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Autore: Melanyholland    18/02/2011    15 recensioni
Non si erano mai frequentati. O piaciuti, a voler essere onesti. Ma ora che si ritrovavano spesso insieme, doveva ammettere che lei non era poi così male.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair Waldorf, Dan Humphrey
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Big Brown Eyes

Autrice: Melanyholland

Summary: Non si erano mai frequentati. O piaciuti, a voler essere onesti. Ma ora che si ritrovavano spesso insieme, doveva ammettere che lei non era poi così male.

Timeline: tutte le stagioni fino all’episodio 4x15 (It-Girl Happened One Night).

SPOILER dunque.

Main Characters:  Dan Humphrey, Blair Waldorf (cenni Dan/Serena, Blair/Chuck).

Disclaimer: Non possiedo né Gossip Girl né i suoi personaggi.

 

 

 

Big Brown Eyes

 

Sapeva che non avrebbe dovuto piacerle –era superficiale, piena di sé e altezzosa, Dan non aveva dubbi che avesse pensato di essere migliore di lui fin dal primo momento che l’aveva visto accanto a Serena, e solo perché lei riempiva la stanza dei rintocchi dei tacchi di un paio di scarpe che da solo era costato più del suo intero guardaroba nel loft, tacchi abbastanza alti da permetterle di guardarlo con gelido sprezzo nonostante  fosse una ragazza tanto minuscola (graziosa, anche, se non notavi l’espressione insolente e spesso maligna del viso, da cui argutamente sviavano l’attenzione i vestiti merlettati da bambola e i cerchietti dai grossi fiocchi incastonati fra i boccoli lucenti).

Dan, dal canto suo, aveva subito pensato che Blair Waldorf da sola riassumesse perfettamente tutte le caratteristiche che giudicava frivole e sgradevoli degli arroganti rampolli e delle viziate figlie di papà con cui era costretto ad andare a scuola per realizzare il suo sogno di frequentare la Dartmouth. E non aiutava nemmeno che lei trattasse Jenny come la sua schiavetta,  costringendola a portare a termine mansioni e commissioni che evidentemente erano troppo al di sotto dell’unica erede dei Waldorf per essere fatte di persona. Ma Serena continuava a ripetergli che Blair era la sua migliore amica (anche dopo che l’aveva umiliata di fronte a tutti al ricevimento in onore dei rappresentanti delle università) e, per amore di Serena, Dan era disposto a fare qualunque cosa, anche ignorare le occhiate dispregiative di Blair e il ticchettio sul pavimento di quei tacchi tanto costosi che tre anni dopo sarebbe stato capace di riconoscere senza difficoltà.

Poi c’era stato quel giorno –e se Dan avesse voluto scriverci su un racconto, cosa che non avrebbe fatto, perché la sua unica musa aveva occhi azzurri sempre ridenti e capelli biondi che diventavano d’oro alla luce del sole, avrebbe cominciato il paragrafo sostenendo che era stato lì che era iniziato tutto- in cui non c’erano stati cerchietti sfarzosi o vestiti sgargianti o rintocchi secchi sul pavimento, ma solo una ragazza con lo sguardo più triste che Dan avesse mai visto. Oh, lei non si era lasciata sfuggire l’occasione di rivolgergli un commento sprezzante (Non avvicinarti, non ho fatto l’antitetanica) ma era stata proprio quella battuta, che avrebbe dovuto essere offensiva e sdegnosa e che le uscì invece dalle labbra come fievole e poco sentita, che aveva fatto capire a Dan la verità su quella ragazza che Jenny ammirava e temeva tanto allo stesso tempo. In quel racconto che non aveva alcuna intenzione di cominciare mai, Dan avrebbe scritto che in quel momento aveva visto per la prima volta Blair Waldorf, quella vera, senza costume di scena e copione da recitare.

Così, era scivolato piano a sedere sul pavimento, alla stessa altezza di lei, a le aveva confidato l’abbandono di sua madre -certo, dopo lo aveva rivelato anche a Serena. Pochissimo dopo- e quando Blair si era ripresa e lo aveva dileggiato per l’abbigliamento, stavolta non c’era stata cattiveria nella sua voce, ma un sorriso a fior di labbra, che aveva fatto sorridere un po’ anche lui.

Comunque, a parte sporadiche eccezioni, non si erano mai frequentati. O piaciuti, ad essere del tutto onesti. Blair lo chiamava Humphrey ed era sempre presuntuosa e sprezzante, lui cercava di non giudicarla male ad alta voce in presenza di Serena e prendeva un po’ in giro le sue maniere boriose con Vanessa quando si ritrovavano a bere un caffé insieme. Ma per lo più, Dan si limitava a non pensare affatto a lei. Blair non aveva mai catturato particolarmente il suo interesse fin da quando, tre anni e qualche mese prima, gli era andata incontro al brunch di Bart Bass con un sorriso dolce sulle labbra rosse, Sei Dan?, un tono gentile che presto avrebbe imparato a riconoscere come veleno immerso nel miele.

No, non aveva mai pensato molto a Blair. In qualche modo, che stessero ufficialmente insieme oppure no, c’era sempre stata Serena nella sua vita, e Serena era travolgente e sfavillante come un fuoco d’artificio, illuminava tutto intorno a sé ed era impossibile distogliere gli occhi, rivolgere l’attenzione a qualsiasi altra cosa nel cielo. Tutto ciò che si poteva fare era stare lì ad ammirarla, affascinati dalla sua incomparabile bellezza.

Ma un fuoco d’artificio non potrà mai essere di una persona sola, troppo alto e brillante nella volta celeste perché qualcun altro non lo veda e voglia avere anche un po’ per sé quello splendore, e Dan aveva perso Serena, e ancora, e ancora, e ancora nel corso degli anni fra le braccia di ragazzi tanto attraenti quanto spesso problematici. Certo, c’era sempre stato per lei nei momenti in cui si metteva nei guai –che erano tanti, forse perché le attenzioni che Serena attirava non potevano essere tutte positive e adoranti-. E c’era sempre stata anche Blair. A volte, nel caso di Georgina e di Juliet ad esempio, c’erano stati insieme. Per Serena.

Poi erano arrivati i film. Film che Serena avrebbe visto solo per fargli piacere, forse. Pellicole talvolta a colori e spesso in bianco e nero di registi stranieri il cui nome lei non avrebbe nemmeno saputo pronunciare, mentre Blair adorava fare sfoggio della sua cultura facendosi scorrere sulla lingua senza difficoltà cognomi russi e polacchi, fissandolo superba come a sfidarlo a non ammirarla per le sue conoscenze. Era con lei che vedeva quei film ed il primo a sorprendersi di quanto fosse divertente commentarli a fine proiezione, anche se erano sempre in disaccordo e Blair ascoltava le sue opinioni con sguardo compassionevole e obiezioni sferzanti (e quel sorriso a fior di labbra che aveva visto per la prima volta quel pomeriggio di tanto tempo prima e che, doveva ammetterlo, non era poi così male). Le discussioni erano sovente piuttosto accese, e finivano ogni volta con Blair che girava sui tacchi di scarpe che ora poteva permettersi anche Dan e che gli scoccava un’occhiata esasperata da sopra la spalla:

“Non so nemmeno perché continuo a perdere il mio tempo con te, Humphrey. Voglio dire, vai in giro con camicie di flanella”. E prima che lui avesse il tempo di ribattere, Blair era già lontana, perché era lei che doveva avere l’ultima parola, per ragioni che Dan avrebbe scommesso avevano a che fare con quel suo modo di vedere la vita come un’eterna sfida in cui c’era sempre un vincitore, che non poteva che essere lei, e un perdente, che, non c’era bisogno che nessuno glielo dicesse, Blair era convinta fosse lui in ogni caso.      

Eppure si ritrovavano sempre insieme, e le scuse erano tante –Serena e Chuck erano fuori città, Serena era con Ben e Chuck con Raina- e sempre pronunciate ad alta voce e con convinzione da entrambi.

Un giorno, mentre guardavano in un cinema Repulsion di Roman Polański (“Non trovi che sia appropriato, Humphrey?”. Occhiata impertinente e sorrisino al vetriolo. “Assolutamente sì”), Dan distolse gli occhi dai fotogrammi e si voltò a guardare Blair, i capelli neri nell’oscurità della sala, gli occhi scintillanti per il riverbero dello schermo, le labbra appena un po’ umide, dischiuse abbastanza da fargli sbirciare gli incisivi candidi e, prima che se ne accorgesse, pensò che era bella. Semplicemente. Fu un pensiero fugace e subito dimenticato quando lei si voltò accigliata e gli chiese se desiderasse qualcosa.

“Vuoi un po’ di pop-corn?” improvvisò Dan, porgendole il sacchetto, e il cipiglio di lei si fece più marcato, come se le avesse offerto maleodoranti uova marce invece di fragrante mais saltato col burro.

“Stai scherzando?” sbottò, indignata. Gli occhieggiò le dita unte e punteggiate di granellini di sale e arricciò il naso, come per fargli capire esattamente che cos’era che non andava. Dan era indeciso fra il particolare che si mangiassero con le mani, il dettaglio che lui ci avesse messo le mani, oppure solamente che erano un cibo troppo plebeo per la raffinata Blair Waldorf, futura Donna di Potere dell’Upper East Side. Ci rifletté per un minuto, poi realizzò che non era essenziale scoprire i contorti giri mentali della sua non di rado folle interlocutrice e rinunciò, posandosi di nuovo il sacchetto in grembo.

“Sono sempre meglio del pesce crudo.” commentò a bassa voce senza riuscire a frenarsi, infilandosi un pop-corn soffice e burroso in bocca. Blair sbuffò sonoramente.

“Si chiama sushi, Humphrey, ed è squisito.” replicò petulante, poi fece un sorrisetto furbo: “O forse a Brooklyn siete soliti mangiare il pesce così come viene pescato? Non mi sorprenderebbe.”

“Certo, perché Brooklyn è un paese di trogloditi che non ha niente a che fare con voi sofisticati newyorkesi.” ribatté, sarcastico. Blair gli batté dolcemente la mano sul braccio.

“Lieta di sapere che finalmente l’hai capito, Humphrey”.

Un ragazzo seduto dietro di loro tossicchiò rumorosamente per intimar loro di fare silenzio e Blair si voltò lentamente, lanciandogli un’occhiata torva:

“Se seguire i dialoghi ti è così difficile, forse dovresti provare con qualcosa di più semplice. Mai sentito parlare di Walt Disney?” lo apostrofò, riuscendo a comunicare allo sventurato con la semplice mossa di sollevare le sopracciglia quanto inferiore lo ritenesse rispetto a lei.

Quando tornò a guardare il film, impettita, Dan si sbirciò dietro la spalla in tempo per scorgere il ragazzo che cambiava posto, con aria irritata e vagamente intimidita. Certo, era stata maleducata, e il fatto che quel tizio avesse ragione non faceva che peggiorare la situazione, ma Dan si ritrovò a provare un pizzico di divertimento per la faccia tosta di Blair. Lui non avrebbe mai avuto il coraggio di rivolgersi così ad un estraneo, soprattutto se fosse stato consapevole di aver torto.

Arrivò il giorno di San Valentino, e quando lui e Blair si nascosero per origliare la conversazione di Chuck e Raina, Dan scorse di nuovo la Blair Waldorf che lo aveva colpito anni prima, quella indifesa e a suo modo dolce, piena di una tristezza che non avrebbe mai permesso a se stessa di lasciar trapelare con pianti disperati e lamenti accorati. Tuttavia, un pezzetto della sua anima tormentata non poteva che essere riflesso in quei grandi occhi castani, troppo, troppo lucidi. Dan pensò di consolarla confidandole quanto si era sentito ferito nello scoprire che Serena era di nuovo innamorata di qualcuno che non era lui, per confortarla con l’idea che non era l’unica a soffrire –perché, conoscendola, probabilmente le sarebbe stato di grande sostegno-, ma quando si sedette accanto a lei, scoprì che non avrebbe potuto aprir bocca. La verità, era che non si sentiva poi così ferito, in fondo. Chiunque fosse stato innamorato di Serena Van Der Woodsen era abituato all’idea che lei era fuggevole come una scintilla di luce. Ma Dan sapeva abbastanza di Blair da capire che essere l’unica per Chuck –l’unica per cui lui provava qualcosa, l’unica per cui avrebbe allestito una stanza principesca a San Valentino, l’unica che avrebbe trattenuto per il braccio disperato per non farla andare via- non era solo importante per lei, era tutto. In quel momento, Dan rivide la ragazza piena di insicurezze a cui la sua stessa madre aveva preferito un’altra ragazza per il servizio fotografico e il desiderio di confortarla diventò quasi un bisogno, urgente e incontenibile. Posò la mano sulla sua senza pensarci, perché gli sembrava giusto così, e Blair la ritrasse, brusca.

Ma non subito. Forse uno spettatore disattento non se ne sarebbe accorto, ma Dan aveva percepito le dita di lei, cosi piccole, esili e calde, stringere le sue per un istante, un istante soltanto. Aggrapparsi alle sue, con quella disperazione che Blair tentava di nascondere con maniacale tenacia.

Quella sera scoprì poi che non solo Blair aveva mandato il suo articolo a Vanity Fair, ma che l’aveva letto e, incredibilmente, le era piaciuto. A lei, la iper-critica e insopportabilmente pignola dittatrice di stile. Dan non avrebbe mai ammesso ad alta voce –faticava a dirlo a se stesso- che quel particolare lo aveva incoraggiato parecchio, facendogli venire in mente almeno una decina di idee nuove per altrettanti articoli e racconti che non vedeva l’ora di scrivere. Un po’ per ringraziarla, un po’ perché in fondo era piacevole anche per lui, un po’ perché gli sembrava di sentire ancora sotto il palmo della mano il calore delle dita di lei, trascorse la serata al telefono con Blair, a guardare e commentare Rosemary’s Baby. Probabilmente, se lo avesse raccontato a Vanessa e Jenny, lo avrebbero guardato con tanto d’occhi, rifiutandosi di credergli.

Dopo quella sera, le giornate si susseguirono come al solito: guardarono film, Blair lo immischiò in qualcuno dei suoi complotti e nessuno dei due fece parola di quel breve momento in cui si erano toccati, che non era stato niente, dopotutto.

Un lunedì, arrivò una chiamata da Vanity Fair durante la quale lo informarono che avrebbero pubblicato il suo articolo, e sarebbero stati lieti di ricevere altro materiale. Dan si era catapultato sul suo laptop, armato di una brocca di caffé forte e di pacchetti di snack salati e dolci, e aveva trascorso ore febbrili davanti allo schermo, il ticchettio dei tasti che risuonava per il loft. Si era accorto appena di Ben che gli girava intorno e finalmente se ne andava, salutandolo con un cenno della mano. Era totalmente immerso nel mondo che la sua mente e le sue dita stavano creando in sincronia perfetta, ogni sensazione e idea riusciva ad esprimersi nelle parole che comparivano sullo schermo. Era fantastico, perché era raro che gli capitasse di scrivere così bene, senza passare minuti interminabili a mordicchiarsi un’unghia frugando nella memoria alla ricerca di un termine particolare, o a cancellare insoddisfatto frasi intere subito dopo averle buttate giù. Quando alzò gli occhi dallo schermo, con un leggero mal di testa, si accorse di aver scritto di getto per quattro ore e mezza. Decise di fermarsi, e quando rilesse il racconto, come era solito fare prima di salvare e spegnere il computer, si rese conto della stranezza di alcune parti, che nella prima istintiva stesura erano passate inosservate:

 

La vede scendere gli scalini dell’università, il cerchietto color ciliegia a trattenere i boccoli che ondeggiano morbidi ad ogni passo certo ed elegante, la gonna che sfiora le ginocchia in un movimento leggero che accondiscende al ritmo dei costosi tacchi sul marmo... 

 

Claire lo guarda accigliata, sporgendo un po’ il labbro inferiore, raggiante di rossetto: “Solo perché ho accettato di venire al party con te, Harper, non significa che fra noi ci sia qualcosa.”

“Mi stai dicendo che ami ancora lui? Dopo tutto quello che ti ha fatto?” chiede Gabriel, incredulo.

Per la prima volta, Claire abbassa gli occhi, sempre fieri e puntati dritti di fronte a sé. Alcune ciocche scure le sfiorano la guancia, ora più accalorata, e i pugni lungo i fianchi dell’abito stringono la gonna di chiffon, creando grinze sulla stoffa azzurra satinata.

“Tu non capisci.” bisbiglia, così piano che Gabriel la sente appena. “Se perdo lui... non c’è più nessuno. Chi altri potrebbe amarmi?”

 

Le prende la mano. È così esile, trema appena un poco fra le sue dita. Lei è così bella, così fragile, con gli occhi grandi e tristi, quasi imploranti. Non l’ha mai vista così. In quel momento, non pensa a Susanne, al suo sorriso radioso, alla sua bellezza angelica. C’è solo Claire, così diversa da un angelo, nel carattere, nei modi e perfino nell’aspetto.

 

Dan sollevò gli occhi dalle pagine di Word, e si accorse di avere gocce di traspirazione sulla gola e la fronte. Si intimò di calmarsi. Era solo un racconto di fantasia, in fondo. Certo, poteva aver preso ispirazione da fatti reali, come era successo per quello su Charlie Trout, ma la maggior parte degli avvenimenti erano inventati, al contrario di quelli che ruotavano intorno Charlie Trout.

Comunque, decise all’istante che avrebbe scritto un altro racconto. Pazienza se questo gli era costato un pomeriggio intero; pazienza se era buono, così vivo che i personaggi sembravano uscir fuori dallo schermo. Vanity Fair si sarebbe dovuto accontentare di qualcos’altro, magari di un altro articolo. Cliccò rapidamente vari tasti e comparve sullo schermo: Spostare Big Brown Eyes nel cestino?. Ci pensò su, tamburellando le dita sul tavolo da pranzo.

 

*

 

“Oh mio Dio, Humphrey, un’altra busta?”. Blair roteò gli occhi e sbuffò. “Non posso continuare a intercedere per te. Se Vanity Fair non ti ha più chiamato...”

“Mi ha chiamato, in effetti.” la interruppe Dan, e si godé l’espressione sorpresa sul volto altezzoso di lei. Erano negli uffici di W Magazine, dove una volta avevano litigato per una pinzatrice.

“Ah, meraviglioso!” esclamò Blair, e per un breve attimo Dan credette che fosse veramente felice per lui. Poi lei aggiunse, in tono squillante (veleno immerso nel miele): “Ora assillerai il loro capo-redattore. Che enorme sollievo.”

Dan alzò gli occhi al soffitto.

“Non ti va di leggerlo?”

“Humphrey, solo perché ho accettato di farlo una volta, non significa che mi sorbirò ogni scarabocchio che esce dalla tua penna. E comincia a essere ripetitivo scovare fra le righe gli innumerevoli riferimenti a quanto ami Serena e quanto la trovi fantastica.”

“Quindi non lo leggerai nemmeno se lo pubblicano?”.

Blair arricciò il naso: “Certo che no”.

Ma lo lesse, ovviamente. Una parte di Dan ne era consapevole fin da quando si erano parlati. Così, non fu sorpreso di ritrovarsela di fronte nel loft, la rivista fra le mani e uno sguardo penetrante sul volto accigliato.

“Che cosa ti è saltato in mente, Humphrey?” chiese indispettita –e un poco confusa-, mostrandogli il Vanity Fair di Marzo.

“È solo un racconto.”

“Su di me”. Ci pensò su e aggiunse: “Solo con un nome più banale e battute patetiche.”

“Patetiche?” ripeté, offeso.

“Humphrey, rispondi!”

“Qual è la domanda?”

“La domanda è...” cominciò, infervorata, poi esitò, abbassò la mano lungo e il fianco e la voce di qualche tonalità: “...perchè?”.

Dan scrollò le spalle. Non sapeva come spiegarle che gli era semplicemente venuto così, di getto; che quando aveva immaginato la sua protagonista, non aveva visto altro che grandi occhi castani ricolmi di un dolore profondo e incontrollabile; che semplicemente gli piaceva il nome Claire.

“La tua fonte d’ispirazione è Serena.” insisté lei, in tono categorico. Come se la vita fosse una lista di regole che dovevano essere assolutamente rispettate. “La ami. Non amerai mai nessuna quanto ami lei.”

“E lo stesso vale per te e Chuck?” la sfidò lui, senza riuscire a controllarsi e senza capire –a fondo-la ragione di quel guizzo d’impazienza. Blair gli lanciò un’occhiata stizzita.

“Ciò che c’è fra me e Chuck non sono affari tuoi.” affermò, gelida.

 “Perché tieni tanto a lui?” domandò Gabriel, infervorato.

“Lui mi ama.”

“No. Lui è incapace di amare chiunque a parte se stesso.”

 Quando vide gli occhi che le si inumidivano di lacrime, rimpianse di aver parlato. 

“Sai una cosa? Hai ragione.” affermò lui, sarcastico. “Chi non amerebbe un bastardo egoista approfittatore di minorenni?”

“Tu non lo conosci.” sbottò lei. “Chuck è solo...”

“Cosa?”

Blair gli scoccò un’occhiata torva. “Lascia stare, uno come te non può capire. Smetti di scrivere su di me, o te ne pentirai”.

“Perché ti interessa tanto? Io non ti sono nemmeno mai piaciuta.” disse Claire, fissandolo dritto in faccia con altera determinazione, in attesa di una risposta.

“Oh, quindi mi esilierai come hai fatto con Jenny?”

“Non sfidarmi, Humphrey.” lo ammonì, in tono sepolcrale, e girò sui tacchi delle Louboutin bianche per andar via. Dan le afferrò il braccio.

Gabriel le prese la mano. Gli occhi di lei sembravano così grandi, ora che erano così vicini. Le lacrime brillavano, incastonate fra le ciglia, come i diamanti che le piaceva tanto indossare.

“Humphrey, cosa stai-“

“Non mi piace vederti star male.” confessò, in un fil di voce.

“Davvero?” soffiò lei, colpita.

“Tu sarai anche vendicativa, folle e irascibile...”

“Cosa? Ti avverto, Humphrey: ho i tacchi e tu sei in pantofole. Se non vuoi perdere qualche dito, lasciami immediatamente.”

“Ecco, appunto.” commentò lui, e quando la vide sollevare il piede minacciosa, si affrettò a concludere: “...ma meriti qualcuno che ti renda felice”.

“Certo che me lo merito!” sbottò Blair altezzosa, però il suo sguardo era cambiato. Aveva posato di nuovo il piede a terra. Senza rendersene conto, Dan l’attirò più vicina. 

Gabriel sollevò la mano per accarezzarle la guancia: “Provo qualcosa per te, Claire.”   

 “Dan...”

“Gabriel...”

E sull’onda di un sentimento che non avrebbe mai creduto di poter provare, la baciò.

 

 

Fine

 

 

Note dell’Autrice:

[1] “Big Brown Eyes” è un film del 1936 con Cary Grant.

[2] Questa storia mi è venuta di getto dopo aver visto l’ultimo episodio della quarta stagione. Non sono una fan della coppia  Dan/Blair, non a lungo termine, almeno; ma è divertente e rinfrescante vederli ridere e passare del tempo insieme per qualche puntata, soprattutto perché, al contrario, è stancante vedere Blair che puntualmente soffre mentre Chuck dichiara eterno affetto e devozione a donne che conosce da cinque minuti. Chuck/Blair restano i miei preferiti, ovvio. Ma prima di rivederli insieme, voglio stare a guardare Chuck che fatica per riprendersela. Spero che la stagione non mi deluda, da questo punto di vista.

Ciò detto, spero che leggere questa piccola shot vi abbia fatto passare qualche momento piacevole.

Alla prossima storia,

Melany

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

  
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