Capitolo 1.

Il cappuccino mi è rimasto sullo stomaco.
E' il secondo che bevo, probabilmente ne ho presi troppi.
Ma dopo tutto stare qui sdraiata sul divano non è la cosa migliore.
Decido di alzarmi, ma dove posso andare?
Mi aggiro per questa stanza triste e vuota. Per me è vuota. Anzi, sarebbe meglio che lo fosse.
Mi viene da piangere, così esco in corridoio e passando dal salottino vado nel giardinetto interno.
Fa freddo, sono a braccia scoperte. Non m'interessa. Mi siedo sul bordo della fontana che lentamente cambia colore dando un po' di tenue luce all'acqua scrosciante.
E' rilassante osservare quel movimento, quel ricambio continuo.
Immergo lentamente le dita nell'acqua gelida.
Le lacrime mi appannano gli occhi, lascio che scorrano veloci e taglienti sulle mie guance fredde.
Sono tutto ciò che ho di caldo, ma pure loro mi stanno abbandonando, come hanno fatto tutti.
Gli unici che stanno ancora al mio fianco sono coloro che non mi hanno mai tradito e di loro mi fido ciecamente.
Le mani iniziano a farmi male per il freddo e deciso così di entrare.
Si chiude la porta dietro di me, capisco che la gente nel salottino si è accorta del mio pianto silenzioso, ma velocemente mi rifugio ancora in quella stanza.
Chiudo la porta e lentamente scivolo fino a terra.
Abbraccio le mie gambe e osservando quella figura dall'altro lato della stanza ricomincio a piangere: quello non è vivere.
Essere perennemente sdraiati in un letto dormienti ed essere attaccati a delle flebo che ti che ti nutrono e che ti danno i medicinali giorno e notte non è vivere.
Potrebbe essere un atto e un pensiero egoista, ma preferirei che fosse morto.
Quello non è mio padre. Non è più lui.
Il padre che avevo era sempre solare, non si abbatteva mai e anche quando riceveva delle pessime notizie trovava il modo di continuare, di andare avanti, con il sorriso.
Ma ora dov'è? Dov'è il padre premuroso che avevo? Dov'è?