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Autore: sprl1199    13/02/2011    4 recensioni
Richiesto il suo aiuto in un caso riguardante una giovane cameriera assassinata in una ricca tenuta, Sherlock si ritrova ad investigare nel bel mezzo di segreti, fantasmi, un'inopportuna influenza, e John. (Rielaborazione in chiave moderna de "L'enigma di Reigate". Sherlock/John pre-slash. Traduzione a cura di Madame Butterfly.)
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sally Donovan , Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono creazioni della premiata ditta Moffat/Gatiss. I diritti appartengono alla BBC e la seguente fic non vuole lederli in alcun modo. L'autrice non guadagna niente dalla pubblicazione della stessa.

Note dell'autore. Questa storia è un adattamento in chiave moderna de "L'enigma di Reigate" mixato con una rielaborazione del fantasma che in XXXHolic compare negli episodi "Temptation" e "Choice". E, giusto per far vedere quanto sono brava a plagiare, c'è pure un pizzico di Poe.

(Traduzione a cura di Madame Butterfly - link al permesso di traduzione qui - la storia originale la potete trovare a questo indirizzo. E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)




3.


L'aria fresca e frizzante fu d'aiuto - anche se si ritrovò subito a tremare di nuovo, se mai aveva smesso - e presto riacquistò il controllo del suo respiro.

Il fatto che il rantolo nel suo petto fosse peggiorato rispetto a prima era irrilevante.

La temperatura dell'aria stava scendendo sempre di più mentre il sole autunnale calava all'orizzonte. Lo aiutava a raffreddare la rabbia e, quando entrò nel parco, si sentì ormai calmo.

Lei era ancora lì. Si rese conto che avrebbe dovuto sentirsi più sorpreso per la sua assenza di sorpresa (erano passate quasi sette ore, dopotutto), ma l'aria sembrava essersi drappeggiata intorno a lui come una coperta e alla fine si sentì solo in qualche misura intorpidito.

Non ricordava di essere avanzato verso di lei ma, quando fu ancora una volta seduto al suo fianco, il suo volto si girò verso di lui come aveva fatto quel mattino.

"Santi numi, hai un aspetto terribile," sussultò lei, apparendo preoccupata. "Sei malato?"

Si mosse lentamente, rivelando chiaramente le sue intenzioni mentre sollevava una mano e la appoggiava sulla fronte di Sherlock. Lui rimase fermo e la lasciò fare.

La posizione gli ricordò immediatamente e dolorosamente le volte in cui sua madre aveva fatto lo stesso, quando era piccolo. Si era ammalato spesso nel periodo invernale, essendo stato un bimbo abbastanza gracile, ma la sensazione della sua mano sulla fronte l'aveva sempre sentita come una benedizione.

Come se avesse potuto portar via la malattia solo con il suo tocco e la sua presenza.

"Non sei caldo. Ma forse dovresti prenderti lo stesso del tempo per riposare."

Lui aprì gli occhi, non essendosi accorto di averli chiusi. La sua mano riposava ancora gentilmente sulla sua fronte e, quando i loro occhi si incontrarono, lei gli sorrise, muovendola lentamente a spostargli un ricciolo ribelle dietro l'orecchio. Il respiro gli si fermò in gola, creando un nodo di qualcosa di indistinto fatto in egual parte di emozione e ricordo.

Faceva male, e sentì un vivo desiderio di qualcosa che non era capace di esprimere.

"Non stancarti troppo," disse lei. I suoi occhi erano stranamente intensi e l'espressione era triste mentre guardava in su verso di lui.

"Sto bene," le disse. E poi ancora, "Sto bene."

Si chiese vagamente chi stesse cercando di convincere.


**


Quando John lo trovò, stava seduto su un mucchio di sassi sul marciapiede appoggiato al muro esterno del parco senza memoria di come ci fosse arrivato. La notte era scesa del tutto, anche se dalla piccola folla di pedoni che si erano radunati a guardare, poté concludere che non fosse troppo tardi.

Spinse via la mano di John e si rimise in piedi senza assistenza, raddrizzando ferocemente le gambe e rifiutando di mostrare quanto improvvisamente debole si sentiva. Si stiracchiò e finse uno sbadiglio per buona misura.

"Perché ci hai messo tanto?" chiese.

John era completamente inespressivo, ma a questa uscita la sua espressione si mutò istantaneamente in rabbia.

"Sei un idiota! Ti ho cercato dappertutto! Che diavolo è successo?"

Sherlock mantenne il viso calmo e rilassato. "Ho avuto una discussione con il sergente Donovan e sono uscito a camminare per schiarirmi la mente. Non volevo tornare alla casa, così ho deciso di aspettarti qui."

John gesticolò violentemente. "E come avrei potuto sapere che eri qui? Telepatia?"

Sherlock si strinse nelle spalle. "Avrei chiamato ma mi hai requisito il telefono."

John lo fissò per un momento, costernato. "Sali sul taxi," ordinò infine a denti stretti, indicando il veicolo fermo accanto al bordo del marciapiede.

Sherlock lo fece, notando nel frattempo che nonostante la temperatura aveva smesso di tremare.


**


John gli offrì con insistenza minestra e tè una volta arrivati a casa. Lui fece del suo meglio per mandarne giù abbastanza a placare la preoccupazione del suo coinquilino, ma aveva lo stomaco gelato e stretto in un nodo e non voleva saperne della zuppa di lenticchie riscaldata che stava tentando di infilarci. Un'ora dopo (durante la quale John era rimasto ad osservarlo come un falco con le palpebre sempre più pesanti), si portò il vassoio in camera promettendo di mandar giù più che poteva del cibo restante. Se John non fosse stato un morto in piedi, probabilmente non gli avrebbe permesso di uscire dalla cucina.

Il cibo diventò rapidamente freddo sul pavimento mentre si rigirava nel letto. Era sopra le coperte stavolta, l'aria fredda dell'appartamento non lo infastidiva, al contrario sembrava cullarlo.

Sognò sua madre.

I suoi capelli erano stati scuri come i suoi, ma più setosi, e cadevano in onde lucenti sulle sue spalle, tanto che da bambino a Sherlock erano sembrati ali di corvo.

Sapeva intellettualmente che i suoi occhi erano stati blu, ma trovò la sua memoria insufficiente per ricordarsi la loro esatta sfumatura. Quella mancanza lo rattristava.

Aveva di nuovo sei anni e stava appollaiato sul sedile del pianoforte con sua madre dietro di lui mentre suonava diligentemente una melodia dal suo testo di musica. Lei sorrideva e quando terminò di suonare lo attirò a sé a riposare il capo sopra il suo cuore.

"Il legame tra una madre e il suo bambino è indistruttibile," disse, ma quando guardò in su verso di lei non era più sua madre ma la donna del parco.

Lei sorrise alla sua confusione e gli toccò gentilmente una guancia con dita pallide. Il freddo sprigionato dal suo tocco gli corse attraverso tutto il corpo e - mentre si sentiva trasformare in ghiaccio - si chiese assurdamente se sarebbe stato preso per una scultura di ghiaccio. E in quel caso se sarebbe stata una che a John sarebbe potuta piacere.

Si svegliò all'alba e stette supino a guardare il soffitto mentre tutti gli indizi andavano al loro posto.


**


Questa volta sia Lestrade che Sally aspettavano il loro arrivo alla tenuta dei Cunningham.

Mentre lui e John li raggiungevano al portone d'ingresso, Sherlock fu costretto a fermarsi mentre veniva assalito da un altro eccesso di tosse. Stavolta i brividi che gli torturarono il petto furono estremamente violenti, e si portò una manica del cappotto a coprire la mano, come un bambino, usando il tessuto come fazzoletto di fortuna.

Gli rimase in bocca un retrogusto di sangue.

"Stai bene?" chiese John, preoccupato, girandosi a guardarlo. Gli era stato intorno per tutta la mattina e adesso aveva una posa come si stesse preparando ad andare verso Sherlock e prendergli le pulsazioni o qualche altra stupidaggine da dottore. Sherlock si raddrizzò di riflesso, ruotando il polso così che la macchia scura di sangue - nera in contrasto con il cappotto - venne nascosta contro il suo fianco.

"Sto bene," disse bruscamente.

Sally sbuffò, incapace di nascondere del tutto la sua preoccupazione, essendo ella una persona estremamente empatica che percepisce le emozioni in maniera fin troppo forte. Non si era aspettato che la sua empatia si estendesse fino a lui, ma scoprì che non gli importava affatto. "Tu non stai per niente bene, strambo. Tirarci giù dal letto a quest'ora del mattino. Sarà meglio che tu abbia qualcosa di concreto o - malato o meno - ti prendo a sberle prima di arrestarti per molestie."

Sherlock non si premurò di rispondere. Sapeva che Lestrade e John si aspettavano una risposta tagliente ma semplicemente non aveva la forza di rispondere per le rime.

Invece sollevò una mano e bussò alla porta, il rimbombo che echeggiava attraverso il vecchio edificio.


**


Su insistenza di Sherlock, radunarono la famiglia Cunningham nella biblioteca. Come durante il precedente colloquio, Alec si appoggiò al caminetto mentre suo padre camminava avanti e indietro. Delia Cunningham stava nervosamente seduta su un divano mentre l'anziana Mrs. Cunningham pretese una sedia decorata vicino alla finestra e si sedette con aria regale.

Sally e Lestrade rimasero in piedi dietro il divano e Sherlock si ritrovò al centro della stanza; John era una calda e solida presenza appena dietro alla sua spalla che gli dava la forza di evitare di barcollare leggermente. La testa gli doleva e il cuore gli batteva troppo rapido nel petto.

Si schiarì la gola per richiamare l'attenzione dei presenti e allo stesso tempo per soffocare un colpo di tosse.

"L'assassinio di Miss Billie Kirwan è stato commesso da una delle persone in questa stanza," disse senza preamboli, poi fece una pausa e attese una reazione. Non fu deluso.

"Oh, non di nuovo," udì gemere Sally, frase che fu coperta dal piccolo grido che si lasciò sfuggire Delia, seguito immediatamente dal rimprovero di controllarsi da parte di Mrs. Cunningham.

"Sta accusando la mia famiglia di questo crimine efferato, signore?" protestò Edgar Cunningham.

"Non tutti loro," disse Sherlock, asciutto. "In questo caso c'è un solo assassino."

Lestrade guardò automaticamente verso il vecchio Cunningham, gli occhi socchiusi in un'espressione sospettosa, ma Sherlock lo interruppe.

"No," disse. "Quell'uomo è un reprobo ma non è il responsabile dell'omicidio di Miss Kirwan."

L'ispettore apparì confuso, ma fu John a parlare. "Ma pensavo..." La voce si affievolì mentre Sherlock si voltava lentamente (quasi con rammarico) verso Mrs. Cunningham.

L'anziana donna sedeva con orgoglio sulla sedia dai bordi dorati, tenendo il suo bastone precisamente a novanta gradi rispetto al pavimento. I suoi freddi occhi blu fissarono direttamente quelli di Sherlock ma non disse nulla.

Edgar Cunningham sussultò e si mise in ginocchio accanto a lei, la voce soffocata. "Madre! Di che sta parlando? Ditegli che non siete stata voi!"

Lei guardò suo figlio aspramente. "Oh, sta calmo, sciocco! I tuoi isterismi mancano decisamente di dignità. Rimettiti subito in piedi."

Pallido e tirando su con il naso, lui ubbidì, raddrizzando le ginocchia e barcollando leggermente.

Alec sembrò semplicemente confuso. "La nonna? Pensa che mia nonna sia l'assassino? È ridicolo! Che motivo poteva avere? E comunque come può averlo fatto? Ha più di settant'anni!"

"Temo non occorra una grande forza fisica per sbilanciare una persona abbastanza da farla cadere giù da una precaria rampa di scale," disse Sherlock, calmo. "Un rapido colpo con un oggetto contundente, come il bastone che Mrs. Cunningham in questo momento sta stringendo così protettivamente, sarebbe stato più che abbastanza."

"Ma la testa della ragazza è stata fracassata!" sostenne Alec. "Certamente non crederà che mia nonna abbia potuto fare una cosa del genere? È assurdo!"

"Al contrario, Mr. Cunningham, è la spiegazione più logica. Nella notte in questione, Mrs. Cunningham combinò un incontro con Miss Kirwan, probabilmente nella sua camera da letto, anche se è possibile che lei intendesse fin dal principio attirarla in cima alle scale. Quando Miss Kirwan arrivò, Mrs. Cunningham attese un momento propizio e poi la sorprese colpendola alla testa con il suo bastone, facendola cadere dalle scale e in definitiva uccidendola."

"Ma perché?" Questa provenne da Sally, che nonostante la sua incredulità iniziale capiva molto bene come il mancato diniego di Mrs. Cunningham implicasse che era colpevole.

"Ricatto," disse Sherlock semplicemente. "Miss Kirwan stava cercando di ricattare la famiglia Cunningham e Mrs. Cunningham disperava di fermarla. Credo che inizialmente abbia cercato di persuadere o di intimidire Miss Kirwan perché lasciasse perdere il suo piano ma si sia rapidamente resa conto di non riuscirci. L'assassinio è stato una reazione poco creativa ma vantaggiosa."

Prima che chiunque potesse avere da ridire sull'insensibilità di quell'affermazione, John parlò.

"Che segreto stava nascondendo?" chiese, dimostrando la sua natura intuitiva volgendo lo sguardo (correttamente) verso Edgar e Alec Cunningham.

"La Cunningham Shipping and Export è in tremende ristrettezze finanziarie," confermò Sherlock.

"Invece di affrontare i loro creditori, Edgar e Alec Cunningham architettarono un piano di contrabbando che consisteva nel falsificare i documenti di trasporto per far si che indicassero che la nave trasportava più container di quelli che i loro clienti avevano in origine contrattato di far trasportare. I proprietari di quei container - proprietari di piccole aziende, immagino, altrimenti ci sarebbe stato un contrabbandiere o due sotto di loro - avrebbero pagato ai Cunningham direttamente il costo del trasporto, che loro avrebbero intascato."

Alec rise debolmente, appoggiato al caminetto, pallido. "Non ha prove. Sono accuse infondate."

Sherlock lo guardò fisso. "L'intera faccenda era una prova, non è così? In qualche modo, uno dei clienti che senza saperlo hanno pagato per dei container di cui erano all'oscuro, ha messo le mani su uno dei vostri documenti di trasporto falsificati. Preoccupati che ad un controllo si sarebbero accorti della discrepanza, avete messo in scena un furto allo scopo di sostituire il documento con uno che avesse riportato il quantitativo ordinato in origine. Mi sto riferendo, naturalmente, al furto dagli Acton, dove la vostra inettitudine come ladri ha reso evidente che c'era di più in quel crimine di un semplice furto. Nessun ladro che si rispetti ruberebbe un gomitolo di spago, due candelieri e un volume di Homer."

Alec appariva semplicemente confuso. "Io... Si sbaglia."

"Non mi sbaglio, e sono certo che una verifica accurata delle vostre registrazioni lo confermerà. Avrebbe potuto essere nient'altro che un semplice crimine finanziario, finché Billie Kirwan non scoprì il piano e stupidamente cercò di trarne profitto."

"Ma come?" La voce di Edgar era lamentosa. "Non poteva saperlo in nessun modo. Nessuno dei documenti ha mai lasciato l'ufficio." Non sembrò notare l'implicita confessione, ma quando Lestrade sollevò un sopracciglio alla sua domanda, sembrò rendersene conto.

"Vi è mai capitato di parlare di affari mentre eravate a casa?"

"Be’, sì," rispose Edgar, "ma mai mentre Miss Kirwan era presente."

"Di solito parlavate in questa stanza?"

"Sì."

"Magari mentre vi appoggiavate al caminetto come state facendo ora?"

"...Sì."

Sherlock annuì senza sorpresa. "Allora non sarà una sorpresa per voi il sapere che il tubo del caminetto a cui vi state appoggiando porta direttamente alla stanza di Miss Kirwan, e che trasporta le voci particolarmente bene."

"Certo!" disse John, che iniziava a capire. "I fantasmi che gli investigatori pensavano di aver sentito tanto tempo fa. Era il suono di chi si trovava in biblioteca che faceva eco su per il condotto." Guardò Sherlock con aperta ammirazione, causandogli un piccolo batticuore nel petto che non aveva niente a che vedere con il brivido che sembrava essersi insediato lì in via permanente.

"Miss Kirwan andò da Mrs. Cunningham raccontandole quello che sapeva, minacciando di portare allo scoperto la truffa se non le fosse stata data una parte dei profitti. Mrs. Cunningham deve aver sentito - correttamente, immagino - che il rischio che Miss Kirwan rivelasse il segreto era alto, anche offrendole denaro per tenere a freno la lingua. Piuttosto che permettere che il nome della sua famiglia fosse diffamato, e incapace di persuadere Miss Kirwan ad abbandonare il suo piano, scelse un approccio più mercenario al problema."

Al ricordo di quella giovane vita stroncata troppo presto, nella stanza ricadde il silenzio, tutti gli sguardi si volsero verso Mrs. Cunningham che stava ancora seduta in silenzio sulla sua sedia.

A quello scrutinio non fece una mossa, ricambiando lo sguardo di Sherlock con una delle sue occhiate fredde e inflessibili. Il suo viso non mostrava alcun rimorso per quello di cui era stata accusata.

"Non troverà alcun documento incriminante sia in questa casa che in ufficio, Mr. Holmes," disse improvvisamente Mrs. Cunningham, il suo sguardo freddo e sicuro. "Non c'è niente da trovare. Me ne sono assicurata."

Sherlock la guardò con apprezzamento, un'oscura parte di lui era impressionata dal suo impegno risoluto.

"Sono sicuro che l'ha fatto, signora," disse quietamente. "Per esperienza so che le madri farebbero cose inimmaginabili per i loro figli. Non mi aspettavo niente di meno."

John lo stava osservando con aria preoccupata, l'espressione che più volte aveva rivolto a Sherlock durante quel caso, ma questa volta senza alcun colpo di tosse. Qualcosa si chiuse nella gola di Sherlock quando realizzò che John lo conosceva abbastanza da capire quando era colto da un'emozione (be’, colto quanto poteva esserlo).

Ma rimaneva del lavoro da fare, così Sherlock lo liquidò con un cenno e attribuì quell'inaspettata malinconia al movente dell'omicidio.

"Bene, Lestrade, Donovan?" chiese sollevando un sopracciglio mentre faceva un gesto verso la matriarca della famiglia. "Fate il vostro dovere."

L'occhiata che ricevette prima che l'ispettore iniziasse con la famigliare formula di rito lo fece quasi sorridere.


**


Mrs. Cunningham parlò solo una volta dopo l'arresto iniziale, chiedendo che suo figlio telefonasse all'avvocato di famiglia perché li raggiungesse in centrale. Sherlock si appoggiò al muro esterno della tenuta mentre osservava Lestrade e Sally portarli via.

Non era ancora metà mattina ma Sherlock era completamente esausto, e chiuse gli occhi brevemente mentre si riposava contro la fredda pietra. Il suo intero corpo era pesante e greve ma la testa gli girava come si preparasse a prendere il volo. Si sentiva come diviso in due.

Tutto ad un tratto si ritrovò con una mano premuta fermamente contro la sua fronte. Aprì gli occhi, allarmato, e automaticamente tentò di indietreggiare, ma si bloccò quando realizzò chi lo stava toccando.

John stava di fronte a lui con un cipiglio pensieroso, come se posare una mano sulla fronte di Sherlock fosse un comportamento del tutto naturale nel loro rapporto. "Niente febbre. Sei sicuro di non avere altri sintomi a parte la tosse? Niente vertigini o nausea?"

Gli stava incredibilmente vicino. C'erano al massimo trenta centimetri tra loro. Era simile all'esperienza che aveva vissuto con la sua compagna del parco, ma la sensazione che suscitò dentro di lui era molto, molto diversa.

Sherlock si rese conto che stava trattenendo il respiro e si sforzò di espirare e inspirare normalmente.

"No," rispose in ritardo. "No, solo la tosse."

"Be’, hai un aspetto terribile," disse John con aria dispiaciuta. "Adesso che il caso è chiuso, insisto che tu vada a letto immediatamente e che rimanga lì. Magari guarda la tivù mentre io procuro della zuppa calda. Farà bene alla tua gola."

Sherlock inorridì sentendo che gli occhi iniziavano a pungergli. Si voltò bruscamente nel caso una qualche manifestazione fisica della sua stanchezza e della sua inusuale emozione fosse visibile.

"Suona delizioso," disse debolmente.

"Ora sono davvero preoccupato, considerando che 'delizioso' è difficilmente una parola che mi aspetterei di sentire da te," disse John, ironico (anche se i suoi occhi comunicavano la verità della sua affermazione). "Lasciami recuperare il cappotto e poi prendiamo un taxi."

Si allontanò risoluto, lasciando l'area intorno a Sherlock più fredda e buia per la sua assenza. Sherlock chiuse gli occhi, rimpiangendo più di quanto poteva esprimere di non essere in grado di seguire subito John.

Ma l'assassino di Billie Kirwan non era stata l'unica rivelazione che aveva avuto la notte prima, e c'era qualcosa che doveva fare.

Scivolò fuori dalla proprietà senza che nessuno lo notasse.


**

Il cancello arrugginito si aprì al suo tocco, come aveva fatto negli ultimi due giorni, e attraverso l’apertura poté vedere lei seduta con grazia sulla panchina del parco.

Mentre le andava incontro, le parole di John echeggiarono nella sua memoria con acuti dettagli: l'inflessione della sua voce, la preoccupazione scritta chiaramente sul suo volto. Non c'erano artifici in John, rifletté. Era una delle innumerevoli cose che Sherlock adorava di lui.

È solo che non voglio che tu ti imbatta in qualcosa che non hai mai visto prima... che non hai preso in considerazione, e venga colto di sorpresa.

Si chiese distrattamente perché ci aveva messo tanto a capire cosa stava accadendo. Lo sciroppo per la tosse che John lo aveva forzato a prendere doveva aver rallentato i suoi processi mentali. Una simile mancanza di deduzione era inaccettabile.

Si fermò di fronte a lei. Il vento gelido sferzava intorno a loro, frustando la sua sciarpa e i suoi capelli in una danza sfrenata.

Lei guardò in su verso di lui, gli occhi tristi e gentili, ma non sorrise.

"Non ti siedi?" chiese, piegando il capo leggermente da un lato.

Sherlock abbassò gli occhi a terra. Le sue scarpe, che lei aveva infilato di poco sotto la panchina, erano bianche e raffinate. Le foglie volteggiavano intorno ai suoi piedi con la brezza, danzando gioiosamente e senza un’orbita definita.

Non aveva ombra.

Semplicemente non voglio che tu ti faccia male.

"Non posso più farti visita," disse Sherlock lentamente. "C'è qualcuno che mi aspetta. Mi dispiace molto ma io..."

"Capisco," lo interruppe lei, ora sorridendo gentilmente. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Forse era per quella ragione che improvvisamente sembravano blu, invece della sfumatura di grigio che Sherlock era sicuro fossero. "Tu non appartieni a questo posto. Io... Io ero così sola, ma questa non è una scusa. Non avrei mai dovuto chiederti di incontrarmi. È stato il mio egoismo."

"Non solo tuo," rispose lui. "Grazie. Grazie di avermi permesso di condividere la tua solitudine per un po'."

Lei scosse la testa alle sue parole. "Non ringraziarmi. Tu sei un bravo ragazzo. Un animo buono. Meriti qualcosa di meglio di una vita di solitudine. Anche se mi mancherai terribilmente."

Quindi chiuse gli occhi e le lacrime che si erano formate le scivolarono giù per il viso, lasciando ghiaccio sul loro percorso. "Ti prego, perdonami."

"Sempre," disse Sherlock con tono soffocato, incapace di alzare la voce più di un sussurro di fronte al suo dolore.

"Sherlock!" chiamò John da qualche parte al di là della staccionata. Sembrava agitato e Sherlock si voltò automaticamente verso il cancello. "Qui, John!" rispose.

Quando guardò nuovamente verso la panchina del parco, lei se n'era andata.

Se ne stava ancora lì fermo, fissando la panchina vuota, quando John lo trovò.

"Scappare senza dire niente a nessuno è una qualche sorta di nuova abitudine di cui dovrei essere informato?! Sei pazzo o stai cercando di farti venire una polmonite?"

"Mi dispiace," Sherlock rispose immediatamente, interrompendolo.

John sembrò meravigliato da quelle scuse inusuali e si avvicinò a lui a passo più lento, come avesse paura di spaventarlo.

L'ironia di quel pensiero fece sorridere Sherlock.

"Ehi, stai bene?" chiese John, toccandogli gentilmente la spalla mentre lo raggiungeva. Le sue dita erano splendidamente calde e Sherlock non poté far altro che appoggiarsi leggermente a lui. Non che avesse tentato di impedirselo. Per la prima volta dopo giorni, il blocco di ghiaccio che gli si era insediato nel petto iniziò a sciogliersi.

"Sto bene," disse con sincerità.

"Be’, d’accordo allora," disse John, dubbioso, voltando entrambi verso il cancello. "Ma non sei in condizione di startene fuori con questo tempo. Non andrai più bene a nessuno se svieni."

"Andrei comunque bene per te," disse Sherlock, sorridendo mentre permetteva a John di guidarlo fuori dal parco. "Sono abbastanza sicuro che andrò sempre bene per te."

John arrossì profondamente e distolse lo sguardo, imbarazzato, ma tenne la mano sulla spalla di Sherlock e rafforzò la stretta.

"Sì, be’, dunque," disse John, schiarendosi la gola. "Casa?" In risposta, Sherlock spalancò il cancello con galanteria.

E insieme si mossero per tornare al trambusto di Londra.



FINE.





---


Note della traduttrice. Questa che avete letto è stata la mia prima traduzione e sono davvero felice di aver iniziato con una fanfic così meritevole :D Tradurla è stato un vero piacere e spero che sia stato piacevole per voi leggerla. Vi ringrazio per essere arrivati fino alla fine e un enorme grazie a chi ha commentato.
Alla prossima traduzione (eh sì, ci sto prendendo gusto e non credo smetterò qui XD)
Vostra,
Madame Butterfly
  
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