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Autore: GreedFan    15/02/2011    3 recensioni
"Quando tutto sarà finito, di che colore si tingerà Toshima?"
E' una domanda che non sembra avere molto senso, e che Gunji, del resto, ritiene stupida come tutta la storia che la accompagna.
Kiriwar, invece, è di tutt'altro avviso...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo su Toshima era sempre dello stesso colore.

Grigio e spento, simile ad un lenzuolo macchiato, si stendeva a perdita d’occhio sulle rovine di strade e palazzi, sporadicamente percorso da lampi o nuvoloni più scuri, che presagivano temporali assai violenti.

Kiriwar era abbastanza sicuro di non aver mai visto brillare il sole, su quel quartiere devastato dal tempo e dall’incuria, nonostante ci vivesse praticamente da sempre, quando ancora la sua altezza non sfiorava i centocinquanta centimetri.

All’età di trentasette anni, e dopo aver raggiunto i due metri, Kiriwar era perciò convinto che mai quelle nuvole si sarebbero diradate, mai il sole avrebbe accarezzato l’asfalto logoro di Toshima. Era una condanna sadica, sottile, persino peggiore di quella che costringeva quasi tutti gli occupanti del quartiere a sfidarsi in battaglie all’ultimo sangue per vincere un gioco di cui non si sospettava l’esito.

Quasi tutti perché, appunto, c’erano degli individui che avevano il privilegio di starsene a guardare, senza diventare pedine dell’assurdo gioco di Igura. Primo fa tutti l’arbitro, un depravato che godeva nel rimirare cadaveri squartati, meglio se di prestanti giovanotti, e quel suo orripilante schiavo mutilato, privo di dignità al pari di un cane. Ma, di loro, Kiriwar non possedeva che valutazioni sommarie, dettate da osservazioni piuttosto annoiate e contatti umani decisamente scarsi.

Le uniche due persone che, oltre all’arbitro, potevano fregiarsi di una certa neutralità in quella storia, erano proprio Kiriwar e…

-Ohi, jiji, ne ho trovato un altro! Questo bastardo stava cercando di scappare senza aver concluso il gioco, pensa un po’…-

Gunji.

Gunji era esattamente i l tipo di persona che Kiriwar non avrebbe mai compreso del tutto, nemmeno se si fosse scervellato nel tentativo (cosa di cui, comunque, non aveva voglia). Alto circa cinque centimetri meno di lui, con i capelli color grano lunghi fino alle spalle e una frangia che gli copriva costantemente gli occhi, amava girare a petto nudo, vestito solo di un parka rosso che, comunque, lasciava scoperti i numerosi tatuaggi presenti  sulla parte superiore dell’addome. A completare il quadretto, come arma utilizzava degli artigli metallici piuttosto vistosi, che assicurava alle mani con dei guanti di ferro e una complessa bendatura.

-Che razza di cagata…- borbottò Kiriwar, fissando il cadavere che il biondo gli aveva gettato davanti. Aveva la faccia coperta di graffi e il petto martoriato, in alcune parti addirittura passato da parte a parte da quelle dannate lame che Gunji esponeva con tanta superbia. Armi da fighetta, ecco cos’erano: la sua amata Mitsuko non avrebbe mai tollerato di essere paragonata a quegli arnesi.

-Cagata!? Non dire stronzate, jiji! I tuoi, di cadaveri, sono ridotti così di merda che non si riconoscono nemmeno!-

Avrebbe voluto ribattere che fare un lavoro pulito con una spranga di ferro è decisamente più complesso rispetto all’usare delle armi vere e proprie, ma non aveva tutto quel fiato da sprecare in chiacchiere. Tuttavia, non stava neanche bene lasciare il suo interlocutore senza risposta, per cui sollevò con un movimento indolente la sua Mitsuko e sferrò un colpo preciso e misurato sulla nuca di Gunji.

Quello strillò, premendosi il cappuccio scarlatto del parka sulla parte lesa, e gridò un paio di bestemmie.

Poi gli rivolse uno sguardo astioso – niente più che un lampo di iridi verdi, feline – e gli si sedette accanto, piegando le ginocchia con il suo solito fare da gangster. Neanche il tempo di accomodarsi del tutto, che prese a cantare una di quelle canzonacce sguaiate che fin troppo spesso intonava durante il lavoro, infierendo sui poveretti che massacrava con la sua pessima voce, prima che con la violenza.

-Dì un po’, Gunji…-

-Spara, jiji.-

-Tu sei qui da quando sei nato, non è così?-

-Mh… penso di sì.-

Ne avevano già parlato molte volte, anche se non approfonditamente. Comunque, da quel poco che ne sapeva Kiriwar, Gunji era stato trovato, ancora in fasce, sulla soglia della villa dell’arbitro, e sin da piccolissimo era stato allevato per diventare una macchina da combattimento perfetta sotto ogni punto di vista.

Anche da quello estetico…” pensò, fissando gli addominali scolpiti del ragazzo e soffermandosi, con un’occhiata colma di ruvida malizia, sulla patta rigonfia dei suoi pantaloni neri.

-Perché me lo chiedi? Vuoi semplicemente farti i cazzi miei o c’è un vero motivo?-

Dopo aver posto la domanda si accese una sigaretta e gli rivolse nuovamente lo sguardo, in attesa. A volte, Kiriwar sospettava di essere l’unico ad aver avuto il privilegio di guardare fino in fondo a quegli occhi di un verde assurdamente acceso, vista che, al resto del mondo, era assolutamente preclusa.

-Pensavo… c’è mai stato il sole, qui a Toshima?-

-Certo, imbecille! C’è tutte le sere, quando tramonta!- La voce di Gunji era insopportabilmente alta e graffiante, e quando urlava in quel modo assumeva un timbro quasi femminile. Così diversa dalla sua, bassa e statica in ogni situazione.

-Non intendevo questo, hiyoko.-

-Ehi, ti ho detto di non chiamarmi…-

-Fammi finire di parlare. Quello che voglio dire è che, qui a Toshima, il sole non brilla mai al centro del cielo. E’ sempre rosso, basso sull’orizzonte, mentre dovrebbe essere giallo e... alto?-

-Dì, ti sei rincretinito? Da quando ti interessa questa roba?-

-Da quando non ho un cazzo da fare e tu sei in giro a fare i tuoi lavoretti da imbecille. Allora, rispondi.-

-Ah, che palle… no, un sole così non c’è mai stato. Non so nemmeno di cosa parli, perché non ho mai visto nulla di simile. E poi, se ci fosse il sole di cui parli, la domanda non avrebbe senso.-

-Che domanda?-

-Aah, tu non lo sai. Sei sempre il solito rincoglionito, jiji.- Kiriwar fu tentato di sferrargli un altro colpo con Mitsuko. Agli insulti ci aveva fatto il callo, ma non poteva sopportare il modo a dir poco femmineo ed irritante con cui Gunji strascicava quell’”aah”. Era fastidioso.

-Qui a Toshima gira praticamente da sempre una storiella inquietante… reggiti forte, potresti pisciarti sotto!-

-Smettila di fare la testa di cazzo e parla.-

-Ok, ok… in pratica, ci sarebbe questo tizio che gira per Toshima e chiede a tutti quelli che stanno per morire una certa cosa. Per fartela breve, la domanda è “quando tutto sarà finito, di che colore si tingerà Toshima?”. Ovviamente io non ci credo, sembra la solita stronzata inventata per spaventare quei quattro tossici di merda che la sera si ritrovano a dormire per strada.-

-Dici? Non che abbia molto senso…-

-Forse si riferisce al vincitore dell'Igra... "di che colore tingerà la città"? Bah, non che m'interessi questa merda. Ho altro da fare, io... mica posso stare a sentire tutte le cazzate che girano per Toshima.-

Lo sguardo, involontariamente, gli cadde sul parka largo e sgualcito di Gunji, di un rossastro piuttosto sbiadito. Non era un caso che il ragazzo, nella cerchia dei frequentatori abituali del gioco di Igra, fosse conosciuto anche come “Red Diablo”, il demone rosso.

Che razza di soprannome imbecille.

-Secondo me, Toshima rimarrà grigia. Igra non è un gioco che possa avere fine, e ci sono sempre nuovi idioti pronti a partecipare. Perché mai uno di loro dovrebbe vincere?-

Neanche il tempo di rispondergli a tono, che dal fondo della strada provenne un ben noto ansimare.

Si voltarono entrambi verso la fonte di quel rumore, e Gunji si lasciò sfuggire un paio di esclamazioni decisamente sboccate. Kau, strisciando su quattro zampe come suo solito, cupi rantoli a testimoniarne il respiro, avanzava verso di loro con una lentezza esasperante, metro dopo metro.

Era il cucciolo favorito di arbitro, un ragazzino forse diciottenne con gli occhi sempre bendati e un cilindro nero in bocca, che, teoricamente, gli avrebbe impedito di parlare. Teoricamente perché, seguendo il proprio gusto, Arbitro gli aveva strappato i bulbi oculari e le corde vocali, prima di incidergli il petto con una serie di grossi tagli e applicargli sei cerchi di metallo nella carne dell’addome.

Kau era un essere grottesco e miserevole, e Kiriwar trovava che, arrivato a quel punto, non potesse definirsi nemmeno più umano. Tutto quello che faceva era strisciare ai piedi di Arbitro e lasciare che questi violasse il suo corpo quando più gli piaceva, oltre, naturalmente, ad avvertire Gunji e Kiriwar che era giunto il momento di lavorare.

-Ne hai trovato un altro, mh?-

Kau annuì concitatamente, emettendo un altro di quei versi sfiatati che, con un po' di fantasia, si potevano ricondurre ad uggiolii entusiastici.

-Neko, neko, neko...- sussurrava Gunji, nel frattempo, ondeggiando, seduto sui talloni, di fronte alla testa argentata del ragazzino.

-E' un cane, idiota!- Sbottò Kiriwar, abbattendo Mitsuko sulla schiena del biondo. Che, da parte sua, si rialzò bestemmiando e sventolò minacciosamente gli artigli, come per intimorirlo.

-E non rompere il cazzo, jiji!-

Con uno sbuffo, Kiriwar si incamminò dietro Kau, che nel frattempo aveva preso a camminare verso la prossima vittima. Gunji lo sorpassò con uno sbuffo, incrociando le braccia con aria piuttosto offesa, e procedette a lato, senza nemmeno rivolgergli lo sguardo.

Kiriwar ghignò, ravviandosi i folti capelli neri con un gesto distratto.

"Di che colore si tingerà Toshima", chiedevano?

Che domanda sciocca.

Era solo uno il colore che avrebbe ricoperto quel quartiere, infiltrandosi nelle più piccoli crepe della terra come un tumore maligno dall'avanzata inarrestabile. Solo una la tinta che avrebbe predominato su quei palazzi distrutti dal tempo, alla fine dell'Igura.

La stessa che dominava sul cappotto di Gunji, sui suoi artigli costantemente imbrattati di sangue.

La stessa che pareva brillasse nelle iridi spietate di Shiki, l'assassino più famigerato di Toshima.

Rosso.


 

Braccia sottili, imbrattate di sangue fino al gomito.

Liquido rosso anche sui capelli biondi, sulla faccia spaventata di quel ragazzino dagli occhi verdi.

"Questo... l'ho fatto io, sai?"

"Perché?"

"Perché è l'unica cosa che so fare."

"Come ti chiami?"

"Gunji, e tu?"

"Kiriwar."

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Questa... ehm... cosa è la mia prima fanfiction su Togainu no Chi, e spero ve ne siate accorti da quanto fa schifo. L'ho scritta praticamente in due ore, di getto, ma ho preferito pubblicarla così com'é perché, essendo il frutto di un momento d'ispirazione, la revisione avrebbe finito soltanto per rovinarla.

Che dire, spero di essere riuscita a rendere bene i due personaggi in quella che si può quasi definire una fluff (?????) non fosse per i soggetti psicopatici che ho scelto.

Perché Gunji è Gunji. Come si fa a non amarlo?

 

See you soon,

Greed

   
 
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