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Autore: Lady Joanne    16/02/2011    1 recensioni
Quando due persone sono perfette per stare insieme, ma il momento è sbagliato, cosa può accadere?
Quando credi che il tempo possa davvero aiutare...
..e i ricordi diventanto parole, si comincia a mettere nero su bianco!
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ancora una volta

 

Quella notte non avevo chiuso occhio, continuavo a rigirarmi nel letto e a pensare…

Era sempre nella mia mente, lottavo con tutta me stessa per scacciarlo dalla mia mente, dal mio cuore, dalla mia anima, avevo fatto di tutto ma non c’ero riuscita.

Avevo provato ad innamorarmi di altre persone, si lo so che sbagliavo non si può imporre di amare, ma ero così disperata, il suo pensiero non si allontanava da me.

Mi odiavo perché continuavo a pensare a lui.

In questi anni ci eravamo fatti solo del male, avevo cominciato io per prima e lui aveva fatto lo stesso con me e allora perché ci pensavo ancora?

Non sopportavo l’idea che io fossi innamorata di lui.

Lui che, dopo aver ripetuto quanto io fossi stata egoista, non si era fatto nessuno scrupolo a comportarsi allo stesso modo, con l’unica differenza forse che io l’avevo fatto per paura mentre lui voleva solo vendicarsi.

Credevo di averlo dimenticato di essere andata avanti, ma non era così.

Mi ero solo illusa di averlo scacciato via per sempre.

E invece lui c’era sempre, quando lo sconforto si impossessava di me, quando non riuscivo più a credere in me stessa, in quello che volevo, in quella che ero.

Era così straziante il dolore che provavo che lo odiavo con tutta me stessa perché non dovevo arrivare a quel punto, dovevo riuscire a fermarmi.

Purtroppo o per fortuna ero una persona istintiva ma razionale.

Ragionavo mille volte su quello che stavo per fare o dire, mi facevo mille problemi inutili, ma gli altri? Si erano mai fatti problemi per me?

Lo odiavo perché ormai il danno ero fatto, era inutile mentire, ero innamorata e questa volta potevo dire seriamente, non come le altre volte in cui credevo di esserlo e invece dopo un po’ di tempo capivo che non lo ero e troncavo subito la storia.

Era diverso, io ero diversa, ero più matura probabilmente se la mia storia con lui fosse nata un anno dopo io sarei rimasta con lui per sempre.

La mia migliore amica diceva sempre che avevo un tempismo perfetto o meglio noi eravamo perfetti ma al momento sbagliato.

Aveva ragione ma lo avevo capito solo dopo.

Lo odiavo e invece ero costretta a vedere foto di lui che si abbracciava con un’altra.

Sinceramente non sapevo se c’era qualcosa tra loro ma il modo in cui la guardava, le cose che lei gli scriveva e viceversa mi facevano pensare di tutto.

E sapete la cosa che odiavo di più?

Lei era me, cominciando dal nome che avevamo in comune, per poi continuare con i vari film che amavamo entrambe, dal volontariato che entrambe facevamo.

Vedevo la mia fotocopia spiaccicata proprio lì e non sapevo se ridere o se piangere.

Mi aveva sostituita proprio bene, pensavo alcune volte.

Avrei proprio voluto sapere se ci avesse fatto caso della nostra somiglianza caratteriale, se cercava di sostituirmi con lei, perché ovviamente il suo orgoglio non gli permetteva di perdonarmi, quindi cercava me in lei.

Ero così stanca, distrutta.

Quando pensavo a lui era come se mi fossero tolte tutte le energie, perciò avevo deciso di non farmi più del male, di metterci una pietra sopra, eppure ogni tanto quando ero immersa in tutt’altro venivo sommersa da alcuni ricordi veloci quanto dei flash di momenti che avevamo passato insieme, e mi maledicevo perché ero solo io a soffrire.

Ero così convinta che una volta finito il liceo, una volta chiusi tutti i ponti con lui mi sarebbe passata, eh si perché la cosa più divertente era il trovarci nella stessa classe.

Avevamo scelto due università diverse, meglio di così, sicuramente non ci saremmo mai incontrati.

Eppure stavo male, non volevo ammetterlo, ma mi mancava, anche se nell’ultimo anno le uniche parole che riuscivamo a scambiarci era “Buongiorno” “Arrivederci”.

Avevo persino rifiutato l’invito della mia classe per paura di incontrarlo.

Mi ero creata una barriera così forte, che sapevo come mi sarei sentita se lo avessi rivisto.

Tutto ciò che avevo alzato con tanta fatica sarebbe crollato in un  attimo e non potevo permetterlo, non potevo permettere che lui continuasse ad influenzare così tanto la mia vita.

Io ero la ragazza forte, acida come dicevano tutti.

Non ero abituata a dire ti voglio bene, non ero abituata ad esternare i miei sentimenti anche perché nella mia famiglia poche volte se non rare, ci lasciavamo andare a sentimentalismi, dimostravamo in un modo strano il nostro affetto, sapevamo benissimo di poter contare l’uno sull’altro e che avremmo fatto a fette chi avesse provato a fare del male all’altro ma non ce lo dicevamo.

C’è chi può pensare che lo davamo per scontato, ma non era così, amavo pensare che il motivo per cui noi ci comportassimo in questo modo fosse che trovavamo insignificanti o troppo superficiali gesti o parole che non avrebbero potuto mai dimostrare tutto l’affetto che provavamo.

Invece quella volta mi ero esposta, non l’avevo mai fatta, ma per lui lo avrei fatto soprattutto dopo la sofferenza che gli avevo causato, gli avevo dato tutto il tempo del mondo, gli avevo detto che l’avremmo affrontato insieme, e lui invece se ne era approfittato, mi aveva usata, umiliata e poi non mi aveva più degnata di un solo sguardo.

Quando una ragazza orgogliosa viene ferita proprio nel suo punto debole, quando viene calpestata, purtroppo non c’è niente che possa farla stare meglio ed io lo sapevo.

«Ginevra, scendi, è pronto a tavola»

La voce di mia madre mi distolse per un attimo dai miei pensieri.

«Arrivo» urlai di rimando.

Mi alzai di controvoglia dal mio letto e scesi le scale.

Con mio stupore la tavola era già apparecchiata, mia sorella diceva sempre che era compito mio, lei era la più grande ed io ero la più piccola, per non parlare di mio fratello che non alzava dito, per carità lui era uomo e lavorava tutta la giornata in studio era stanco e queste erano cose da donne.

Da quando mia sorella si era sposata, le volte in cui veniva a mangiare a casa, con o senza il marito, diceva sempre che andava di fretta e quindi alla fine facevo sempre tutto io.

«E’ successo per caso un miracolo?» chiesi a mia sorella Serena che mangiucchiava di nascosto, molliche di pane, sapeva che la mamma l’avrebbe sgridata dicendole che le avrebbe rovinato l’appetito.

«Tu non scendevi più ed io avevo fame, non potevo aspettare te»

A volte volevo davvero prenderla a schiaffi, era una donna di 30 anni, adulta, matura si presupponeva e invece si comportava come una bambina.

Ma perché non restava a casa sua, invece di rompere a me.

In quel momento rientrò anche mio fratello dal lavoro, così prendemmo posto, inutile dire che mio padre era assente 360 giorni su 365, lo vedevo raramente a causa del suo lavoro che lo portava a spostarsi per tutta l’Italia, così restava fuori per molti giorni.

C’era uno strano silenzio nell’aria, era il momento esatto prima che scoppiasse la tempesta.

«Gin, cara sei proprio sicura di non voler fare Giurisprudenza? Avresti sicuramente molti sbocchi lavorativi»

Risi istericamente, sapevo che saremmo arrivati di nuovo a quell’argomento.

«No, mamma ho già deciso e non cambio idea»

«Mamma lasciala stare, lo sai che vive ancora nel mondo delle favole, quando si sveglierà ne riparleremo»

Ed ecco il mio fratellino saggio che sapeva sempre tutto, il commercialista che aveva per la testa solo la carriera, mia sorella era un’insegnante.

Ed io? Io ero una povera illusa perché il mio sogno era diventare una ricercatrice.

Lo vuoi capire che in Italia non ci sono sbocchi lavorativi per questo mestiere, oggi giorno c’è bisogno di basi solide, ma la vedi la televisione, la senti la crisi di cui parlano e tu, invece di trovare qualcosa che ti dia la possibilità di guadagnarti qualcosa sei attaccata a queste stupide convinzioni. Smettila di vedere telefilm, questa è la vita non quella.

Era sempre la solita storia, le solite frasi, i soliti battibecchi, ovviamente questo non sarebbe accaduto se io avessi provato Medicina.

Bleah mi veniva la nausea ogni volta che discutevamo.

Preferii salire in camera piuttosto che ascoltarli ancora.

Accesi un attimo il pc per controllare se ci fossero novità e lo spensi poco dopo.

Presi il cellulare e trovai un messaggio della mia migliore amica.

A.A.A Cercasi Ginevra disperatamente.

Risi delle sue uscite così divertenti.

Spero vivamente che tu non abbia già chiamato l’FBI, per la cronaca sono ancora  viva.

Non riuscivo proprio a capire dove Aurora prendesse tutta quell’energia, quella voglia di vivere.
Era sempre allegra, simpatica con tutti, il contrario di me insomma e non riuscivo a capire proprio come facesse.

Meno male pensavo di dover già andare alla ricerca del tuo corpo. Comunque tutto bene? Ti sento strana.

Com’era possibile che capisse leggendo i miei messaggi come mi sentivo? E poi non avevo detto nulla di strano.

Sappi che mi fai paura, comunque non preoccuparti, sempre le solite cose, è solo un periodo passerà.

La storia del periodo ormai aveva stancato anche me, questo periodo durava decisamente da troppo tempo, quando sarebbe finito?

Ok non insisto, so che quando ti sentirai pronta sarai tu a venire da me.

La adoravo anche per questo, sapeva capirmi, bastava uno sguardo e sapeva cosa stavo pensando, cosa volevo, anche lontane capiva quando c’era qualcosa che non andava e non insisteva, mi dava i miei tempi.

Ovviamente c’erano stati momenti in cui aveva dovuto essere brusca per farmi riprendere, finendo ad urlare come due pazze, ma almeno mi ero decisa a parlare.

Stavo per risponderle quando bussarono alla porta.

«Si?»

«Tesoro io vado dalla nonna sai che non sta bene, tuo fratello è appena uscito e Serena è tornata a casa, mi raccomando stai attenta, per qualsiasi cosa chiamami»

Annuii distratta e la salutai.

Finalmente un po’ di pace, finalmente sola.

Certo amavo il silenzio, la quiete, anche se stare sola in casa di notte mi metteva un po’ i brividi.

In realtà avevo paura del buio.

Questa paura me l’aveva trasmessa mia sorella quando era piccola, lasciavamo sempre la porta della camera aperta per far si che la luce del corridoio illuminasse un po’ la nostra stanza.

Al buio mi sentivo così persa e vulnerabile, le volte in cui era andata via la corrente piangevo e sembrava che mi mancasse l’aria.

Indossai il pigiama e scesi nel salone, accesi le luci e la tv per farmi un po’ compagnia e mi abbandonai sul divano.

Girai vari canali e alla fine trovai la commedia comico-romantica che quella sera mi avrebbe sicuramente distrutto.

Lo vidi fino alla fine, i protagonisti si stavano dichiarando e lui la stava baciando.

Ero quasi sull’orlo delle lacrime quando il telefono squillò.

Sobbalzai al suono acuto e improvviso ma ringraziai chiunque avesse chiamato.

«Pronto?»

«Gin sono io, la mamma, tesoro mi dispiace ma penso di restare dalla nonna, ha le febbre e piove a dirotto, non preoccuparti tu chiudi tutte le porte e metti l’antifurto, ho già chiamato Andrea e gli ho detto di ritornare prima»

«Ok mamma, salutami la nonna»

Riagganciai e sospirai conscia che non avrei dormito fino a quando mio fratello non sarebbe rientrato.

Erano le undici e mezza passate, quindi avrei dovuto aspettare minimo un’altra ora.

I due protagonisti erano già arrivati all’altare.

Che strazio!

Mia madre aveva detto che pioveva a dirotto, possibile che non me ne fossi accorta?

Andai alla finestra per controllare.

Mia madre aveva ragione.

Stavo per risedermi sul divano quando qualcuno bussò alla porta.

Chi era a quell’ora di notte?

Dovevo aprire?

A passo di lumaca mi avvicinai alla porta.

Cosa dovevo fare?

Tornai in cucina a prendere la scopa e ritornai alla porta.

Bussarono nuovamente.

Deglutii e con forza e coraggio aprii quella porta, pronta a colpire chi c’era dall’altra parte.

Gelo totale.

Vuoto.

Sorpresa.

Era lui, lui che tormentava i miei pensieri, le mie giornate.

Era lì di fronte a me, bagnato fradicio che mi guardava implorante.

Ciò che avevo in mano scivolò dalla mia presa.

Mi sentii le gambe molli e la vista abbagliata dalle lacrime che stavano sicuramente uscendo.

Cercai di trattenerle.

«Matteo»

Lui continuava a guardarmi ed io ormai avevo perso la poca lucidità che avevo.

Fu lui a smuoversi.

Chiuse la porta alle sue spalle e mi raggiunse.

In quel momento la corrente andò via e io mi sentii mancare.

Stavo quasi piangendo quando lui appoggiò una mano sul mio fianco e mi spinse contro di lui.

Ricordava benissimo quel piccolo particolare del buio.

«Ci sono io» sussurrò vicino al mio orecchio dandomi piccoli brividi.

Fu quella sola affermazione a sgretolare il mio mondo.

Mi strinse a sé e le sue labbra furono sulle mie.

Quanto mi erano mancate, quanto avevo desiderato ancora quel tocco e quanto mi ero odiata per quel pensiero.

Le sue labbra erano gelide e mi tormentavano possessive, mi stringeva così forte quasi da farmi male, pensando che potessi scappare, ma non mi lamentai.

Mi lasciai andare al suo tocco così passionale, a quel suo tormento che era specchio del mio.

Continuavamo a farci del male e non riuscivamo a smettere.

Potei gustare al tocco della sua lingua il sapore amaro e dolce dell’alcool.

Aveva bevuto come al mio compleanno, alla mia festa di 18 anni.

Quando seppi che per riuscire a venire aveva dovuto bere, mi crollò il mondo addosso.

E ancora una volta era stato spinto a venire da me in quel modo.

Era l’unica spiegazione, che idiota ero stata!

Le lacrime cominciarono a scendere dai miei occhi incapaci di trattenerle.

Mi allontanai da lui, anche se a malincuore.

Quel bacio mi aveva letteralmente tolto il fiato.

Si era portata un altro pezzo di me.

Piano piano stava staccando tutti i pezzi del mio cuore e li stava portando via.

«Co..sa ci..fai qui?» dissi con la voce rotta dal pianto.

Mi accarezzò la guancia e asciugò i miei occhi.

Non rispose e mi strinse ancora a sé.

«Ti prego..sei bagnato fradicio e sei ubriaco»

«Hai ragione. Ho bevuto, ho dovuto farlo per trovare il coraggio di venire qui, questa sera da te. Non sai quanto mi è costato»

Si fermò stava per continuare ma all’improvviso tornò la luce e lui mi scrutò.

«Sei bellissima»

I suoi occhi erano tormentati.

«Ti prego…perdonami»

Mi baciò ancora e se ne andò.

Ancora una volta se n’era andato portando una parte di me.

L’aveva rifatto, veniva, mi usava e scappava

Mi lasciai scivolare al muro e caddi a terra vuota.

Mai come quella volta la voragine che aveva aperto era troppo grande, stavo sprofondando e non sapevo se ce l’avrei rifatta a risalire, ancora una volta.

 

 

__________________

Forse qualcuno avrà già letto questa storia ma ho deciso di cancellarla e pubblicarla come semplice one-shot, penso sia molto meglio lasciare a voi la possibilità di immaginare piuttosto che scrivere davvero cosa sia successo.

Per ora non mi va di ricordare non adesso che ho smesso di farlo.

Mi dispiace per chi pensava che la stessi continuando, ma ora è meglio così magari in futuro cambierò idea.

Grazie mille a tutti, 1bacio aLbi

 

 

   
 
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