Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: Nyappy    14/02/2011    2 recensioni
Chi è Alfredo?
Nelle carte di Oscar Wilde si ritrova questo nome, citato di sfuggita come per un pezzo da collezione non particolarmente brillante ma che si deve possedere per forza.
Ma Alfredo non è solo un nome. E' stato carne, sangue, emozioni, una storia.
[Tratta di tematiche forti come la prostituzione] [Può essere realmente accaduto, purtroppo]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Alfredo non era ancora avvezzo al lavoro. Nel suo piccolo e roccioso quartiere di Genova si iniziava presto a darsi da fare per aiutare economicamente la famiglia, e lui non aveva fatto eccezione; sapeva a malapena leggere e scrivere, e a metà della sua quarta elementare il padre aveva deciso che sapeva già abbastanza e che era tempo per lui di lavorare. Quanti anni erano passati da allora?
Nonostante questo ogni giorno, passando davanti all’Hotel Bellevue, nome francese che storpiava sempre, si chiedeva perché a lui toccasse lavorare e servire i ricchi che si divertivano in quella bella costruzione piena di fiori e statue.
-Sbrigati che dopo devi passare a prendere il pane!-, lo sgridava sempre Martino, un ragazzotto più grande che era da tutti considerato un grande lavoratore.

-Madre, come state?-, era una domanda di cortesia, pura formalità.
Sua madre stava male da troppo tempo ormai.
All’inizio si era trattato di un semplice malessere dovuto al lavoro pesante ed ai residui di caldo di settembre, ma ormai erano settimane che la donna era costretta a letto, delirante.
-Graziella, Graziella…-, mormorò flebile lei, chiamando la figlia, e subito Alfredo corse fuori dalla stanza per portarle la piccola, impegnata a fare le aste su un quaderno malridotto.
Non appena vide il fratello entrare in cucina posò il pennino e si affrettò a seguirlo, senza che ci fosse bisogno di parlare. Quanto giudizio in una bambina di appena sette anni!
Quando la piccola Graziella si accostò al capezzale materno trovò la donna addormentata, sprofondata in un sonno inquieto ed agitato.
-Non si può chiamare un dottore?-, aveva chiesto con speranzosa ingenuità ad Alfredo, che si era limitato ad accarezzarle la testa.
I dottori costavano, e non potevano permettersi nemmeno il tirocinante nuovo del signor Rocca.
Aveva visto quattro fratellini morire perché i soldi non erano nemmeno sufficienti per una visita, ed ora che la madre era stata licenziata, solo gli stipendi dei due uomini di famiglia sostenevano quella casa.
-Il dottore…-, iniziò con voce rotta, -Verrà presto, vedrai.-
E con questa rassicurazione, Graziella tornò alle sue aste.

Quando ad Alfredo veniva concessa una pausa, lui si ritrovava a bighellonare per la piazza del paese, seduto vicino alla fontana di marmo bianco. Di solito parlava con Martino o Roberto, ma aveva da poco fatto conoscenza di Edoardo, un ragazzo per metà francese che aveva l’abitudine di sedersi poco lontano dalla fontana e notarlo solo dopo un po’; Edoardo era strano: anche se iniziava a spirare un venticello freddo non rinunciava ai calzoni corti blu scuro e la camicia aperta, come se avesse sempre caldo. Aveva sempre con sé gelati o granite, dolci così costosi che Alfredo aveva assaggiato per la prima volta solo grazie alla sua generosità.
-Com’è che ne hai sempre una e non lavori?-, aveva detto un giorno al suo amico adocchiando il bicchiere di carta nelle mani di Edoardo, -Rubi?-
Ma questo aveva riso, divertito, e non si era offeso.
-Hai detto giusto, lavoro. Sono un navigatore.-, era stata la risposta di Edoardo.
Alfredo si era messo a pensare quanto dovesse guadagnare per potersi mantenere e comprare ogni giorno gelati così dispendiosi, poi gli venne in mente che Edoardo poteva essere orfano, e quindi libero di disporre in modo autonomo dei propri soldi.
“Se non ci fosse Graziella”, si ritrovò a pensare, “Il pane sarebbe meno, ed il medico verrebbe…”
Scosse violentemente la testa, scacciando questi pensieri malvagi, mentre Edoardo sorseggiava con calma l’ormai sciolta granita.

Un giorno gli era stata concessa una pausa più lunga ma in ritardo, dato che si era ritrovato ad aiutare Martino per quasi un’ora in assenza dell’altro ragazzo, Michele.
Quando arrivò in piazza non scorse che da lontano i ricci biondi di Edoardo, con le spalle cinte dal braccio di un uomo alto ed elegante che camminava vicino a lui; erano diretti all’Albergo Firenze, ed Alfredo rimase un po’ inquieto osservando quei due entrare.
Quello era il padre di Edoardo? O lo zio? Se Edoardo aveva parenti vestiti così bene, perché i suoi abiti blu continuavano ad essere leggeri ed inadatti all’ormai inoltrato ottobre?
Scrollò le spalle, stringendosi nella sua giacchetta troppo stretta.

La mattina, uscendo dalla Messa mano nella mano con Graziella, davvero troppo piccola per la sua età e sempre a rischio di essere calpestata, Alfredo intravide Edoardo parlare con un uomo elegante, forse lo stesso del giorno prima. Questo era appoggiato alla fontana e sembrava prestare poca attenzione alla folla che usciva dalla chiesa. Quando Edoardo scorse Alfredo accompagnato dalla bambina lo salutò, ricambiato, e l’uomo distolse per la prima volta lo sguardo dal ragazzo per posarlo sui fedeli, che non ritenne più interessanti di un secondo.

-Chi era quel signore elegante con cui parlavi ieri?-, l’uomo aveva suscitato abbastanza curiosità in Alfredo, che si immaginava fosse un misterioso parente ricchissimo.
-Un amico.-, rispose Edoardo, lasciando l’amico di sasso.
Amico? Un ragazzino poteva davvero essere amico di un rispettabile signore benvestito?
Edoardo sembrava essersi accorto dell’incredulità dell’altro, e si affrettò ad aggiungere, divertito:
-E’ lui che mi dà i soldi, anche se dice sempre che dovrei comprarmi una camicia nuova.-
-Te li regala così?-, ad Alfredo sfuggivano i meccanismi di quella strana amicizia.
Edoardo sembrò preso in fallo, -Beh, diciamo di sì. Me li dà ogni volta che sto con lui.-, e questa generica risposta lo salvò.

-Sta peggiorando.-, fu il lapidario commento di suo padre a cena.
La moglie stava sempre peggio, i soldi scarseggiavano, chiamare un medico sarebbe stato impossibile.
-Che fare?-, rimaneva ingenuo Alfredo, si costringeva nella sua ingenuità, e suo padre sospirò in risposta.
-Graziella era troppo piccola per lavorare, e non sapeva ancora fare i conti. Era indispensabile nella vita imparare almeno quelli.
Un doppio lavoro gli pareva la scelta più leggera per il resto della famiglia.

Il giorno dopo Alfredo trovò Edoardo sempre al solito posto, questa volta con del pane e formaggio, e non riuscì a non sfogarsi.
La situazione era tragica, e non solo dal suo punto di vista, ma venne ascoltata da Edoardo con un sorriso, contro ogni previsione.
-So io cosa devi fare.-, lo rassicurò con l’aria di uno che sapeva il fatto suo.
-Domani chiedi di avere una pausa doppia e lavora di più la mattina. Quando vieni qua…-, e si fermò per squadrarlo meglio,
-Arrotolati i pantaloni e apriti la giacca. Quando vedi il mio amico passare vagli incontro e seguilo, vedrai che ti darà i soldi per il medico.-
-Sembra davvero facile.-, notò Alfredo dubbioso.
-Lo sarà.-, gli predisse Edoardo rialzandosi.

In realtà per riuscire a fare una pausa doppia il giovedì, Alfredo aveva dovuto rinunciare a quella degli altri giorni, e aspettava con un misto d’impazienza e curiosità quell’evento.
Edoardo non c’era, e lui era seduto alla fontana, stretto nella sua giacca. Aprirla?
Faceva troppo freddo! E a che sarebbe servito? Era tutto intento a tremare quando notò l’uomo elegante vestito di scuro. Passeggiava tranquillo con il bastone, e Alfredo si aspettava che s’avvicinasse a lui. Invece non gli fu concessa che una rapida occhiata. Il viso grave ed altero, i capelli curati, quegli occhi altezzosi… sì, doveva per forza essere qualcuno d’importante.
Eppure proseguì per la piazza lasciandolo solo, e Alfredo si alzò per guardare dove stesse andando. Dall’alto della fontana lo vide accostarsi ad un giovane dai capelli rossi, mentre lo attirava a sé, baciandolo.
Alfredo tornò correndo al porto, gli occhi sbarrati. Cosa voleva dire?

-Io non ti voglio costringere, il mio era solo un suggerimento.-, Edoardo era noncurante mentre rispondeva al racconto di Alfredo, paonazzo. Che intendeva dire?
-Paga bene, e tu non devi fare niente.-, continuò. Niente? Cosa voleva dire niente?
Sembrava un po’ in difficoltà anche Edoardo.
-Sai…-, provò a ripescare dalla memoria qualche esempio discreto ma adatto, e ci pensò su un bel po’.
-Maria Maddalena.-
Alfredo fissò incredulo l’amico.
-Ti… vendi?-, mormorò sconvolto.
-Non mi sembra sia mai stato un problema.-, si difese Edoardo stizzito.
-E’ contro la Bibbia!-
-Pensaci.-, lo interruppe l’amico, -Pensaci. Un tuo piccolo sacrificio può salvare tua madre.-
-E’ peccato!-, e non lo sapeva Alfredo che era un doppio peccato,m o forse non ci voleva pensare.
-Non ti voglio costringere.-, ripeté Edoardo, -Il mio è solo un suggerimento.-

Lavorò normalmente Alfredo, fino alla domenica. Suo padre era rimasto a casa, sfruttando quei momenti di pausa per stare vicino alla moglie malata.
Sua madre stava morendo, era ormai questione di poco.
Ascoltò la Messa con più attenzione del solito, cantò con più passione che mai, incoraggiando la piccola Graziella a fare lo stesso.
E il giovedì, silenziosamente, restò alla fontana per più del solito, rinfrancato dall’assenza di Edoardo.
Vide avvicinarsi l’uomo elegante, e solo quando vide il suo sguardo inquisitore posarsi su di lui, Alfredo prese il coraggio a due mani e si alzò con decisione.
E’ peccato! Ma posso salvarla…
Fece per arrotolarsi le maniche della giacca ma rinunciò stringendo le labbra, e con passo incerto si avvicinò all’uomo che ora lo fissava con un sorrisetto.
I lineamenti di Alfredo non erano nulla di eccezionale, e la sua pelle scurita dal lavoro estivo era quella di tanti altri ragazzi. Comuni erano i suoi capelli castani, e comuni erano i suoi occhi scuri, eppure in quel momento quel giovane popolano aveva forse più dignità di certi re e regine.
-Come ti chiami?-, l’italiano dello sconosciuto era riconoscibile a fatica, tanto marcato era l’accento straniero.
-Alfredo, e lei?-, gli si rivolse con cortesia, con la voce agitata ed un italiano altrettanto incerto, lui che nella sua vita aveva parlato soprattutto il dialetto genovese.
-Oscàr, à la française.-, fu la risposta che Alfredo comprese solo a metà, prima di irrigidirsi quando l’uomo gli cinse la vita con il braccio, accompagnandolo all’Albergo Firenze, così diverso dal bel Hotel Bellevue.
In realtà lui non sapeva ancora cosa stava facendo. Aveva paura, sì. Aveva intuito tutto. Ma i due lavori del padre lo stavano uccidendo, e la madre si stava consumando giorno dopo giorno.
Pater Noster, qui es in caelis…
Iniziò a recitare tra sé la preghiera, percorrendo i corridoi dell’albergo, ma s’interruppe sconvolto quando vide un cameriere abbassare la testa in segno di rispetto ed aprire loro la porta.
Quando questo alzò la testa, testa che Alfredo conosceva bene, anche troppo, lui inspirò forte, così forte da stordirsi per un attimo, gli occhi spalancati.
Dal basso della sua condizione servile, le labbra strette e le lacrime trattenute a stento, suo padre non si mosse.
Oscàr non sembrò curarsene e spinse dentro il ragazzo, chiudendo la porta.
Pater Noster…
Alfredo deglutì forte, sopraffatto dalla vergogna, dal rimorso, dalla paura, ma deciso a non piangere, mentre suo padre, appoggiato alla porta, ritenne saggio andarsene.

Dolore e disgusto, ecco quello che aveva provato mentre l’uomo quasi lo soffocava, baciandolo, mentre un dolore indicibile lo dilaniava, fuoco che nemmeno le carezze erano riuscite a smorzare.
Raggomitolato tra le lenzuola, sanguinante, percorso da tremiti febbrili, Alfredo recitava le preghiere che gli aveva insegnato la madre, troppo scosso per fare altro, per voler pensare.
Si vergognava dei graffi sulla schiena, si vergognava della sporcizia che lo imbrattava, di quello che aveva fatto.
Del sale sul viso, residui di lacrime che gli avevano lavato il volto pieno di saliva no; era grato a quelle lacrime, ne era fiero.
Quando riuscì a calmarsi barcollò fuori dal letto, dolorante, alla ricerca tentoni dei soldi che Oscàr gli aveva lasciato sul tavolino vicino alla porta.

Il medico era al capezzale della madre, vicino a Graziella.
Quando il padre aveva visto entrare Alfredo, con una smorfia sul viso ed il passo incerto, non aveva osato dire nulla. Quando aveva scorto il sacchetto di pane nella sua mano ed il medico dietro le sue spalle, era uscito dalla stanza, commosso.

30 marzo 1899, Svizzera:
Parto domenica per Genova –Albergo di Firenze. Mi è impossibile andare a Parigi: non mi bastano i soldi. Voglio provare a trovare un posto vicino a Genova, dove poter vivere per dieci franchi al giorno (ragazzo compris). La castità della Svizzera mi ha dato sui nervi
{Oscar Wilde}
31 marzo 1899, Svizzera:
Parto domattina per Genova – Albergo di Firenze – una piccola locanda sul lungomare, abbastanza mal-famée ma economica.
Spero di trovare a Genova, ad aspettarmi, un giovinetto di nome Edoardo Rolla, uno dei navigatori. Ha capelli biondi, e veste sempre di blu scuro. Gli ho scritto.
Dopo la gelida verginità delle Alpi svizzere e della neve, bramo i rossi fiori della vita che macchiano il piede dell’estate in Italia.

{Oscar Wilde}

I documenti sono originali. Li ho presi da questo sito, che ha anche ottimi rimandi bibliografici. Iniziamo... dall'inizio. E' una storia che mi è uscita di getto, subito dopo aver letto quella pagina. Il nome di Alfredo è
citato più avanti come un suo amico; si è trattata di una mia svista. Avrei potuto chiamarlo Edoardo, ma avrei snaturato il personaggio, e ho preferito lasciare il nome di Alfredo, relegando all'altro il ruolo di comprimario.
Nonostante l'ambientazione, il linguaggio è moderno, così come corretto è l'italiano parlato. Volevo quasi riportare il discorso diretto il ligure, ma ho parecchi problemi già con il mio veronese, figuariamoci con il genovese.
Alfredo è disperato. Ho glissato sulla fame e sul disagio, concentrandomi più sull'ambigua figura che lo spinge a prostituirsi a tutti gli effetti. Dieci franchi, ragazzo compreso, è sinceramente una frase orribile.
Orribile. Non c'è amore nell'atto, e non ho voluto descriverlo: mi è parso più opportuno concentrare il risultato, il disgusto di Alfredo. Non fraintendetemi, amo Wilde ed amo lo slash.
E di slash si parla: non il dolciucchioso mondo delle yaoi no-lubrificante yes-godimento. E' un'esperienza traumatica e solo in parte consensuale.
L'età di Alfredo ed Edoardo? Non ci voglio pensare. In un'Italia riunita da pochi anni, la povertà portava alla prostituzione molti giovani, ragazzi e ragazze. Fa riflettere. Era la necessità a spingerli, non una borsa firmata.
Termino tutto questo lungo commento chiedendovi di farmi un favore: è la prima storia che tratta di tematiche così forti, e una cosa che voglio assolutamente evitare è la superficialità.
Vi ha comunicato qualcosa? Vi ha fatto riflettere? Ho trattato bene l'argomento? Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Grazie :)
Nyappy
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Nyappy