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Autore: Return_to_Nibelheim    11/02/2011    8 recensioni
- Usako, io cosa sono per questo regno?
- Tu sei il re Endymion, sovrano della Terra. Sei la sua luce, la sua forza. Sei la mia. Senza di te, senza il tuo potere, non avremmo tutto questo.
- Insomma, sarei un generatore ideale.
- Esatto, amore.
- A volte però questo non mi basta...

Cominciò così la lotta senza esclusione di colpi dei coniugi Tsukino per il divorzio.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Endymion, Serenity
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 2:

Malintesi di vecchia data avvelenano il cuore dei coniugi Tsukino

 

Persino al tempo del loro fidanzamento c’erano momenti in cui Mamoru veniva preso da un cupo sconforto. D’improvviso, alla sprovvista, come il primo fulmine che squarcia il cielo tingendolo di viola. Quasi sempre nei periodi di pace, quando non c’era molto altro a cui pensare.

Usagi non ne era mai venuta a conoscenza: era stato sempre molto attento a tenere nascosto quanto provava perché sapeva che la cosa l’avrebbe distrutta, o quantomeno stressata. Si sarebbe data mille colpe che non aveva e avrebbe trascorso ogni momento della giornata a pensare a come poter rimediare, a cosa poter fare perché il suo Mamo-chan tornasse quello di sempre quando a dirla tutta lui non riusciva a trovarle una colpa che fosse una: Usako era una fidanzata perfetta e non ci sarebbe stato nulla che avrebbe potuto fare di più per lui. Eppure c’erano quei momenti radi e subdoli in cui guardandola negli occhi non riusciva a pensare ad altro che al bisogno di fuggire da lei e al diavolo tutto il resto. Ma non vi aveva mai dato importanza. Erano brevi e se ne andavano improvvisamente così come venivano lasciandolo tornare quello di sempre. Bastava sempre poco.

A volte niente.

Magari era il fatto che Usako gli offrisse il primo boccone del suo dolce preferito durante un appuntamento al centro commerciale o come si illuminava radiosa quando all’uscita della scuola lo scorgeva in lontananza scostandosi dal gruppo delle amiche per cercare il suo braccio. Un broncio o un sorriso che mostrava solo a lui, un gioco particolare della luce del sole tra i suoi capelli di cui nessun altro s’avvedeva. Piccole attenzioni spontanee da parte di lei, inconsapevole, peculiarità che lo ammaliavano. Si sentiva il centro del suo piccolo universo: la stringeva a sé, la baciava e improvvisamente tutti i dubbi provati fino a un istante prima parevano sciocchi.

 

 

*

 

 

… Al risveglio del re Endymion la mattina successiva tutto pareva avvolto da una luce diversa, più calda, un bagliore che lo costrinse a strizzare gli occhi e a porvi davanti i palmi perché le palpebre non bastavano a fare da schermo. Dalle labbra sfuggì un gemito roco tra i denti serrati. Serenity doveva aver dimenticato di tirare le tende la notte prima e lui non ci aveva badato per la stanchezza. Ora invece il sole del primo mattino filtrava attraverso le sottili tende a baldacchino proiettando tra le coltri ombre opache, di un flebile giallo pulcino.

Lui aveva bisogno del buio.

Che l’occhio si abituasse con calma all’inizio di un nuovo giorno.

Serenity, all’opposto, aveva sempre adorato svegliarsi bagnata dalla piena luce del mattino forse per vecchie abitudini dure a morire, ma per venire incontro alle esigenze del consorte aveva accettato di votarsi all’oscurità mattutina. Un piccolissimo sacrificio che aveva fatto volentieri per lui, e che non le cambiava poi molto le cose, nel pratico. Mamoru era sempre il primo ad alzarsi e come prima cosa (se non contiamo il suo bisogno impellente della prima tazza di caffè del mattino)  si premurava di spalancare le tende per lei. Da sovrani questo non era stato più possibile, ovvero da quando i loro domestici avevano deciso che aprirsi le tende da sé doveva essere troppo proletario.

Così come infilarsi le ciabatte.

O imburrarsi il pane.

Se non fosse stato per le ferme proteste del re niente niente si sarebbe insistito anche per cambiare loro i vestiti. Ma, e su quest’unica cosa era stato categorico, nessuno e per nessun motivo avrebbe messo le mani addosso alla regina. Per il resto non c’era stata opposizione che avesse tenuto, così dal giorno dell’insediamento ogni mattina si erano visti invadere la stanza da un piccolo e solerte esercito invasore che predisponeva tutto il necessario per il sacro risveglio della loro amata regina e del di lei consorte: i due avevano finito per trovare la cosa immensamente buffa. Spesso erano già svegli al loro arrivo, a osservare quello spettacolo divertiti.

A sghignazzare insieme dell’aria asprigna della cameriera che portava il limone per il tè.

Al pensiero di quella piccola quotidiana il viso del re si schiuse in un pigro sorriso mentre con la mano tastò alla cieca alla sua sinistra in cerca del tepore della moglie: tra le dita non strinse che aria e lenzuola appena tiepide. Subito si agitò nella sua mente il pensiero che dovesse essere passata di molto l’ora della sveglia: possibile che fosse stato così stanco da non accorgersi della routine quotidiana, lui che di solito si svegliava al minimo scricchiolio del materasso? Schiuse appena un occhio e si sincerò della cosa.

Pareva che il sole non fosse che un baluginio appena accennato dietro le case e nel cielo sembravano non esserci ancora che vaghe spruzzate di turchese. In pratica non dovevano essere neppure le 6, il che rendeva praticamente un miracolo il fatto che Serenity fosse già sveglia. Questo lo fece rizzare a sedere con uno scatto deciso dei reni.

Che le fosse accaduto qualcosa?

Ma no, non ebbe neanche il tempo di far montare il panico perché era proprio lì, a pochi passi da lui, seduta al tavolinetto da tè del terrazzo a godersi l’aria fresca del mattino: un vezzo che si concedeva spesso, prima, quando la mattina restava spesso e volentieri a casa da sola e non aveva una scaletta fitta d’impegni e un centinaio e più di persone ad assicurarsi che la rispettasse. Adesso non riusciva più a svegliarsi in tempo per ritagliarsi qualche minuto di tranquillità: di solito anzi per schiodarla dal letto al mattino bisognava portarla in braccio fino alla vasca da bagno e buttarcela dentro di prepotenza. Endymion, scrollatosi ormai di dosso ogni rimasuglio di sonno, era sceso dal letto per raggiungerla, rabbrividendo alla brezza contro il torace nudo.

Non fu notato.

Lei gli dava quasi totalmente le spalle.

Le lunghe candide vesti da camera si rimescolavano ai capelli insolitamente sciolti facendola sembrare molto più giovane, e bella come non mai: non ne intravedeva che uno scorcio di viso, le dita affusolate che sorreggevano leziosamente la guancia, un baluginio d’azzurro dello sguardo sognante e nostalgico che dietro ciglia ricurve contemplavano i confini di palazzo, le case e le strade, la luce del sole che cominciava a imbiondire la sua città assopita. Una regina innamorata che non riusciva mai a distogliere lo sguardo dal suo regno.

- Il nostro – lo correggeva sempre lei.

Il pensiero lo fece sorridere intenerito mentre a passi solenni le si faceva accanto: cingendola da dietro si era chinato su di lei per un bacio ma il contatto delle sue labbra contro il collo l’aveva fatta sobbalzare comicamente.

- Troppo freddo? – si era scusato lui.

- No… - aveva mormorato lei soprappensiero mentre una mano era salita a lambirgli timidamente la guancia ruvida di un velo di barba. – No, affatto. – aveva ripetuto a se stessa, più sicura. – E’ che mi hai colta di sorpresa in certi pensieri, ero distratta. Mi dispiace. – Finalmente si era voltata verso di lui incerta, quasi titubante, e un sorriso teso e appena accennato che gli incurvava le labbra non riusciva a raggiungere gli occhi.

- Qualcosa ti turba?

Lei aveva sembrato pensarci un po’ su.

- … Niente di cui valga la pena discutere adesso, con una giornata così bella.

Endymion le aveva scostato una ciocca di capelli dal viso e si era chinato su di lei per catturarne le labbra in un bacio gentile: lei vi si era staccata quasi subito, poi si era alzata in piedi sciogliendosi educatamente dalla stretta di lui: poi, ticchettando elegantemente in punta di piedi sui suoi scarpini da camera di cristallo aveva biascicato a bassa voce qualcosa di confuso a riguardo del bisogno di chiamare all’istante qualcuno che portasse loro la colazione: perché ormai erano entrambi svegli e sarebbe stato sciocco aspettare ancora; perché stava morendo di fame; perché l’avrebbe aspettata una lunga e faticosa giornata, non aveva tempo per poltrire.

 

 

*

 

 

Le battaglie della regina Serenity in tempo di pace erano combattute contro nemici molto più temibili dei demoni: al chiuso del suo studio reale, tra scartoffie e documentazioni che la lasciavano solo a sera con gli occhi che le si incrociavano per la stanchezza e il polso a pezzi. La gente di fuori o anche solo la servitù di palazzo aveva l’immagine totalmente fuorviante di questa eterea sovrana da favola che rinchiusa nella torre più alta e inaccessibile del suo splendente palazzo trascorreva il tempo in preghiera davanti a un magico pezzo di vetro.

Certo era una mezza verità.

La regina avrebbe preferito di gran lunga questa versione dei fatti: almeno, pensava, avrebbe potuto approntare un divanetto nella sala delle invocazioni e schiacciare all’occorrenza qualche pisolino. Ma quello, che era stato il metodo di sua madre e che aveva funzionato benissimo per millenni su Silver Millennium, a quanto pareva non andava più bene. Persino la stirpe della luna si era arresa alla modernità. Il fatto era che, le avevano spiegato, il potere del Cristallo d’argento poteva servire nei momenti di grande scompiglio, di guerra, al limite come ipotetico spauracchio per nemici e malintenzionati, ma in tempo di pace il suo unico compito era quello di portare il bel tempo o una pioggia provvidenziale, a garantire raccolti abbondanti, un clima temperato e poco altro, ma non poteva certo cambiare il cuore o l’indole degli uomini. A questo serviva il “potere della burocrazia reale” come l’aveva chiamata Mercury.

“Reale rottura di scatole” l’aveva ribattezzata con prontezza di spirito la regina.

Questo però non la esulava dal trascorrere gran parte delle sue giornate chiusa tra quattro mura come un’impiegata sotto la sorveglianza solerte della sua consigliera mentre fuori imperversava un tempo meraviglioso grazie ai poteri del suo cristallo d’argento. L’ironia di tutto questo non mancava di deprimerla.

 

 

*

 

 

- Io non credo che il regno abbia bisogno di un “Piano di risanamento delle falde acquifere.”

- Io invece penso proprio di sì. – aveva replicato Luna tra il basito e lo sconcertato, negli occhi un furore omicida tutto felino verso la sovrana che si era presa l’ennesima pausa-riposo della giornata e ora si stiracchiava e rigirava sbadigliando sullo scomodo divano dello studio, con l’avambraccio sugli occhi a coprirle la vista estenuante della pila di scartoffie che l’aspettava. – Maestà, dobbiamo veramente fare queste storie tutti i giorni?

- Fuori è troppo bello per lavorare. – aveva mugugnato lei strascicando stancamente le parole. – Magari se facessi piovere andrebbe meglio.

- O magari le verrebbe la voglia di saltellare tra le pozzanghere.

La replica sdegnata della sovrana non era stata però molto convincente.

Luna sospirò affranta. Sarebbe stata una di quelle giornate in cui ad andar bene si sarebbe riuscito a svolgere la metà del lavoro programmato, ed si sarebbe quindi reso necessario smistare e separare i carteggi per ordine di importanza perché non succedessero disastri, compito non facile per un gatto ma essere la consigliera delle regina comportava anche questo. Mentre a balzi leggeri atterrava sulla scrivania della sovrana pronta a immergersi nel lavoro l’altra aveva sollevato appena il braccio, guardandola di sottecchi.

Poi aveva chiesto con aria casuale:

– Dimmi Luna, quando mi raggiungerà il re?

- Mi chiede di scusarlo ma oggi non verrà. – aveva replicato distrattamente il felino senza sollevare lo sguardo dal suo compito. Serenity l’aveva fissata a dir poco incredula, eppure stavolta le aveva promesso che non sarebbe mancato per nulla al mondo! Sarebbe stato la sua salvezza. In giornate come questa, in cui si sentiva talmente spossata da non riuscire neppure a sollevare la testa dal bracciolo, bastava che il re Endymion facesse capolino dall’uscio per offrire il proprio aiuto che subito lei si rianimava per diventare una regina di tutto rispetto. - … E di grazia, Luna, perché non viene? – aveva chiesto la sovrana cercando di nascondere la grande delusione.

- Impegni di palazzo.

- Del tipo?

- Oggi è impegnato in un compito di rappresentanza, mi pare che adesso si trovi nei giardini a intrattenere l’ambasciatore dell’Ovest e sua figlia.

A quelle parole la sovrana era balzata in piedi di scatto.

- Figlia? – aveva urlato. – Nessuno mi ha mai parlato della presenza di una figlia!

Si era alzata in piedi, percorrendo più volte la stanza in grandi falcate rabbiose a mo’ di animale in cattività.

- E’ giovane? E’ carina? – aveva inquisito agitando forsennatamente le braccia. – Luna, manda immediatamente a chiamare il capo del Reparto Investigativo Reale, indagheremo sulla cosa. Anzi no. – si era corretta subito. – Non chiamare Mercury, c’è la possibilità che mi dia della pazza e si rifiuti di eseguire i miei ordini. Magari chiama qualcuno che rispetti la mia autorità.

- Maestà, se solo si calmasse per un secondo…

- Calmarmi è proprio fuori discussione.

- Ma ascolti…

- Oh, questo è veramente un quadretto tipico! – l’aveva interrotta di nuovo la sovrana, il cui viso aveva raggiunto delle inquietanti tinte purpuree. – Mentre la moglie vecchia e noiosa è costretta a trascorrere tutte le sue giornate incarcerata tra quattro mura muffite come un’impiegata, sommersa di lavoro per il bene del loro regno – invano Luna aveva cercato di obiettare a questo punto che non sarebbe poi così oberata se non si distraesse e procrastinasse in continuazione - il marito infingardo, con l’aiuto di consiglieri traditori – e Luna si era vista investire da una guatata omicida – intrattiene nei giardini giovani e belle straniere!

- Giovani non c’è dubbio… - aveva bofonchiato in un mugugno il felino.

La replica della regina era stata un singulto d’orrore.

- Allora le cose stanno davvero così! Magari a quest’ora quei due stanno già siglando un patto d’alleanza infrattati in qualche cespuglio!

- Sì, se non fosse che Briana Flores ha 9 anni.

Serenity si era ammutolita con la mano già stretta attorno alla maniglia della porta, pronta a interrompere il romantico incontro di culture in cui immaginava il suo sposo. Erano seguiti lunghi attimi di totale immobilità durante i quali il viso della regina si era sbiancato di colpo per poi riassumere un bel colorito sano d’imbarazzo.

- E da quando?

- Da questo aprile. Prima se non erro ne aveva 8.

La regina aveva tentato di raccattare gli ultimi rimasugli della sua dignità. - Questo non sarebbe successo se mi avessi mandato quei fascicoli aggiornati sugli ambasciatori stranieri e le loro famiglie!

- Che infatti sono sulla sua pila di cose da fare da un mese.

- … Io ho una pila di cose da fare? – Luna le aveva indicato con nonchalance il lato est della stanza, quella seconda scrivania di cui ormai restava ben poco ricoperta com’era di volumi, carteggi e fascicoli plastificati che arrivavano a coprire la finestra. – Ah, ecco perché da un po’ di tempo mi pareva che facesse buio prima, credevo fosse arrivato l’inverno.

Proprio in quel momento la porta si era aperta, e Jupiter era entrata portando con cura materna tra le braccia l’ennesimo mazzo di carteggi della giornata. Non sarebbe stato nemmeno un suo compito ma era l’unica abbastanza forte da potersi occupare di quell’ammasso di carta. Sensibile com’era le bastò un’occhiata per capire che aria tirasse, e un piccolo sorriso complice in direzione della regina (scambiare due parole era proibito durante il lavoro, sarebbe stata ulteriore fonte di distrazione e Luna si sarebbe accanita su entrambe) per illuminarle almeno un pochino quella giornata.

Sorriso che immediatamente si spense di fronte a quella nuova mole di lavoro.

Una volta che l’amica si fu chiusa la porta alle spalle la regina si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato. - Direi che è veramente ora di mettersi seriamente al lavoro. – e con l’aria di chi veniva trascinata al patibolo si recò in direzione di quello spreco di carta. Era una fortuna che con l’aiuto del Cristallo d’Argento potesse far crescere foreste rigogliose in poco tempo altrimenti la Terra sarebbe stata totalmente disboscata nel giro di pochi mesi. Si era accasciata al suo posto prendendo in mano la sua penna d’oca bianca per intingerla nell’inchiostro dorato che veniva riservato alle documentazioni ufficiali e poggiando stancamente la guancia sull’altra si preparò a fare il proprio dovere.

Ma di foglio in foglio lo sguardo correva sempre alla finestra.

Cercando di ricordare l’ultima volta in cui avesse trascorso del tempo con il marito.

- Non era davvero così che immaginavo sarebbe stato diventare regina… - pensò sconsolata.

 

 

*

 

 

Capitava di rado che Serenity ed Endymion trascorressero del tempo insieme come coppia, in intimità o in qualcosa che vagamente le somigliasse perché in quanto sovrani avevano una precisa immagine di sé da mostrare in pubblico. Alle cerimonie ufficiali o ai numerosi balli che venivano indetti a palazzo si imponeva alla reale coppia una rigida disciplina comportamentale che riduceva a zero tenerezze ed effusioni; si arrivava al punto in cui persino il tenersi per mano prevedeva l’uso dei guanti, come se toccarsi la pelle nuda rappresentasse uno scandalo.

Non si salvava nemmeno l’ora dei pasti, un tempo la preferita della regina.

L’etichetta reale prevedeva che tra i due ci fossero almeno 4 metri di tavolata imbandita a separarli, cosa che li costringeva a comunicare mediante strilli da mercato del pesce, o affidando una comunicazione per l’altro nelle mani dell’immancabile domestico che sorvegliava il loro convito, il quale raramente riportava la frase con precisione dando vita a volte a malintesi imbarazzanti. Decisamente non adatto allo scambio di romanticherie.

Così toccava a loro ritagliarsi brevi momenti.

Incontrarsi di nascosto come amanti, felici come ragazzi.

La sera, i primi tempi, studiavamo minuziosamente l’uno la scaletta giornaliera dell’altro; calcolavano tempistiche, tragitti da percorrere ed eventualmente da modificare per strapparsi un bacio di sfuggita all’ombra di un salice, o una carezza appena accennata dietro una colonna. Era poco ma bastava. Poi era trascorso il tempo.

I mesi si erano fatti anni, poi decenni.

Il loro potere si era fatto più forte, il regno rinsaldato, il che rendeva sempre più necessaria un’opera di politica estera che veniva quasi interamente svolta dal re. Era stato deciso quasi senza discuterne: più diplomatico di natura e più scaltro di carattere nonché praticamente disutile alla vita di palazzo, corrispondeva di facciata anche all’immagine del potere politico come prerogativa prettamente maschile che la maggior parte degli ambasciatori del regno abbracciava. Il che significava impegni più pressanti, periodi di lontananza più lunghi.

Viaggi e compiti di accoglienza ai visitatori illustri.

Mentre Serenity restava imprigionata nel suo bellissimo palazzo di cristallo.

- E’ troppo pericoloso, Maestà, non possiamo permetterle di andare fuori – le ripetevano tutti in continuazione. – Non sarebbe abbastanza protetta e qualcuno potrebbe approfittarne per tendere un agguato. Il suo posto è qui, al sicuro di queste mura. – era il coro unanime di chi le stava intorno. Quando poi aveva chiesto al re quella prima e unica volta di appoggiarla nel suo desiderio di seguirlo in qualcuno dei suoi viaggi diplomatici si era sentita tradita nell’udirlo perorare la causa di tutti gli altri. – Serenity, il tuo posto è qui.

- No. Il mio posto è accanto a te. – aveva replicato lei sentendo premere agli angoli degli occhi due grosse lacrime ma lottando contro il desiderio di lasciarle scorrere. Non voleva che finisse come al solito, con lei che frignava come una bambina.

Non era servito lo stesso a farsi prendere sul serio.

Endymion le aveva preso il viso tra le mani baciandole devoto la fronte con un sospiro stanco, di sopportazione, come se quella conversazione bastasse a spossarlo, e l’idea che quei pochi momenti di intimità notturna fossero sprecati in un litigio senza senso era bastato a farla sciogliere in un pianto disperato. Gli si era accasciata sul petto in singhiozzi, consolata dalle dita di lui che le scorrevano gentili tra i capelli.

- Non mi vuoi?

Lui non le aveva risposto.

- Qui per te è più sicuro. Sono certo che comprendi. – aveva detto.

Lei aveva annuito per far terminare quella penosa discussione che non avrebbe portato da nessuna parte se non a rendere più tristi quelle ultime ore che li separavano da un viaggio che avrebbe tenuto il suo sposo lontano per giorni, forse settimane. Non era stato chiaro, nessuno le aveva detto nulla di preciso, forse per paura della sua reazione.

Ma non capiva, non avrebbe mai capito.

Anche se smise di chiedergli di portarla con sé e a ogni partenza lo salutò sempre con un sorriso. Perché le pareva un controsenso trascorrere l’esistenza a portare la pace in un regno “troppo pericoloso” per farci due passi in libertà in compagnia del suo sposo. Perché le parole di Endymion le erano sembrate solo l’ennesima scusa per allontanarsi da un rapporto vecchio e stantio.

 

 

*

 

 

Una volta Luna era entrata in camera di Usagi e l’aveva trovata così intenta a fare smorfie e pose allo specchio da non accorgersi neppure della porta che scricchiolava. Si era accomodata sul letto per godersi lo spettacolo da una posizione più comoda, perché anche se la tentazione di richiamarla alla realtà era forte, da brava micetta responsabile, era uno spettacolo piuttosto divertente.

Usagi stava mettendo in scena una commedia.

Piroettava, turnicava e balzellava nel poco spazio della sua stanza; agitava le braccia studiando la posizione più aggraziata delle mani, perché le dita non prendessero una foggia ad artiglio, perché gli arti tenessero una certa eleganza di fondo, studiando la tensione giusta della caviglia perché il polpaccio non si avvicinasse a quello di un calciatore più che a quello di una bella guerriera. Le gonne alla marinaretta erano impietose in questo senso.

Poi c’era il viso.

Si osservava le espressioni da ogni angolazione trasmutandolo con naturalezza da un sorriso fiero a un altero cipiglio, borbottando frasi d’amore, verità e giustizia un po’ per tutti gli usi con una serietà che se applicata in ambito scolastico le avrebbe permesso di essere laureata a 14 anni. Solo quando Luna non resistendo più a quella scena assolutamente comica era rotolata sul piumino sghignazzando rumorosamente l’altra si era accorta di non essere sola. Allora il suo viso aveva raggiunto ammirevoli vette di rosso e aveva persino cercato di abbozzare qualche esercizio di stretching, anche se era stata impietosamente sgamata dall’amica.

– Non penserai mica che tutte quelle mosse di trasformazione e di apparizione di Sailor Moon siano improvvisate! – le aveva ribattuto palesando una non troppo convincente alterigia, mentre il viso cercava di acquisire una tonalità non proprio naturale ma quanto meno qualcosa che la facesse avvicinare più a un essere umano e meno a una lampada di un locale di strip-tease. – Sono studio di una precisa preparazione scenica.

Luna l’aveva guatata di sottecchi.

- Quindi suppongo che tu abbia già fatto i tuoi compiti.

- Oh Luna, ma non serve – aveva ridacchiato lei come se le fosse stata posta una domanda molto sciocca. In effetti lo era dal momento che tutti i suoi libri giacevano ancora nella sua cartella, buttata in malo modo sotto al letto. - Una principessa non deve occuparsi di queste cose ma solo di essere sempre carina ed elegante, e di avere le parole giuste per ogni occasione mondana. Quando sarò regina e dovrò essere d’esempio a tutte le donne del mio regno a che servirà l’inglese o la matematica?

Non ci è dato di riportare la risposta del felino per questioni di rating, basti sapere che un minuto dopo Usagi era china sulla scrivania pronta a fare il suo dovere di studentessa delle medie oltre che di guerriera.

 

 

*

 

 

A dispetto delle apparenze Usagi era sempre stata una persona piuttosto insicura su se stessa e sulle proprie capacità. Non era particolarmente carina con quel viso tondo e una spiccata tendenza alla pinguedine, i suoi voti a scuola rasentavano quelli che si sarebbero potuti avere in presenza di un grave deficit mentale e il suo carattere naif mal si adattava alla frenetica quotidianità giovanile giapponese votata al rigore e all’eccellenza.

Non lo dava a vedere ma non vuol dire che non soffrisse.

Poi le era stato dato un potere speciale, le era stata affidata la leadership di un gruppo.

Era sempre l’emergenza, la situazione di pericolo, il nuovo nemico giunto sulla Terra a tirarle fuori la forza, la luce splendente che le permetteva di trionfare nella situazione più disperata contro i nemici più forti. Era Sailor Moon e c’era di che esserne orgogliosi. Nella vita reale però, una volta sciolta la trasformazione o durante i sonnacchiosi periodi di pace continuava ad esserci quella Usagi sciocca e tonta che a volte sentiva proprio di detestare.

Era bello lasciarla da parte per un po’.

Indulgere in fantasie su quando sarebbe stata una regina fiera e nobile. Tralasciare quei compiti noiosi, i libri di esercizi e i test fallimentari, le punizioni e le paternali e viaggiare in avanti con l’immaginazione fino a quando non sarebbe stata da meno delle sue amiche o del suo eccezionale Mamo-chan. Intendeva lavorarci seriamente, ma non essendo un tipo cerebrale che avrebbe fatto dello studio la propria forza per il momento la via della perfezione era lastricata di superfici riflettenti.

 

 

*

 

 

Il bello di un Palazzo di Cristallo è che ovunque si trovano piani in cui specchiarsi. Persino l’innocua ringhiera del balcone delle proprie stanze può restituire un nitido riflesso di sé, con lo sfondo di un cielo scuro quasi senza luna. Serenity canticchiava distrattamente a se stessa tra le labbra serrate nei denti un vecchio motivetto ballabile, battendo la punta di un piede fasciato di bassi scarpini tintinnanti, col viso un po’ piegato su un lato: la regina che gli restituiva lo sguardo era nostalgica, pensosa. Succede, dopo una certa età.

Si perde la freschezza, l’innocenza.

Per quanto il volto resti giovane è l’animo, inevitabilmente, a mutare.

Se avesse incontrato oggi quella ragazzina infantile, buffa e spensierata di pochi decenni prima quanto avrebbe avuto a che spartire con lei, si domandava pigramente lasciando scorrere un dito lungo il contorno di quel pallido viso di cristallo: molto all’apparenza, poco nello spirito si rispondeva tra sé e sé mentre continuando a cantare quella buffa canzone da bambini tra le sopracciglia le si formava una sottile ruga d’espressione. La cosa non mancava di turbarla. Benché fosse stata avvertita di quanto accadesse ai membri della famiglia reale la consapevolezza di non invecchiare non l’aveva entusiasmata come avrebbe pensato: quello sguardo che a tratti si faceva freddo, maturo, sul viso da bimba le pareva un abominio. Per rifuggirlo, per nascondere tutto questo da qualche recesso di se stessa, aveva cominciato ad appellarsi agli specchi.

In cerca di occhi innocenti.

Di un sorriso aperto, dolce e confidente.

Di quel vecchio entusiasmo onesto e quell’incrollabile fiducia nel prossimo.

Facendo leva sulle braccia si era raddrizzata in preda a una subitanea ispirazione e un volto fiero e risoluto incorniciato da lunghi capelli biondi sospinti all’indietro le era venuto incontro dalle ante della porta mentre si faceva strada fuori dalle stanze da letto reali con due manate decisamente poco regali, ma che servirono allo scopo. Aggirandosi con sicurezza in quella labirintica costruzione che le aveva fatto perdere più volte l’orientamento aveva snobbato il percorso più breve e quindi più facile per la sua destinazione, optando invece più lungo ma con l’innegabile pregio di essere poco frequentato a quell’ora da domestici e similari ficcanaso. Percorse la tenue penombra di un ambiente illuminato di tenui bagliori cerulei a lunghe falcate energiche mentre il suono dei suoi passi le rimbombava intorno, rimbalzando tra pareti e perdendosi contro l’alto soffitto avvolto nel buio, schiudendo le labbra in un timido sorriso prima a destra poi a sinistra, in direzione di quelle figure gemelle vestite di un bianco talmente splendente che parevano brillare di luce propria.

Stava diventando proprio brava.

Persino la ricercatezza di un rossore di guance appena accennato.

Nonostante il profondo tumulto interiore che la invadeva pareva un riso innocuo e sincero che avrebbe ingannato persino sua madre. Controllando di tanto in tanto alla fedele superficie riflettente che il tutto non si trasformasse in una smorfia disgustata lo mantenne solidamente, rallentando il passo, fino ad arrivare alla Sala di Preghiera, dove lo rivolse a due solerti guardie di piantone prima di complimentarsi con loro per l’ottimo lavoro svolto, al punto che permise loro di prendersi una meritata notte di riposo. Nascose il tremore delle mani dietro le pieghe del vestito, nel ricevere altezzosamente un inchino grato e devoto da parte dei due, e attese che voltassero l’angolo lasciandola sola prima recarsi pian piano al suo interno, con titubanza reverenziale.

Luci di un malva caldissimo ad accoglierla.

L’argento brillante del suo cristallo nella teca preziosa foderata di velluto.

La stanza, piccola e di pianta circolare, era completamente spoglia se non si contava il piedistallo su cui poggiava la preziosa gemma e l’acqua che, immancabile, circondava lo spazio di preghiera. Da sempre, la regina ricordava una struttura del genere anche a Silver Millennium, l’acqua e la luna venivano considerate intimamente connesse l’una all’altra: si credeva che il potere di questo elemento riuscisse a incrementare i magici poteri di quel gioiello straordinario. Nessuno aveva mai condotto degli studi a sostegno di questa tesi e nel frattempo la povera regina era costretta ad assolvere ai propri doveri inginocchiata nell’acqua come un pescatore di paese. Sua madre la regina Serenity lo faceva, le regine di Silver Millennium prima di lei lo avevano fatto, non c’era modo di scampare a quella condanna, più che altro perché l’acqua non si sapeva da dove provenise ma ipotizzava dal Polo Nord visto che raggiungeva temperature infime). Luna era stata categorica in merito e a nulla erano valse le proteste della regina, seppur a suo avviso piuttosto logiche, che era capitato ben raramente di combattere nella vicinanza di fiumi, laghi o fontanelle del parco, eppure il suo dovere il Cristallo lo aveva sempre fatto più che discretamente.

Serenity aveva rabbrividito al primo contatto dei piedi nudi con il liquido, osservando il proprio riflesso deformato nella concavità della teca con le mani affondate con forza nelle pieghe del tessuto delle sue vesti fino a sentire il tessuto penetrarle nelle carni. La bocca era stretta in una linea esangue e sulla fronte le sopracciglia le si erano accartocciate in una ruga d’espressione pensosa.

- Faccio ancora in tempo a lasciar perdere. – aveva sussurrato paurosamente a se stessa dando voce a quel viso irresoluto. – In fondo non è questa grande idea. Lo ripeté a se stessa molte volte come un mantra, ma le gambe parevano incollate al suolo. Rimase lunghi istanti in attesa di quel coraggio che la riportasse sui suoi passi, finché un nome si fece prepotentemente strada in lei.

Quello che l’aveva guidata fin lì.

- Mamo-chan…

Il Cristallo, obbediente ai desideri del cuore della sua detentrice, mostrò nella superficie increspata dell’acqua smossa dai lembi delle gonne della sovrana uno scorcio dei giardini, e un piccolo gazebo sotto il quale un uomo e un felino candido come la neve si perdevano in piacevoli chiacchiere tra amici tra una sigaretta e l’altra, un vecchio vizio che proprio non voleva perdere. Parevano non aspettare nessun altro. Serenity ridacchiò sospirando come se le mancasse il respiro e il suo sollievo assunse la forma di un vapore evanescente che arzigogolò con grazia verso l’aria; quella sera, quando Endymion l’aveva abbandonata dopo poche incomprensibili parole perso in cupe meditazioni aveva temuto che ci fosse di mezzo una donna, ma adesso quei timori che l’avevano guidata fin lì nel cuore della notte, sembravano d’improvviso sciocchi anche se la sua ansia aveva basi perfettamente razionali.

Perché se era vero che, come diceva Luna, Briana Flores aveva 9 anni era altrettanto vero che Azalea Hédérvary ne aveva 20; Irina Andreevna 16; Rebecca Hernandez 25. Figlie adolescenti e senza preoccupazioni tutte languidità e innocenza. Troppe mogli di secondo letto altrettanto giovani e lasciate sole per troppo tempo da mariti impegnati. Anche lei era sempre molto impegnata. Il parallelismo non mancava di turbarla, aveva sentito troppi pettegolezzi di corte. Una scorsa veloce a quei fascicoli dateli da Luna ed era impazzita.

Erano tutte troppo belle.

Aveva trascorso notti insonni rosicata dal dubbio, indecisa sul da farsi, finché non aveva supplicato Venus di pedinare il sovrano dal momento che temeva un complotto ai suoi danni, col risultato di gettare il Palazzo nel caos e di fare la figura della pazza.

Sciacquando via quei cupi pensieri aveva indugiato un istante a contemplare il volto del suo re, bello come la prima volta in cui vi aveva posato lo sguardo.

Vinta dalla curiosità tese l’orecchio per udirne le parole e ne inorridì.

- In via ipotetica – stava domandando al suo ascoltatore. - Se un re divorzia da sua moglie…

 

 

*

 

 

Quando era giovane non le sarebbe mai accaduto di dare così tanta importanza a quelle parole. Le avrebbe bollate come sciocchezze, probabilmente vi avrebbe riso oppure, arrivando proprio alle ipotesi più improbabili, non avrebbe nemmeno collegato il discorso a loro due, se non altro perché re e regina non lo erano ancora. Di certo non l’avrebbero ridotta a quell’ammasso caotico di coperte imbevute di lacrime che Endymion aveva trovato al suo ritorno dai giardini.

Nell’udire lo scricchiolio sommesso della porta si era immobilizzata d’istinto, come morta, fingendo di essere immersa in un sogno ignaro. Una parte di lei avrebbe voluto che lui si accorgesse di qualcosa per toglierle questo peso che le schiacciava il cuore ma a quel punto cosa avrebbe potuto spiegargli, che l’aveva spiato in un momento d’intimità?

Avrebbe capito?

Nella notte, stretta tra quelle braccia forti senza riuscire ad avvertirne il calore aveva continuato a piangere in silenzio e l’arrivo della luce di un nuovo giorno non aveva portato consiglio come si era aspettata ma una nuova risolutezza assieme a occhi rossi e gonfi decisamente poco regali, ma nulla che un po’ d’acqua fredda non riuscisse a sciacquare via almeno in parte.

Lei non aveva alcuna intenzione di farsi lasciare da quell’uomo.

E comunque, se il divorzio fosse stato proprio inevitabile, non sarebbe accaduto alle sue condizioni.

 

 

*

 

Tsukino Fusai no Jingi Naki Tatakai

Fine Capitolo 2

 

*

 

 

Il cantuccio di Sophie: Mi sa che metto le mani avanti e anticipo che per il prossimo capitolo non ho proprio nessuna idea su dove voglia andare a parare a parte il titolo e uno scambio di battute che mi dà l’idea di una cosa più scorrevole e che a me personalmente ha fatto piegare dal ridere. Ma io rido anche alle barzellette di Pierino di 40 anni fa quindi non è che sia dotata di un umorismo proprio fine. Insomma, l’aggiornamento potrebbe stentare anche perché voglio provare a riprendere in mano Sakura che come tutti ormai sapranno è l’equivalente letterario amatoriale di un parto senza epidurale ma tant’è. I capitoli troppo lunghi mi sfiancano, non sono avvezza. Per protesta mi darò alle drabble. Come sempre grazie a chi legge, a chi apprezza e a chi commenta. Con menzione particolare a chi fa tutte e tre le cose, hahaha! :D

Visto? Umorismo di patata.
   
 
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