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Autore: Keiko    17/02/2011    1 recensioni
Cronaca non autorizzata del concerto tenutosi al Palasharp di Milano il 03 novembre 2007, il tutto firmato Frank Iero, effetto di impatto su oggetti inanimati.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Sweet Revenge © [28/11/2007]
Disclaimer. I My chemical Romance (Mikey Way, Gerard Way, Frank Anthony Iero, Bob Bryar e Ray Toro nella loro ultima formazione), Jamia Nestor, Alicia Simmons e Lyn-Z (bassista dei Mindless Self Indulgence) sono persone realmente esistenti. I personaggi originali non sono ovviamente persone realmente esistenti, ma semplice frutto della mia immaginazione. La storia è frutto di una narrazione di PURA FANTASIA che mescola la mia visione di fan a eventi storicamente accaduti e rumors spulciati in rete, destinata al diletto e all'intrattenimento di altri fans. Non si persegue alcun intento diffamatorio o finalità lucrativa. Nessuna violazione dei diritti legalmente tutelati in merito alla musica ed alla personalità degli artisti succitati si ritiene dunque intesa.



Sbircio il pubblico stretto nella morsa dell’attesa.
E’ quell’adrenalina che scorre e si trattiene, che continua a rinnovarsi e caricarsi particella dopo particella sino a esplodere in un orgasmo di energia quando saliamo sul palco, una scossa che mi da’ la carica e mi spinge a suonare ininterrottamente per due ore.
Non mancano i flash quando faccio capolino a lato del palco per un brevissimo sopralluogo e qualche fans dagli spalti mi addita mentre gli altri – quelli che sono sotto il palco ammucchiati già pronti per il pogo – fissano l’imponente logo dei Mindless sopra le loro teste.
In questo istante, nel momento che precede ogni nota musicale, avverto l’aria carica di elettricità, un fermento di energia che si trattiene e si sfoga qua e là con la corsa di chi tenta di avere i posti migliori e di chi si solleva in punta di piedi per acquistare i nostri gadget allo stand ufficiale e chi lo fa invece, per tentare di guardare oltre il palco.
Voglio vederli ora i loro visi su cui è impressa quest’espressione di adorazione infinita come se da noi dipendesse chissà quale salvezza perché poi con i riflettori puntati addosso non riuscirò a vedere nulla se non il palco su cui sarò io.
La distanza di un metro – forse meno – da terra è come se fossero miglia quando sei lassù e sono convinto che questo sia dovuto a quelle mani alzate e protese tutt’attorno che si muovono a tempo di musica e vorrebbero sfiorarti.
Le abbiamo sentite le loro grida fuori mentre attendevano l’apertura dei cancelli, quando abbiamo iniziato a provare qualche pezzo e si sentivano le voci giungere dall’esterno dipingendo sul viso di Gee un sorriso raggiante ancora prima di iniziare a cantare realmente.
“Li stiamo caricando anche da qui.”
Già.
Ho sentito in corpo – prima ancora che quest’orda impazzita di ragazzine varcasse i portoni dello stadio – quelle scariche elettriche continue e ritmate che sono il sinonimo di adrenalina, voglia di suonare e scatenare l’inferno.
Prove, qualche presa per il culo a Mikey incollato al cellulare con Alicia poi i cancelli si sono aperti e abbiamo dato il via alle danze.
Devo ancora capire se avere come gruppo spalla i Mindless self indulgence per il tour europeo sia stata una scelta vincente o meno ed è una di quelle cose che riescono a mandarmi in paranoia anche a due minuti e mezzo dall’inizio del concerto. Non che alla fine avessimo poi tante possibilità se consideriamo che il matrimonio di Gerard poteva mandare all’aria il tour nel vecchio continente, per cui tanto vale tentare. Il fatto è che Jimmy è un tornado sul palco e calamita la scena come nemmeno Gee sa fare e per quanto possano passare inosservati allo stuolo di adolescenti che ci seguono, sono certo che a un occhio più attento non scapperà un paragone tra lui e Gee. In realtà stimo molto il loro lavoro solo mi rendo conto che abbiamo due stili musicali totalmente differenti, sarebbe come mettere insieme Sex Pistols e Green Day se si potesse.
O qualcosa del genere.
Poi se guardiamo, Jimmy è la copia di Sid e ne riprende le movenze, il modo in cui se ne frega del pubblico e si bagna nell’adorazione della folla, nel suo assurdo modo di camminare e in quella peculiarità che ha avuto nell’inventarsi un nome idiota come quello di Vicious.
So che non dovrei preoccuparmi ma sono eccezionali e si, abbiamo fatto la scelta migliore del mondo a portarli con noi in Europa.
Penso che nessuno possa far scaldare il pubblico come Jimmy e Lyn e me ne rendo conto quando io per primo non resisto a battere il tempo delle loro canzoni con il piede mentre attendiamo il nostro turno.
“Ehi Frankie tutto a posto?”
Ray mi batte una mano sulla spalla e sobbalzo quasi al contatto mentre Jimmy si esibisce in un play back sulle note di un motivetto Anni ’40, ultimo pezzo con cui viene osannato dal pubblico prima di lasciarlo a noi con il suo savoir-faire impertinente.
“Non dovresti guardarli, ti fa male Frank.”
“E’ inevitabile Gee, tu mi costringi a stare dietro le quinte senza fare nulla. E’ una palla.”
“Hai studiato il pubblico come tuo solito?”
Sbuffo e incrocio le braccia sul petto mentre Gerard espira il fumo della propria Marlboro che volutamente mi fa inspirare e sapere che certe cose non cambierebbero nemmeno se la Terra dovesse girare al contrario mi fa sentire un po’ più leggero, come se anche quelle piccolezze potessero darmi la certezza che siamo ancora qui.
“Avanti Frankie, tutto questo stare sul chi vive ti fa salire sul palco teso come una corda di violino. Guarda Ray, non è adorabile?”
Ray se ne sta esattamente poco lontano da me intento a bere una Red Bull che passa poi a Mikey.
“Ehi Mikey, tre Red Bull e caffè non ti faranno male? Se ti viene un attacco d’asma sul palco ti lascio schiattare.”
“Quante storie, Frank. Sono così vicino a te che potrai soccorrermi prima che stramazzi sul palco.”
E’ rincuorante sapere che tutti ridono e scherzano e sono rilassati e io no.
Io no perché là fuori Jimmy sta facendo muovere il culo a un’orda di ragazzine che della loro musica non capisce e non capirà niente e perché li sta facendo scaldare troppo.
Saranno così carichi anche quando saremo noi a salire lì sopra?
“Smettila di pensarci. Jimmy sa il fatto suo e noi il nostro.”
Lyn è la prima a lasciare il palco, saltella con ancora il basso legato al collo per poi scoccare un bacio infantile a Gerard fissandolo raggiante.
“Allora com’è andata?”
“Una figata pazzesca, era un delirio anche sugli spalti. Sono abbastanza carichi per accogliervi come si deve.”
Le ultime note del farsetto di Jimmy in solitario sul palco scemano nell’aria lasciando il posto alle grida dei fans che sovrastano anche “Basket case” dei Green Day, le luci alte e i tecnici che prontamente preparano la scena.
La nostra scena.
“Non t’azzardare a fare quello che stai per fare, Frankie.”
“Che palle Gee. Solo un’occhiata che sia una.”
“Fa’ come ti pare.”
Niente abbracci e smancerie tra lui e Lyndsay che chiacchiera vivacemente con Kitty a proposito di un non meglio specificato paio di mutande idiote.
Ray mi afferra il colletto della maglia come se fossi un cucciolo di gatto e mi fissa serio.
“Dai Frankie, ti perdi poi tutta l’adrenalina.”
“Okay avete vinto.”
Alzo le mani in gesto di resa e mi tuffo a sedere accanto a Mikey intento ad allacciarsi i pesanti boots.
“Ma quei cosi non ti danno fastidio in estate?”
“Peccato sia novembre vero Frankie?”
“Mi sono sempre dimenticato di chiedertelo a dire la verità.”
Quando sta per iniziare il concerto ho la tendenza a sparare cazzate e parlare a vanvera - ma proprio a livelli indecenti - quasi che se dovesse vedermi qualcuno dall’esterno potrebbe pensare che sono uno schizzato e non avrebbe torto.
“E’ ora.”
Gee si fa serio quando decide che dobbiamo salire sul palco e assume quest’aria assorta che mi un po’ mi incute timore perché è come se andasse in trance e sino a quando non ci interrompiamo per la pausa di pochi minuti a metà concerto lui non ci vede né ci sente, come se fosse su di un altro mondo fatto di note e casino.
“Andiamo.”
E’ un delirio di grida che si innalzano quando apriamo il concerto sulle note di How to dissapear e ci sono già le mani alzate ad accoglierci in un grande abbraccio muovendosi all’unisono con le nostre dita che scorrono veloci sugli strumenti, dalle corde della mia chitarra al microfono di Gee.
Ora lo vedo in tutta la sua bellezza di quando si esibisce e quasi è trasfigurato.
Non è il cazzaro di sempre, quello talmente coglione da rischiare di morire per un’intossicazione alimentare in un maledetto ristorante cinese con Matthew Bellamy o quello che fa coppia con me per fare scherzi idioti a Mikey.
Ora lui è il nostro front-man e il suo piede che batte il tempo sul palco è un tutt’uno con la batteria e le note del basso di Mikey.
Oggi Mikey è particolarmente presente, si incunea tra me e Gee mentre suoniamo e io adoro quando si butta fuori e si fa trascinare dall’adrenalina.
Quando lancio un’occhiata a Ray lo vedo intento a scandire il tempo con l’enorme chioma di riccioli ribelli mentre il pubblico continua a scaldarsi sempre più, Gee che intona le prime battute di Dead! con la folla che alza le mani e le muove a tempo.
Mi butterei in mezzo a quel bagno di folla, lo farei ogni giorno come se fosse un rituale sacro e in parte per me è così. Non vedo i visi di chi è sotto di noi, a stento riesco a scorgere quelli della prima fila che gridano I’m not okay mentre seguo Gee sulle note del ritornello.
Cantare con lui è strepitoso, mi mette addosso un’agitazione strana come quando due elettroni si scontrano e generano energia.
Ecco, per noi è la stessa cosa: quando incollo le labbra a quel maledetto microfono, sento solo la voce di Gee. Non Pansy o Mikey o Ray.
Solo Gee.
Come se fosse lui l’unica cosa per cui valga la pena restare su quel palco, lui e la folla in delirio che riesce a tenere inchiodata in quell’onda anomala di grida e mani alzate e sudore e vita.
E’ con Thank you for the venom che il palco vibra, che tutto il palazzetto si solleva in piedi e salta e poga e le mani sono tutte lì per noi e vorrei stringerle una a una, dire loro che questo sogno si è realizzato perché sono loro a renderci grandi.
Con le lacrime, i sorrisi, le voci che si uniscono e sovrastano quella di Gee, con l’attenderci per ore fuori dai cancelli chiusi nella speranza di sorprenderci in qualche momento di relax, arrivare qui sotto il palco e magari sfiorarci, anche solo con lo sguardo. Sono loro con l’energia che ci trasmettono, con la passione costante che gli leggiamo nello sguardo quando le luci si abbassano e Gerard – solo sul palco, le luci soffuse – intona le parole di Cancer.
Ci sono solo le luci di una moltitudine di cellulari e videocamere che illuminano come tante stelle il buio di quest’edificio troppo piccolo per contenere tanta emozione.
Guardare Gerard cantare da solo è strano eppure dannatamente bello.
Lì, con le braccia aperte, vorrebbe abbracciare tutto questo pezzo di Italia che ci acclama e tenta di abbracciarci a sua volta con la voce e con questo costante movimento di mani sotto di noi e tutt’attorno.
Una stretta dal calore rovente in cui mi sono accoccolato come se fossi nell’utero di mia madre nel momento in cui mi sono gettato addosso la bandiera italiana ricoperta di scritte di qualche fans che ce l’ha fatta trovare sui cancelli al nostro arrivo.
Ora spetta a Gee l’altra parte di calore che di diritto è sua soltanto, quella che è stata l’unica cosa in grado di farlo uscire da un tunnel in cui continuava a precipitare senza rialzarsi, ed infine eccola lì la loro ultima canzone: Helena.
Non so se siamo noi, se sono loro o se in verità siamo tutti insieme a far scendere brividi lungo la schiena quando quel ritornello sembra nuovo per la milionesima volta, quando tutte quelle voci rincorrono quella di Gerard che continua a sovrastarle e ci sono così tante vite qui dentro che vorrei prenderle una a una e scioglierle per scorgervi attraverso, sapere perché sono qui e cosa fanno, perché ci amano o disprezzano, perché hanno scelto noi e non i Tokyo Hotel di ieri sera.
Cosa si aspettano da noi, perché adorano il mio sorriso o la bellezza violenta dello sguardo di Gerard.
Perché noi e non un gruppo qualsiasi, magari i Mindless?
Non è per il nome né perché siamo cinque tizi tanto carini da renderci una boy band, perché non li siamo proprio carini e coccolosi come i pinguini di Madagascar.
Io ho preso i chili di troppo che Gee ha perso, Mikey ha costantemente quest’aria malaticcia, Ray pare un mezzo brasiliano con le sue labbra carnose e i capelli ribelli, Bob ha il doppio dei miei chili di troppo invece e siamo tutti quanti decisamente lontani dalla perfezione e con ombre scure che gravano sul nostro passato come indelebili macchie di vernice eternamente fresca che non riusciremo mai a grattare via.
Nemmeno con le unghie sino a scarnificarci e vedere le vene sotto la cute.
Stasera mi manca Bob, mi manca terribilmente.
Se ci fosse lui mi arrampicherei vicino alla sua batteria, sorriderei al pubblico e li manderei a ‘fanculo.
Sono troppo stupido per lasciarmi andare ai sentimentalismi davanti a una folla di sconosciuti e pensare che questa moltitudine di persone ascolta la mia chitarra ogni giorno e chissà, qualche nostra canzone diviene persino colonna sonora della loro vita, è strano.
Perché c’è un oceano a dividerci eppure in questo istante, ho sancito un accordo con loro.
Tornare e tornare e tornare di nuovo.
Suonare sino a cadere a terra sfinito grondare sudore misto a lacrime che non vedranno mai, suonare sino a sentire lo stomaco stringersi per la stanchezza in una morsa ferrea simile a quella del freddo e venire inghiottito da un calore asfissiate che ti annebbia la vista sino a stordirti con le loro grida, suonare sino a esaurire ogni milligrammo di adrenalina che mi hanno lasciato in corpo questa sera, sino a quando Mikey non lascia per ultimo il palco lanciando un’occhiata alla folla ormai ferma.
Lì, dov’eravamo noi, vi sono già i tecnici che smontano la scenografia e la folla si dirada.
Li osservo allontanarsi, qualcuno piange, qualcuno sorride, altri canticchiano ancora.
Le leggo le parole di Helena sulle loro labbra, avverto ancora un calore violento in mezzo al petto.
“Siamo stati grandi.”
Sorrido a Gee scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia.
Jimmy sarà un eccezionale front-man ma quando Gee li ha voluti abbracciare tutti con quelle braccia spalancate l’ho amato io.
Per tutti loro.


Note dell'autrice.Scritta sulla scia della community "Syllables of time - effect of impact on stationary objects”, una storia senza pretese per imprimere nella memoria una serata comunque indimenticabile nonostante la delusione iniziale. Da fan a fan.

   
 
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