Nick autore: Only_ (Only_Me)
Titolo: • White •
Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Pairing: Remus/Sirius
Genere: nonsense, introspettivo,
sentimentale, malinconico
Rating: verde
Avvertimenti: One-shot, Slash, Missing
Moment, What if?
Parole scelte: 8. Candido - 13. Febbre - 39.
Calore
Citazione scelta: 38. Ti prego.
Introduzione: “Non riuscivo a smettere di
camminare, non smisi di farlo finché non giunsi a
quell'albero che il preside
aveva fatto piantare l'anno del mio arrivo a quella scuola. Come si
chiamava
l'arbusto? E il preside? E la scuola? Perché avevo bisogno
di quell'albero?
Erano domande a cui non riuscivo a rispondere.”
NdA: una shot
di circa due pagine,
dedicata a Remus e Sirius. Il mio amore per questa coppia non
è un segreto, e
mi piace molto celebrarli attraverso queste fic agrodolci.
Nata in poco più di un dieci
minuti, è divisa fondamentalmente in tre parti.
La prima è narrata dal punto
di vista di Remus, ed è la parte più nonsense
della storia; la seconda è
narrata da Sirius, ed è molto introspettiva e sentimentale.
L'ultima parte è
narrata in terza persona, ed è quella in cui si chiarisce
tutto e si fa il
punto della situazione.
Spero ti piaccia, io ne sono
particolarmente soddisfatta.
Buona lettura!
•
White •
{Candido,
calore, febbre}
Non sentivo più nulla, solo
il calore di quelle strane gocce salate che sgorgavano senza sosta dai
miei
occhi.
Non ricordavo perché
piangessi. Ricordavo solo un gufo marroncino con una pergamena legata
alla
zampa.
Non ricordavo cosa ci fosse
scritto in quella lettera. Sapevo solo che era indirizzata a me.
I miei piedi erano gelati; le
mie dita anche.
Non riuscivo a smettere di
camminare, non smisi di farlo finché non giunsi a
quell'albero che il preside
aveva fatto piantare l'anno del mio arrivo a quella scuola. Come si
chiamava
quell'arbusto? E il preside? E la scuola? Perché avevo
bisogno di quell'albero?
Erano domande a cui non riuscivo a rispondere.
Forse anche il mio cervello
si è congelato,
pensai con un sorrisetto delirante sulle labbra ormai cianotiche.
Avevo mal di testa, sentivo
il mio corpo che veniva scosso da violenti brividi – o erano
singhiozzi? – e
non riuscivo a capire perché.
Cosa sta succedendo?
Non lo sapevo, e non mi
interessava particolarmente scoprirlo.
Sapevo solo di avere un
terribile sonno. Non riuscivo più a tenere gli occhi aperti.
Le lacrime ormai
si erano ghiacciate sulle mie guance e tra le ciglia.
Quanto erano fastidiose
quelle cose piccole e bianche che scendevano dal cielo! Mi sentivo
pungere da
tutte le parti, ma non riuscivo a capire chi mi pungesse.
Mi sdraiai su quel candido e
morbido manto bianco che ricopriva ogni cosa, intorno a me. Avevo
davvero tanto
sonno. Chiusi gli occhi e non ci misi molto ad addormentarmi.
Sentivo uno strano calore,
come se quella sostanza gelida che mi circondava fosse diventata
improvvisamente più calda.
E improvvisamente ricordai il
nome della scuola, quello del preside, quello dell'albero che si
trovava a
pochi metri da me, il perché quell'albero fosse stato
piantato apposta per me.
Hogwarts, Silente, Platano Picchiatore, piantato per darmi la
possibilità di
frequentare quella scuola senza la paura di aggredire i miei compagni
durante
le notti di luna piena, durante le mie trasformazioni in lupo mannaro.
E ricordai anche il contenuto
di quella lettera che mi era stata recapitata dal gufo marroncino.
C'era scritto che mia madre
era morta, uccisa da quell'essere che mi aveva morso quando ero ancora
un
bambino, costringendomi in quell'orribile vita di licantropo.
Mia madre era morta.
Mio padre era da qualche
parte a caccia di Greyback, a cercare una vendetta che sicuramente non
avrebbe
trovato.
Ero solo.
Poi ricordai tre visi
familiari, tre paia di occhi preoccupati che mi osservavano leggere
quella
pergamena al calore della nostra Sala Comune.
James Potter, Peter Minus e
Sirius Black. I miei amici. I Malandrini.
Non ero solo.
Tentai di aprire gli occhi,
ma non ci riuscii.
Tentai di muovermi, di
alzarmi da quella posizione che mi stava portando alla morte, ma il mio
corpo
ormai non obbediva più ai miei ordini.
Che ironia: prima un corpo
attivo con un cervello addormentato, poi un cervello vivo in un corpo
morente.
Dopo diversi tentativi, tutti
miseramente falliti, mi arresi.
Non potevo fare nulla. Sarei
morto, senza genitori, dopo un brusco e burrascoso litigio con gli
unici amici
che avessi mai avuto, al freddo di una giornata di dicembre, immerso
nella
neve, in quel candido e morbido manto gelato.
«Remus!» gridai, portandomi
le mani coperte dai guanti ai lati della bocca
«Remus!».
Quell'idiota! Era uscito dal
castello in camicia, senza prendere né mantello
né sciarpa né altro.
Sicuramente stava gelando.
Dannazione, era dicembre! E nevicava ormai da diversi giorni. Come
aveva potuto
essere così stupido da fare una cosa del genere?
Forse avrei dovuto leggere
quella lettera...
Scossi violentemente il capo:
non avrei mai potuto fare una cosa del genere. Non senza il permesso di
Remus.
Non avrei mai accettato che qualcuno lo facesse con me.
Ad un tratto, dopo diversi
minuti, scorsi l'unica macchia nera in tutto quell'insopportabile
candore,
accanto al sentiero che conduceva al Platano Picchiatore.
Sperai ardentemente che fosse
Remus.
Cominciai a correre in quella
direzione, continuando a gridare il suo nome.
Era lui. Sì, me lo sentivo.
Ho sempre avuto un legame
strano con Remus: non era il mio migliore amico, quello era senza
dubbio James,
ma non era nemmeno il pasticcione che bisognava aiutare per buona
volontà,
ruolo incontestabilmente di Peter. Non ho mai saputo spiegarmi i
sentimenti che
mi legavano al licantropo. Sicuramente andavano ben oltre l'amicizia e
l'affetto fraterno.
In quel momento ero certo che
quella figura rannicchiata a terra fosse lui. Il mio cuore ne era
sicuro.
«Ti prego... ti prego, fa'
che sia vivo» sussurrai, non appena fui abbastanza vicino da
capire di non
essermi sbagliato nemmeno quella volta.
Mi gettai a terra accanto a
lui, senza riuscire a parlare, e gli toccai il volto: era gelido.
Appoggiai l'intero palmo
contro la sua guancia, cercando di trasmettergli un po' di calore, ma
non
successe nulla.
Presi a frugare
disperatamente nelle tasche del mantello per trovare la bacchetta e,
non appena
le mie dita si strinsero sull'impugnatura, presi ad Appellare mantelli,
sciarpe, guanti... qualsiasi oggetto che potesse scaldarlo un po'.
Le sue labbra erano diventate
blu, cianotiche.
Uno strano impulso si
impossessò del mio corpo, e mi spinsi verso il suo viso.
Anche senza toccare la
sua pelle, avvertivo con una chiarezza disarmante quanto fosse gelata.
Quando posai la mia bocca
sulla sua rabbrividii –
sembrava di
baciare un cubetto di ghiaccio – ma non mi allontanai.
Sollevai il suo busto
tra le braccia e me lo premetti addosso, accogliendolo nel mio mantello
ancora
bollente grazie ad un incantesimo, con la speranza di riuscire a
scaldarlo
almeno un po'. Non staccai le mie labbra dalle sue, non ne ebbi la
forza.
Le socchiusi piano, e sfiorai
la sua lingua con la mia; era freddo, troppo freddo.
Irrimediabilmente pensai al
peggio, e copiose lacrime salate cominciarono a scivolarmi sul viso.
Pochi attimi dopo
cominciarono ad arrivare tutti gli oggetti che avevo Appellato; lo
avvolsi in
mezza dozzina di mantelli, gli posai sul capo almeno tre cuffie di
lana, gli
infilai le mani in diverse paia di guanti, gli coprii il viso con una
decina di
sciarpe soffici e calde.
Pregai ancora di riuscire a
salvarlo, mentre lo facevo Levitare davanti a me in direzione del
castello e,
più precisamente, dell'Infermeria.
«Ti prego, Remus» mormorai,
mordicchiandomi le labbra e asciugandomi le guance con il dorso della
mano
libera «Ti prego, resisti».
Quella volta Remus Lupin
rischiò di perdere la vita.
Fortunatamente se la cavò con
una febbre delirante durata due giorni e un ricovero di mezza settimana
in
Infermeria, sotto le cure di Madama Chips.
Dovette ringraziare Sirius
Black e il suo tempestivo intervento, per aver avuto salva la vita.
Certamente Felpato non glielo
fece mai troppo presente, soprattutto dopo che il giovane licantropo
ebbe
svelato a lui e agli altri Malandrini il contenuto della lettera che li
aveva
portati a litigare.
Quella
volta Remus rischiò di
perdere la vita.
E fu solo
grazie a Sirius che
non accadde il peggio.