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Autore: Lady Lynx    12/02/2011    3 recensioni
Victoire Weasley riceve una serie di lettere anonime da un ammiratore misterioso.
Sembra essere qualcuno che la conosce molto, forse troppo, bene. Sentendosi spiata decide d’istinto di allontanarsi da Villa Conchiglia, ma quella fuga la porta ad incontrare proprio la persona da cui stava cercando di scappare…
Genere: Mistero, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Teddy Lupin, Victorie Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Titolo: Non è un addio

Pairing: Teddy / Victoire

Altri personaggi: Fleur Delacour, Bill Weasley, Dominique Weasley, Louis Weasley

Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale

Rating: Verde

Introduzione: Victoire Weasley riceve una serie di lettere anonime da un ammiratore misterioso. Sembra essere qualcuno che la conosce molto, forse troppo, bene. Sentendosi spiata decide d’istinto di allontanarsi da Villa Conchiglia, ma quella fuga la porta ad incontrare proprio la persona da cui stava cercando di scappare…

Canzone: She will be loved – Maroon 5



Beauty queen of only eighteen
She had some trouble with herself
He was always there to help her
She always belonged to someone else

 
Victoire Weasley, per sua sfortuna, non era una ragazza come le altre.

Lo aveva intuito anni prima, quando durante il suo primo anno trascorso ad Hogwarts era stata eletta Reginetta del Ballo del Ceppo.

Aveva continuato a crederlo, mentre nei corridoi della scuola e per le strade tentava di sfuggire gli sguardi insolenti di uomini e ragazzi che sembravano non riuscire  a vedere altro che lei.

Ne aveva avuto la conferma quel giorno, aprendo una delle tante lettere che la civetta Deianira aveva lasciato cadere sul tavolo della colazione.

I cereali che si era appena infilata in bocca, un’infinita cucchiaiata colma di cereali, erano stati risputati nella ciotola dalla sorpresa. Le sopracciglia di suo padre si erano inarcate, le labbra di sua madre si erano strette e le risate dei suoi fratelli si erano alzate.

“Vicky, io ti amo. Non mi importa se non ti sei mai accorta di me, anche se sono sempre stato pronto ad aiutarti. Non mi importa se sei sempre stata tra le braccia di qualcun altro, anche se io ti ho voluta fin dal primo momento. Non mi importa. Io ti amo, questo è quello che conta.”

I drove for miles and miles
And wound up at your door
I've had you so many times but somehow
I want more

Era un bigliettino anonimo, uno dei tanti.

Victoire Weasley non sapeva cosa ci fosse di diverso in quella scrittura, ma qualcosa le suggeriva che colui che l’aveva inviato fosse una persona speciale.

Gli sguardi dei suoi famigliari esprimevano una morbosa curiosità che non le fece per niente piacere. Con un gesto nervoso, Victoire raccolse tutte le lettere a lei destinate e se le strinse al petto dirigendosi nella privacy della sua stanza.

Una volta chiusa la porta, si sentì decisamente meglio. Era una persona molto riservata, non le piaceva che gli altri mettessero il naso tra le sue cose. Soprattutto tra certi fogli che risultavano spesso e volentieri compromettenti.

“Ho sorvolato lande desolate e immensi laghi per poterti raggiungere, per poter bussare alla tua porta. Sì, ti ho già avuta stretta al mio petto infinite volte, ma mai come avrei voluto. Voglio di più.”

La ragazza rabbrividì, al pensiero che quel misterioso ammiratore segreto potesse essere lì ad osservarla, in quel momento. Era sdraiata a pancia in giù sul letto, coperta solo da un leggero vestitino estivo la cui gonna – colpa della posizione – lasciava in bella vista i suoi glutei torniti, adornati da un paio di caste mutandine rosa. Le sue guance avvamparono, Victoire si affrettò a lisciare la stoffa sulle sue gambe e a lanciare uno sguardo apprensivo verso la finestra. Si sentiva spiata, si sentiva violata nell’intimo. Forse quelle parole appena lette avevano il solo scopo di metterla in agitazione, forse non erano vere, ma lei come avrebbe potuto esserne certa?


I don't mind spending everyday
Out on your corner in the pouring rain
Look for the girl with the broken smile
Ask her if she wants to stay awhile
And she will be loved
She will be loved

 

“Non mi importa dover passare ore e ore sotto le intemperie, mia dolce Vicky. Il sole, la pioggia incessante, la grandine non mi fermeranno. Sarò sempre lì, davanti al cancello di Villa Conchiglia, pronto ad osservarti senza che tu possa vedermi, ammirando il tuo sorriso incerto. Attenderò il momento per chiederti se vorrai stare in mia compagnia, ma non ne avrò il coraggio. Ma io ti amerò, di questo puoi starne certa.”

Erano frasi affettuose, quelle che stava leggendo, ma il sospetto che l’autore potesse essere un pazzo squilibrato le attanagliava il petto e le rendeva difficile respirare. Non era la prima lettera di amore che le veniva rivolta, ma mai nessuno aveva osato citare il nome della sua dimora, mai nessuno aveva minacciato di rimanere per sempre davanti alla sua casa ad attendere che lei uscisse.

Le sembrava così strano che qualcuno la conoscesse così bene, era come se la sua vita fosse stata messa sotto lo sguardo pubblico. Si sentiva spiata, violata nell’intimità. Inquieta.

Tap on my window knock on my door
I want to make you feel beautiful
I know I tend to get so insecure
It doesn't matter anymore

 

Tenne basso lo sguardo sulle carte che ricoprivano ormai l’intera superficie del suo piumone rosa confetto. Aveva paura, il suo cuore non dava adito a dubbi, ma non l’avrebbe detto ai suoi genitori – né tantomeno ai suoi fratelli o ai suoi parenti. Solo Merlino poteva immaginare cosa sarebbe venuto fuori se James, o Albus, o chi per loro fosse venuto a conoscenza delle parole scritte in quella lettera. Probabilmente avrebbero ingaggiato una squadra di Auror per ricercarne l’autore e, una volta trovato, l’avrebbero sottoposto alle peggiori torture magiche, tra cui inghiottire lo stufato di zia Hermione.

Victorie non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito davanti a quella immagine, ma subito le sue labbra si strinsero in una smorfia spaventata quando sentì che qualcosa stava tamburellando alla finestra.

Non c’era nulla, al di là del vetro, solo l’immenso giardino di Villa Conchiglia. E un gufo.

La ragazza aprì la finestra con mani tremanti e strappò letteralmente via dalle zampe del povero volatile la lettera che vi era appesa, per poi richiuderlo fuori. Staccò il sigillo, e si avventò avida sulle parole vergate elegantemente sulla pergamena. La calligrafia era sempre la stessa.

“Voglio che tu ti senta bella, Victoire. Tu sei bella, l’ho sempre pensato. Non te l’avevo mai detto perché tendo ad essere insicuro, davanti a te, ma questo non conta più. Sei bella, bellissima, meravigliosa!

Le sue guance si fecero di porpora, mentre la sua mente elaborava quei complimenti deliziosamente espliciti. Una mano bussò alla sua porta, facendola sussultare violentemente.

“Vicky! Va tutto bene?”

Dominique. Avrebbe fatto domande a cui lei non poteva rispondere. Prese rapida una borsa, vi spinse dentro tutti i fogli, la chiuse e se la mise a tracolla.

Forse lasciare Villa Conchiglia proprio in quel momento non era la cosa più assennata da fare, ma di certo era quella che le era venuta spontanea. Era giusto così, lo diceva il suo cuore.

It's not always rainbows and butterflies
It's compromise that moves us along, yeah
My heart is full and my door's always open
You can come anytime you want

Aprì la porta con forza, vide Dominique indietreggiare spaventata per non essere colpita. Nel movimento perse l’equilibrio  e cadde a terra, ma lei non si fermò per aiutarla a rialzarsi. Si fiondò giù per la scale, il cuore che batteva forte, fortissimo. Fece in tempo a vedere solo due macchie bionde e una macchia rossa in cucina, prima di uscire finalmente da quelle quattro mura. Continuò a correre, presa da una strana voglia di fuggire lontano, incespicando nella ghiaia del vialetto, sferzata dalla pioggia che scrosciava impietosa su di lei e sul mondo intero, senza mai cadere. Quando arrivò davanti al cancello era bagnata fradicia, ma non le importava. Vide che nonostante il tempo pessimo qualcuno era seduto stoicamente sulla spiaggia, e il suo sesto senso le diceva che quel qualcuno era l’autore delle lettere.

Uscì dal territorio del suo giardino, quello protetto da ogni pericolo, e si diresse lentamente verso il lido. Era pieno giorno, ma sembrava che la notte avesse deciso di prendere il sopravvento: enormi nuvole nere cariche di rabbiosa pioggia coprivano il cielo, percosse dalla violenza del vento. Non c’erano stelle, solo l’inquietante penombra del temporale. In quell’oscurità, un lampo sferzò il cielo. Una chioma color cobalto risaltò nitida in contrasto con la sabbia bagnata, portando il cuore di Victoire all’apoteosi del timore. Era ormai a pochi centimetri dalla figura misteriosa, se fosse stata saggia sarebbe tornata di corsa in casa, ma il dubbio le tormentava il petto. La curiosità ancora di più.

“Sei coraggiosa, Vicky…”

Una voce morbida accarezzò le sue orecchie, una voce che ancora non aveva volto ma che era certamente una delle più dolci che lei avesse mai sentito.

“Tu… sei tu, Teddy?”

Il ragazzo si voltò verso di lei, con le labbra piegate in un sorriso incerto. Annuì lentamente, senza accennare altri movimenti, e in quel momento il suo ciuffo blu cadde rovinosamente sui suoi occhi suscitando una risatina da parte di Victoire.

“Avrei voluto offrirti qualcosa di più romantico di un temporale sulla spiaggia per il nostro incontro, magari un bel picnic sotto il sole in un prato circondato da farfalle, magari un scenario con l’arcobaleno nel cielo, ma…”

“E’ perfetto così, Teddy” replicò lei, bloccandogli le parole in gola “Pensavo mi avessi dimenticata, sai?”

“Non lo farei mai!”

Il suo tono indignato venne sottolineato dal boato di un tuono poco distante e dal conseguente sobbalzo di Victoire. Si sentiva così sollevata, dopo tutta la paura che aveva provato in quelle ultime ore, che il suo corpo era pronto a scattare alla minima sollecitazione.

“Spero di non averti disturbata, Vicky, volevo solo vederti…” continuò il ragazzo, questa volta alzandosi in piedi e passandosi timidamente la mano tra i capelli fradici di pioggia “Forse è meglio che vada, non voglio costringerti qua fuori e non voglio disturbare i tuoi…”

Victoire gli prese il polso con dolce fermezza, costringendolo a guardarla dritto negli occhi.

“La mia porta per te è sempre aperta, Teddy caro. Sai che puoi venire da noi quando vuoi, in qualsiasi momento, perché è il mio cuore ad avere bisogno di te… dai, seguimi!”


I know where you hide
Alone in your car
Know all of the things that make you who you are
I know that goodbye means nothing at all
Comes back and begs me to catch her every time she falls

 

La seguì docilmente, come se lui fosse stato un bambino intimorito e lei l’insegnante premurosa, senza accorgersi che si erano allontanati da Villa Conchiglia. Avevano percorso tutta la piccola spiaggia correndo, schivando gli scogli e i rami trascinati sulla riva dalla tempesta, fino a risalire di nuovo sopra una piccola collinetta verdeggiante sormontata da qualche sparuto alberello. Sotto la vegetazione, nascosta come una chiocciola tra le foglie di insalata, c’era l’auto di Victoire. Era l’unica tra tutti i cugini Weasley ad aver deciso di prendere la patente di guida Babbana. Lo aveva fatto per nonno Arthur: lei gliel’aveva promesso quando aveva sette anni e da brava nipotina aveva fatto di tutto per accontentarlo.

“Entra, avanti” lo invitò la ragazza con un cenno della testa, dopo aver schiacciato il pulsante di apertura “Ormai dovresti sapere che non ti mangia.”

Teddy obbedì, entrò nell’abitacolo dell’auto e si sedette sul morbido sedile celeste del passeggero. Victoire si affiancò a lui, appoggiò le mani sul volante e rimase con lo sguardo fisso davanti a sé. Il rumore della pioggia che tamburellava sopra di loro era insopportabile, in quel silenzio. Il ragazzo si chiese cosa avesse spinto Vicky a passare senza preavviso dalla dolcezza a quell’espressione così rigida. Lei non fece attendere a lungo una spiegazione.

“Sei solo di passaggio come al solito, vero?”

La sua voce era carica di dolore e di rassegnazione, Teddy si sentì stringere lo stomaco in una morsa al pensiero che tutto quello fosse una conseguenza del suo ritorno. Avrebbe voluto mentirle, dirle che non era solo la tipica ‘toccata e fuga’, ma a cosa sarebbe servito? Quella bugia non avrebbe avuto tempo di nascere e sarebbe già morta.

“Volevo vederti, Vicky, ne avevo bisogno… e ora che questo mio desiderio è stato esaudito sento che forse sarebbe stato meglio se fossi rimasto lontano, se non avessi dato alla nostra passione nessuna chance per riaccendersi…”

La ragazza non rispose, si limitò a rivolgere verso di lui i suoi occhi chiari e a stringere le labbra con evidente rimprovero. Teddy non capì se lo biasimasse per essere tornato o se fosse contraria alle sue ultime parole.

“Allora addio. Ogni attimo che trascorrerò con te ora, mi provocherà giorni di sofferenza in futuro, lo so. E io sono stanca di soffrire. Vai via.”

Snocciolò quelle brevi frasi con tono automatico, come se neanche lei ci credesse poi molto, ma con una spietata freddezza che aveva come obiettivo quello di ferirlo e non farlo tornare mai più. Lo amava, ma non lo voleva più vedere. Sentiva che sarebbe stato meglio così. Si era detta numerose volte che continuare a coltivare un amore in condizioni sfavorevoli sarebbe stato sciocco, che l’unica soluzione che le avrebbe permesso di essere felice sarebbe stato estirpare quello stesso amore.

“Theodore Remus Lupin, sono seria. Vai via.”

I lineamenti del ragazzo fremettero sotto quelle parole taglienti, i suoi capelli sbiadirono in un grigio azzurrognolo che si mimetizzava con il colore delle nuvole nel cielo. Prese un respiro, un ultimo respiro, del profumo intenso della sua Victoire. Pensò di baciarla, ma si trattenne.

“Mi dispiace, Vicky. Ma sai che dire addio non significa niente per me, niente… tornerò sempre da te, quando avrai bisogno…”

Teddy aprì la portiera, scese dall’auto, lasciò che la pioggia sferzasse il suo viso e il suo corpo, desiderò di soffrire per aver fatto soffrire Victoire. Camminò lentamente, lontano da lei, lasciando che il suo cuore sentisse tutto il dolore della distanza che si faceva sempre più grande tra di loro.

Avrebbe voluto piangere, ma non lo fece. Aveva deciso che avrebbe versato lacrime solo quando sarebbe stato certo di non poterla rivedere mai più.

Quando avrebbe detto un addio, un autentico addio. E sentiva che quello non lo sarebbe stato.

 

  
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