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Autore: invocations    11/02/2011    2 recensioni
Le piacciono le docce bollenti. Postgame, Squall e Rinoa a casa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rinoa Heartilly, Squall Leonheart
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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W I N T E R
scritta da invocations, tradotta da Alessia Heartilly

In notti d'inverno come queste, le piace fare doccie bollenti. Calde abbastanza da sentire lo spruzzo che le sbatte con forza contro la pelle (fino nel sangue), sentire il vapore che riempie la cabina e guardarlo spargersi nel bagno, sapendo che scivola fuori da sotto la porta come nebbia. Chiude gli occhi e può quasi sentirsi trascinare via sotto l'acqua, più calda ma confortevole quando un grembo. È calda abbastanza da sapere che quando uscirà, lo specchio sarà appannato e potrà disegnarci sopra con dita artificiosamente calde.

A volte, se si sente sciocca da testa fra le nuvole, lo trascina qui e lo fa giocare a tris sullo specchio con lei. Non è che a lui dia terribilmente fastidio, permetterle di persuaderlo a partecipare mentre ha addosso solo un asciugamano striminzito. Non può mai scrollarsi di dosso la sensazione di avere ancora sei anni mentre sta lì in piedi accanto a lei, segnando la sua mossa con un dito preciso e solenne.

Ma lui non c'è oggi; quando esce dalla doccia, lo sente muoversi nella stanza accanto. Il leggero spostamento dei suoi pensieri è un mero stormire alla periferia della sua mente, come una penna che corre su un foglio. È occupato, percepisce. Sembre un passo avanti, sempre pianificando. La stagione fredda segna il periodo più pieno di lavoro per lui, bandendolo nel suo ufficio ingrato più spesso del solito. Fa notevolmente più freddo senza di lui, e lei disegna una bocca con gli angoli all'ingiù sul suo riflesso.

Traccia attentamente i suoi lineamenti nel vapore sullo specchio, aggiungendo occhi, naso, capelli. L'umore di tutti sembra farsi vagamente grigio, in questo periodo. Per lo meno a Trabia c'è neve da scalciare e gettare, pattinaggio sul ghiaccio da fare. Qui, ci sono solo gelidi venti marini e pioggia. A lei non dà fastidio la vita tranquilla di qui, ma odia vedere tutti al Garden che diventano inquieti col freddo. Non c'è nessun posto dove andare, niente da fare in una piccola città portuale nata con l'estate in mente. A volte escono tutti insieme per cenare in città, ma lei odia fare il viaggio di ritorno in macchina nella notte scivolosa, e se pensa troppo e troppo a lungo -

(macchinachescivolasiaccartoccia)

- scuote la testa e disegna dei baffi sul suo riflesso.

Fa troppo freddo per stare lì in piedi a fare scarabocchi - getta un'occhiata al piccolo orologio appeso all'angolo superiore dello specchio. Le undici. Conta su di lui per avere un orologio in ogni stanza, pensa. Pulisce lo specchio con alcuni colpi veloci della mano. In notti in cui la temperatura scende tagliente come un coltello affilato, lei elude il freddo con spessi maglioni spugnosi e lunghi pantaloni di flanella. Altrimenti, sa che (gelerebbe) - avrebbe terribilmente freddo. Lui fa sempre un sorrisetto quando lei va a dormire con i calzini.

Oggi, ha iniziato prima con un vago e involontario sorrisetto. Lei lo spia mentre esce dal bagno, facendogli un sorriso luminoso, e un confortevole odore di sapone mentre gli passa accanto. Per un momento, lui la guarda frugare nel suo cassettone, prendere i calzini, e filare dritta a letto. È come un piccolo animale che ha visto una volta, che si trascinava in un posto scaldato dal sole dove rimaneva immobile per ore. Nota che anche lei è così, e lo stupisce che lei possa rimanere immobile a letto per ore. Lo sa; ha guardato.

"Pensavo che solo i rettili avessero il sangue freddo," dice calmo. Lei gli fa una linguaccia, mentre ripone questo raro momento con gli altri suoi rari momenti, come perle su una collana rada.

"Solo perché tu non hai freddo," borbotta. Ed è vero, pensa, sbadigliando. Mentre lei desidera accendere il termostato in notti come queste, sa che sarà troppo soffocante per lui, che non sente mai il freddo.

Lo guarda, mentre solo in quel momento si infila un maglione. Sembra desideroso, pronto ad andare anche se nessun altro lavora a quest'ora. Il pensiero la fa sospirare, e si tira le coperte addosso, creando l'impressione di uno scarafaggio troppo cresciuto seduto in un bozzolo di coperte. Lo guarda mentre si ripiega ordinatamente gli orli delle maniche del suo maglione (simmetriche) con un'intensità divertita; lui lo sente e si volta a guardarla, il suo viso una domanda silenziosa.

"Verrai presto? Potrei davvero servirmi del calore del corpo..." La sua voce canticchia con il suo sorriso stanco e lui ricambia con il suo, piccolo e genuino. La scalda, anche se è accompognato da un gesto di scuse della mano.

"Ho del lavoro da sbrigare. Tu dormi." Lei annuisce, troppo sonnolenta per protestare, e si infila sotto la sua caverna di coperte. Sente un vago fruscio di carta - faldoni, crede - e il rumore della maniglia che gira.

Una pausa pesante significa che lui è ancora lì - e di sicuro, lei può sentire il sentiero leggero e attento della sua mente. Con le coperte tirate su fino al naso, sa che quello che lui vede quando guarda il loro letto: solo due occhi chiusi e un ciuffo di capelli in disordine. I suoi occhi rifiutano di aprirsi al suono leggero di lui che prende fiato, pronto a una domanda, e lei aspetta. È stretto dalla preoccupazione e lei pensa che possa essere importante. E poi, lui è il suo guerriero fiero e leale.

"Ti sei messa le calze?"

Un piccolo movimento da bozzolo dice sì. "Sissiore," dice la sua voce soffocata. Pensa di sentirlo ridere, un mero fruscio di grigio-argento nella sua testa, prima che lui chiuda la porta dietro di sé.

Mentre si rannicchia e si stringe le mani al corpo, si chiede se lui dimentica la piccola eternità incastonata del vetro, che si appanna non per il vapore ma per freddo bruciante. Gelare. La velocità con cui il vetro era diventato opaco l'aveva spaventata, e sapeva vagamente che c'era solo lei, sola in quel freddo che affondava e incapace di godersi l'ultimissimo sguardo. Solo un bianco tremendo.

Era proprio come avere ancora cinque anni, legata con la cintura nel seggiolino da bambino con la boccuccia che raspava caldo contro il finestrino mentre si pensa a quanto è tranquilla la propria madre. La macchina diventa fredda più in fretta, d'inverno. Il respiro crea un cerchio dai bordi irregolari sul finestrino, più veloce di quanto si pensi, e non ci si può disegnare sopra come si fa di solito perché si ha le braccia imprigionate contro i fianchi. Si intorpidisce, fissando il bianco che cresce.

Questa simmetria dell'inverno la spaventa, se ci pensa abbastanza. Dentro al vestro limitante della cabina doccia, almeno, il caldo che la colpisce come pugnali, come spilli, la conforta, la scalda, le permette di muoversi. Non c'è bianco, solo il rosso del caldo che preme sulle palpebre (dentro al suo stesso sangue). Somiglia alla penitenza per qualcosa di sconosciuto, e cancella, rende interi.

Somiglia al calore che le è scivolato nella coscienza come un segreto, un secondo dopo l'inciampo da bambino fuori dalla camera di congelamento e dentro un abbraccio caldo di pelle. Preme un sorriso appena accennato contro le coperte. Non importa. Ha sempre odiato il freddo, pensa, prima di scivolare nel sonno.

Non nota che lui rientra nella stanza pochi momenti dopo, guanti tranquilli che accendono il riscaldamento della stanza prima di tornare al suo ufficio a passi regolari.

Lui non se ne dimentica mai.

   
 
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