Ancora una volta
Quella
notte non avevo chiuso occhio, continuavo a rigirarmi nel letto e a pensare…
Era
sempre nella mia mente, lottavo con tutta me stessa per scacciarlo dalla mia
mente, dal mio cuore, dalla mia anima, avevo fatto di tutto ma non c’ero
riuscita.
Avevo
provato ad innamorarmi di altre persone, si lo so che sbagliavo non si può
imporre di amare, ma ero così disperata, il suo pensiero non si allontanava da
me.
Mi odiavo
perché continuavo a pensare a lui.
In questi
anni ci eravamo fatti solo del male, avevo cominciato io per prima e lui aveva
fatto lo stesso con me e allora perché ci pensavo ancora?
Non
sopportavo l’idea che io fossi innamorata di lui.
Lui che,
dopo aver ripetuto quanto io fossi stata egoista, non si era fatto nessuno
scrupolo a comportarsi allo stesso modo, con l’unica differenza forse che io
l’avevo fatto per paura mentre lui voleva solo vendicarsi.
Credevo
di averlo dimenticato di essere andata avanti, ma non era così.
Mi ero
solo illusa di averlo scacciato via per sempre.
E invece
lui c’era sempre, quando lo sconforto si impossessava di me, quando non
riuscivo più a credere in me stessa, in quello che volevo, in quella che ero.
Era così
straziante il dolore che provavo che lo odiavo con tutta me stessa perché non
dovevo arrivare a quel punto, dovevo riuscire a fermarmi.
Purtroppo
o per fortuna ero una persona istintiva ma razionale.
Ragionavo
mille volte su quello che stavo per fare o dire, mi facevo mille problemi
inutili, ma gli altri? Si erano mai fatti problemi per me?
Lo odiavo
perché ormai il danno ero fatto, era inutile mentire, ero innamorata e questa
volta potevo dire seriamente, non come le altre volte in cui credevo di esserlo
e invece dopo un po’ di tempo capivo che non lo ero e troncavo subito la
storia.
Era
diverso, io ero diversa, ero più matura probabilmente se la mia storia con lui
fosse nata un anno dopo io sarei rimasta con lui per sempre.
La mia
migliore amica diceva sempre che avevo un tempismo perfetto o meglio noi eravamo perfetti ma al momento sbagliato.
Aveva ragione
ma lo avevo capito solo dopo.
Lo odiavo
e invece ero costretta a vedere foto di lui che si abbracciava con un’altra.
Sinceramente
non sapevo se c’era qualcosa tra loro ma il modo in cui la guardava, le cose
che lei gli scriveva e viceversa mi facevano pensare di tutto.
E sapete
la cosa che odiavo di più?
Lei era
me, cominciando dal nome che avevamo in comune, per poi continuare con i vari
film che amavamo entrambe, dal volontariato che entrambe facevamo.
Vedevo la
mia fotocopia spiaccicata proprio lì e non sapevo se ridere o se piangere.
Mi aveva
sostituita proprio bene, pensavo alcune volte.
Avrei
proprio voluto sapere se ci avesse fatto caso della nostra somiglianza
caratteriale, se cercava di sostituirmi con lei, perché ovviamente il suo
orgoglio non gli permetteva di perdonarmi, quindi cercava me in lei.
Ero così
stanca, distrutta.
Quando
pensavo a lui era come se mi fossero tolte tutte le energie, perciò avevo
deciso di non farmi più del male, di metterci una pietra sopra, eppure ogni
tanto quando ero immersa in tutt’altro venivo sommersa da alcuni ricordi veloci
quanto dei flash di momenti che avevamo passato insieme, e mi maledicevo perché
ero solo io a soffrire.
Ero così
convinta che una volta finito il liceo, una volta chiusi tutti i ponti con lui
mi sarebbe passata, eh si perché la cosa più divertente era il trovarci nella
stessa classe.
Avevamo
scelto due università diverse, meglio di così, sicuramente non ci saremmo mai
incontrati.
Eppure
stavo male, non volevo ammetterlo, ma mi mancava, anche se nell’ultimo anno le
uniche parole che riuscivamo a scambiarci era “Buongiorno” “Arrivederci”.
Avevo
persino rifiutato l’invito della mia classe per paura di incontrarlo.
Mi ero
creata una barriera così forte, che sapevo come mi sarei sentita se lo avessi
rivisto.
Tutto ciò
che avevo alzato con tanta fatica sarebbe crollato in un attimo e non potevo permetterlo, non potevo
permettere che lui continuasse ad influenzare così tanto la mia vita.
Io ero la
ragazza forte, acida come dicevano tutti.
Non ero
abituata a dire ti voglio bene, non ero abituata ad esternare i miei sentimenti
anche perché nella mia famiglia poche volte se non rare, ci lasciavamo andare a
sentimentalismi, dimostravamo in un modo strano il nostro affetto, sapevamo
benissimo di poter contare l’uno sull’altro e che avremmo fatto a fette chi
avesse provato a fare del male all’altro ma non ce lo dicevamo.
C’è chi
può pensare che lo davamo per scontato, ma non era così, amavo pensare che il
motivo per cui noi ci comportassimo in questo modo fosse che trovavamo
insignificanti o troppo superficiali gesti o parole che non avrebbero potuto
mai dimostrare tutto l’affetto che provavamo.
Invece
quella volta mi ero esposta, non l’avevo mai fatta, ma per lui lo avrei fatto
soprattutto dopo la sofferenza che gli avevo causato, gli avevo dato tutto il
tempo del mondo, gli avevo detto che l’avremmo affrontato insieme, e lui invece
se ne era approfittato, mi aveva usata, umiliata e poi non mi aveva più degnata
di un solo sguardo.
Quando
una ragazza orgogliosa viene ferita proprio nel suo punto debole, quando viene
calpestata, purtroppo non c’è niente che possa farla stare meglio ed io lo
sapevo.
«Ginevra,
scendi, è pronto a tavola»
La voce
di mia madre mi distolse per un attimo dai miei pensieri.
«Arrivo»
urlai di rimando.
Mi alzai
di controvoglia dal mio letto e scesi le scale.
Con mio
stupore la tavola era già apparecchiata, mia sorella diceva sempre che era
compito mio, lei era la più grande ed io ero la più piccola, per non parlare di
mio fratello che non alzava dito, per carità lui era uomo e lavorava tutta la
giornata in studio era stanco e queste erano cose da donne.
Da quando
mia sorella si era sposata, le volte in cui veniva a mangiare a casa, con o
senza il marito, diceva sempre che andava di fretta e quindi alla fine facevo
sempre tutto io.
«E’
successo per caso un miracolo?» chiesi a mia sorella Serena che mangiucchiava
di nascosto, molliche di pane, sapeva che la mamma l’avrebbe sgridata dicendole
che le avrebbe rovinato l’appetito.
«Tu non
scendevi più ed io avevo fame, non potevo aspettare te»
A volte
volevo davvero prenderla a schiaffi, era una donna di 30 anni, adulta, matura
si presupponeva e invece si comportava come una bambina.
Ma perché
non restava a casa sua, invece di rompere a me.
In quel
momento rientrò anche mio fratello dal lavoro, così prendemmo posto, inutile
dire che mio padre era assente 360 giorni su 365, lo vedevo raramente a causa
del suo lavoro che lo portava a spostarsi per tutta l’Italia, così restava
fuori per molti giorni.
C’era uno
strano silenzio nell’aria, era il momento esatto prima che scoppiasse la
tempesta.
«Gin,
cara sei proprio sicura di non voler fare Giurisprudenza? Avresti sicuramente
molti sbocchi lavorativi»
Risi
istericamente, sapevo che saremmo arrivati di nuovo a quell’argomento.
«No,
mamma ho già deciso e non cambio idea»
«Mamma
lasciala stare, lo sai che vive ancora nel mondo delle favole, quando si
sveglierà ne riparleremo»
Ed ecco
il mio fratellino saggio che sapeva sempre tutto, il commercialista che aveva
per la testa solo la carriera, mia sorella era un’insegnante.
Ed io? Io
ero una povera illusa perché il mio sogno era diventare una ricercatrice.
Lo vuoi capire che in Italia non ci sono sbocchi lavorativi
per questo mestiere, oggi giorno c’è bisogno di basi solide, ma la vedi la
televisione, la senti la crisi di cui parlano e tu, invece di trovare qualcosa
che ti dia la possibilità di guadagnarti qualcosa sei attaccata a queste
stupide convinzioni. Smettila di vedere telefilm, questa è la vita non quella.
Era
sempre la solita storia, le solite frasi, i soliti battibecchi, ovviamente
questo non sarebbe accaduto se io avessi provato Medicina.
Bleah mi veniva la
nausea ogni volta che discutevamo.
Preferii
salire in camera piuttosto che ascoltarli ancora.
Accesi un
attimo il pc per controllare se ci fossero novità e
lo spensi poco dopo.
Presi il
cellulare e trovai un messaggio della mia migliore amica.
A.A.A Cercasi Ginevra
disperatamente.
Risi delle
sue uscite così divertenti.
Spero vivamente che tu non abbia già chiamato l’FBI, per la
cronaca sono ancora viva.
Non
riuscivo proprio a capire dove Aurora prendesse tutta quell’energia, quella
voglia di vivere.
Era sempre allegra, simpatica con tutti, il contrario di me insomma e non
riuscivo a capire proprio come facesse.
Meno male pensavo di dover già andare alla ricerca del tuo
corpo. Comunque tutto bene? Ti sento strana.
Com’era
possibile che capisse leggendo i miei messaggi come mi sentivo? E poi non avevo
detto nulla di strano.
Sappi che mi fai paura, comunque non preoccuparti, sempre
le solite cose, è solo un periodo passerà.
La storia
del periodo ormai aveva stancato anche me, questo periodo durava decisamente da
troppo tempo, quando sarebbe finito?
Ok non insisto, so che quando ti sentirai pronta sarai tu a
venire da me.
La
adoravo anche per questo, sapeva capirmi, bastava uno sguardo e sapeva cosa
stavo pensando, cosa volevo, anche lontane capiva quando c’era qualcosa che non
andava e non insisteva, mi dava i miei tempi.
Ovviamente
c’erano stati momenti in cui aveva dovuto essere brusca per farmi riprendere,
finendo ad urlare come due pazze, ma almeno mi ero decisa a parlare.
Stavo per
risponderle quando bussarono alla porta.
«Si?»
«Tesoro
io vado dalla nonna sai che non sta bene, tuo fratello è appena uscito e Serena
è tornata a casa, mi raccomando stai attenta, per qualsiasi cosa chiamami»
Annuii
distratta e la salutai.
Finalmente
un po’ di pace, finalmente sola.
Certo
amavo il silenzio, la quiete, anche se stare sola in casa di notte mi metteva
un po’ i brividi.
In realtà
avevo paura del buio.
Questa
paura me l’aveva trasmessa mia sorella quando era piccola, lasciavamo sempre la
porta della camera aperta per far si che la luce del corridoio illuminasse un
po’ la nostra stanza.
Al buio
mi sentivo così persa e vulnerabile, le volte in cui era andata via la corrente
piangevo e sembrava che mi mancasse l’aria.
Indossai
il pigiama e scesi nel salone, accesi le luci e la tv per farmi un po’
compagnia e mi abbandonai sul divano.
Girai
vari canali e alla fine trovai la commedia comico-romantica che quella sera mi
avrebbe sicuramente distrutto.
Lo vidi
fino alla fine, i protagonisti si stavano dichiarando e lui la stava baciando.
Ero quasi
sull’orlo delle lacrime quando il telefono squillò.
Sobbalzai
al suono acuto e improvviso ma ringraziai chiunque avesse chiamato.
«Pronto?»
«Gin sono
io, la mamma, tesoro mi dispiace ma penso di restare dalla nonna, ha le febbre
e piove a dirotto, non preoccuparti tu chiudi tutte le porte e metti
l’antifurto, ho già chiamato Andrea e gli ho detto di ritornare prima»
«Ok
mamma, salutami la nonna»
Riagganciai
e sospirai conscia che non avrei dormito fino a quando mio fratello non sarebbe
rientrato.
Erano le
undici e mezza passate, quindi avrei dovuto aspettare minimo un’altra ora.
I due
protagonisti erano già arrivati all’altare.
Che
strazio!
Mia madre
aveva detto che pioveva a dirotto, possibile che non me ne fossi accorta?
Andai
alla finestra per controllare.
Mia madre
aveva ragione.
Stavo per
risedermi sul divano quando qualcuno bussò alla porta.
Chi era a
quell’ora di notte?
Dovevo
aprire?
A passo
di lumaca mi avvicinai alla porta.
Cosa
dovevo fare?
Tornai in
cucina a prendere la scopa e ritornai alla porta.
Bussarono
nuovamente.
Deglutii
e con forza e coraggio aprii quella porta, pronta a colpire chi c’era
dall’altra parte.
Gelo
totale.
Vuoto.
Sorpresa.
Era lui,
lui che tormentava i miei pensieri, le mie giornate.
Era lì di
fronte a me, bagnato fradicio che mi guardava implorante.
Ciò che
avevo in mano scivolò dalla mia presa.
Mi sentii
le gambe molli e la vista abbagliata dalle lacrime che stavano sicuramente
uscendo.
Cercai di
trattenerle.
«Matteo»
Lui
continuava a guardarmi ed io ormai avevo perso la poca lucidità che avevo.
Fu lui a
smuoversi.
Chiuse la
porta alle sue spalle e mi raggiunse.
In quel
momento la corrente andò via e io mi sentii mancare.
Stavo
quasi piangendo quando lui appoggiò una mano sul mio fianco e mi spinse contro
di lui.
Ricordava
benissimo quel piccolo particolare del buio.
«Ci sono
io» sussurrò vicino al mio orecchio dandomi piccoli brividi.
Fu quella
sola affermazione a sgretolare il mio mondo.
Mi
strinse a sé e le sue labbra furono sulle mie.
Quanto mi
erano mancate, quanto avevo desiderato ancora quel tocco e quanto mi ero odiata
per quel pensiero.
Le sue
labbra erano gelide e mi tormentavano possessive, mi stringeva così forte quasi
da farmi male, pensando che potessi scappare, ma non mi lamentai.
Mi
lasciai andare al suo tocco così passionale, a quel suo tormento che era
specchio del mio.
Continuavamo
a farci del male e non riuscivamo a smettere.
Potei
gustare al tocco della sua lingua il sapore amaro e dolce dell’alcool.
Aveva
bevuto come al mio compleanno, alla mia festa di 18 anni.
Quando
seppi che per riuscire a venire aveva dovuto bere, mi crollò il mondo addosso.
E ancora
una volta era stato spinto a venire da me in quel modo.
Era
l’unica spiegazione, che idiota ero stata!
Le
lacrime cominciarono a scendere dai miei occhi incapaci di trattenerle.
Mi
allontanai da lui, anche se a malincuore.
Quel
bacio mi aveva letteralmente tolto il fiato.
Si era
portata un altro pezzo di me.
Piano piano stava staccando tutti i pezzi del mio cuore e li
stava portando via.
«Co..sa
ci..fai qui?» dissi con la voce rotta dal pianto.
Mi
accarezzò la guancia e asciugò i miei occhi.
Non
rispose e mi strinse ancora a sé.
«Ti
prego..sei bagnato fradicio e sei ubriaco»
«Hai
ragione. Ho bevuto, ho dovuto farlo per trovare il coraggio di venire qui, questa
sera da te. Non sai quanto mi è costato»
Si fermò
stava per continuare ma all’improvviso tornò la luce e lui mi scrutò.
«Sei
bellissima»
I suoi
occhi erano tormentati.
«Ti prego…perdonami»
Mi baciò
ancora e se ne andò.
Ancora
una volta se n’era andato portando una parte di me.
L’aveva
rifatto, veniva, mi usava e scappava
Mi
lasciai scivolare al muro e caddi a terra vuota.
Mai come
quella volta la voragine che aveva aperto era troppo grande, stavo sprofondando
e non sapevo se ce l’avrei rifatta a risalire, ancora una volta.
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Forse
qualcuno avrà già letto questa storia ma ho deciso di cancellarla e pubblicarla
come semplice one-shot, penso sia molto meglio
lasciare a voi la possibilità di immaginare piuttosto che scrivere davvero cosa
sia successo.
Per ora
non mi va di ricordare non adesso che ho smesso di farlo.
Mi
dispiace per chi pensava che la stessi continuando, ma ora è meglio così magari
in futuro cambierò idea.
Grazie
mille a tutti, 1bacio aLbi