Capitolo Primo: Furia Coraggiosa
Malfoy
Manor
Il
rituale prevedeva che Draco giurasse eterna fedeltà al
Signore Oscuro e,
dopodiché, avrebbe avuto l’onore di ricevere il
marchio da Voldemort in
persona.
Il
rituale si sarebbe svolto nella sala da pranzo di Malfoy Manor e
lì Draco
attendeva che Voldemort arrivasse in compagnia di suo padre, sua madre,
sua zia
Bellatrix ed altri mangiamorte di cui non conosceva il nome, oltre ad
alcuni
suoi vecchi compagni di scuola.
Finalmente
avrebbe preso il marchio ed avrebbe reso orgoglioso suo padre, cosa che
aveva
tentato di fare per tutta la vita anche se con scarsi risultati.
Una
volta aveva avuto paura di quel rituale ma, ora che era venuto il
momento, si
sentiva come inebriato da una nuova sensazione che assomigliava molto
al
compiacimento, perché sentiva di stare facendo la cosa
giusta.
Voldemort
si materealizzò al centro della stanza insieme a Minus e a
Blackgoul, un’altra
new-entry, di un anno più vecchio di lui, e che sembrava
essere ai primi posti
nelle preferenze di Lord Voldemort.
-Bene
bene, Malfoy Junior- il Signore Oscuro strisciò verso di lui
con in pugno la
bacchetta gemella di quella di Potter. Gli si accostò e
avvicinò il volto al
suo in modo che Draco riuscisse a guardarlo dritto nelle pupille.
-Malfoy
sei pronto a ricevere il marchio?- domandò e la sua voce
sembrò divenire
all’improvviso molto più alta e riempì
le pareti dell’intera sala. I presenti
trattennero il fiato
-Sì
mio Signore- disse Draco, con solennità
-Mi
giuri fedeltà?-
-Sì
mio signore-
-E
giuri che impiegherai tutte le tue forze per estirpare dal mondo quella
razza
putrida ed inetta di mezzosangue?-
Draco
esitò e guardò Voldemort che sorrise; Draco ebbe
come la sensazione di essere
letto fin nel profondo e che Voldemort potesse sentire ogni suo
pensiero, ogni
sua incertezza e ogni suo ricordo.
-Lo
giuro-
-Allunga
il braccio-.
Draco
obbedì e Voldemort vi poggiò sopra la bacchetta
-Io
ti
marchio come mio servitore-.
Un
dolore acuto e lancinante percosse l’intero corpo di Draco ma
fu solo un
istante, il tempo necessario perché dalla bacchetta di
Voldemort uscisse un
lampo di luce verde, un serpente che si insinuò sotto la
pelle di Draco e che
si acquietò sul suo avambraccio, prendendo la forma del
marchio.
Narcissa
si lasciò sfuggire un singhiozzo perché suo
figlio era stato battezzato.
Remus,
sul cui appoggio Harry aveva contato fin dall’inizio, aveva
bocciato la sua
idea come suicida. Hermione e Ron continuavano a ripetergli che, se
Silente si
era lasciato catturare, aveva avuto i suoi motivi perché ne
aveva scappate così
tante, durante la sua lunga vita, da non essere così sciocca
da farsi
imprigionare dal Ministero per false accuse. Su questo punto Harry non
aveva
granchè da obiettare ma restava il fatto che lui, da solo,
non sapeva davvero
come affrontare tutta la faccenda.
Tutti
davano per scontato che lui avesse un piano, un asso nella manica per
sconfiggere Voldemort, e invece Harry non aveva proprio niente, se non
mal di
testa continui.
Per
quel pomeriggio era stata indetta una riunione straordinaria per tutti
i membri
dell’Ordine ma Harry, diamine, Harry non sapeva davvero che
cosa inventarsi,
che cosa dire a tutta quella gente che aveva riposto in lui una fiducia
che non
meritava.
Si
sentiva sconfortato e solo, abbandonato anche dai suoi amici che
avevano reagito
ai recenti avvenimenti (l’arresto di Silente, la distruzione
di una parte di
Londra, lo sterminio di intere famiglie) in modi del tutto inaspettati.
Ron era
furioso. Furioso nel senso che ce
l’aveva a morte col mondo, con tutto ciò che
respirava e non riusciva a darsi
pace. La notte Harry lo sentiva mugugnare e lanciare maledizioni e
gioire della
morte di questo o quel mangiamorte, immerso in un sonno profondo.
Harry, al
contrario, la notte non dormiva e rimuginava su strategie e piani, ma
tutti risultavano
irrealizzabili.
Hermione,
invece, era sempre assorta nei suoi pensieri. A volte si perdeva per
lunghi
minuti a fissare il vuoto e Harry era giunto a chiedersi se, per caso,
non
dormisse con gli occhi aperti o non stesse diventando matta. In quelle
ultime
settimane Harry aveva visto un sacco di maghi capaci andare fuori di
testa e si
augurava che non succedesse anche a lui. La pressione a cui era
sottoposto era
enorme e sapeva di non poterla condividere con nessuno.
L’Ordine
si riunì nel salotto della Tana. Quando Harry
entrò si accorse che tutti i
posti attorno al tavolo e sul divano erano stati occupati, tranne
quello a
capotavola. Naturalmente era un invito, una conferma della presa
posizione
dell’Ordine che lo considerava (ma, diamine, aveva solo
diciassette anni!) il suo
capo.
Harry
prese posto e sospirò.
-Qual
è l’ordine del giorno?- domandò a Remus
che, seduto alla sua destra, aveva
l’aria più grave e seria di tutti
-Sempre
lo stesso. Ieri un altro paese è stato distrutto e, ancora
una volta, i
mangiamorte hanno fatto razzia e poi sono scomparsi. L’unica
cosa che possiamo
fare è attendere un loro attacco perché le loro
difese, a Malfoy Manor, sono
impenetrabili.
Ma
Voldemort, Harry, non ti attaccherà mai finché
non sarà sicuro di vincere.
Dobbiamo escogitare una trappola, obbligarlo ad uscire dal suo
nascondiglio-.
Harry,
tutte queste cose, le sapeva già e si chiese
perché Remus continuasse a
ripetergliele in continuazione. Che cos’era? Una sfera di
cristallo in grado di
dare loro una soluzione immediata a tutti i loro problemi?
-Ci
sto pensando, ma non so che cosa fare- si risolse a dire
–Nessuno di voi ha
qualche idea?-.
Nessuno
ne aveva perché le avevano già messe tutte in
pratica ed erano fallite
miseramente a volte peggiorando addirittura la situazione
-Possiamo,
per lo meno, stare all’erta. Organizzare delle squadre di
ricognizione in ogni
città e paese in modo che possano avvisarci non appena
subiscono un attacco-.
A
parlare era stato Robert, appena entrato nell’Ordine. Era un
ragazzo a posto,
di circa la sua età, ma Harry non aveva avuto molto tempo
per parlarci. Insieme
a Robert, nell’Ordine, erano entrati anche Neville e Luna ed
alcuni auror che
avevano compreso le vere intenzioni del Ministero. Comunque, rispetto
ai
mangiamorte, restavano un numero infimo
-Buona
idea- disse Harry –Chi se ne può occupare? Remus,
Arthur?-. Entrambi annuirono
ed Harry pensò che, per lo meno, dal momento che era il capo
nessuno si
permetteva di mettere in dubbio le sue decisioni.
-Molto
bene. Se non ci sono altri punti, direi che la riunione è
tolta. Tenetevi
sempre molto stretti i vostri anelli, nel caso di un attacco li
sentirete scottare.
Cercherò un modo più efficiente per tenerci in
contatto-.
****
In
realtà Hermione non stava diventando matta. Era solo confusa.
Continuava
a rigirarsi tra le mani quel ciondolo a forma di ballerina che Malfoy
le aveva
infilato in tasca e non riusciva a capire che cosa fosse.
Il
gesto di Malfoy non era stato casuale e quella ballerina
d’argento doveva di
certo rappresentare qualcosa. Solo che, nonostante si scervellasse, non
riusciva davvero a capire cosa.
Inoltre
aveva saputo che Malfoy aveva preso il marchio.
Che
cos’era quella ballerina?
Più
ci
pensava più le veniva mal di testa. Forse parlandone a Ron o
a Harry avrebbe trovato
la soluzione più facilmente ma aveva paura di dover dare
troppe spiegazioni.
Che
cosa sarebbe accaduto se avessero scoperto che aveva aiutato Malfoy, un
mangiamorte?
Nulla,
probabilmente, ma era comunque meglio non rischiare. E poi era convinta
che, se
la ballerina era stata consegnata a lei, un motivo doveva esserci.
Per
alleviare il senso di colpa, Hermione si diceva che Harry aveva
già troppe cose
per la testa e che Ron era troppo suscettibile per riuscire a ragionare
lucidamente su una cosa qualsiasi. Probabilmente aveva ragione.
Da
quando aveva la ballerina, Hermione aveva cercato su tutti i libri che
aveva
potuto trovare che cosa fosse o che cosa potesse rappresentare, ma non
aveva
trovato niente. La ballerina, anche nella lettura delle foglie del
tè (la sua
curiosità l’aveva spinta addirittura a
rispolverare i libri della Cooman), non
aveva alcun significato.
E
allora perché Malfoy gliel’aveva infilata in tasca?
****
Robert
aveva cominciato a fare un filo spudorato ad Harry e, tranne Ron, se
n’erano
accorti tutti. Gli ronzava attorno giorno e notte, riempiendolo di
complimenti
e le sue conversazioni erano ricche di frecciatine e praticamente una
cantilena
continua doppi sensi.
A
Harry Robert non dispiaceva. Lo trovava un piacevole diversivo per i
momenti in
cui non voleva pensare o per quelli in cui si sentiva depresso.
Aveva
cominciato a parlare una notte, davanti al caminetto; insonne come al
solito,
Harry era sceso al piano di sotto, irritato a morte dalle continue
minacce e
cruciatus di Ron e, in salotto, aveva incontrato Robert.
Non
era un ragazzo stupendo, ma nemmeno brutto, e i suoi lineamenti erano
dolci ed
aggraziati, armoniosi.
-Posso?-
gli aveva chiesto Harry indicando il posto libero accanto a lui
-Certo-.
Erano
rimasti in silenzio a fissare il fuoco. Harry non aveva una gran voglia
di
parlare al contrario di Robert che sembrava scalpitare dalla voglia di
dirgli
qualcosa.
-Come
mai non dormi?-
-Non
ho sonno – aveva mentito Harry. Robert era poco
più di uno sconosciuto e Harry
detestava quando gli sconosciuti gli ponevano domande, soprattutto se
erano
domande idiote
-E’
colpa dello stress, vero? Anche io non riuscivo a dormire, dopo la
morte dei
miei genitori e di mia sorella. Ora ci ho fatto l’abitudine-
-Mi
dispiace-
-Non
devi dispiacerti. Tu stai facendo tutto il possibile per aiutarci a
sconfiggere
il Signore Oscuro-.
Harry,
ormai veterano di questo tipo di approcci, aveva capito subito che
Robert
cercava di adularlo eppure, forse perché era notte fonda e
cominciava a sentire
il peso della fatica della giornata o forse perché Robert
era un ragazzo
carino, aveva finto di non accorgersene
-Grazie-
-Nulla-
Robert gli aveva sorriso –Sei molto coraggioso, Harry-.
Da
quel giorno gli attacchi di Robert furono incessanti, eppure Harry non
sembrava
dispiacersene anche se non era ancora chiaro a nessuno se avesse
intenzione di
assecondare Robert oppure no.
Mentre
Ron insisteva nel dire che mai e poi mai tra Harry e Robert ci sarebbe
stato
del tenero, Hermione era scettica. Continuava ad osservare Harry,
convinta che
in lui ci fosse qualche cosa di strano.
Nel
modo in cui guardava Robert mancava quella scintilla che aveva animato
Harry
tutte le volte che aveva desiderato qualcuno. Se lo conosceva bene,
–e lo conosceva
bene, molto più delle proprie tasche- Harry si stava
lasciando andare a quella
storia per dei motivi sbagliati, come la noia o il bisogno di
distrazione.
Ma finché Harry non avesse dimostrato intenzioni più serie, Hermione non poteva fare a meno che starsene in disparte e mettere in guardia Harry. Che, puntualmente, non le dava ascolto.
eHm...
Non ho molto da dire su questo capitolo...spero davvero che vi sia piaciuto e che la storia cominci ad incuriosirvi.
Sto passando un periodo piuttosto triste della mia vita, quindi non mi va di dilungarmi in inutili sproloqui idioti. Vi lascio con la speranza che abbiate apprezzato la mia scrittura.
A presto!