Belle
Époque
Cap.
1:
Narcisismo ed Egoismo
Parigi,
1890
Il giovane
sospirò, affrettandosi per le
strade parigine buie. Sentiva ancora provenire le risate, la musica e
la
confusione da quel chiassoso locale che tanto amava frequentare:
“Le Folies
Bergère”. Rise tra sé ripensando alla
splendida serata appena passata. I
colori, i profumi… tutto era ancor così vivo
nella sua mente leggermente
offuscata dagli alcolici. Amava la vita, amava divertirsi, bere del
buon vino e
lasciare che la sua testa iniziasse a galleggiare. E soprattutto, amava
quando
si sentiva idolatrato dalle persone che lo circondavano, con gli occhi
di tutti
addosso. Le donne sventagliavano con più foga i loro
ventagli quando lui
passava, ammiravano i suoi setosi capelli biondi mossi e si
scioglievano al suo
sguardo azzurro intenso. E di recente aveva notato che neppure gli
uomini erano
del tutto immuni al suo fascino. Tanti, in sua presenza, balbettavano,
rapiti
dalla sua folgorante bellezza, e non potevano staccar gli occhi dai
suoi
indumenti sempre eleganti e alla moda, così diversi da
quelli di una persona
comune. Perché, decisamente, Francis Bonnefoy non era una
persona comune. Lui
era il re dei salotti, voluto da tutti, invitato a prender parte ad
ogni
incontro, e chiunque voleva le sue opinioni in ogni settore. Si
potrebbe dire
che vivere in questo modo poteva annoiare, a lungo andare. Che le
persone,
oltre ai piaceri edonistici, necessitino di legami profondi. Beh,
Francis di
legami profondi ne aveva. Anche se spesso non duravano più
di una notte. Ma
Francis poteva vivere solo in questo modo, per poter appagare il suo
ego
narcisista. E a lui andava benissimo così. Raggiunse
leggermente barcollante la
porta della sua residenza e, cercando di non fare troppo rumore e di
non
svegliare la servitù, aprì il grande portone,
attraversò nella poca luce
rimasta l’atrio e si diresse lungo la maestosa scalinata
d’ebano al piano
superiore, dove si trovavano le sue stanze. Entrò nella sua
sontuosa camera da
letto, ricoperta di tessuti dorati e ricamati, provenienti
dall’Oriente, e
venne subito avvolto dal profumo di colonia che aleggiava lì
dentro. Con calma
si svestì dei suoi abiti eleganti, adesso impregnati degli
odori del locale.
Prima di indossare la bianca vestaglia da notte preparata sul suo ampio
letto a
baldacchino si girò a guardare l’immagine che lo
specchio rifletteva. Sentì il
suo cuore gonfiarsi di orgoglio mentre si guardava, bellissimo come
sempre,
e presa una
spazzola sistemò i suoi
capelli dorati. Era vanitoso, immensamente innamorato di se stesso.
Dopotutto,
se non fosse stato così, allora nemmeno gli altri sarebbero
stati affascinati
da lui. Piacere a se stessi per piacere agli altri era la sua filosofia
di
vita. Dopo essersi ammirato per qualche altro istante si
preparò per bene ad andare
a dormire. Prima di far calare il buio nella stanza lasciò
che il suo sguardo
si soffermasse sulla tenda che segnava l’ingresso alla camera
adiacente, dalla
quale proveniva un alone rossastro creato dalla luce riflessa sulle
lucide
stoffe e sugli specchi. Stava quasi pensando di andare velocemente a
controllare che nessuno si fosse permesso di entrarvi, che ogni cosa
fosse
esattamente dove l’aveva lasciata, ma poi, aiutato anche dai
fumi del forte
vino rosso bevuto in abbondanza la sera, il sonno prese il sopravvento
e lo
fece sprofondare nel buio senza sogni che caratterizzava le sue notti.
Calais
Finalmente era
sbarcato. Non aveva mai
amato viaggiare. E quel viaggio in particolare sarebbe stato per lui
solo una
seccatura, ma se era per allontanarsi dal brutto clima che negli ultimi
tempi
si respirava nella sua famiglia a Londra, allora poteva sopportare per
un po’
di abbandonare la sua Inghilterra. E, forse, sarebbe riuscito anche a
sopportare di vivere in Francia, per quanto avesse sempre odiato con
tutto se
stesso i francesi. Che gente! Perditempo fannulloni e molto poco seri,
che
pensavano solo al vino e alla bella vita, senza curarsi di tutto il
resto. Non
che a Londra non esistessero i salotti e le serate mondane, o quel tipo
di
persone che lui tanto disprezzava. Ma almeno, essendo inglesi,
c’era una
sobrietà in ciò che facevano che i francesi non
sarebbero mai stati capaci di
mantenere. I francesi erano lo sfarzo. Il lusso. Gli inglesi la
raffinatezza e
compostezza. Non potevano andare d’accordo quei due popoli.
Ma lui, per qualche
mese avrebbe sofferto. Sarebbe rimasto lì, a Parigi, dove
avrebbe lavorato come
giornalista di cronaca per un giornale. Aveva già sistemato
tutto. I suoi
effetti personali erano stati inviati nella sua futura dimora, e con
sé aveva
solo un baule. Lanciò un’ultima occhiata al porto
ed al mare nero che riluceva
sotto la luce fioca delle stelle. Allontanarsi era stata la scelta
migliore. I
suoi fratelli si stavano distruggendo l’un l’altro
per accaparrarsi la fetta
più grossa dell’eredità di loro padre
morto l’anno precedente. Erano avidi e
odiosi. Piuttosto che litigare con loro per quella questione, preferiva
rinunciare alla sua parte. Dopotutto, lui non era il primogenito,
quindi non
aveva neanche grosse responsabilità verso la famiglia.
L’unico motivo per cui
gli era dispiaciuto andarsene da quella casa era Peter, il fratello
più piccolo
di tutti, praticamente ancora un bambino. Era l’unico a cui
si era sentito
legato, in tanti anni passati nella casa di famiglia. Ed allo stesso
modo lui
era per Peter una figura di riferimento. Il pensiero del volto di Peter
rigato
dalle lacrime mentre con le sue piccole mani cercava di trattenerlo dal
partire
gli formò un groppo in gola. Era stato forse egoista
nell’abbandonarlo lì da
solo? Aveva pensato soltanto a se stesso quando aveva deciso di
andarsene? Scrollò
le spalle per allontanare quei pensieri urticanti, poi si
avvicinò col baule
alla carrozza nera che lo attendeva. Lasciò che il cocchiere
si occupasse di
caricare il suo bagaglio, e salì nella cabina. Si
preparò a passare una scomoda
nottata di viaggio. Non sapeva di preciso quanto tempo avrebbe
impiegato ad
arrivare a destinazione, ma pregava di far presto. Sentì lo
schiocco della
frusta, il rumore di zoccoli dei cavalli, e avvertì la
carrozza iniziare a
muoversi. Parigi. Quella per lui sarebbe stata una sfida. E Arthur
Kirkland non
rifiutava, né tantomeno perdeva, le sfide.
Note di fine
capitolo: benvenuti a tutti i
lettori! Questa sarà la mia prima long-fic, e spero
vivamente di riuscire a
proseguire. E’ ambientata in un Alternative Universe (i
personaggi non sono
nazioni) e siamo nella Parigi del
Francis: pensavo di
sarebbe parlato di me,
cherie!
BabiSmile: Pff. Poi
sarebbe noioso. Non
ribattere, ti prego, ho da fare!
Francis: …
Bene, un saluto a
tutti, e un grazie alle
mie beta Ghy e Sara!
BabiSmile