Titolo: Non è un addio
Pairing:
Teddy / Victoire
Altri
personaggi: Fleur Delacour, Bill Weasley, Dominique
Weasley, Louis Weasley
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale
Rating: Verde
Introduzione: Victoire Weasley riceve una serie di lettere anonime da un ammiratore misterioso. Sembra essere qualcuno che la conosce molto, forse troppo, bene. Sentendosi spiata decide d’istinto di allontanarsi da Villa Conchiglia, ma quella fuga la porta ad incontrare proprio la persona da cui stava cercando di scappare…
Beauty queen of only eighteen
She had some trouble with herself
He was always there to help her
She always belonged to someone else
Victoire Weasley, per sua sfortuna, non era una ragazza come le
altre.
Lo aveva
intuito anni prima, quando
durante il suo primo anno
trascorso ad Hogwarts era stata eletta Reginetta del Ballo del Ceppo.
Aveva
continuato a crederlo, mentre
nei corridoi della scuola e
per le strade tentava di sfuggire gli sguardi insolenti di uomini e
ragazzi che
sembravano non riuscire a
vedere altro
che lei.
Ne aveva
avuto la conferma quel
giorno, aprendo una delle tante
lettere che la civetta Deianira aveva lasciato cadere sul tavolo della
colazione.
I cereali
che si era appena infilata
in bocca, un’infinita
cucchiaiata colma di cereali, erano
stati risputati nella ciotola dalla sorpresa. Le sopracciglia di suo
padre si
erano inarcate, le labbra di sua madre si erano strette e le risate dei
suoi
fratelli si erano alzate.
“Vicky,
io ti amo. Non mi
importa se non ti sei mai accorta di me,
anche se sono sempre stato pronto ad aiutarti. Non mi importa se sei
sempre
stata tra le braccia di qualcun altro, anche se io ti ho voluta fin dal
primo
momento. Non mi importa. Io ti amo, questo è quello che
conta.”
I
drove for miles and miles
And wound up at your door
I've had you so many times but somehow
I want more
Era un
bigliettino anonimo, uno dei
tanti.
Victoire
Weasley non sapeva cosa ci
fosse di diverso in quella
scrittura, ma qualcosa le suggeriva che colui che l’aveva
inviato fosse una
persona speciale.
Gli
sguardi dei suoi famigliari
esprimevano una morbosa curiosità
che non le fece per niente piacere. Con un gesto nervoso, Victoire
raccolse
tutte le lettere a lei destinate e se le strinse al petto dirigendosi
nella
privacy della sua stanza.
Una volta
chiusa la porta, si
sentì decisamente meglio. Era una
persona molto riservata, non le piaceva che gli altri mettessero il
naso tra le
sue cose. Soprattutto tra certi fogli che risultavano spesso e
volentieri
compromettenti.
“Ho
sorvolato lande desolate
e immensi laghi per poterti
raggiungere, per poter bussare alla tua porta. Sì, ti ho
già avuta stretta al
mio petto infinite volte, ma mai come avrei voluto. Voglio di
più.”
La
ragazza rabbrividì, al
pensiero che quel misterioso ammiratore
segreto potesse essere lì ad osservarla, in quel momento.
Era sdraiata a pancia
in giù sul letto, coperta solo da un leggero vestitino
estivo la cui gonna –
colpa della posizione – lasciava in bella vista i suoi glutei
torniti, adornati
da un paio di caste mutandine rosa. Le sue guance avvamparono, Victoire
si
affrettò a lisciare la stoffa sulle sue gambe e a lanciare
uno sguardo
apprensivo verso la finestra. Si sentiva spiata, si sentiva violata
nell’intimo. Forse quelle parole appena lette avevano il solo
scopo di metterla
in agitazione, forse non erano vere, ma lei come avrebbe potuto esserne
certa?
I don't mind spending everyday
Out on your corner in the pouring rain
Look for the girl with the broken smile
Ask her if she wants to stay awhile
And she will be loved
She will be loved
“Non
mi importa dover
passare ore e ore sotto le intemperie, mia
dolce Vicky. Il sole, la pioggia incessante, la grandine non mi
fermeranno.
Sarò sempre lì, davanti al cancello di Villa
Conchiglia, pronto ad osservarti
senza che tu possa vedermi, ammirando il tuo sorriso incerto.
Attenderò il
momento per chiederti se vorrai stare in mia compagnia, ma non ne
avrò il
coraggio. Ma io ti amerò, di questo puoi starne
certa.”
Erano
frasi affettuose, quelle che
stava leggendo, ma il sospetto
che l’autore potesse essere un pazzo squilibrato le
attanagliava il petto e le
rendeva difficile respirare. Non era la prima lettera di amore che le
veniva
rivolta, ma mai nessuno aveva osato citare il nome della sua dimora,
mai
nessuno aveva minacciato di rimanere per sempre davanti alla sua casa
ad
attendere che lei uscisse.
Le
sembrava così strano che
qualcuno la conoscesse così bene, era
come se la sua vita fosse stata messa sotto lo sguardo pubblico. Si sentiva spiata,
violata nell’intimità.
Inquieta.
Tap on my window knock on my door
I want to make you feel beautiful
I know I tend to get so insecure
It doesn't matter anymore
Tenne
basso lo sguardo sulle carte che
ricoprivano ormai l’intera
superficie del suo piumone rosa confetto. Aveva paura, il suo cuore non
dava
adito a dubbi, ma non l’avrebbe detto ai suoi genitori
– né tantomeno ai suoi
fratelli o ai suoi parenti. Solo Merlino poteva immaginare cosa sarebbe
venuto
fuori se James, o Albus, o chi per loro fosse venuto a conoscenza delle
parole
scritte in quella lettera. Probabilmente avrebbero ingaggiato una
squadra di Auror
per ricercarne l’autore e, una volta trovato,
l’avrebbero sottoposto alle
peggiori torture magiche, tra cui inghiottire lo stufato di zia
Hermione.
Victorie
non riuscì a
trattenere un sorrisetto divertito davanti a
quella immagine, ma subito le sue labbra si strinsero in una smorfia
spaventata
quando sentì che qualcosa
stava tamburellando
alla finestra.
Non
c’era nulla, al di
là del vetro, solo l’immenso giardino di
Villa Conchiglia. E un gufo.
La
ragazza aprì la finestra
con mani tremanti e strappò
letteralmente via dalle zampe del povero volatile la lettera che vi era
appesa,
per poi richiuderlo fuori. Staccò il sigillo, e si
avventò avida sulle parole
vergate elegantemente sulla pergamena. La calligrafia era sempre la
stessa.
“Voglio
che tu ti senta
bella, Victoire. Tu sei bella, l’ho sempre
pensato. Non te l’avevo mai detto perché tendo ad
essere insicuro, davanti a
te, ma questo non conta più. Sei bella, bellissima, meravigliosa!”
Le sue
guance si fecero di porpora,
mentre la sua mente elaborava
quei complimenti deliziosamente espliciti. Una mano bussò
alla sua porta,
facendola sussultare violentemente.
“Vicky!
Va tutto
bene?”
Dominique.
Avrebbe fatto domande a cui lei non poteva rispondere. Prese rapida una
borsa,
vi spinse dentro tutti i fogli, la chiuse e se la mise a tracolla.
Forse
lasciare Villa Conchiglia
proprio in quel momento non era la
cosa più assennata da fare, ma di certo era quella che le
era venuta spontanea.
Era
giusto così, lo diceva il
suo cuore.
It's not always rainbows and butterflies
It's compromise that moves us along, yeah
My heart is full and my door's always open
You can come anytime you want
Aprì
la porta con forza,
vide Dominique indietreggiare spaventata
per non essere colpita. Nel movimento perse l’equilibrio e cadde a terra, ma lei non
si fermò per
aiutarla a rialzarsi. Si fiondò giù per la scale,
il cuore che batteva forte,
fortissimo. Fece in tempo a vedere solo due macchie bionde e una
macchia rossa
in cucina, prima di uscire finalmente da quelle quattro mura.
Continuò a
correre, presa da una strana voglia di fuggire lontano, incespicando
nella
ghiaia del vialetto, sferzata dalla pioggia che scrosciava impietosa su
di lei
e sul mondo intero, senza mai cadere. Quando arrivò davanti
al cancello era
bagnata fradicia, ma non le importava. Vide che nonostante il tempo
pessimo
qualcuno era seduto stoicamente sulla spiaggia, e il suo sesto senso le
diceva
che quel qualcuno era l’autore delle lettere.
Uscì
dal territorio del suo
giardino, quello protetto da ogni
pericolo, e si diresse lentamente verso il lido. Era pieno giorno, ma
sembrava
che la notte avesse deciso di prendere il sopravvento: enormi nuvole
nere
cariche di rabbiosa pioggia coprivano il cielo, percosse dalla violenza
del
vento. Non c’erano stelle, solo l’inquietante
penombra del temporale. In
quell’oscurità, un lampo sferzò il
cielo. Una chioma color cobalto risaltò
nitida in contrasto con la sabbia bagnata, portando il cuore di
Victoire
all’apoteosi del timore. Era ormai a pochi centimetri dalla
figura misteriosa,
se fosse stata saggia sarebbe tornata di corsa in casa, ma il dubbio le
tormentava il petto. La curiosità ancora di più.
“Sei
coraggiosa,
Vicky…”
Una voce
morbida accarezzò
le sue orecchie, una voce che ancora
non aveva volto ma che era certamente una delle più dolci
che lei avesse mai
sentito.
“Tu…
sei tu,
Teddy?”
Il
ragazzo si voltò verso
di lei, con le labbra piegate in un
sorriso incerto. Annuì lentamente, senza accennare altri
movimenti, e in quel
momento il suo ciuffo blu cadde rovinosamente sui suoi occhi suscitando
una
risatina da parte di Victoire.
“Avrei
voluto offrirti
qualcosa di più romantico di un temporale
sulla spiaggia per il nostro incontro, magari un bel picnic sotto il
sole in un
prato circondato da farfalle, magari un scenario con
l’arcobaleno nel cielo,
ma…”
“E’
perfetto
così, Teddy” replicò lei, bloccandogli
le parole in
gola “Pensavo mi avessi dimenticata, sai?”
“Non
lo farei mai!”
Il suo
tono indignato venne
sottolineato dal boato di un tuono
poco distante e dal conseguente sobbalzo di Victoire. Si sentiva
così
sollevata, dopo tutta la paura che aveva provato in quelle ultime ore,
che il
suo corpo era pronto a scattare alla minima sollecitazione.
“Spero
di non averti
disturbata, Vicky, volevo solo vederti…”
continuò il ragazzo, questa volta alzandosi in piedi e
passandosi timidamente
la mano tra i capelli fradici di pioggia “Forse è
meglio che vada, non voglio
costringerti qua fuori e non voglio disturbare i
tuoi…”
Victoire
gli prese il polso con dolce
fermezza, costringendolo a
guardarla dritto negli occhi.
“La
mia porta per te
è sempre aperta, Teddy caro. Sai che puoi
venire da noi quando vuoi, in qualsiasi momento, perché
è il mio cuore ad avere
bisogno di te… dai, seguimi!”
I know where you hide
Alone in your car
Know all of the things that make you who you are
I know that goodbye means nothing at all
Comes back and begs me to catch her every time she falls
La
seguì docilmente, come
se lui fosse stato un bambino intimorito
e lei l’insegnante premurosa, senza accorgersi che si erano
allontanati da
Villa Conchiglia. Avevano percorso tutta la piccola spiaggia correndo,
schivando gli scogli e i rami trascinati sulla riva dalla tempesta,
fino a
risalire di nuovo sopra una piccola collinetta verdeggiante sormontata
da
qualche sparuto alberello. Sotto la vegetazione, nascosta come una
chiocciola
tra le foglie di insalata, c’era l’auto di
Victoire. Era l’unica tra tutti i
cugini Weasley ad aver deciso di prendere la patente di guida Babbana.
Lo aveva
fatto per nonno Arthur: lei gliel’aveva promesso quando aveva
sette anni e da
brava nipotina aveva fatto di tutto per accontentarlo.
“Entra,
avanti” lo
invitò la ragazza con un cenno della testa, dopo
aver schiacciato il pulsante di apertura “Ormai dovresti
sapere che non ti
mangia.”
Teddy
obbedì,
entrò nell’abitacolo dell’auto e si
sedette sul
morbido sedile celeste del passeggero. Victoire si affiancò
a lui, appoggiò le
mani sul volante e rimase con lo sguardo fisso davanti a sé.
Il rumore della
pioggia che tamburellava sopra di loro era insopportabile, in quel
silenzio. Il
ragazzo si chiese cosa avesse spinto Vicky a passare senza preavviso
dalla
dolcezza a quell’espressione così rigida. Lei non
fece attendere a lungo una
spiegazione.
“Sei
solo di passaggio come
al solito, vero?”
La sua
voce era carica di dolore e di
rassegnazione, Teddy si
sentì stringere lo stomaco in una morsa al pensiero che
tutto quello fosse una
conseguenza del suo ritorno. Avrebbe voluto mentirle, dirle che non era
solo la
tipica ‘toccata e fuga’, ma a cosa sarebbe servito?
Quella bugia non avrebbe
avuto tempo di nascere e sarebbe già morta.
“Volevo
vederti, Vicky, ne
avevo bisogno… e ora che questo mio
desiderio è stato esaudito sento che forse sarebbe stato
meglio se fossi
rimasto lontano, se non avessi dato alla nostra passione nessuna chance
per
riaccendersi…”
La
ragazza non rispose, si
limitò a rivolgere verso di lui i suoi
occhi chiari e a stringere le labbra con evidente rimprovero. Teddy non
capì se
lo biasimasse per essere tornato o se fosse contraria alle sue ultime
parole.
“Allora
addio. Ogni attimo
che trascorrerò con te ora, mi provocherà giorni
di sofferenza in futuro, lo so. E io sono stanca di soffrire. Vai
via.”
Snocciolò
quelle brevi
frasi con tono automatico, come se neanche
lei ci credesse poi molto, ma con una spietata freddezza che aveva come
obiettivo quello di ferirlo e non farlo tornare mai più. Lo
amava, ma non lo
voleva più vedere. Sentiva che sarebbe stato meglio
così. Si era detta numerose
volte che continuare a coltivare un amore in condizioni sfavorevoli
sarebbe
stato sciocco, che l’unica soluzione che le avrebbe permesso
di essere felice
sarebbe stato estirpare quello stesso amore.
“Theodore
Remus Lupin, sono
seria. Vai via.”
I
lineamenti del ragazzo fremettero
sotto quelle parole taglienti,
i suoi capelli sbiadirono in un grigio azzurrognolo che si mimetizzava
con il
colore delle nuvole nel cielo. Prese un respiro, un ultimo respiro, del
profumo
intenso della sua Victoire. Pensò di baciarla, ma si
trattenne.
“Mi
dispiace, Vicky. Ma sai
che dire addio non significa niente
per me, niente…
tornerò sempre da te,
quando avrai bisogno…”
Teddy
aprì la portiera,
scese dall’auto, lasciò che la pioggia
sferzasse il suo viso e il suo corpo, desiderò di soffrire
per aver fatto
soffrire Victoire. Camminò lentamente, lontano da lei,
lasciando che il suo
cuore sentisse tutto il dolore della distanza che si faceva sempre
più grande
tra di loro.
Avrebbe
voluto piangere, ma non lo
fece. Aveva deciso che avrebbe
versato lacrime solo quando sarebbe stato certo di non poterla rivedere
mai
più.
Quando
avrebbe detto un addio, un
autentico addio. E sentiva che
quello non lo sarebbe stato.