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Autore: chemicalscollide    17/02/2011    0 recensioni
Tre ragazze italiane, migliori amiche, si ritrovano a vivere in una città nuova come Londra. Qui faranno amicizia con quattro ragazzi che le aiuteranno, le faranno crescere e con i quali instaureranno una bellissima amicizia (e, chissà, forse qualcosa di più) che li porterà ad appoggiarsi sempre l'un l'altro. Durante questa storia tutte e tre si troveranno in situazioni in cui dovranno compiere scelte importanti ed è per questo che è stato scelto questo titolo.
Il racconto è visto da Giulia, una delle tre ragazze, ma non mancano i POV dei vari personaggi.
E' la prima fanfic che abbiamo scritto, io e le mie due amiche, qualche anno fa, quindi siate magnanimi :) E' già completa, perciò posterò regolarmente. Solo un avvertimento, è un po' lunghetta!
Buona lettura!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Mmm… che facciamo? Entriamo?” chiesi io, la voce che mi tremava, come mi succedeva sempre quando ero agitata.
“Bè, non possiamo fare altrimenti” mi rispose Francesca, che, come me, si era trasferita qui a Londra, insieme a Fabiola, una mia compagna di classe a Roma.
Quando i miei me l’avevano detto non ci potevo credere. Era sempre stato il mio sogno Londra, o, come la chiamavo io, “la mia città”. Non avrei saputo dire il perché. Certo, mi era dispiaciuto lasciare i miei amici. Ma mi sentivo talmente emozionata all’idea… e poi con me ci sarebbero state Francesca, che conoscevo da sempre (le nostre mamme erano migliori amiche al liceo) e Fabiola, incontrata in primo con la quale avevo legato molto.
E quindi… il primo giorno di scuola era arrivato e io mi sentivo veramente agitata!
Ero una ragazza molto timida, che odiava stare al centro dell’attenzione, e quindi il fatto che sarei stata presentata dal preside ai miei nuovi compagni e che nel giro di poco tempo tutta la scuola avrebbe saputo chi ero, non era un’idea che mi entusiasmava più di tanto.
Io, Franci e Fabi ci ritrovammo tutte e tre a fissare quella nuova scuola un po’ agitate.
“E se scappassimo?” suggerii io con un mezzo sorriso. “Va bè, scherzavo” aggiunsi subito, vista la brutta occhiata che ricevetti in risposta.
Mi squillò il cellulare: un messaggio. Lo aprii. “In bocca al lupo per il tuo primo giorno. Sta tranquilla. Già mi manchi tantissimo. Vengo a trovarti appena posso. Ti amo tanto, Luca”. Sorrisi. E risposi: “Grazie amore, mi manchi già anche tu. Non vedo l’ora di rivederti. Bacioni ti amo tanto tanto, Giulia.” Poi inviai.
Vidi le due guardarmi interrogative. “È Luca” spiegai con un sorriso. Luca era il mio ragazzo da quasi 6 mesi. Ero sempre stata cotta di lui, era un po’ il principe azzurro dei miei sogni: bello, biondo, occhi azzurri. Ci eravamo messi insieme finalmente quando lui si era fatto avanti e aveva lasciato la sua ragazza “storica”, Silvia, che come potete immaginare, odiavo con tutto il cuore. Lui purtroppo era rimasto a Roma e questo mi faceva star male perché mi sarebbe mancato da morire e perché è complicato tenere un rapporto a distanza. Comunque lui mi aveva promesso che sarebbe venuto a trovarmi spesso, soprattutto perché il padre ogni tanto veniva a Londra per lavoro. Bè, meglio che niente, pensavo io. Non vedevo proprio l’ora che venisse.
Il suono della campanella mi risvegliò improvvisamente dai miei pensieri.
“Bè, meglio che entriamo” disse Fabiola “non credo che sia una buona idea arrivare tardi il primo giorno, soprattutto perché è una scuola nuova!”
“Anche un paese nuovo se è per questo” aggiunse Francesca con un sospiro, mentre cominciammo a camminare. Attraversammo l’immenso prato verde (il classico prato inglese) che circondava la scuola ed entrammo attraverso uno di quegli enormi portoni di legno che avevo visto solo nei film. *Solo che questa è roba vera!* pensai spaventata.

Appena entrate ci guardammo intorno un po’ intimorite da tanta grandezza.
“Già so che ci perderemo” dissi alle altre che annuirono con un mezzo sorriso. Arrivammo davanti ad una porta, la cui targhetta d’ottone affissa al centro indicava: “Preside”. Ci scambiammo uno sguardo. Feci un respiro per calmarmi. Niente, mi stavo agitando di più, altro che calmarmi!
“No, io non ci riesco”, affermai, dopo che per la terza volta avevo alzato il pugno per bussare, per poi ritirarlo subito giù. Francesca mi guardò esasperata.
“Ho capito, faccio io, ma parla qualcun altro” disse rivolta a noi due.
“Non guardare me, se non ce la faccio a bussare, pensa a parlare!” risposi, e ci mettemmo tutte e due a guardare Fabiola, che di solito era quella più “coraggiosa” quando si trattava di queste situazioni.
“E va bene” fece lei alzando gli occhi al cielo. Ci guardammo e scoppiammo a ridere. Un modo per alleggerire la tensione. Francesca si fece coraggio e bussò. Sentimmo una voce profonda da dentro che ci invitò ad entrare. Abbassai la maniglia ed ci ritrovammo nell’ufficio. *Porca miseria, quanto è grande* pensai tra me, osservandolo in lungo e largo, i quadri appesi alle pareti, il pavimento in legno, il portatile appoggiato aperto sulla scrivania, dove sedeva un uomo di mezza età, un po’ stempiato, che ci scrutava con curiosità, attendendo spiegazioni.
“Ehm…” esordì Fabiola “Buongiorno. Siamo le nuove ragazze italiane. Ci avevano detto che il primo giorno di scuola dovevamo presentarci nel suo ufficio”
“Ah, si si, certo ragazze” esclamò il preside, il signor M. Whright, lessi sulla targa appoggiata alla scrivania. “Benvenute alla Elizabeth High!”
“Grazie” rispondemmo quasi in coro tutte e tre con sorriso timido.
“Allora, seguitemi, vi porto nella vostra classe. Alla prima ora avete storia. Le lezioni si svolgono dalle 9.00 alle 15.00” ci spiegò mentre camminavamo per un lungo corridoio. Appena si era alzato, avevo notato che non era poi così alto. “La sala mensa è di là” indicò una sala a destra “Il pranzo è alle 12.00” e io tra me pensai *oddio come mangiano presto!*. Si fermò davanti un’aula chiusa, la 127, secondo quanto potevo leggere. Il mio cuore cominciò ad accelerare. Guardai le altre e capii che anche loro si trovavano nella stessa condizione. Misi una mano in cartella per stringere il mio portafortuna, un peluche di quelli anti-stress a forma di rana: mi rilassava. Il preside ci sorrise comprensivo e bussò. Quindi aprì la porta senza aspettare risposta, ma d’altronde, lui era il preside. “Buongiorno a tutti, scusate il disturbo”.
“Ma si figuri” rispose una donna, la professoressa, seduta alla cattedra. Sorrise un po’ forzatamente, come per far capire che le dispiaceva eccome essere disturbata.
“Volevo presentarvi tre nuove ragazze che sono venute dall’Italia” spiegò con un sorriso alla classe, ignorando l’espressione della donna. Poi, visto che eravamo rimaste fuori e non avevamo intenzione di entrare, si girò verso di noi e ci fece l’occhiolino. “Dai, ragazze, entrate, non siate timide”. *Non siate timide un corno* pensai. In ogni modo, mi feci coraggio ed entrai per prima, seguita a ruota dalle altre due. Appena misi piede in classe, una quindicina di occhi si girarono a guardarmi. Mi sentii avvampare. *Che vergogna*. Dopo attimi di silenzio imbarazzante, finalmente il preside decise di salvarci. “Si chiamano Giulia Carini” mi indicò e io me ne uscii con un timido “Ciao” e un sorriso, “Francesca Benvenuti” (lei alzò la mano in segno di saluto) “e Fabiola Piazzino” (“Ciao a tutti!”). “Bene, ora vi lascio. Ancora benvenute!”
“Grazie signor preside” ringraziò Fabiola. Quindi il signor Whright uscì dall’aula dopo aver salutato la professoressa e gli alunni, i quali risposero con un “Arrivederci” poco convinto. Timidamente ci dirigemmo verso gli unici banchi liberi, ovviamente quelli davanti, e prendemmo posto. La professoressa ci guardò con interesse e con un sorrisetto che avrei voluto volentieri cancellarle dalla faccia. *Ecco, cominciamo bene, questa già mi sta qua*.
“Allora, arrivate dall’Italia eh?!” si rivolse a noi, sempre con quel sorriso “Che città precisamente?”
“Veniamo da Roma” rispose Francesca.
“Oh, Roma, che città affascinante e piena di storia” esclamò sgranando gli occhi. “Se si pensa a come quella città è stata il fulcro di un impero che è stato il massimo…”
“Oddio, ora va avanti per ore” disse una voce dietro di noi. Ci voltammo e vedemmo un ragazzo biondo, dalla faccia simpatica, che ci sorrise, in sottofondo la professoressa che a quanto pare stava ancora declamando della grandezza dell’impero romano. Aveva dei profondi occhi color nocciola, e una fossetta che immaginavo gli apparisse al lato destro della bocca ogni volta che sorrideva, e questo gli conferiva un’aria molto dolce e solare. Era vestito, come si dice, con stile: tutto era abbinato, alla polo nera con delle strisce gialle sul colletto era stata aggiunta una piccola cravattina gialla, jeans blu scuro a vita bassa e un paio di Converse nere molto vissute.
“Ma è sempre così?” chiesi io con un mezzo risolino.
“Anche peggio!”
Ci mettemmo tutti e quattro a ridere. Poi ci guardò e ci disse “Piacere, io sono Tom, Tom Fletcher” e ci porse la mano.
“Ciao Tom, io sono Giulia” e gliela strinsi. Anche le altre fecero lo stesso.
“Allora… Roma eh?! Non ci sono mai stato…”
“Bè, allora dovresti proprio, perché è veramente bella” dichiarò Francesca. Tom sorrise; poi chiese: “È stata dura lasciare tutto, vero?”
“Bè, direi proprio di sì” risposi io “Abbiamo lasciato amici, ragazzi, abitudini… e cibo!” aggiunsi io con sorriso, pensando che il mangiare italiano mi sarebbe mancato da morire.
Tom si mise a ridere. “Bè, sicuramente il vostro cibo è il migliore. Io e i miei amici quando stiamo insieme la sera a lavorare dobbiamo sempre prenderci come minimo dieci pizze, altrimenti non campiamo”
“Bè, la pizza è la pizza” disse filosofica Fabiola.
“Lavorare?” chiesi io curiosa.
“Sì” rispose lui “siamo una band. Quindi scriviamo canzoni, le proviamo ecc…”
“Wow! Non vedo proprio l’ora di sentirvi” esclamai io con un gran sorriso. Adoravo la musica, non avrei mai potuto farne a meno.
“E di conoscere gli altri!” aggiunse Francesca.
“Bè, guarda, quello laggiù è Dougie Poynter”. Indicò un ragazzo biondo in fondo alla classe, talmente concentrato sulla lezione, che stava leggendo un giornaletto e ridendo con un ragazzo accanto a lui. “E quello vicino è Harry Judd. Ci sarebbe anche Danny Jones, ma, non so perché, non è ancora arrivato. Questo è uno dei pochi corsi che frequentiamo insieme” ci spiegò. Io osservai i ragazzi e notai, come dovevano aver notato anche le altre, che non erano affatto male. “Facciamo una prova dopo le lezioni” annunciò.  “Potreste venire se vi va”
“Sarebbe fantastico” esclamammo in coro.
Tom ci fece l’occhiolino e si mise ad ascoltare la professoressa, che nel frattempo aveva finito la sua tiritera su Roma.
Io e le altre due ci girammo, scambiandoci un sorriso.
*Bè, meno male, ci siamo già fatte un amico. Non vedo l’ora che venga oggi pomeriggio.* Poi iniziai ad ascoltare quello che la professoressa stava dicendo a proposito delle crociate. *Che noia*
  
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