Fanfic su artisti musicali > Muse
Segui la storia  |       
Autore: samskeyti    16/02/2011    9 recensioni
Soteriologico, verosimile e disperatissimo sogno nato dall'analisi del rapporto che lega Matthew e Dominic verso un solo destino: amarsi,
e farlo nel modo meno sereno e più silenzioso possibile, abnegando una vita normale in nome di un unico, risucchiante ed ineluttabile bisogno speciale.
Tra vergogna, sbagli e paura, l'infinita lotta di due uomini invincibili.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

•SPECIAL NEEDS•


"Non puoi torturarmi con la tua incostanza,
perché nel tuo disdegno muore la mia vita.

Tu potresti ingannarmi ed io non saperlo."
[William Shakespeare.]

 

 

 

Diciannovesimo Capitolo: Don't close the door on want you adore. 

 

(2005.)

Secondo le forze intermolecolari (forze di natura elettrica che legano gli atomi in molecole), due molecole si attraggono anche se la distanza fra loro è molta, mentre si respingono non appena sono così vicine da sovrapporsi. Uscendo dall’ambito scientifico, si può affermare che alcuni rapporti umani seguano le leggi della fisica; ci sono persone su cui la distanza esercita la forza attrattiva, mentre la vicinanza l’esatto opposto, ovvero la forza repulsiva.

E poi ci sono Matt e Dom, i quali sanno sentire istericamente la reciproca mancanza quando lavoro o intrusi li separano anche per migliaia di km, ma sanno con la stessa strabiliante anormalità avvicinarsi, sfiorarsi, sovrapporsi di quel poco che basta per farli perdere un’altra volta nella vastità dell’universo. Inutile spiegare le motivazioni; si tratta di scienza, pura e limpidissima scienza, che spiega come, ma non spiega perché. L’equazione dell’amore, d’altronde, è destinata a rimanere sconosciuta all’uomo; accanirsi a comprenderla è come accanirsi a comprendere le meccaniche di un’espressione con troppe incognite.

 

Dopo il concerto di Parigi, gli impegni s’accavallarono in modo talmente perfetto per non farli stare insieme che sembravano stabiliti dalla logica di un genio maligno. Matthew finiva un’intervista televisiva e Dominic era già partito per una radiofonica; Matthew concludeva un piano organizzativo col manager e Dominic iniziava la sua parte di signin-session; Matthew terminava la dichiarazione per un giornale di musica e Dominic doveva andare in sala prove a testare un nuovo rullante. Dove l’uno trovava pace, l’altro guerra e così persero talmente tanto l’equilibrio dei giorni precedenti, dei giorni dello Chateau e lì attorno, che si incrociavano come sconosciuti avvicinati per caso, che si guardavano appena negli occhi, senza neanche poter captare il messaggio o l’umore che quelle pupille volevano trasmettere, prima di prendere strade diverse e divergenti, lontane, lontane come molecole finite ai capi opposti di una galassia.

Se la velocità della vita imponeva una tabella di marcia tale per cui parlarsi, guardarsi o, non sia mai, toccarsi fosse irrealizzabile quanto 2+2=5, restava tuttavia una minuscola possibilità di salvarsi dallo stordimento. Questa possibilità consisteva nel pensiero; nel libero poter immaginare che qualcosa di diverso esistesse, che ritrovarsi non fosse un sogno così chimerico, che quello che era accaduto allo Chateau si rinnovasse in nuove, sorprendenti varianti, l’una più piacevole dell’altra. Saltellare da un’isoletta immaginaria all’altra e nuotare nell’infinito spazio della mente salvò Matt e Dom dalla frenesia; li salvò quando il lavoro causava occhiaie livide sotto gli occhi, li salvò quando troppe donne, festini e alcol consumati in fretta e furia bruciavano loro memoria e dignità, lì salvò quando nel cuore della notte si trovavano soli in un letto bianco e vuoto a pensarsi vicendevolmente come ragazzini senza coraggio. Eppure…eppure erano riusciti a concludere qualcosa di pratico, no? Anche patti, promesse. Sì, eccome. Il punto, il punto fermo da porre alla fine dei loro ingarbugliati ragionamenti (che se a Dom facevano leggermente venire il dubbio di stare esagerando, a Matt deliziavano quanto una tortura medievale ad un masochista) era stabilire il metodo per recuperarsi, per riazzeccare la sincronia giusta, per trovare una pista su cui ballare abbracciati e stretti, possibilmente nascosti dal manto della notte, o dal velo della Luna.

-O dalla luce del Sole, che importa. Se l’ultima occasione per vederti fosse sotto una pioggia di meteoriti infuocate, fra le fiamme di una tempesta solare o fra le protuberanze della cromosfera io, io accetterei! Pensava Matthew, rigirandosi come un Don Rodrigo in preda alla febbre pestilenziale.

-O dal ghiaccio del punto più gelido del creato, che importa. Se l’ultima chance mi fosse data a patto di stringerti mentre sprofondiamo su un iceberg verso le profondità più gelide, verso lo zero assoluto, io non mancherei! pensava Dominic, spegnendo l’ultima sigaretta della notte sul cuscino di un letto freddo d’hotel, così uguale a tanti altri da farlo sentire anche lui terribilmente privo d’identità.

Poi i dolori passavano, per un motivo o per l’altro. Le parole si svuotavano d'ogni enfasi. Rimaneva da guardare una foto sul cellulare, da leggere un messaggio invecchiato in una cartella creata appositamente, da sospirare e chiedersi insensibilmente quando e se sarebbe mai finita. Il “no” che arrivava puntuale e istintivo a chiarire il dubbio, però, faceva più bene che male.

Era un no prevedibile, era un no e non poteva essere altro, perché quale altro avrebbe mai avuto la forza di rompere una relazione durata più di dodici anni? L'adolescenza trascorsa insieme, l'entrata nella fase adulta insieme, la vera e propria maturità insieme, la prospettiva di una vita insieme e, ovviamente, una dolce vecchiaia insieme...il ciclo della vita si chiudeva con lo stesso “insieme” con cui si apriva, perché né Matthew né Dominic avrebbero mai detto di aver vissuto, prima di essersi incontrati. Un sorriso, vero e triste, s'impossessava delle labbra di Matt ogniqualvolta ricordava il loro primo vedersi, il loro lento conoscersi, il loro inconsapevole incamminarsi mano nella mano sulle rotaie di un treno con destinazione imprecisata, o forse troppo precisa per avere l'onestà intellettuale di ammetterla. Ma quale onestà. Coraggio, coraggio è la parola che cercava il suo cervello nell'auto-accusarsi di aver sbagliato, di aver inequivocabilmente sbagliato. Le rotaie fredde e scivolose su cui avevano camminato, inciampato, corso e rallentato, indugiato, insistito, li avevano infine condotti a quel letto dove s'era materializzato un sogno. Il problema è che scesi dal letto le rotaie avevano ripreso a intrecciarsi, ad allontanarsi, a salire e scendere in un disarmonico disordine, trascinando loro con sé. Quante cadute sul ferro impietoso, quante ferite sui piedi sanguinanti. -Se non per amore, per cos'altro un essere umano si spingerebbe a tanto... pensava Matthew, nei suoi soliloqui al chiaro di luna, torturando il lenzuolo in cui cercava, invano, di ritrovare quell'odore, l'odore di cui si era scioccamente innamorato.

Diverso, ma complementare, era invece l'approccio di Dominic nel cuore della notte. Non sorrideva, lui soffriva senza fingere. Ogni tanto gli veniva da chiedersi perché continuare, perché non rinunciare all'impossibile e trovarsi qualcos'altro a cui dedicare anima e corpo; cos'era quell'accanimento, quella voce che nella mente gli sussurrava, sottile e subdola come quella di un cantante che conosceva troppo bene, -amalo, amalo e amalo ancora...Un grido dall'Aldilà? Un bisbiglio dell'anima, un suggerimento criptato degli atomi di cui erano fatti, ovvero degli stessi? Poi le domande impazzivano, degeneravano all'infinito. In quante donne lo aveva cercato? In quanti uomini aveva pensato di cercarlo? Il numero è compreso fra il centinaio e il migliaio. La follia, la febbre d'amore bruciava nel petto di quel ventisettenne che subiva fino ad accettare lui, e quella sua persona di cui mai, mai avrebbe smesso di sentire il bisogno. Il modo in cui lo aveva toccato, prima con lo sguardo e dopo, dopo anni e anni, con le mani, con le dita sottili di un pianista; ah, avrebbe potuto scrivere il manuale di “quanto è bravo Bellamy a fare quella cosa”, ma, chiaramente, non avrebbe per alcuna ragione al mondo svelato la maestria del suo padrone, del padrone della sua felicità e della sua tristezza, dal cui sì o no dipendeva la sua intera esistenza.

Oh, si tratta di isterismo, avrebbe precisato Matthew, scalciando fra le lenzuola come per scappare via; isterico bisogno fino in fondo, avrebbe detto Matthew, mordendosi le braccia pur di immaginarsi le labbra desiderate di quel Dominic, quel maledetto, oh, no, quel benedetto Dominic, quel Dominic bello come un maschio, focoso come un amante e poi dolce come l'ambrosia. Allora era solo questione fisica, veniva da domandarsi? Ma no, quale fisico, quale corpo, se la mente tremava al solo pensiero di pensargli?

 

Era capitato, forse tra la quarta e la quinta settimana di lontananza, nel culmine del male, quando entrambi temevano di morire per crepacuore, che pervenisse loro indiscutibile e limpido un pensiero sopra il groviglio degli altri: di essere in due, in due anche in quella situazione tragica. Il senso d'unione e l'immediata scomparsa della spaventosa solitudine di cui sembravano affetti fin da piccoli curavano qualche ferita minore, ma il sollievo era notevole. L'uno aveva la certezza che l'altro non era felice e che, anzi, sguazzava miseramente nello stesso male della stessa negazione. A quale pro, tuttavia?

Matthew una notte ebbe la premura di assumere uno psicofarmaco pur di mettere a tacere quel cervello paranoico che si ritrovava nella scatola cranica; Dominic invece, sopprimendo il ricordo della loro promessa segreta, aveva frequentato più party e donne che in vita sua, battendo quasi i record dei tempi di OOS. Una volta, nella foga e nell'insensato arraffare qualsiasi cosa in mancanza di quella desiderata, accadde che ci provò con un uomo. L'immediato e inconfondibile senso di schifo gli fece abbandonare l'impresa prima di portarla a termine: non appena si rese conto di chiudere gli occhi e pregare una bocca e due mani di essere quelle di Matt, quando non erano le sue, si allontanò inorridito da se stesso. Ennesima, innumerabile conferma.

 

Quelle notti vedevano la morte con lo spuntare della candida aurora; i raggi del sole nascente smembravano l'oscurità come le loro elucubrazioni mentali, presto stemperate in un nulla simile ad un semplice e malvagio incubo, sia per Matt solo e ingarbugliato tra troppe lenzuola e paure, sia per Dom, nauseato dall'effimero piacere che si intestardiva a procurarsi per stupida lussuria.

Si alzavano dai letti impregnati di sofferenza, puntavano lo sguardo verso la luce e attendevano docili e disarmati che il sole accecasse i loro occhi stanchi di piangere, che li prosciugasse dai fiumi di dolore e che donasse loro nuovi motivi per brillare. Ma come, come brillare, se il tempo fuggiva, se la carne s'indeboliva e la ragione arrancava...

C'è da perdersi, cosa che io, io narratrice, non voglio assolutamente fare. Resta da aggiungere che i giorni crebbero di numero e spessore fra loro; loro che non si sarebbero cercati come coppie di numeri primi gemelli, non avrebbero premuto il tasto del cellulare per mettersi in contatto, non si sarebbero inseguiti su per giù nel mondo. No, avrebbero semplicemente gettato le armi e si sarebbero seduti in riva al mare della loro incapacità. E senza chiedersi il perché, ma accettando una comoda indifferenza.


Arrivò l’estate come se qualcuno avesse strappato i fogli di un calendario per affrettare lo scorrere del tempo. Ovunque andassero, la temperatura cresceva e anche la luce, il colore, la voglia di vivere; in gran parte del mondo, del mondo da loro frequentato, il lavoro poteva per un po’ essere messo da parte in virtù delle vacanze e del riposo.Il nuovo album era ben avviato. Si parlava di registrarlo in tre città, ma ogni cosa andava ancora decisa a tavolino. In ogni caso Giugno era alle porte, e un mese, o due di stacco non vennero assolutamente negati a nessuno. Finalmente.

La pioggia cadeva rada e sottile dal cielo incolore; cadeva pigra, pigra come cade la notte d’inizio estate, pigra come cade la rassegnazione in fondo al cuore. Scorreva piano sulle foglie gremite della sua acqua e sprofondava nel terreno assetato. Era silenziosa, e silenziosamente rigava ormai da qualche ora l’oblò della finestra sopra Dominic, sdraiato immobile sul letto matrimoniale della sua camera nella sua casa di Nizza.

I luminosi raggi del sole, non ancora basso sulla linea frastagliata dell’orizzonte, cominciarono a farsi spazio tra le nubi, provocando un glorioso arcobaleno nel grigio; anche gli occhi di Dominic luccicavano, simili a due perle illuminate in un verde fondale marino. Il ragazzo carezzava le pieghe del lenzuolo dalla parte vuota del letto e, comprimendone per crearne delle nuove, pensava a chi avrebbe desiderato fosse al posto loro. Lui, nella tranquilla monotonia del pomeriggio, sotto un’acqua forse priva di senso, pensava senza sosta a Matthew.

Quando gli auricolari che teneva infilati nelle orecchie trasmisero Unintended, i suoi nervi, a lungo anestetizzati, non ressero più l’affronto. Scagliando il lettore CD contro una parete, s’alzò e corse verso la cucina, dove trovò un calendario.

«Lo sapevo.» sussurrò, mordendosi il labbro inferiore e fissando serio l’8 Giugno 2005, quello che, cioè, quel giorno di tiepido inizio estate era. «Domani è il tuo compleanno!» disse, come se il suo interlocutore potesse udirlo. Ripercorrere interamente i pensieri che lo portarono alla sua ultima conclusione sarebbe noioso, basti sapere che, un’ora dopo, sbatté il pugno sinistro sul tavolo della cucina e, facendo sobbalzare la tazza di caffè bollente che gli fumava davanti, decise di non perdersi il compleanno del suo migliore amico per nessun motivo. Tuttavia non poteva bussare alla sua porta, come se fosse quella di una persona qualsiasi, e fargli tanti auguri: lui non sentiva Matt da qualche mese, era consapevole del fatto che, probabilmente, avrebbe trovato solo freddezza e apatia laddove un tempo c’era stata amicizia e, forse, in qualche modo, amore.

Ora, ci sono due modi per riavere la persona amata. Questi due modi sono uno diretto e uno indiretto. Il diretto consiste nell’alzare il posteriore, raccogliere forza e temerarietà e andare là fuori, nel mondo crudele, ad appropriarsi di chi sta a cuore; l’indiretto consiste nel restare inchiodati al vetro di una finestra, tessere la tela di Penelope e aspettare che il cielo porti chi si desidera. Ma questo, generalmente, non accade.

Matthew era la tipica persona che agiva indirettamente. Infatti, quell’8 Giugno, sedeva ad osservare la bruma calare sul Lago di Como, pensando a quanto fosse stato contro ogni logica umana e aliena allontanare la persona a cui pensava quasi costantemente, riflettendo dibattuto sulla sua inettitudine di amare Dominic, constatando quanto fosse stato infausto il giorno in cui aveva deciso di non essere se stesso. Gaia gli si accostò, leggera e silenziosa come una delle luci ovattate attorno all’acqua morta. Ascoltò il suo respiro ferito; annusò il suo odore inafferrabile. Non s’intromise nelle sue riflessioni; gli porse solo un piatto di pasta rossa e s’allontanò verso la cucina, capendo che lì, tra i pensieri per Dom, il dolore per l’assenza di Dom e il desiderio taciuto ma tangibile di avere Dom, non c’era spazio per lei, lei resa sempre più sottile e trasparente da quell’uomo impossibile che, comunque, accudiva ancora con affetto sincero.

«Grazie» fiatò appena lui, appoggiandosi il piatto sulle gambe secche. Lo avrebbe fatto freddare, esattamente come aveva freddato i sentimenti verso quella donna, prima di assaggiarne un boccone. L’unica azione che non gli riusciva penosa era fissare il vuoto oltre la finestra… perché non c’era né lago né paesaggio romantico, se lì mancava Dominic per condividere.

 

Dominic, scegliendo d’istinto il modo opposto d’agire, ovvero quello diretto, rifletté a mente lucida se la pazzia che era in procinto di compiere fosse davvero fattibile: appena si accorse che non serviva altro che la sua macchina, una cartina italiana e un vero sentimento ad animare le azioni (tre cose che possedeva senza dubbio), partì in quarta verso l’autostrada Nizza-Milano. L’orologio digitale sul cruscotto batteva le 17.00 e lui si era prefissato di giungere a Como entro le 23; anche a costo di arrivare, venir cacciato e spaccarsi il cuore per un’altra volta, lui avrebbe urlato buon compleanno al suo, al suo e sempre solo suo, migliore amico Matthew.

Sfrecciava oltre i limiti di velocità sull’asfalto caldo; il vento entrava dai finestrini lasciati giù fino a ferirgli gli occhi, che lacrimavano dall’emozione, e la musica degli Weezer faceva battere alle sue mani venose un ritmo sul volante in pelle che gli rimescolava l’adrenalina in modo caotico dentro il corpo sovreccitato. Più i km che li separavano diminuivano, più nel suo cervello e nel suo bassoventre rinvigoriva il desiderio – il buon, vecchio, morboso e maniacale desiderio di possederlo in tutta quella sua fulgente e superba bellezza, in tutta quella sua affascinante genialità. Desiderio che gli prendeva la testa e non l’abbandonava più.

Si sentiva affamato come un orso al risveglio dal letargo, o in crisi d’astinenza quanto un eroinomane dopo mesi di sole sigarette. O semplicemente pazzo, ebbro di bramosia. Spinse l’acceleratore fino a che non fu più possibile. Quando il CD trasmise Best Friend mancò poco che non desiderasse per davvero un teletrasporto immediato e il suo bel volto, incorniciato da un leggero sudore, esplodesse d’isterismo.

Verso le 22.30, Gaia tornò per controllare la situazione. L’evidente malessere di Matthew, quel giorno più accennato e aggravato del solito, la preoccupò. Capiva, la donna capiva che quello era un soffrire per amore; tuttavia si sentiva la persona meno adatta per alleviargli la pena.

«Non mangi?» gli chiese, fermandosi a due metri di distanza, eppure avvertendo comunque l’alone negativo attorno a lui.

«Cosa?» domandò sorpreso Matt, ormai assopito.

«Matt…dimmi se c’è qualcosa che io possa fare per te.»

Il moro guardò la donna, girandosi; i suoi occhi agghiaccianti le caddero addosso con una gravità insostenibile. Lei indietreggiò confusa, intimorita.

«Credo che se starò ancora qui più di un’ora morirò. Gaia, portami via…» sibilò lui, accorgendosi di cercare in lei solo una madre, nient’altro che una madre. «Portami via da me stesso.»

«E per andare dove?» domandò lei, spiazzata.

«Dove c’è pace e riposo.»

Gaia con due falcate gli fu affianco, s’inginocchiò accanto alla sua sedia e con le braccia strinse il busto sottile del ragazzo al suo, ancor più esile. Quanto male nella sua testa, quanta incurabile follia. Decise d’assecondarlo.

«D’accordo. Chiudi gli occhi e vieni via con me, amore.»

Matthew chiuse le palpebre grevi, lei lo condusse fuori, fino alla sua macchina nel giardino e lo fece sedere al posto del passeggero anteriore.

-Lo porterò in Liguria, alla mia casa estiva. Ci vogliono tre ore e mezza con le strade sgombere. Ora non sono neanche le 23, potremo festeggiare lì domani il suo compleanno…

«Prendo una cosa e arrivo» gli disse, dirigendosi verso casa per trovare le chiavi della villetta in Liguria e preparare una valigia veloce.

Matthew s’adagiò sul morbido sedile felpato e attese; il profumo intenso che l’abbraccio di Gaia aveva lasciato su di lui gli ricordò quello di Marilyn. Era da tempo che non le pensava. Comprensibile, triste ma comprensibile.

 

Dominic imboccò il lungo viale che portava a casa P. con una sgommata. Si era dovuto fermare due volte a fare benzina da quanta ne aveva bruciata, ma sentiva che ne fosse valsa la pena, vista la matematica puntualità con cui era infine approdato a destinazione. Cominciavano a calargli sia le forze che la soglia dell’attenzione, e non solo a causa della stanchezza che un viaggio del genere compiuto in condizioni del genere comporta; era la crescente vicinanza di Matthew a mandargli in fumo il cervello, ormai velato da un desiderio degenerato in ossessione. Il minimo tentennamento e si sarebbe distrutto tutto definitivamente. Ma non voleva fallire.

Quando si trovò a quasi 30m dalla casa di Gaia, spense la radio e nell’esatto istante in cui la sua mano s’allontanò dal pulsante di spegnimento, la riconoscibile BMW della psicologa gli passò affianco.

Dominic si girò a guardare la macchina e riconobbe due persone a bordo. Una stretta alla gola gli tolse il respiro per una manciata di secondi, quelli che servirono per far gridare al suo cervello: forza, fai retro-marce! Dom eseguì l’ordine e si ritrovò a seguire la station-vagon nera; aguzzò la vista e sì, alla guida scorse Gaia, riconoscibile per i lunghi capelli castani e affianco una testa maschile, indubbiamente quella di Matthew.

«Dove cazzo lo stai portando?» sboccò d’impulso il biondo, stritolando nel pugno il pomello del cambio. «Tu non ti sei sparata i km che mi sono sparato io a 150km\h per riaverlo! E osi portarmelo via?» soffiò, vibrante di rabbia. Svoltarono a destra, in direzione dell’autostrada che Dom aveva da poco lasciato. Lui non conosceva quei posti, quei nomi stranieri; era riuscito ad arrivare fin lì grazie ad una cartina, perciò se non avesse seguito Gaia si sarebbe perso.

«D’accordo, io non ti chiamo perché sarebbe spiacevole non scoprire dove diavolo stai andando con lui; io ti seguo, attento a non farmi vedere, e appena giungiamo a destinazione ti sbrano, se ti metti in mezzo, cara donna!» disse fra sé e sé, mentre il luccichio della furia omicida gli scintillò negli occhietti iniettati di sangue. Era soddisfatto della scelta intrapresa; avrebbe usato le ultime risorse per inseguire Matthew e, ne era certo, prima o poi sarebbe stato ricompensato.


Nella macchina davanti a lui, Gaia guidava assorta nei suoi pensieri, ricordando senza fretta la strada verso la casa al mare; Matthew sonnecchiava, girato su un fianco, sentendosi impreparato ad accogliere quei 27 anni d’età, quando realmente se ne sentiva dieci in meno. L’orologio si preparava ad annunciare il 9 Giugno, e a lui il solo pensiero dava sui nervi. Senza contare il fatto che, per la prima volta dal 1993, avrebbe dovuto passare il compleanno senza il suo migliore amico; meglio togliersi la vita che andare incontro ad una tale tristezza.

Certo è che non immaginava neanche lontanamente come, invece, le cose si preparavano ad andare, come la vita annunciava di sorprenderlo.

 

I km sembravano non finire più; un cartello passava e un altro lo seguiva, una curva terminava e un’altra iniziava, un’uscita scompariva e la successiva già s’intravedeva. Le luci arancione dei lampioni gettavano un colore innaturale sulla notte scura, e l’inquinamento della città soffocava ogni stella nel cielo pesto. Fortunatamente, a quell’ora, non c’era traffico e si poteva viaggiare ad una velocità costante di 100, 120km/h.

A Dominic s’annebbiava in modo ripetuto la vista e sentiva che non avrebbe retto ancora più di una o due ore di viaggio. Ormai non si domandava più se Gaia e Matthew si fossero accorti che lui li seguiva; pur di porre fine a quella tortura fisica e psicologica era pronto a farsi scoprire e chiarire a quattr’occhi la questione. Sbadigliò per la quindicesima volta e maledisse la donna al volante per la settantesima.

Ma perché non li ho fermati a Como! pensò, raddrizzandosi sul sedile in vista di una svolta che la BMW di Gaia sembrava intenzionata a compiere.

I nomi sui cartelli gli risultavano totalmente indifferenti e sconosciuti. Se avesse perso o distanziato troppo la macchina dell’italiana, si sarebbe davvero ritrovato sperduto nel nulla; tremò al pensiero, e, quando si accorse che erano già le due del 9 Giugno, un rantolo di agitazione lo fece tossire nervosamente più volte. –Se non si fermano entro mezz’ora, io li chiamo e svuoto il sacco, concluse, sopraffatto dalla stanchezza. Allungò la mano verso il porta-cd e prelevò una sigaretta sfusa tra altre cose; la fermò la le labbra, l’accese con una mano e poi gettò l’accendino sul sedile affianco al suo, non riuscendo a non pensare che, affianco a quello di Gaia, ci fosse Matt. Si sforzò per vederlo, là, a neanche 10m da lui, rannicchiato sul sedile di una macchina indegna di trasportarlo, ma non ci riuscì. Soffiò il fumo dal naso e indurì i muscoli della mandibola, assumendo uno sguardo torvo. Capì che, se avesse dovuto fare a pugni per quell’uomo, lo avrebbe fatto senza esitazione; la cosa, in sé, non lo spaventò… fu il razionalizzare di non aver scrupoli a picchiare una donna che lo lasciò basito. –Guarda come diamine sei capace di ridurmi! Allo stato brado! constatò sconvolto, mordendo il filtro alla base della sigaretta fino a sentirlo piatto sotto i denti.

 

Alle due e mezza la BMW di Gaia abbandonò l’autostrada e imboccò una strada secondaria, che già dalle ridotte dimensioni e dalla mancanza d’illuminazione faceva intendere di essere breve. Dominic intravide, tra la vegetazione ai bordi della via, un luccichio… che fossero passati da un lago italiano all’altro? Abbassò il finestrino e la salsedine diffusa nell’aria gli provò invece la presenza del mare. Cercò di richiamare alla mente l’ultimo nome letto sul cartello d’uscita. –Li…lige…no, Liguria…dev’essere una delle loro contee, o regioni…ma più precisamente… niente, il nome del paese proprio non gli fu possibile ripescarlo in quella testa tanto sconnessa e sfinita. La velocità della macchina di Gaia diminuiva, tuttavia, proprio quando s’avviò dentro un lungo viale fiancheggiato dalla spiaggia e da villette o piccoli alberghi, fu la Mercedes di Dom a subire una battuta d’arresto. Due sbuffate, tre sobbalzi e fu ferma, inchiodata sotto il plenilunio ligure. Il ragazzo inglese credé d’impazzire per qualche attimo durante il quale sentì tutte le forze venirgli meno.

«Cosa cazzo succede adesso?» urlò nell’abitacolo, come se qualcuno potesse sentirlo. Gaia procedeva tranquilla; era talmente pensierosa e incuriosita dal rivedere la casa dove aveva trascorso le vacanze da piccola che non prestò attenzione ad altro che alla guida.

Dominic cercò di rimettere in moto la macchina per più volte, ma, quando notò che la spia del serbatoio lampeggiava, indicando quindi la fine del carburante, abbandonò l’impresa. Rialzò lo sguardo sulla strada e si accorse che Gaia lo aveva già distanziato di trenta metri abbondanti. Una punta, affilata e aguzza, di panico gli squarciò la mente: corri! intervenne quest’ultima, quasi a ricordargli che, persa la BMW nera, sarebbe stato perso Matthew. Afferrò le chiavi e il cellulare, poi aprì la portiera con una gomitata violenta e si gettò all’inseguimento della macchina di Gaia. Una zaffata d’aria calda e salata lo accolse, appena cominciò a correre; scansò un ciuffo biondo cenere che gli calò sugli occhi, smise anche di respirare nello sforzo estremo.

 

Dominic corse a perdifiato, corse conscio dei danni che una caduta a quella velocità avrebbe comportato, corse senza sentire il sudore bruciargli negli occhi, corse poiché la notte poteva ancora essere sua e di Matthew, corse non pensando a cosa avrebbe detto o fatto, corse semplicemente correndo, e lo fece in quel buio soffocante con tutto se stesso.

La BMW nera accostò e parcheggiò davanti ad una casetta a due piani, spegnendosi con un soffio. Gaia aprì la portiera lentamente, sporgendo un piedino minuto; Dom la vide e compì lo scatto finale, ormai ardente più di una cometa. Il sangue gli pulsava nelle tempie fortissimo, insieme al cuore, ormai prossimo all’infarto.

La ragazza scese e lo vide; in un paio di secondi capì chi fosse. Spalancò la bocca, tradendo così una grande sorpresa o una grande paura.

«Dominic!» esclamò, restia nel credere ai suoi occhi.

Dom rallentò, tossendo e ansimando; avvertiva la fronte bagnata, i piedi doloranti dentro le maledette All-Star. Non poteva credere di avercela fatta!

Matt scese dalla vettura in quel preciso istante. Aveva un’aria malaticcia, tra l’assonnato e il febbricitante. Fece in tempo a raggiungere Gaia che, seguendo il suo sguardo pietrificato, si trovò davanti Dominic. In un primo momento fu convinto di sognare, di aver materializzato ciò che era solo nella sua mente, ma… quando Dom cadde in ginocchio ai suoi piedi, catturando i loro occhi in uno sguardo tra l’estrema pietà e la più nobile richiesta d’affetto, il cantante non poté che sentire qualcosa rompersi nel petto. Dalla gioia, chiaramente.

«Matthew, io…» il fiato abbandonò il batterista genuflesso per qualche secondo, poi tornò a dare spessore alla sua voce forte e tremante allo stesso tempo. «Matthew, io ti amo!» urlò, giocandosi il tutto per tutto in tre parole.

Il pianista tentennò. I suoi occhi argentati lasciarono quelli gonfi di commozione di Dominic ed errarono nel buio, nel firmamento sopra le loro teste, a miliardi di km di anni luce per poi, infine, seguendo gli opalescenti raggi lunari, tornare a posarsi sul capo chiaro di Dom.

Lacrime rotonde e perlate cominciarono a calare sulle sue guance rosee. Quell’uomo aveva appena compiuto per lui un’autentica impresa. Per lui a cui non pareva di meritare neanche un centesimo di quell’impegno, di quella costanza, di quell’insistente bellezza che lo guardava dal basso all’alto implorando mera indulgenza. Cercò di ordinare le idee, di formulare una frase, ma ogni pensiero si inabissava in un altro, impedendogli di fare altro che tacere.

Fu il singhiozzo angosciato di Gaia a rompere l’incantesimo. La donna li fissava con volto sgomento e sembrava lì lì per svenire. Attrice come tutte le donne? O creatura innocente ferita da una sporca verità?

«Voi…» mormorò, portandosi un dito fra le labbra.

Matt si voltò a guardarla, poi istintivamente scosse la testa per far segno di no.

«Tu!» gridò improvvisamente, indicando il ragazzo ai piedi del suo fidanzato. «Ti credevo un amico,» disse a denti stretti, «e invece dici di amarlo!»

Dominic, a cui certamente non provocava un gran piacere tenere le ginocchia sull’asfalto, corrugò la fronte. Non riteneva quella donna pienamente all’oscuro; era intelligente, tutto sommato.

«E tu!» ringhiò Gaia, sempre più scossa, «tu ricambi!».

Matthew andò nel panico. Per un secondo odiò nel profondo Dom, e quel suo prendere iniziativa, piombare dal nulla e dichiarare amore infrangendo ogni segretezza, ogni regola.

«Ti sbagli, Gaia» tentò di dire, venendo immediatamente colpito da uno sguardo sprezzante di Dom. Era un campo minato, quella strada.

«Non mi sbaglio affatto! Ma devo arrabbiarmi solo con me stessa, visto che ho accettato di avere un fidanzato innamorato di qualcun altro.»

«Io non am-» prima che il moro potesse controbattere, la donna lo zittì con uno schiaffo veloce e preciso.

«Taci. Ti disprezzo. Non sei abbastanza gay per vivere la storia con Dominic, ma non sei abbastanza etero per sposarmi, avere dei figli con me, amarmi. Non sei nulla, Matt.»

Il chitarrista incassò schiaffo e parole con la stessa fragilità. Gli si sbarrarono gli occhi blu, come a dire: basta, vi prego!

Ma Dom non accettò il comportamento della donna, per questo intervenì. Si alzò e, ponendosi fra lui e lei, disse schiettamente:

«Come ti permetti? Non dare del gay a Matthew, non toccarlo mai più. Sono io a disprezzare te!»

Gaia inasprì l’espressione del volto, sdegnandosi sempre di più.

«Sei ridicolo, Howard. Stai dietro a questo disperato da quasi vent’anni, e oltre che lui non hai niente. Non uno straccio di donna, non un futuro. Svegliati, non fare la predica a me.»

Dominic indurì i pugni. Non avrebbe mai e poi mai fatto violenza su qualcuno di più debole, ma quella sera carezzò da vicino la tentazione di piantarle un pugno sul naso.

«Decido io cosa fare della mia vita. Se ho deciso di viverla con lui, tu puoi solo consumarti nell’invidia.»

La donna abbassò il capo. La folta chioma castana le coprì il volto, attribuendole un aspetto selvaggio. Rialzò gli occhi eleganti e, cercando quelli di Matt, disse:

«Scegli. O me, o lui.»

Dominic disapprovò immediatamente quella proposta, ma, quando vide che Matthew lo scostò e si preparò a rispondere, tentò di darsi una regolata. Gaia si riassestò un ciuffo di capelli e sporse in avanti le labbra rosse, assumendo una posa provocante. Matt la fissò intensamente. L’imbarazzo crebbe a dismisura. Poi parlò:

«Voglio che tu rimanga la mia fidanzata.»

 

Dominic boccheggiò nell’atto di dire: cosa? Restò sbalordito. Evitò di guardare Gaia, la quale subito sorrise, sorniona e vincitrice.

«E’ la tua scelta definitiva?» rimarcò, con voce suadente.

«Sì che è la sua scelta definitiva» sussurrò Dom, sguardo raso terra e pugni, finalmente, rilassati.

Aveva perso. La sconfitta, a differenza della vittoria, a cui la mente fatica ad abituarsi, è facile da accettare: è la fine, la fine irrimediabile di qualcosa, un mondo che si sgretola e il nulla che lo segue. Dominic si sentì solo nel posto sbagliato in un momento sbagliato; gli crollò sulle spalle la stanchezza dell’intero pomeriggio, e, pur sotterrato dal peso della delusione, concluse che non si trattasse infondo di nessuna tragedia, che anche quella volta il suo cuore sarebbe andato avanti, sì, serviva solamente la pomata lenitiva con cui il tempo lo avrebbe cosparso. Senza dire o fare altro, girò sulle suole e prese a camminare dalla prima parte che capitò, ovvero verso il mare, il quale rumoreggiava appena dietro la fila di alberi al bordo della strada. Affondò i piedi nella sabbia; decise di non decidere niente, di camminare sui granelli morbidi verso le onde nere, sotto la pallida luna piena. Il dolore che serbava la sua anima era infinito come quella distesa tetra, come il mare e il cielo fusi in un unico nero.

Gaia lo seguì con lo sguardo per pochi secondi, poi guardò Matt, dicendo:

«Amore, sapevo ch-» non riuscì a terminare la frase perché il ragazzo non era più lì.

«No, Gaia, non sapevi. Adesso parliamo, ma prima fammi andare a bloccare Dom affinché non compia follie» disse, già distante.

Lei non accettò l’umiliazione. Secondo il suo ragionamento, se lui aveva scelto lei a quel punto avrebbe dovuto baciarla e dichiararle amore, dimenticandosi completamente dell’altro… non inseguirlo! Comprese di non aver capito niente; ma, d’altro canto, niente più volle capire.

S’infilò furente nella sua BMW e decise che Matt, con lei, aveva chiuso. In modo permanente.

 

Matt rincorreva Dom, anche se il leggero sospetto che Gaia se ne fosse andata gli sopraggiunse; lo respinse perché, facendo un rapido calcolo delle priorità, lei non rientrava fra queste. Non più, non dopo quello che era appena accaduto.

«Dominic! Dominic! Fermati, aspettami!» gridava il ragazzo dagli occhi azzurri, mentre quello dagli occhi verdi credeva di sentire le voci.

«Dominic! Dom! Dommy!»

Alla sesta volta che urlò raggiunse quell’inarrestabile Dominic. Erano ormai in riva al mare. Le onde lisciavano la sabbia soffice di continuo, con un battito regolare. Una leggera brezza soffiava in direzione del mare, che invece sprigionava mite calore. La natura sembrava in pace con se stessa e, ignara dei drammi dell’uomo, si beava della sua perfezione. Le loro scarpe cominciavano a sprofondare, a bagnarsi.

«Volevi umiliarmi?» chiese violentemente Matthew, sguinzagliando queste parole contro Dominic come per morderlo. «Considerati soddisfatto, perché ci sei riuscito!» e, in un batter d’occhio lo tirò a sé, afferrandolo per il colletto della camicia.

Dom lasciò che i loro petti sbattessero l’uno contro l’altro e che la mano di Matt stritolasse la stoffa della sua maglietta. I loro capelli ondeggiavano, coprendo e scoprendo gli occhi che, così vicini, erano fuoco nel fuoco.

«Io mi chiedo cos’hai, cos’hai tu che gli altri no!» incalzò il moro, parlando più con la sua coscienza che con Dom.
Si fronteggiarono per qualche secondo, tentando di stabilire una gerarchia che non era possibile stabilire.

«Avanti Matthew, fammi male.»

«Io? Farti male? Sii sincero. Con quante troie sei andato, tu, nel frattempo?»

Dom aggrottò la fronte. Dove voleva andare a parare? Matt non gli lasciò il tempo di riflettere. Portò le loro labbra ad un millimetro di distanza.

«Sai cosa ti dico? Che non importa.» Concluse.
Dominic inspirò con la bocca, risucchiando il respiro di Matthew nel suo. C'era una qualche maledetta magia in tutto quello, un'attrazione primordiale, un richiamo dell'istinto. Appoggiò le mani sui fianchi di Matt, in modo da far aderire anche le loro erezioni, senza vergogna.


«Tu sei il mio sbaglio più grande, Dom» sussurrò Matthew, facendo scorrere le mani dal colletto ai capelli del biondo, sulla nuca, dove li strinse tra le dita eleganti.
Dom attese ancora un secondo, secondo durante il quale godette nel sentire i sensi indebolirsi. Poi baciò Matt, che lo stava ancora fissando per stabilire se concedersi o no. La passione che sondò nei suoi occhi lo convinse. Abbassò le palpebre.

La luna divampò sopra i loro corpi, subito stesi sulla sabbia, e a Matthew, che ingoiava avido aria tra un bacio profondo e l'altro, avendo ormai rinunciato a frenare l'impeto di Dominic, ma accettato di donarsi a lui, sembrò che quel bellissimo astro parteggiasse per il loro amore, che fosse complice del loro segreto. Sorrise felice. «Buon compleanno, Matthew.»


NDA: Buongiorno. Che piacevole dolore, che doloroso piacere (ossimoro e chiasmo nella stessa frase! Ok, cretinata.) scrivere questo capitolo 19. L’ho fatto nei modi più disparati e disperati! A voi è piaciuto? Sinceramente mi sono dilettata assai; devo riconoscere che ad ispirarmi sono state parecchie persone e cose, in primis William, Tasso e tanti amici miei, dei quali solo un paio leggono, e sono Megalomania e My MB<3.

Ricordo che siete sempre in tempo per farvi sentire, sia in qualità di recensori che di critici. Ringrazio tutti quanti, tutti. Mi siete cari. Bye!

  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Muse / Vai alla pagina dell'autore: samskeyti