rispose la madre, col suo solito, noioso tono di voce comprensivo.
-Mio
zio? Come posso considerarlo tale se non lo vedo e non lo sento da anni?- Uno
dei timori di Dave era quello di dover affrontare
ancora suo zio, come faceva sino a pochi anni prima. Ricordava il suo orrendo
senso dell’umorismo, ricordava di come si sforzava di ridere alle sue battute
di cattivo gusto, di come sopportava le odiose insinuazioni e frecciatine.
-Devi resistere solo un paio di ore, David.
Su, non fare il bambino.- gli disse, forse un po’ scocciata, poi tornò in
cucina a finire di preparare la cena.
Suo padre era nel salotto e si stava
sistemando con cura la cravatta e il colletto della camicia; per lui quella
riconciliazione col fratello era fondamentale. Ma Dave
pensò che avere lo zio alle calcagna più di due volte alla settimana lo avrebbe
spinto in poco tempo al suicidio. Già ci aveva pensato troppe volte,
scioccamente. La vita era troppo preziosa per essere gettata al vento a causa
di meri problemi adolescenziali.
Ma anche
troppo preziosa per essere vissuta in quel modo.
Il campanello suonò alle 21 in punto.
-Dev’essere Christopher. Vai ad aprire, David.-
urlò il padre dal bagno.
Dave rotolò gli occhi all’indietro, poi andò ad
aprire la porta controvoglia. L’uomo che si trovò davanti quasi lo disgustò:
era ingrassato parecchio e ormai era quasi calvo. Ma gli occhietti piccoli e
verdi erano ancora quelli di una volta, curiosi e indiscreti. Fastidiosi.
-Oh, Karofsky
junior! Il piccolo Karofsky! Beh, piccolo si fa per
dire, sei più grande e grosso di me.- esclamò, poi
sfoggiò un sorriso irritante. Aveva già iniziato in modo dannatamente
sbagliato. Dave accennò un saluto e lo lasciò
entrare.
-Ehi, non mi avevate detto di avere un tale
uomo in casa!- urlò Christopher entrando a passo svelto in salotto. Il fratello
e la cognata andarono ad accoglierlo con sorrisi di plastica e Dave avrebbe voluto solo chiudersi in camera o uscire e
tornare a notte tarda. Ma fu costretto dagli sguardi severi della madre a
sedersi di fianco allo zio, che gongolava per la felicità di essere tornato a
sfottere la sua famiglia.
-Tuo figlio è davvero una bestia d’uomo.- commentò lo zio tra un boccone e l’altro ingurgitato
troppo in fretta. Dave strinse un pugno e guardò la
tovaglia candida. Avrebbe guardato qualunque cosa, pur di non fissare il suo
sguardo dentro quello dell’uomo.
-Già, è nella squadra di football della
scuola.- disse il padre, orgoglioso.
-E cosa fa, il kicker?-
Christopher ridacchiò da solo. A quella parola, Dave
associò un volto e un nome, ormai a lui sin troppo familiari. Quel viso a forma
di cuore, due occhi che brillavano tanto da fare invidia alle stelle, la pelle
incredibilmente bianca.
-Difensore.- disse Dave,
continuando a fissare la tovaglia.
-Ah, ma allora parli! Che malandrino!- rise
ancora, con la verdura in evidenza tra i denti. -E dimmi…ce
l’hai la ragazza?-
Il nipote lo guardò per la prima volta in
quella sera e la bocca gli tremò appena.
-No, zio.- Ma mi piacerebbe tanto avere un ragazzo.
-Possibile? Un omone dalla massa corporea
come la tua potrebbe imporsi su qualunque ragazzina indifesa. Non dirmi che non
hai messo gli occhi su nessuna femmina della tua scuola!- addentò un’aletta di
pollo e lo fissò masticando a bocca aperta. La madre di Dave
non stava toccando cibo: vedere il cognato mangiare in quel modo le aveva tolto
l’appetito.
-Per ora no, zio.-
rispose David, tentando di reprimere la voglia di rispondergli in malo modo.
L’uomo diventò d’un tratto serio.
-Per
ora no, zio. Andiamo, sei un uomo! Alza le spalle, petto in fuori, parlami
a voce alta! Sembri una donnicciola nel corpo di un titano!- gli fece il verso
con una vocina disgustosa e gli diede una serie di ordini. Li aveva già
sentiti, quegli ordini. Erano gli stessi che gli dava qualche anno prima, per
evitare che si ingobbisse e che gli venisse la vocina stridula. Lo voleva
vedere alto e fiero, quel suo unico nipote.
Ma no, non era così che sarebbe diventato.
-Non mi dici niente? Ma che succede a tuo
figlio? Lo lascio per un anno o due e quando torno lo trovo tanto rammollito?
Non gli insegni niente?- Christopher si rivolse allora a suo fratello, che
guardò il figlio e scosse la testa.
Anche tu,
papà? Ma certo, non mi hai mai aiutato, tu.
Dave guardò la sua famiglia con un misto di
disgusto, frustrazione e puro odio, dopodiché si alzò facendo strisciare la
sedia, andò nell’ingresso, prese la giacca e uscì di casa.
Non era più un bambino. Non doveva più
sentirsi costretto a sopportare le ingiurie dello zio. Non era più costretto ad
alzare le spalle, a tenere il portamento fiero, ad urlare per farsi sentire.
Urlava già
troppo dentro di sé e non aveva
voglia di sforzare le corde vocali più del dovuto.
Nessuno si alzò da tavola per inseguirlo,
nessuno si preoccupò di dove stesse andando, se stesse scappando o meno.
Probabilmente, suo padre era convinto che sarebbe tornato. Tornava sempre, Dave. Non aveva il coraggio di andarsene. Non aveva neppure il coraggio di essere sé stesso.
E se ne stava sempre nascosto, dietro alla porta della sua camera, dietro a un
casco di football, dietro ai suoi compagni di squadra, dietro a un
atteggiamento rozzo e violento, un atteggiamento che alla gente non piaceva. A lui non piaceva. A Kurt Hummel non piaceva. Probabilmente,
se Hummel avesse visto com’è che si comportava nelle
quattro mura di casa, magari avrebbe cambiato idea su di lui. Sempre se gli
piacevano i tipi cheti e introversi.
Non vedrà
nulla in me, se non un mostro, pensò mentre
si specchiava nella vetrina di un negozio.
Sono grasso. Ho un
brutto naso. Ho pochi capelli.
Nulla di lui sarebbe mai potuto piacere a
quell’essere di nome Kurt Hummel, che pure non aveva
niente di speciale, ma che lui ammirava tanto. Gli piaceva, perché era come lui
non avrebbe mai voluto diventare, ma che effettivamente era. Era qualcosa di
difficile da pensare, figuriamoci da accettare.
Dave distolse lo sguardo dalla sua immagine
deformata e si ficcò le mani in tasca.
Lui era uno dei giocatori di football più
popolari della scuola, aveva le sue priorità. Non poteva semplicemente annunciare
a tutti che qualcosa in lui era sempre stato diverso, né poteva prendere la
persona che di solito spingeva con violenza contro gli armadietti e, per
esempio, baciarla all’improvviso. No, andava contro la sua morale. Fare
qualcosa del genere, significava per lui fare il passo più lungo della gamba.
Eppure gli sarebbe tanto piaciuto trovare il coraggio di farlo. Già immaginava
il viso rosso e l’espressione imbarazzata, se non scandalizzata, di Hummel.
Sorrise al solo pensiero. Chissà se Hummel avrebbe mai sorriso in sua presenza. Probabilmente gli
sarebbe scoppiato il cuore se Kurt gli avesse rivolto anche solo un accenno di
sorriso.
L’attenzione di Dave
fu attirata da una coppia che camminava mano per mano, la ragazza con la testa
sulle spalle del ragazzo. A quella visione, si infuriò improvvisamente.
-Maledizione!- urlò prendendo a calci un
bidone dell’immondizia. La coppia si voltò a guardarlo e lui li minacciò con un
pugno. –Che avete da guardare? Maledetti!- gridò con rabbia e quelli
camminarono più in fretta, credendolo un pazzo.
Dave cercò di calmare i bollenti spiriti
respirando profondamente. Si sedette sul marciapiede e alzò gli occhi al cielo.
-Loro sì e io no. Perché?- si chiese, lo
sguardo rapito dalle stelle, ancora così insignificanti rispetto alle iridi
azzurre di Hummel.
Non fare il
bambino. La voce di sua madre gli rimbombò
in testa.
Sì, è così.
Sono un bambino. Capriccioso. Si disse. Poi si alzò.
Anche per quella volta sarebbe tornato a casa. Non sapeva quando avrebbe
trovato il coraggio di fuggire per davvero. Di fuggire da Karofsky.
Di provare ad essere Dave e ad esserne fiero. Una volta
per tutte.
§
Karofsky domina, a
mio parere.
E’
il personaggio più interessante da ficcare nelle fan fiction introspettive u.u
Mi
piace, mi piace, amo quest’uomo!
Mirokia